II

VITA DEL SANTO ABATE LUPICINO

(Libera traduzione)

 62. Ora che abbiamo già pagato un terzo del debito relativo alla nostra promessa, con l'aiuto del Signore, ci rimane ora, fratelli ben amati, sostenuto dalle preghiere della vostra Santità, da onorare la cambiale della nostra prefazione, per quanto almeno ce lo permetta un ben povera borsa. Poiché finché ci riconosciamo debitori è certo che siamo trattenuti sotto la dipendenza dei nostri creditori, conformemente alla nostra coscienza. Ma io mi ricordo di avere detto alcune parole nel mio libretto precedente sul genere di vita e sulle pratiche ascetiche del beato abate Lupicino, [1] non certamente con tutto la luce che richiedono i suoi meriti, ma almeno con tutta l'esattezza e la sincerità auspicabili. Ora dunque, guidati dalla nostra memoria, veniamo alle opere che compì dopo la morte del suo santo predecessore e riveliamo innanzitutto quanto grezzo fu il suo abito, con quale parsimonia si nutriva e quale straordinaria ed inimitabile austerità manifestò nella vita religiosa.

63. Per lottare dunque contro i freddi intensi di un paese glaciale e per sconfiggere i capricci del corpo, utilizzò sempre una tunica di pelle col vello che tuttavia per umiltà la volle formata dall’unione di povere pellicce di vari quadrupedi cucite insieme; non era soltanto un abito rozzo e ispido, ma era un qualcosa di spregevole deturpato dalla varietà di colori. Il suo cappuccio era ugualmente misero e bastava a proteggerlo dalla pioggia ma non a difenderlo contro i freddi rigorosi che imperversano, come abbiamo detto, in questo paese. Di scarpe ne portò soltanto quando gli capitava di recarsi alla contea per intercedere per qualche persona. [2]

64. Ma nel monastero, anche se andava un po’ lontano per i lavori dei campi, utilizzò in qualsiasi circostanza delle solette di legno chiamate generalmente «zoccoli» nei monasteri della Gallia. Si racconta che non utilizzò mai né giacigli né letti; quando la temperatura restava clemente, una volta completata la sinassi della sera, mentre tutti gli altri andavano a letto per dormire, lui entrava nell'oratorio, per meditarvi piuttosto che per riposarsi: là prendeva solo quel tanto di sonno che la natura riusciva a rubargli quando trovava riposo sul suo banco, dopo che si rialzava dal suolo alla fine della sua orazione. 65. Se era assalito da un freddo particolarmente rigoroso ricorreva ad una specie di culla, adeguata alla sua dimensione, fatta di un grande pezzo di corteccia staccata da una quercia e chiusa alle due estremità da due cortecce dello stesso tipo che vi aveva unito. Dopo averla fatta riscaldare con discrezione ed a lungo vicino al focolare dal lato della parte concava, o dormiva là, approfittando alcuni momenti del tepore del luogo, oppure, quando il suo giaciglio era caldo, lo trascinava subito sotto la sua ascella fino all'oratorio per stendersi sopra.

Nei digiuni e nelle veglie si mostrò così straordinario da superare il valore degli Orientali e degli Egiziani grazie al temperamento gallico. [3] 66. Poiché nessuno, soprattutto al monastero del Condat e nel nome di Cristo, osa oggi ancora gustare dei prodotti alimentari d'origine animale, eccetto il latte, o dei prodotti del cortile, eccetto le uova, – ma solo per i malati - [4] Lupicino rifiutava generalmente che si mettesse perfino nel suo brodo la minima goccia d'olio o di latte. Quanto al vino non si poté mai forzarlo a berlo o ad assaggiarlo da quando aveva fatto professione dello stato monastico: [5] si astenne in ogni caso dal gustare anche l'acqua durante circa gli ultimi otto anni della sua vita. 67. Se durante il periodo estivo, quando arrivava l'ora del pasto, anche una sete violenta colpiva duramente il suo stomaco e le sue membra, lui tagliava il suo pane nella ciotola, lo rammolliva con acqua fredda e lo mangiava col cucchiaio al posto dell’altro cibo. [6] Io potrei raccontare atti d'astinenza ancora più grandi, se non sapessi che i Galli sono incapaci di imitare tutte le imprese che egli compì nel passato, come si racconta; [7] io temerei che qualcuno, inadeguato a seguire il suo esempio, aspiri ad imitare virtù che, nella concessione delle sue grazie, il divino Benefattore accorda non a tutti ma soltanto ad alcuni. [8]

68. Ma parliamo ora dei suoi miracoli. Ci fu un anno in cui l’immensa comunità e la moltitudine dei secolari che giungevano tormentavano l’economo a causa della penuria imminente e del pericolo di carestia poiché, oltre a quindici giorni di alimenti, non si possedeva assolutamente nulla per i tre mesi che restavano prima del sostegno del nuovo raccolto; l’economo prende con sé cinque anziani [9] e, tutto in lacrime, va a trovare il santo Padre Lupicino giurando che presto tutti, come sé stesso, moriranno di fame. Ma Lupicino, pieno di un’intrepida fiducia nel Signore, alzando la sua anima e gli occhi del suo cuore verso il Pane Vivo sceso dal cielo disse: «Venite, miei cari figlioli, entriamo qui nel nostro granaio in cui restano soltanto così pochi covoni e preghiamo; poiché anche noi, lasciando le città, seguiamo il Salvatore nel deserto per ascoltarlo». [10]

