La vita dei Padri del Giura: Romano, Lupicino e Eugendo

INTRODUZIONI


- L'AUTORE E L'AMBIENTE STORICO a cura di Karl Suso Frank OFM

- LA FONDAZIONE DEL MONASTERO DEL CONDAT a cura di François Martine

- I PADRI DEL GIURA ED IL MONACHESIMO DEL LORO TEMPO a cura di Adalbert De Vogüé, OSB


L'AUTORE E L'AMBIENTE STORICO

a cura di Karl Suso Frank OFM

Libera traduzione dal tedesco dell’introduzione estratta da

 MÖNCHSLEBEN 11 - Das Leben der Juraväter Romanus, Lupizinus und Eugendus” – Ed. EOS Verlag Sankt Ottilien 2011

- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -

La vita dei Padri del Giura - con il suo titolo completo "La vita e la Regola dei Santi Padri Romano, Lupicino e Eugendo, abati dei monasteri del Giura" - è l'opera di un autore anonimo. Tutte le intense ricerche non ci hanno illuminato su questo anonimo.  Un'attenta lettura del testo porta, comunque, a diverse tracce dell'autore. Il biografo scrive con una buona conoscenza del luogo, delle condizioni di vita e delle particolari vicende del suo oggetto.  Ciò porta alla conclusione che lui stesso abbia vissuto in uno dei monasteri del Giura. Il modo particolare con cui l'autore racconta dell'ultimo abate Eugendo, ci spinge ad una determinazione più precisa del suo lavoro biografico.  Dovrebbe essere stato scritto dall'interno delle comunità monastiche, poco dopo la morte dell’abate Eugendo, intorno al 520.  Il tempo del racconto delle tre vite degli Abati copre poi un periodo di quasi 90 anni (Romano si ritirò nel Giura intorno al 453), dei quali gli ultimi 30 sono stati vissuti anche dall'autore.  François Martine, che ha curato l'edizione critica delle Vite (vedere "Vie des Pères du Jura" - Sources Chretiennes 142 - Paris 1968), attribuisce il tempo intorno al 490 come data d'ingresso dell'autore nel monastero del Giura, pensando ad un’entrata del medesimo come "puer oblatus". 1) Tale fase di studio delle Vite, che l’autore ha situato in età carolingia,  potrebbe essere ormai definitivamente terminata. 2)  Per questo motivo il valore della testimonianza dell'ultima Vita è considerato molto elevato. I sei decenni precedenti non possono essere descritti dalla sua diretta esperienza e qui l'autore è solo l'ascoltatore e raccoglitore della tradizione orale sopravvissuta.  Tuttavia, la compattezza di una comunità monastica unita alla preoccupazione per la fedeltà ai primi periodi, meticolosamente mantenuta in tale ambiente, ed il tipo del racconto consentono di attribuire un elevato grado di credibilità anche per le due vite di Romano e Lupicino. L'autore scrive, naturalmente, come un agiografo, più per edificare che per informare, ma i tipici lineamenti agiografici non sono così stereotipati come in altri testi agiografici, dove facilmente, secondo il noto schema di pensiero “come probabilmente sarebbe potuto essere” avrebbe potuto semplicemente riempire le lacune esistenti. L'autore certamente conosceva i più importanti testi monastici, come la Vita Antonii di Atanasio nella sua forma latina, la Vita Martini di Sulpicio Severo, l’Historia monachorum nella versione di Rufino e altre serie di scritti della tradizione dei padri. Però, ne ha usato saggiamente e senza cadere nel pericolo di scivolare nel cliché agiografico. Nel suo modo di scrivere l’autore rivela una capacità letteraria anche se, con questo testo, siamo lontani dal latino di Cicerone ed anche dalla potenzialità di Sulpicio Severo e di Costanzo di Lione. Ma la Vita patrum jurensium è una notevole testimonianza della latinità del 6° secolo ed anche dell'educazione monastica di quel tempo. Allora, in base alla ricostruita biografia dell'autore, egli può aver acquisito le sue conoscenze letterarie e storiche solo nella comunità monastica.