69. Il Padre entra, si prosterna e prega a lungo con insistenza. Poi, restando in ginocchio, si solleva e con le mani aperte alza verso il cielo gli occhi imploranti e completa la sua preghiera in una specie di estasi dicendo: « O Dio onnipotente che con la bocca del tuo servitore Elia, hai già promesso con linguaggio mistico alla vedova che non avrebbe visto diminuire né la farina del suo vaso né l’olio della sua brocca fino al giorno in cui sarebbe piovuto (1 Re 17,14:16); accorda ora a questa chiesa che, affrancata dalle immagini, ha per protettore Gesù Cristo, tuo Figlio e suo eterno Sposo, di avere pane a sazietà come essa si saziasse della tua parola; e non permettere che questo nostro granaio manchi dell'abbondanza di frumento fino a che noi non beneficiamo di una pioggia di nuovi raccolti». 70. Dopo che i fratelli risposero: «Amen», Lupicino si gira verso l’economo e dice: “Battete ora questi covoni che il Signore ha benedetto poiché è per rispondere alla nostra fede che Dio parla così: “Ne mangeranno e ne faranno avanzare”» (2 Re 4,43). [11]

Inoltre, secondo la testimonianza dell’Abate Eugendo - che era presente, pur essendo ancora soltanto un bambino di indole gioiosa [12] - e di tutti gli anziani che si ricordavano con lui di questo prodigio e con lui erano stati salvati da questa benedizione divina. Inoltre si ricordano che non avrebbero mai potuto esaurire con la trebbiatura questa riserva di alimenti, tanto più che alla fine del ciclo il nuovo raccolto si era unito al vecchio. Così l'uomo di Dio forte della sua fede liberò dal pericolo della carestia sia la moltitudine dei fratelli che quella dei secolari. [13]

71. C'era là nella medesima epoca un monaco che, a causa dei rigori di un'astinenza estrema, aveva così consumato il suo povero corpo, tutto raggrinzito dalla scabbia e di una magrezza estrema da sembrare mezzo morto. Quest'uomo, immobile come un paralitico, non poteva più né raddrizzare la schiena, né muovere le sue gambe per camminare, né piegare o stendere le braccia per le sue necessità: inoltre, non fosse che per il debole soffio che ancora lo animava, avresti creduto che questo moribondo fosse già morto. [14]

72. Da circa sette anni non prendeva altro nutrimento che le briciole di pane rimaste sulle tavole dei monaci: dopo il pasto dei fratelli diligentemente le raccoglieva con un pennello, le inumidiva con un po' di acqua e se le mangiava la sera. [15] Giunto da lui il beato Anziano con un benefico proposito di soccorrerlo, si dice che lo aiutò con una specie di terapia così delicata che non dimostrò per niente di rimproverare o di censurare pubblicamente l'eccessiva astinenza di quest'uomo.

73. Un giorno dunque in cui i fratelli erano usciti ai campi per compiere non so quale lavoro e tutto il monastero era assolutamente deserto: «Vieni - disse l'Abate al fratello - appoggiati sulle mie braccia e sulle mie spalle ed entriamo nel giardino della comunità; poiché da tempo, costretto dalla dura malattia che ti consuma, non hai goduto di un raggio di sole, né gioito della vista di un piccolo angolo di verde». 74. Quindi stende per terra delle pelli di pecora, [16] vi adagia il corpo tutto intorpidito tra le aiuole e si stende accanto al fratello. Fingendo di essere anche lui irrigidito da una malattia dello stesso genere, inizia a stendere alternativamente sia le sue braccia che le sue gambe, una dopo l'altra; e poi, steso sul dorso, rotola a varie riprese sul lato destro e sul lato sinistro e raddrizza la sua spina dorsale con questo piacevole dondolamento. Allo stesso tempo, per convincere meglio questa eccessiva austerità, l'Abate aggiungeva: «Buon Dio, che conforto e che rapido miglioramento ho provato! Vieni fratello, e per guarirti ti farò eseguire simili movimenti oscillatori da un lato e dall’altro».

75. Come un massaggiatore, si china su questo povero corpo piegato ed esaurito, lo distende in tutti i sensi e gli ammorbidisce le membra ad una ad una con tocchi salutari. Il fratello allora inizia ad allungare le sue membra, ancora mezze intorpidite, ma già ristabilite e pronte alla loro funzione umana.

Correndo allora dall’economo, il Padre entra nella dispensa e fa inzuppare nel vino i più piccoli pezzi di pane che può trovare, senza dimenticare il resto del pasto dove vi versa un'abbondante razione d'olio. Poi porta il tutto nel giardino e dice: «Andiamo, carissimo fratello, rinuncia alla tua volontà e ai tuoi rigori e, se l’obbedienza ti disgusta, che almeno non ti scoraggi un esempio. Quello che mi vedrai fare – aggiunge - devi farlo anche tu, non ci sono dubbi, in nome dell'obbedienza che nessuna discussione può cancellare: perché così vuole la Regola». [17] 76. Quindi, conclusa la preghiera, si siede accanto al fratello e risana questo corpo intorpidito dalle eccessive austerità; o meglio, sostenendolo, rimette in piedi «quell'asinello» di suo fratello [18] che crolla sotto il carico lungo la strada; detto l'inno, lo riconduce sul suo letto, risollevato.