La grande storia del mondo appare nelle biografie dei tre abati, ovviamente, solo di passaggio. Comunque, sentiamo tra le righe la dissoluzione dell'Impero Romano; sono menzionate le unità amministrative romane e la relativa burocrazia, ma anche le tribù germaniche che premono sulla vecchia Gallia segnando una nuova era, sono già percepibili. La valutazione del cambiamento non è uniforme: denuncia la rovina e la rassegnata disperazione, ma anche il riconoscimento di nuove opportunità per il futuro, interpretando le tempeste barbariche come un meritato flagello di Dio per il fallimento e le carenze del potere romano. La Vita patrum jurensium si incrocia in questa diagnosi del suo tempo con altri scrittori ecclesiastici, in particolare con il De gubernatione Dei di Salviano di Marsiglia. 3) La Vita rende un discreto contributo alla storia della Chiesa nelle sue osservazioni sulla posizione ecclesiastica del vescovo di Arles e sulle persone coinvolte nella disputa per questa posizione. 4) Inoltre, la Vita ci permette di conoscere anche il ruolo politico dei funzionari della chiesa, che questi maturano nella situazione storica mutata ed anche da loro assimilata. Oltre a ciò la Vita ci concede, come le vite di Martino e Germano, di farci un’idea rivelatrice della vita e della pietà cristiana dei Galli.

La testimonianza fondamentale della Vita risiede certamente nelle sue attestazioni circa le origini del monastero di Condat, oggi Saint Claude nel Giura francese. E’ un documento di prim'ordine come prima ed ampia relazione contemporanea sull'origine e lo sviluppo iniziale di questo centro monastico. Il valore del messaggio è ulteriormente accresciuto, dato che non possiamo fornire nessun documento equivalente a confronto della Vita sugli inizi di Condat e sino ad ora nemmeno le prove archeologiche potevano essere utilizzate per integrare il messaggio letterario. 5) Le poche testimonianze sugli inizi del monastero di Condat - una nota in una lettera di Sidonio Apollinare datata circa nel 470 (Ep IV 25) e una lettera del vescovo Avito di Lione al prete e monaco Vivenziolo del Condat (Ep 17.) – permettono di dire che gli inizi del Condat non sono facilmente rappresentabili. Le notizie di Gregorio di Tours sugli abati fondatori Romano e Lupicino (De Vita patrum I) datano del periodo 585 - 590 e trasmettono poche altre testimonianze, la cui origine non può essere determinata. Come prime informazioni rimangono in vigore solo le tre biografie. La storia e le tradizioni dell’importante monastero medievale benedettino di Saint Claude – il monastero originario di Condat, dopo la morte dell'abate Eugendo (Oyende), prese il nome di Saint Oyend e nel Medioevo, dopo la morte dell’abate Claude nel 700, fu rinominato di Saint Claude – non sono utili per gli studi sugli inizi del monachesimo nel Giura.

NOTE

1) François Martine, Vie des Pères du Jura (= Sources Chrétiennes 142), Parigi 1968 pag.48-51

2) Ibidem pag. 14-44

3) Vedere: Joseph Fischer, Die Völkerwanderung im Urteil der zeitgenössischen kirchlichen Schriftsteller Galliens unter Einbeziehung des hl. Augustinus (La grande migrazione nel giudizio di scrittori ecclesiastici contemporanei della Gallia, incluso S. Agostino), Heidelberg 1947.

4) Vedere: Georg Langgärtner, Die Gallienpolitik der Päpste im 5. und 6. Jahrhundert (La politica gallica dei papi nel V e VI secolo), Bonn 1964.

5) Gli scavi necessari in corrispondenza dell‘antico monastero, l’odierna Piazza del Mercato  a nord della cattedrale di Saint Claude, sono ancora pendenti; vedere. G. Duhem, Congres Archeologique de France 117, 1960, pp 132-149.


 

LA FONDAZIONE DEL MONASTERO DEL CONDAT

di François Martine

Libera traduzione dal francese dell'introduzione estratta da

"Vie des Pères du Jura" a cura di François Martine - Sources Chrétiennes 142 - 1968

- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -

Quando, verso il 435, san Romano, nuovo Antonio, si ritira nel «deserto» del Giura per condurre una vita di rinunce e di preghiera, il monachesimo è già in gran parte diffuso, o almeno rappresentato, in Occidente. Imitando ed adattando più o meno il genere di vita dei monaci orientali, laici o chierici, sia isolati, sia raggruppati, sia organizzati in comunità, cercano, mediante l’ascesi, di giungere alla perfezione evangelica. In Gallia, i monasteri più famosi e più influenti sono da un lato quelli di san Martino, il primo dei quali risale al 361 (il monastero ha sede nell’Abbazia di Saint-Martin de Ligugé ed è ancora in attività. Ndt), dall’altro sono quelli del Sud-Est, più recenti, in pieno periodo d'espansione e d'irradiazione: in particolare Lérins fondato verso il 400 da san Onorato ed i due monasteri di Cassiano a Marsiglia. Le comunità provenzali sembrano essersi molto presto diffuse verso il nord, o per lo meno il loro esempio fu imitato fino nel territorio di Vienne (dipartimento francese attraversato dal fiume Vienne e con capitale regionale Poitiers. Ndt) e di Lione.

Ma, verso il 435, il monachesimo non era ancora penetrato nella Sequania (cioè l'odierna Franca Contea e parte della Borgogna. Ndt). È circa in questa data che un certo Romano, originario di questa provincia, che conosce per esperienza un monastero lionese e che ha lungamente maturato la sua vocazione personale (aveva trentacinque anni), lascia il suo territorio e la sua famiglia e scopre nelle foreste e nelle valli del Giura un luogo favorevole alla sua professione. Si fissa vicino alla confluenza di due fiumi 1), sulla futura posizione della città di Saint-Claude 2). La notorietà dell'eremita finisce per spargersi ed attira inizialmente presso lui suo fratello Lupicino e poi discepoli sempre più numerosi. Romano e Lupicino diventano i Padri di questa colonia di anacoreti, ai quali si aggiungono dei secolari e dove la vita comunitaria si organizza poco a poco. Questo primo monastero, chiamato Condadisco, si espande inizialmente nell’immediata vicinanza, quindi in regioni più distanti. È già un centro importante alla morte di san Romano, verso il 460; Lupicino, che gli succede nel governo di Condadisco, usufruisce anche di un grande prestigio, tanto da non temere un'incontro con il re dei Burgundi, Chilperico. Ma è l'abate Eugendo (in francese Oyend: vedere nota 3) del testo originale: Ndt) (dal 490 circa fino all’intorno del 510) che darà al monastero la sua piena espansione, mettendo a punto la regola e sostituendo le costruzioni primitive, che un incendio aveva distrutto, con edifici nuovi perfettamente adattati alla vita comunitaria.

Su questi primi 75 anni del Condat (così si traduce di solito Condadisco), abbiamo il vantaggio di possedere un resoconto dettagliato, vivo e pittoresco e molto circostanziato su alcuni punti: la Vita Patrum Jurensium. Questa non presenta soltanto le principali virtù e gli atti dei tre Padri, Romano, Lupicino, Eugendo; offre, inoltre, molte informazioni interessanti (ed alcune sono introvabili altrove) sulla vita monastica nel V° secolo e sulla Gallia nella stessa epoca. È un documento tanto più allettante per lo storico, dato che il suo autore afferma di essere il discepolo di san Eugendo e di avere utilizzato, per la sua relazione, le confidenze di questo abate, i racconti dei monaci anziani, come pure le proprie osservazioni. Aggiungiamo che dal punto di vista letterario, la Vita Patrum Jurensium è allo stesso tempo caratteristica dell'agiografia monastica, e presenta una connotazione originale fra molte altre Vitae Patrum per il contenuto e per la forma.