Il giorno dopo lo riporta al giardino con la sua abituale bontà e gli dedica lo stesso zelo del giorno prima. Il terzo giorno infine, mentre il fratello cammina senza farsi sostenere, ma con i suoi soli mezzi, l’Anziano gli procura un pezzo di legno adunco, come una piccola zappa e gli insegna, a volte in piedi e a volte anche disteso, a pulire con lui la terra attorno alle ortaggi, sia con l'attrezzo che con le dita. 77. Cosa c'è ancora da dire? In questo modo, nel giro di una settimana circa e da un momento all’altro – dopo che egli rinunciò a ciò che nutriva la sua vanità - Lupicino gli restituì la vita, [19] quando aveva un piede nella tomba, e da quel momento questo fratello visse in seguito ancora molti anni che testimoniano, con la sua sopravvivenza e la sua attività, il potere miracoloso e la carità di questo Padre. Così, con un esempio concreto e divino mostrò chiaramente che nessuno, una volta che ha abbracciato la vita religiosa, deve muoversi fra le difficili salite della destra o fra le agevoli discese della sinistra, bensì nel mezzo, secondo la direzione data dalla «via Regia» (Nm 20,17; 21,22) [20]. 78. La liberalità divina, confermando i meriti di questo fratello mediante doni gratuiti, gli concesse questo privilegio: se si metteva sul suo letto un malato, la malattia se ne andava ed immediatamente gustava del benessere della salute come prima [21]. Io stesso, essendo ancora un fanciullo, ho visto molti fratelli testimoniare questo potere, sia per averlo visto esercitare su altri, sia per averlo provato più volte essi stessi. Ognuno deve dunque ritenere che i meriti di quest'uomo non sono passati sotto silenzio poiché, quello che le parole non dicono, lo proclamano i fatti.

79. Parliamo ora delle vigilie del beato padre. Una volta dunque, poiché quel luogo non era sicuro per il riposo notturno, stava prolungando la sua veglia,[22] quand’ecco che due fratelli, uniti da un progetto comune d'evasione, penetrano in complicità nell'oratorio come se volessero pregare e, in un certo qual modo, (desiderassero) salutarlo; [23] dopo una preghiera, si fanno reciprocamente le loro raccomandazioni a bassa voce dicendo: «Tu, dice l’uno, porti via da qui la mia zappa e la mia ascia, ed io andrò a ritirare con precauzione la coperta del tuo letto ed il tuo cappuccio. Così, dopo aver fatto i bagagli e aver portato via tutto, andremo ciascuno per la proprio strada e ci troveremo in quel luogo o nell’altro». 80. Nonostante l’oscurità, tuttavia la presenza divina splendeva, grazie al servo di Cristo, ed il Padre sentiva che, essendo tutto combinato in anticipo, si doveva tempestivamente fare qualcosa fuori dai limiti del Paradiso. [24] Allora l’Anziano [25] dal suo angolo disse: «Miei cari figlioli poiché prima di partire mi avete già dato la preghiera, voi non dovete neppure rifiutarmi la pace prima della nostra separazione». Gli infelici crollano immediatamente, come pronti a comparire davanti al loro giudice; tirano lunghi sospiri dal fondo del loro cuore ed i loro gemiti profondi, i loro incessanti singhiozzi testimoniano che il rimorso li scuote dalle viscere. 81. Ma il santo li chiama con il loro nome e lentamente tende la mano verso ciascuno di loro, sfiora loro il mento, li accarezza con dolcezza, li abbraccia e poi, senza dire altro, si mette di nuovo in ginocchio e usa le armi della preghiera con paterno amore.

Con l’aiuto di Dio il complice “buono a nulla” del male è cacciato dal loro cuore: pregando ed invocando il nome di Cristo, i due fratelli fanno ripetutamente segni di croce sul loro petto e sui loro occhi e quindi, mesti e tremanti, ritornano alla loro cella; sotto il colpo dello spavento e della vergogna, non osano neppure intrattenersi, né proferire parola su ciò che è appena successo. Per quanto riguarda il perdono dell’errore, essi speravano solo che un Padre amoroso capisse come fossero percossi dal proprio turbamento.

82. Prendo a testimone Gesù Cristo - il quale, dopo averci riscattati con la sua passione, non permetta che soccombiamo agli inviti ripetuti del Nemico – (per affermare) che il Padre, dinanzi alla compunzione con la quale i due fratelli si erano ravveduti, coprì l'accaduto con un silenzio così totale che lo si ignorava ancora quasi dopo vent’anni [26] - uno dei due pentiti aveva già raggiunto Cristo – quando, in presenza dello stesso sopravvissuto che attestava la verità delle sue parole, lo stesso Padre riportò a tutta la Comunità ciò che era avvenuto, per dare un esempio di grande prudenza. Mescolando ai segni di gioia una nota di tristezza, predicava così dinanzi a tutti i fratelli riuniti: «Vedete, miei cari figli, quanto sottili e perfidi sono i metodi dell'antico Nemico per provare ad abbattere i servi di Cristo. 83. Ed ecco che il Redentore, offrendo la sua misericordia, permise certamente che coloro che lo servivano fossero tentati per un momento, secondo la condizione della carne. Ma, stendendo la sua destra misericordiosa, non li ha lasciati divorare dal Seduttore mentre erano nell’errore. Ed ecco che uno di loro – continuava - ha già depositato il fardello del suo corpo e in paradiso gode delle ricompense per lui preparate e invece l’altro è ancora con noi, come vedete, ed esultante per la misericordia di Cristo condivide la nostra gioia.

Voi vedete chiaramente che non occorre imputare a peccato il solo desiderio di una cosa, bensì piuttosto la sua realizzazione e non si devono considerare come colpe tutti i cattivi progetti, ma soltanto quelli che sono realizzati con molta malvagità. [27] 84. Che ciascuno di voi, dunque, mentre sta in piedi tema sempre di cadere, secondo la sentenza dall'Apostolo (1 Cor 10,12), e al contrario, se cade scoraggiato dalla sua fragilità, che si sollevi, secondo la parola del profeta (Is 52,1-2). Infatti, quale guadagno e quale vantaggio avrei realizzato se avessi rivelato l'intenzione di questi monaci con inflessibile severità e se avessi punito con una severità inappropriata dei colpevoli impacciati e tremanti? [28] In verità avrei guadagnato solo ciò: sotto l'impulso della vergogna, forse pochi giorni dopo, essi avrebbero abbracciato con più ardore un progetto che la vergogna riparatrice aveva appena distrutto grazie alla misericordia del Signore.