Ma una questione preliminare si pone: questo anonimo scrittore è così antico come pretende di essere? Quest'opera non sarebbe la compilazione o l'invenzione di un autore tardivo? Bruno Krusch, alla fine del XIX° secolo, lo ha affermato con tanta sicurezza che noi dobbiamo riprendere, all’inizio di questo studio, il problema dell'autenticità della Vita Patrum Jurensium.

 “L’autenticità„

Termine del capitolo, pag 44.

In conclusione, nessuna delle molte obiezioni accumulate da Krusch contro l'autenticità del V.P.J. resiste all'esame. A volte i fatti che invoca sono manifestamente falsi, o almeno molto incerti; altre volte, da fatti esatti, trae conclusioni affrettate ed abusive.

Al termine di questa lunga confutazione della tesi di Krusch, noi diremo che non c'è ragione di dubitare della sincerità dell'Anonimo quando afferma di essere il contemporaneo di san Eugendo.

Ammesso ciò, è possibile chiarire un po' il mistero dell'anonimato e, d'altra parte, fissare, almeno approssimativamente, la data della V.P.J. e le circostanze della sua redazione?

 

“L’autore e la data„

Termine del capitolo, pag 57.

Questi dati permettono di essere certi che si possa, senza grande rischio d'errore, fissare la redazione della V.P.J. intorno all'anno 520; sarebbe dunque tutt'al più posteriore di dieci anni dalla morte di san Eugendo.

 

Note

1) Questi due fiumi non sono nominati nella Vita Patrum Jurensium: si chiamano oggi la Bienne ed il Tacon.

2) Circoscrizione amministrativa del dipartimento del Giura. Dotata di un passato ricco, questa città si è chiamata molto a lungo Saint-Oyan-de-Joux (dal nome dell'abate Eugendo (Oyend), il terzo dei “Padri del Giura„). Il nome attuale è quello di un abate del VII° secolo, il cui culto, estremamente popolare a partire dal XII° secolo, attirò in questa città numerosi e famosi pellegrini.

 3) Questo nome proprio si presenta anche sotto altre forme molto variate; citiamo in particolare Oyan, Oyant, Ouyan, Héand, Eugende. Noi lo scriviamo “Oyend„ pur conservando l'ortografia più tradizionale “Saint-Oyan„ per designare l'abbazia e la città alle quali il santo diede il suo nome.


 

I PADRI DEL GIURA

ED IL MONACHESIMO CONTEMPORANEO DEI LORO GIORNI

di Adalbert De Vogüé, OSB

Libera traduzione dall’inglese dell’introduzione estratta da

"The lives of the Jura Fathers” – Cistercian Publications 1999

- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -

 In primo luogo, considereremo la breve legislazione di Lérins, quindi le opere di Cesario di Arles ed infine le due estese Regole italiane del VI° secolo.

LE REGOLE DEI PADRI (TRADIZIONE DI LERIN)

Verso la conclusione della Vita dei Padri del Giura il monastero di Lérins è nominato due volte ed ogni volta con l’aggettivo lirinensis. Nel primo passaggio (par. 174) l'agiografo giustappone le osservanze del Giura, che ci ha appena delineato, con quelle descritte da quattro autori (o gruppi di autori) riuniti nell'ambito della classificazione “orientale”: san Basilio; “i santi padri di Lérins”; “San Pacomio, l'antico abate dei siriani [sic]” ed infine “il venerabile Cassiano”, identificato come il più recente.

Il nostro interesse in questo repertorio è duplice. In primo luogo dobbiamo notare l'inclusione dei “padri di Lérins” in una lista di autori “orientali”. Basilio è situato correttamente in Cappadocia; il Copto Pacomio è collocato erroneamente nel mondo siriano; per quanto riguarda Cassiano, è ben noto che ha scritto in Gallia e per i Galli, ma nelle sue Istituzioni e Conferenze si riferisce costantemente al monachesimo palestinese e particolarmente a quello egiziano. Questi tre scrittori certamente meritano di essere considerati come i portavoce per i monaci dell'est.