85. Se infatti occorre riprendere con forza gli indocili e gli insolenti, al contrario bisogna trattare con un delicato rimedio tutti quelli afflitti dall'umiliazione della loro coscienza. Chi fra di voi ignora che nell'amministrazione di questa comunità che ci è stata affidata dobbiamo applicare il trattamento conforme alle regole dell'arte spirituale, considerando, come medici perfetti, la natura delle ferite e la debolezza dei pazienti, per dare a ciascuno il rimedio adeguato? [29] 86. Poiché non tutti i mali devono essere asportati dalle incisioni della chirurgia o sopportare le ustioni del cauterio; spesso si raccomandano gli impacchi o le fomentazioni, per paura che cure inadatte alle vampate della malattia o alle circostanze, lungi dal portare il rimedio, comportino piuttosto lo sfinimento del paziente a causa di un impiego intempestivo ed inadeguato. Questo discorso del beato Padre insegnò ai fratelli a giudicare con grande cautela, accertando la natura esatta dei fatti e discernendo le particolarità di ogni caso.

87. Passati alcuni mesi l'antico Nemico vuole prendere come preda allo stesso modo uno dei fratelli più comprovati in santità e (a tal fine) lega e cattura la sua anima molto astutamente: dapprima gli toglie le armi del discernimento e la forza della preghiera e per finire lo incatena e lo lega con vincoli segreti. (Questo fratello) era un uomo di estrema umiltà e dolcezza e, oltre alla virtù d'obbedienza, la divina grazia lo aveva adornato di grandi doti per qualsiasi tipo di lavori. 88. Con lui il Diavolo agisce poco a poco e lentamente, gettando (nel suo cuore) una scintilla d'orgoglio riguardo il suo valore. Quando lo vede ardere rapidamente infiamma contro di lui alcuni fratelli colpiti sul vivo da un diverbio e questi, col loro respiro malvagio, attizzano ogni giorno il fuoco di questo cuore già surriscaldato dall'orgoglio. Altri ancora, con le catene dei loro bei discorsi ed i legami seduttori del secolo, lo tirano fuori dalla comunità e la esortano a non sopportare più tali persone, ma piuttosto ad abbandonare tutto.

Allora, facendo dei suoi attrezzi un pacchetto ben legato, se ne va di nascosto per paura di essere trattenuto da qualcuno e arriva a Tours in fretta e senza mai fermarsi. [30] 89. Quando entra nell'atrio della basilica del beatissimo Martino e poi nella navata stessa per pregare con riverenza, [31] ecco che improvvisamente uno degli energumeni, correndo verso di lui, esclama allegramente: «Ecco un monaco che ci appartiene di pieno diritto», e chiamandolo col suo nome dice: «Come va Dativo, compagno nostro?». Poiché quest'ultimo, colpito da stupore e affliggendosi per essere stato giocato dal diavolo, geme profondamente, il posseduto aggiunge: «Sei diventato la mia cavalcatura ed io ti ho domato con questa tentazione; viviamo così». [32] Quindi il monaco prega in fretta, ritorna al monastero e supplica prosternato che lo si accolga nuovamente (al monastero). Poi, prudente e diligente, con l’aiuto divino e con più accortezza del solito chiude l'accesso del suo cuore al Divoratore.

90. Ma due anni dopo il Cavaliere di una volta ritorna da quest'uomo [33] e, dopo averlo indotto con gli stessi metodi di prima, lo induce a preparare per la partenza un pacco della sua coperta e del suo materiale. Il santo Abate, capendo che questa povera pecora non sarebbe partita per rientrare, come la prima volta, piangeva soffrendo per la sua definitiva perdita. Dativo, in presenza dei fratelli, aveva già messo il suo fagotto sulle spalle per partire, quand’ecco che rimane una mezz'ora, come stordito, nell'atrio e grazie alla preghiera del servo di Dio ricaccia indietro con un soffio [34] l'istigatore stesso della sua evasione e getta a terra nell’atrio il fardello che aveva in spalla. 91. «Andiamo! – dice - tu che mi doni esortazioni e consigli, trasporta tu stesso il mio carico là dove tu mi spingi ad andare, camminando davanti a me; allora io ti seguirò se ti vedrò portarlo». Immediatamente le immagini diaboliche sono cacciate dal suo cuore e, tornato lieto ed allegro, bacia ed abbraccia tutta la comunità. Così, dal momento in cui fu beffato e disprezzato, il Ministro del male non osò più gettare sull’umile pecora di Cristo le catene della sua solita seduzione.

92. Inoltre il santo Abate parlava con un'autorità veramente ammirevole, forte della sua sincerità. D'altra parte non successe mai che i complimenti dei giudici [35] lo facessero scoppiare di un vano orgoglio, né che il timore dei principi spezzasse o indebolisse il suo attaccamento alla giustizia. [36]

Un giorno infatti, mosso dall'infelicità di gente povera sottoposta illegalmente e con la violenza al giogo di una schiavitù ingiusta da parte di un certo personaggio forte del suo prestigio alla corte [37], il servo di Dio, mediante la sua santa testimonianza, cercava di difenderli dinanzi all’illustre Chilperico, già patrizio nella Gallia [38] - il potere pubblico era passato in quel tempo sotto il regime della sovranità. Ma l’abominevole oppressore, infiammato di una furiosa rabbia e vomitando parole frementi di rabbia per disonorare l'uomo santo, esclama: 93. «Non sei tu quell’impostore [39] che conosciamo da tempo e che circa dieci anni fa, abbassando presuntuosamente la potenza dell'impero romano, proclamavi che la terra dei nostri antenati era minacciata da una rovina imminente? [40] Perché dunque, di grazia, questi terribili presagi che tu hai previsto non sono confermati da alcun evento spiacevole? Falso profeta, spiegacelo!»