Di conseguenza, è chiaro che i “padri di Lérins”, gallici come Cassiano, hanno loro stessi fondamentalmente qualcosa di “orientale” che permette di paragonarli ai loro tre colleghi. Chi sono poi questi sancti lirinensium patres? Con ogni probabilità sono gli autori di quella che è chiamata la “Regola dei Quattro Padri”, vale a dire “Serapione, Macario, Pafnuzio ed il secondo Macario”. Questi abati con i nomi egiziani danno un sapore orientale ad un testo scritto in Latino. Questa breve Regola è probabilmente la legislazione che ha costituito la base del monastero di Lérins, promulgata intorno 400-410 dai fondatori della comunità: il Vescovo Leonzio di Frejus, l’anziano monaco Caprasio ed il primo superiore, Onorato.

Questa testimonianza dell'anonimo autore del Giura è in effetti una delle prove principali che ci permette di identificare con grande certezza la Regola primitiva di quella celebrata istituzione cenobitica. Lo stesso testo, oltre al cospicuo servizio che rende alla storiografia, offre una caratteristica notevole: i “padri di Lérins” sono là collegati in un modo speciale a san Pacomio. Questo collegamento stabilito fra la Regola leriniana e la Regola pacomiana è a sua volta una parte della prova che suggerisce di situare nel Giura un altro documento del cenobitismo latino che, in modo parallelo, combina estratti da Pacomio con testi leriniani: la “Regola Orientale” (Regula Orientalis). Ma questo nuovo risultato compare soltanto se esaminiamo un altro passaggio della Vita che cita Lérins: la conclusione.

In questo ultimo paragrafo, una specie di epilogo, (179) l'autore anonimo dice che l’abate-sacerdote di Lérins, un certo Marino, gli chiese di pubblicare, ad uso del monastero di Agaune, alcune “Istituzioni” che potrebbero aiutare nella “formazione” di quell'istituzione cenobitica molto recente. Secondo le regole di modestia letteraria osservate dagli antichi, questo documento informativo - descritto come qualcosa di “eccezionale” - può soltanto essere l’unione di testi presi in prestito in cui il nostro autore soltanto svolge il ruolo del compilatore.

Che cosa è poi questa raccolta di Instituta che il nostro monaco dal Giura ha spedito ad Agaune con la Vita? La raccolta delle Regole monastiche antiche riunite da Benedetto di Aniane intorno all'anno 800 contiene una collezione anonima, la “Regola Orientale”, bene in grado di essere il documento che stiamo cercando. Un primo indizio che punta in questa direzione è il titolo stesso: il nome “Orientale” è rievocativo di quello che il nostro autore ha prima dato all'insieme di Padri che ha citato. Ma la “Regola Orientale” è un'antologia di testi pacomiani combinati con altri e in essa vi riconosciamo una serie di prestiti dalla leriniana “Regola dei Padri”. Probabilmente pubblicati a Lérins personalmente dall’Abate Marino, questi testi non-pacomiani della “Regola Orientale” si uniscono con gli estratti da Pacomio, esattamente come i “santi padri di Lérins” sono stati associati con “san Pacomio, l'antico abate dei Siriani”, nella lista delle autorità “orientali” citate sopra.

L'autore della Vita dei Padri del Giura sembra effettivamente aver composto la “Regola Orientale” per l'uso dei monaci di Agaune, a cui l’ha inviato con la Vita. Questa ipotesi è confermata da un passaggio della Vita che ci fornisce una considerazione riguardo a due ordini dati dall’Abate Eugendo ai suoi monaci: “secondo la Regola dei Padri” nessun fratello può avere contatto con ospiti laici, neanche con quelli che appartengono alla sua famiglia, senza permesso; inoltre ogni monaco dove consegnare all'abate o all'amministratore tutti i doni che ha ricevuto dai suoi parenti. Effettivamente, queste due prescrizioni possono essere trovate, nello stesso ordine ed in parte negli stessi termini, al centro della Regola Orientale.