Allora Lupicino, coraggiosamente e con la mano tesa verso Chilperico, uomo di rara intelligenza e di pregevole onestà dice: 94. «Ecco! o perfido e perverso! Osserva il flagello che annunciavo a te ed ai tuoi simili. [41] Non vedi, malvagio e degenerato, che diritto e giustizia sono rovesciati e che a causa dei tuoi peccati e di quelli dei tuoi simili, compiuti con ripetute estorsioni verso degli innocenti, le fasce color porpora soccombono (all'autorità) di un giudice vestito di pelli di animali? [42] Rientra dunque un po' in te stesso e vedi se un nuovo ospite, con un imprevisto spregio del diritto, non rivendichi per sé e non abbia già fatte sue le tue terre e i tuoi iugeri. 95. Tuttavia io ho buon motivo per credere che tu sai ciò o che ne hai il sentore, così come ho buon motivo di credere che tu hai deciso di gettare sulla mia povera persona due uncini [43]– (o che io fossi) intimidito davanti al re o spaventato dalla piega degli eventi - per sporcarmi con una nota di infamia».

Cosa aggiungere? Il patrizio in questione fu così incantato da questa audace sincerità che, in presenza dei cortigiani, affermò con numerosi esempi ed un lungo discorso che tutto era accaduto per decisione divina. Poco dopo, con una decisione promulgata in virtù del potere regale, restituì la libertà a questi uomini liberi e, dopo aver offerto doni per sostenere le necessità dei fratelli e del monastero, lasciò ritornare il servo di Cristo nella sua Comunità con onore.

 96. È sempre Lupicino che un giorno - non ho nessun dubbio che le persone molto anziane si ricordano dell’avvenimento - procurò, pregando nel suo monastero, la bella e straordinaria liberazione di un amico imprigionato a Roma, a cui aveva promesso assistenza. In quel tempo l’illustre Agrippino, uomo di rara avvedutezza, era stato nominato conte della Gallia dall'Imperatore, accedendo agli onori che valgono le imprese negli eserciti di questo mondo. [44] Ma Egidio, [45] allora capo della milizia, l’aveva offuscato agli occhi dell’Imperatore con un'arte consumata e perfida, dicendo che cercava senza dubbio di favorire i barbari perché era invidioso dei fasci romani e di sottrarre le province alla sovranità dello Stato con complotti sotterranei. Egidio aveva diffamato Agrippino col fetido veleno dell’accusa, come abbiamo detto, prima ancora che quest’ultimo potesse affermare formalmente la sua onestà ed abbattere la menzogna tramite la verità. 97. Immediatamente delle furiose ordinanze imperiali prescrivono che il capo della milizia, che l’aveva accusato, mandi a Roma il nemico dello stato affinché sia severamente punito dall’Imperatore.

Tuttavia il sopramenzionato Agrippino – che per il momento, nel luogo dove stava, conosceva l'affare soltanto da dicerie venute a sfiorare le sue orecchie - fu costretto a recarsi rapidamente e sotto buona guardia alla Corte (dell’Imperatore). [46] Informato ancora sul posto da certe soffiate secondo le quali l’animo dell’Imperatore era prevenuto nei suoi confronti a causa della gelosia di un rivale - come abbiamo detto - si mise a protestare ed a proclamare a gran voce che non sarebbe andato per niente a Roma finché il suo accusatore nascosto non si rivelerà a lui per dimostrare la sua colpevolezza. 98. Tuttavia Egidio non entra in aperta discussione con lui ma, temendo il rimprovero della propria coscienza e segretamente allarmato, con frequenti giuramenti sui sacramenti comincia a stringere la rete intorno all’innocenza di Agrippino anziché lasciarla emergere. «Senza dubbio – diceva - Agrippino non ha assolutamente nulla da temere, poiché nessuna persona innocente che conosco è stata bollata come colpevole davanti all'Imperatore per il solo fatto di avere suggerito una cosa illecita. Ora Agrippino vede chiaramente solo ciò: se par caso fosse accusato da qualcuno aumenterebbe i sospetti nel rifiutarsi di apparire, mentre può chiaramente pulirsi del sospetto di tradimento presentandosi (alla Corte)». 99. - «Mio signore e mio capo Egidio, rispose Agrippino, se dunque non ho nulla da temere laggiù di questa accusa, chiedo che subito il santo servo di Dio Lupicino, qui presente, si costituisca fin da questo giorno come garante della tua Nobiltà». «E sia, risponde Egidio». Ed immediatamente stringe e bacia la mano destra del servo di Dio, mettendola nella mano dell'imputato come garanzia dell'accordo. [47]

100. Agrippino si mette per strada ed al termine del viaggio arriva alla Città capitale; conformemente alla recente notifica compare immediatamente al cospetto del patrizio, in presenza del Senato; si consulta l'Imperatore, già coinvolto nel caso, sulla sorte che si sarebbe degnato di riservare a uno che ha falsamente preteso di agire per conto dello Stato, a un cospiratore al soldo del nemico. Senza che la causa sia discussa e senza che l'imputato sia ascoltato, (l'Imperatore) ordina di applicargli a breve termine la pena capitale. Ma Dio volle senza dubbio, o piuttosto concesse alla preghiera del suo servo, che un uomo condannato senza giudizio e innocente non fosse immediatamente condannato a morte dallo Stato. 101. Si dà dunque l’ordine di tenerlo nel frattempo in prigione; ovunque la folla esultando e insultando dice: «L'uomo che accordava il suo favore ai barbari e che sembrava suscitare il loro ardente desiderio d'invasione è infine annientato per favore divino e la temerarietà barbara ha ormai perso tutta la sua audacia».

Ma il santo Lupicino fu subito al corrente di tutto il crimine perpetrato, poiché il sopramenzionato Agrippino sollecitava il suo garante con pressanti suppliche in spirito. 102. Allora il servo di Cristo si impone, oltre alle ininterrotte preghiere, dei continui atti di penitenza. Oltre alle midolla acerbe e crude del cavolo – che era un suo nutrimento – e alle rape selvatiche dei campi, ogni giorno non mangiò niente altro finché non vide quell'uomo liberato. Mentre l'amico di Cristo incalzava senza sosta e con ostinazione le orecchie della misericordia divina con le insistenti preghiere delle sue lunghe veglie, [48] ecco che una notte appare nella prigione al suo protetto. Viene verso di lui, la esorta a non turbarsi e, mostrandogli uno degli angoli della cella, gli dice: «Spingi leggermente in questo punto e, trascinandoti lentamente e silenziosamente, affrettatati ad uscire di qui prima del sorgere del giorno».

103. Agrippino si sveglia e, come se fosse stato chiuso nella prigione di Erode e avesse ascoltato l'angelo che un tempo parlò all’Apostolo (At 12,6-7), [49] afferra subito il gancio da dove pendeva la sua piccola borsa di prigioniero, raccoglie le sue catene e scuotendo con precauzione la pietra d’angolo la smuove e scopre un'uscita simile a una galleria. Allora, come se fosse diventato di nuovo un giovane fanciullo, si allunga per terra, ripiega sotto di sé le sue braccia e a carponi esce dalla prigione, ignorando verso quale lato dirigersi per trovare rifugio nella dimora dell'Apostolo. [50] 104. Infine sbuca in una piazza, accelera il passo per allontanarsi il più possibile e per confondersi con i passanti in modo che non possa essere riconosciuto mescolato con loro. Con la testa coperta del suo cappuccio ignorava completamente dove stava andando. In quel mentre scorge sulla destra un vecchio e venerabile monaco e, fingendo di essere un pellegrino, gli chiede il più breve cammino per recarsi alla basilica del Capo degli Apostoli. E quello gli risponde: «Dalla parte del Vaticano» - questo luogo così famoso dove ora sono state costruite delle celle per i malati sotto uno dei lati dei portici pubblici [51] - poi, con spiegazioni molto chiare, gli indica tutte le piazze (da attraversare), le biforcazioni e le svolte e siccome Agrippino era ignaro dei luoghi non lascia nell'incertezza neppure un dettaglio dell'esatto itinerario.

105. Entrato dunque nella basilica San Pietro, Agrippino si inchina mescolando le lacrime ai gemiti ed esalando dal fondo del suo petto tutte le sue sofferenze; quest'uomo ferito chiede al Medico salvatore il perdono dei suoi peccati [52] e mormorando parla delle insidie che al momento lo stringono. Pertanto la notte arriva e l'amico molto fedele appare di nuovo nella basilica al suo caro protetto e lo consola con dolci parole. Nel corso del colloquio familiare Agrippino si rallegra sicuramente di essere stato condotto dal buio della cella alla luce ma, tormentato ora dagli inconvenienti della natura, dice che ha una grande fame; infatti, da quando era scappato fuori dalla prigione e mentre continuava a fuggire qua e là, non aveva chiesto a nessuno alcun alimento. «Resta calmo ancora un po’, gli dice il servo di Dio; poiché al sorgere del giorno ti invierò di che nutrirti a sufficienza.»

106. Non appena si fece l'alba del giorno successivo, ecco che la moglie di un senatore, venuta a pregare dinanzi alla tomba dell'Apostolo, mentre si gira per uscire, osservò Agrippino in un angolo. «È un pellegrino - disse al suo schiavo - e, a giudicare dalla sua naturale raffinatezza, non è di bassa estrazione famigliare. Prendi questi due soldi - è tutto ciò che ci resta della nostra piccola elemosina - e intanto portali a lui: quando rientrerò a casa gli farò recapitare – tu me lo ricorderai - una somma più consistente». [53] 107. Subito dopo avere ricevuto le monete compra degli alimenti al vicino mercato e ritorna ormai più contento verso l'atrio esterno.

Ed ecco che sente delle persone del palazzo, tristi e preoccupate, che parlano tra loro: «Sì, dicevano, questo Agrippino che è evaso della prigione causerà senza dubbio l'invasione dello Stato da parte dei Barbari, indotto dalla grave ingiustizia (che ha subito)».[54] Inteso ciò, e poiché non era ancora stato riconosciuto, si mescola per breve tempo e in modo sottile agli interlocutori. Fingendo di essere un abitante del paese, si informa abilmente presso di loro, ponendo domande mentre parla e mescolando al discorso delle prudenti osservazioni: 108. «Come avrebbe fatto meglio l'Imperatore – dice - a costringere quell’uomo ad essergli grato, fosse stato anche riconosciuto colpevole, concedendogli la sua grazia piuttosto che condannarlo senza confronto e senza prova e istigarlo forse per questo motivo a commettere, spinto dall'ingiustizia, il crimine di cui lo si aveva ingiustamente accusato». [55] Ma quelli sostenevano: «Ciò che voi dite, l'Imperatore, il patrizio e tutto il senato si chiedono gemendo perché non è stato fatto». A sua volta dice Agrippino: «E ora, supponendo di trovarlo, come farebbe a fuggire?». Risposero gli altri: «Se si potesse seguirlo e trovarlo non solo ne uscirebbe indenne, ma sarebbe innalzato ai più alti onori, riempito di presenti e lo si lascerebbe rientrare a casa - purché l'Impero sia prontamente liberato da questo timore». 109. «Sappiate – dice - che questo Agrippino, malvagiamente accusato, avrebbe potuto certamente fuggire dal nemico, ma che, se è colpevole, desidera essere certo della colpa e vedere venire alla luce tutta la verità prima di essere condannato. Andate subito ad annunciare all'Imperatore ed al patrizio che Agrippino è qui e che Agrippino sono io! ». [56]