LA VITA E LA REGOLA DI CESARIO DI ARLES

La clausura permanente delle monache, così come la descrive l'autore del Giura (25-26) è il principio fondamentale che Cesario di Arles ha stabilito all'inizio della sua Regola per le Vergini. La sepoltura di Romano nella basilica delle sorelle (61) è inoltre rievocativa della sepoltura di Cesario nella chiesa di San Giovanni ad Arles, fra le sue sorelle.

Parecchie altre usanze nella Vita del Giura riappaiono nel monastero di Arles: l'abate o la badessa mangiano con la comunità, non separatamente (170); i monaci e le monache dormono in camere comuni (170) mentre gli ammalati hanno diritto a camere separate (171); ogni lavoro individuale è proibito, così come non ci sono camere singole e  proprietà personali che si possano chiudere a chiave (173).

LE REGOLE DEL MAESTRO E DI BENEDETTO

Nella “Regola del Maestro”, l'abate, come Romano e Lupicino (115 e 132) designa il suo successore senza consultare la comunità. Nel caso di Eugendo una cerimonia di benedizione abbaziale è citata dall'anonimo autore del Giura (135-137). Pensiamo qui ad un analogo rito che il Maestro descrive e che Benedetto presuppone.

Il dormitorio in comune istituito da Eugendo al Condat (170) non lo si trova solo ad Arles, come abbiamo appena visto, ma anche in Italia centrale, nei monasteri del Maestro e di Benedetto. Soltanto la Vita dei Padri del Giura ci da una testimonianza sull'istituzione di questo nuovo genere di abitazione, sostituito da Eugendo alle celle primitive che il cenobitismo aveva conservato dalle sue origini anacoretiche. Nelle regole del Maestro e di Benedetto il dormitorio è già una norma stabilita ed indiscussa. Un dettaglio in particolare collega la Regola benedettina e la Vita dei padri del Giura: una lampada a olio illumina il dormitorio durante la notte.

Benedetto è ancora d'accordo con l'autore del Giura quando scrive di incoraggiare i suoi seguaci a lavorare nei campi se necessario: “Sono veri monaci se vivono del lavoro delle loro mani come i nostri Padri e gli Apostoli”. Allo stesso modo Romano, all'inizio, dice “come un vero monaco ha lavorato per fornire il sostentamento per se stesso” (10). Non è impossibile che qui la Regola possa derivare dalla Vita, come è stato sostenuto.

Allo stesso modo notiamo che la parola scapulare, che designa un indumento esterno, prima del periodo carolingio la si trova solamente nella Vita di Eugendo (127) e nella Regola benedettina. Ma questa caratteristica comune difficilmente può essere un prestito letterario preso da Benedetto dall'anonimo autore del Giura. I due autori attestano semplicemente dell'esistenza di questo indumento nei loro rispettivi ambienti, il monachesimo italiano essendo stato capace di prendere ciò in prestito da quello della Gallia.

Su altri due punti la legislazione benedettina somiglia in modo particolare alla Vita del Giura. In entrambi, fin dall'inizio, accertiamo la presenza di sacerdoti fra i monaci. Questo sacerdotalismo monastico non è senza i suoi problemi, tanto agli occhi dell'agiografo (18-21, 132, 151) quanto in Benedetto. Quest'ultimo, tuttavia, permette senza esitazione l'ammissione dei sacerdoti che diventano monaci e l’ordinazione dei monaci come sacerdoti o diaconi, ciò che il Maestro espressamente escluse o nemmeno prese in esame. I monasteri del Giura hanno sacerdoti (148, 163) e diaconi (52-58) per non menzionare gli abati-sacerdoti del Condat (18-20) e di Lérins (179).