Stupefatti, lo abbracciano e lo baciano e mandano di corsa un messaggero al palazzo. Sentendo la notizia, l'Imperatore torna ad essere più lieto. Tutto il popolo, dinanzi a questo cambiamento della situazione, prova una stessa gioia, cambia umore e volto e si allieta della svolta positiva. 110. Il senato, rapidamente convocato, a sua volta accorre. Essendo stata scoperta la menzogna, gli mandano subito tanti segni di simpatia e numerosi doni; tutti testimoniano in suo favore, senza essere stati incaricati da nessun avvocato. Senza indugio viene condotto dinanzi all'Imperatore, gli fanno conoscere l'accusa ed è assolto da ogni sospetto. Ritornato in Gallia si reca presso il servo di Cristo, si prosterna davanti a lui rendendogli grazie, e davanti a tutti racconta ciò che abbiamo raccontato.

111. Certamente in quel tempo fioriva dappertutto la buona fragranza dei servi del nostro signore Gesù Cristo (cfr. 2 Cor 2,15) - o meglio ovunque si sentiva il profumo - poiché nessuno di loro era in preda alla subdola gelosia, nessuno era lacerato dal famelico odio; tutti, vi dico, erano soltanto uno perché tutti appartenevano all’Unico (cfr. Gv 17,22). Se dunque uno dei due Padri scopriva che il suo fratello al timone (della Comunità), cioè il suo coabate, gustava con entusiasmo qualcuna delle grazie che dispensa lo Spirito Santo, alzava gli occhi e le mani verso il cielo, come se lui stesso la ricevesse, e lieto riversava a Cristo lacrime di gioia. [57]

112. Se dunque (un monaco) aveva, grazie a Dio, una certa facilità di parola ed era esperto nell’insegnare cose sante, allo stesso monaco procurava più piacere la scoperta in un fratello della semplicità e della purezza, che la coscienza della sua abilità personale e della sua saggezza. Da parte loro i monaci semplici, pieni di rispetto, avevano a cuore di essere formati ed istruiti da quelli la cui «la bocca si apriva», secondo la parola dell'Apostolo, con più efficacia e competenze «per parlare dei misteri di Cristo» (Ef. 6,19; Col 4,3). Secondo l'uso dei tempi degli apostoli, assolutamente nessuno diceva: «Questo è mio» (At 4,32): l’uno differiva dall'altro solo nella proprietà del nome e non nella stima della fortuna o della reputazione.

113. A tal punto erano contenti della loro indigenza che praticavano con entusiasmo l'unione dei cuori nella carità e nella fede in modo che se un fratello, avendo ricevuto un ordine per qualche compito, fosse uscito al freddo o se fosse rientrato tutto inzuppato da una pioggia invernale, ciascuno a gara lasciava un abito migliore e più secco o gli toglieva le calzature per riscaldare e confortare rapidamente il corpo di suo fratello, piuttosto che pensare al proprio corpo. Non si vedeva mai in quel tempo un fratello, inviato fuori dal proprio abate per un motivo qualunque, - ed io ho vergogna di riferirlo e di dirlo ora che le prime istituzioni sono contrastate dovunque - farsi portare, lui che è un essere sensibile e bipede, da un cavallo ovvero da un quadrupede: ciascuno si accontentava dell'appoggio di un bastone, così come della focaccia grezza e nutriente del monastero. [58] 114. Ed ecco perché spesso i servi del Signore, dotati di poteri miracolosi, operarono guarigioni ed altri miracoli; ma se ne andavano dal luogo del miracolo lasciando appena ai testimoni il tempo di conoscere il loro viso o il loro nome. Insegnavano così ai loro ammiratori la necessità di andare a cercare la fonte ed il principio delle grazie nel posto stesso in cui si affrettavano di rientrare senza chiedere nulla in cambio del dono divino, una volta effettuata e compiuta la loro missione nella carità e nell'ardore della fede. [59] Costoro temevano che se avessero installato nel tempio del loro cuore un mercato commerciale, sia i cambiavalute ai loro tavoli che anche i commercianti di colombe sarebbero stati flagellati dalla severità del Signore. [60]

 115. Quando il beato Padre, raggiunta un'età avanzata, si sentì oppresso dal doppio male della vecchiaia e della malattia, in primo luogo mise un padre alla testa del Condat, la più vecchia delle Comunità. Poi, essendo il suo trapasso imminente, designò anche un abate per il monastero di Laucone. [61] Di giorno in giorno cominciava a peggiorare la malattia che lo tormentava, fino al momento in cui le sue membra inaridite furono preda di brucianti attacchi febbrili. 116. I suoi monaci lo convinsero con preghiere a prendere un piccolo sorso d'acqua dato che, come abbiamo detto, se ne asteneva da circa otto anni, [62] in modo che avrebbe potuto così almeno sciacquare l'interno della bocca, come era usanza, muovendo la lingua avanti e indietro. I suoi venerabili figli, per amore del padre, ruppero i legami del suo voto e, con un piccolo e tardivo cambiamento, fecero sciogliere di nascosto una cucchiaiata di miele nella coppa in cui gli veniva dato un dito d'acqua. Poiché era coricato lo si fa sedere sostenendolo da ogni lato e gli si presenta la bevanda; con la punta delle labbra la assaggia ed immediatamente, mosso dal desiderio di rispettare il suo voto, dice: «Nemico, anche alla fine tu tenti di corrompere la mia umiltà con l'esca di una dolcezza deperibile». Quindi, rovesciatosi un po' all’indietro, passò a Cristo con un lieto ardore.