Un’altra caratteristica, molto meno comune, è la cura nell’onorare i poveri secolari come pure i ricchi (172). Qui la Regola benedettina ha ancora qualcosa in comune con la Vita, ma senza antecedente nella Regola del Maestro.

Queste comparazioni, che potrei moltiplicare, forniscono uno scorcio della ricchezza documentaria della Vita Patrum Jurensium e della sua importanza in tutta la ricerca riguardo al monachesimo occidentale a partire dal quinto e sesto secolo. Fra gli scritti di Sulpicio Severo su San Martino e quelli dei due Gregorio - il vescovo di Tours ed il papa romano - non c'è testo agiografico che rifletta più chiaramente il mondo dei monaci. Soltanto, forse, la Vita di Fulgenzio di Ruspe del diacono Fernando di Cartagine, che è leggermente successiva, offre la testimonianza di una qualità comparabile. Questa biografia del vescovo-monaco contiene, inoltre, una caratteristica che la collega con la descrizione del Giura: Fernando descrive due volte coppie di abati su un piano di parità, come Romano e Lupicino (17).

Ruspe ed il Giura, l'Africa e la Gallia: non è la prima volta che le due regioni, da un lato e dall’altro del Mediterraneo, sono state così associate. Già la “Regola dei Quattro Padri”, la carta di fondazione di Lérins, aveva seguito molto attentamente l’Ordo monasterii di Alipio ed il Praeceptum di Agostino. Ma questo volta, l'ordine è invertito: il grande lavoro di agiografia monastica gallica precede quello della sua sorella africana. Ad un intervallo di alcuni anni i due ambienti monastici vengono insieme a celebrare lo stesso ideale evangelico di rinuncia del mondo per l'amore di Cristo e di “unanimità” in questa ricerca comune di Dio.

Adalbert De Vogüé, OSB

Abbazia “La Pierre-qui-Vire”


Il Giura come era

I luoghi nominati nel testo della Vita dei Padri del Giura

Immagine estratta dall'edizione "Sources Chretiennes" citata sopra

Il Giura oggi

Corrispondenza odierna dei luoghi citati


Ritorno alla pagina iniziale sulla "Vita dei Padri del Giura"


Testo italiano e con latino a fronte:

- PROLOGO in lingua italiana - PROLOGO in lingua latina con testo italiano a fronte

- VITA DI SAN ROMANO in lingua italiana - VITA DI SAN ROMANO in lingua latina con testo italiano a fronte

- VITA DI SAN LUPICINO in lingua italiana - VITA DI SAN LUPICINO in lingua latina con testo italiano a fronte

- VITA DI SAN EUGENDO in lingua italiana - VITA DI SAN EUGENDO in lingua latina con testo italiano a fronte


APPENDICI

- Eucherio di Lione: PASSIONE DEI MARTIRI D'AGAUNE

- Gregorio di Tours: GLI ABATI LUPICINO E ROMANO

- Eucherio di Lione: L'ELOGIO DELLA SOLITUDINE


 

Per la traduzione dal latino, non essendo io un esperto latinista, ed essendo il latino di questi testi non proprio semplice, ho "sfruttato" questi libri:
- la traduzione francese "Vie des Pères du Jura" a cura di François Martine - Sources Chrétiennes 142 - 1968,
- la traduzione tedesca "Das Leben der Juraväter Romanus, Lupizinus und Eugendus” – Ed. EOS Verlag Sankt Ottilien 2011
- e quella inglese "The lives of the Jura Fathers" - Autori vari - Cistercian Publications 1999.



| Ora, lege et labora | San Benedetto | Santa Regola | Attualità di San Benedetto |

| Storia del Monachesimo | A Diogneto | Imitazione di Cristo | Sacra Bibbia |


7 febbraio 2015   a cura di Alberto "da Cormano"    Grazie dei suggerimenti   alberto@ora-et-labora.net