117. Prendendo ispirazione dalla sua naturale preferenza - come abbiamo detto - i suoi diletti figli seppellirono la cara spoglia del padre al monastero di Laucone. Poiché suo fratello Romano ornava già il luogo di preghiera della Balme e poiché sant’Eugendo da parte sua avrebbe un giorno ornato quello del Condat, Lupicino, che governò in mezzo a loro, ebbe una tomba situata tra le loro tombe al monastero di Laucone, [63] che egli colma dei suoi miracoli, pervade coi suoi esempi, onora con le sue protezioni e sostiene continuamente con le sue preghiere. Amen.




[1] Vedere la vita di Romano 17 e 38; Lupicino è, secondo queste indicazioni il fratello minore di Romano. Nella conduzione dei monaci era ovviamente il più forte. Gregorio di Tours (De vita patrum I) considera Lupicino il fratello maggiore e di conseguenza chiamò la sua Vita "la vita degli abati Lupicino e Romano".

[2] La “Contea” fu la residenza ad Arles. Questa “Contea” può essere sia quella del re burgundo che la residenza imperiale di Arles, sede della prefettura dei Galli: senza dubbio è là che san Lupicino si dovette trovare presente all’incontro di Egidio e di Agrippino (cfr. par. 98-99).

[3] L’ingegnosità del modo di dormire ascetico ricorda le pratiche eccentriche dei monaci sirici, di cui ci informa Teodoreto nella sua Historia religiosa. Lo scopo di questa pratica è evidente: il monachesimo orientale deve essere superato dal monachesimo gallico nella persona di Lupicino. - Nei dialoghi di Sulpicio Severo si parla ripetutamente dell'inferiorità dei monaci gallici nei confronti di quelli orientali.

[4] La rinuncia alla carne è una tradizione comune del monachesimo primitivo. Invece il pollame era servito in casi eccezionali. Regula Magistri 69,2 prevede le uova come alimento salutare.

[5] Giovanni Cassiano, Conl. 17,28 permette la rinuncia all’olio ed al vino come una speciale prova ascetica, senza mettere in pericolo la professione monastica.

[6] L’utilizzo del “pane rammollito” (significato originale della parola francese “soupe”, zuppa), fu molto diffuso nella Gallia, ma la “soupe” di san Lupicino è composta di semplice acqua. Ad un monaco malato invece egli offrirà del pane rammollito nel vino.

[7] Anche in questo caso il tema della concorrenza, con l'ammissione dell'incapacità gallica nelle prove ascetiche da primato. – Vedere a tale proposito Sulpicio Severo, Dial. I,4: "E' crudele da parte tua, che tu pretenda da noi Galli di vivere come gli angeli. Sì, con la mia simpatia per il cibo, mi viene il pensiero che anche gli angeli dovessero mangiare".

[8] Un avvertimento contro l’imprudente ascetismo ed una esortazione alla discretio. La frase potrebbe essere stata presa dall’insegnamento di un abate che deve guidare i suoi monaci in modo da corrispondere ad ogni singola capacità e talento.

[9] Gli "anziani" sono qui probabilmente non solo monaci anziani, ma i monaci che sono partecipi nella guida della comunità (ad esempio, Regula Benedicti 3,12: "seniorum consilium").

[10] Allusione al racconto della moltiplicazione dei pani: le folle hanno lasciato le città e seguito Gesù nel deserto per ascoltare la sua parola. (cfr. Mt 14,13 e paralleli).

[11] Si tratta di una moltiplicazione dei pani compiuta da Elia. Nel racconto del miracolo l'Autore si basa in primis sulla comprensione ecclesiale della Scrittura, secondo la quale l'Antica Alleanza è il modello ombra della nuova alleanza, ed in seconda istanza Lupicino viene equiparato al Profeta.

[12] Eugendo è abate di Condat nel tempo dell'Autore della Vita (cfr. Introduzione). Il particolare apprezzamento dell'Autore risulta evidente dalla frase "pueritia beatae indolis", come in 1 Re 11,28 a proposito di Geroboamo, in 1 Cr 12,28 a proposito di Zadok ed in Sap 8,19 a proposito di Salomone. Vedere anche i paragrafi 121-123 riguardo al segno precoce della speciale elezione di Eugendo.

[13] L’affinità letteraria mostra il rapporto con Rufino, Historia monachorum 7, dove l’autore racconta due miracoli compiuti dal monaco Apollonio.

[14] I paragrafi 72-77 mostrano l'arte di conduzione dell'abate Lupicino. Secondo la terapia qui presentata, si tratta di un monaco malato di una paralisi psicogena che Lupicino guarisce con la chinesiterapia, ovvero con l’esecuzione di lenti movimenti di ginnastica medica, insieme con la necessaria istruzione spirituale.

[15] Stando al paragrafo 67 anche Lupicino si accontentò di tali alimenti; tuttavia, egli fu sempre all’altezza di questo tipo di ristrettezze. Nel monaco malato viene superata la capacità personale. - Nella Regula Magistri 23,34-37 e 25, la raccolta e il consumo delle briciole è un’usanza rituale.

[16] Richiamo a Sulpicio Severo, Dial. I,4: "impositis in terram vervecum pellibus" come base per sedersi nella cella di un monaco della Cirenaica.

[17] Lupicino convinse il fratello ad un pasto tonificante, mangiandolo anche lui insieme. L'adeguamento del "sano" al "malato" è un mezzo popolare di guida spirituale degli uomini. – Secondo Tommaso di Celano, per esempio, Francesco d’Assisi: “Una volta venne a conoscenza che un frate ammalato aveva desiderio di mangiare un po' d'uva. Lo accompagnò in una vigna, e sedutosi sotto una vite, per infondergli coraggio, cominciò egli stesso a mangiarne per primo” (Vita Seconda di san Francesco d’Assisi, 176); una storia simile al paragrafo 15 con la spiegazione del Santo: " La carità vi sia di esempio, non il cibo, perché questo soddisfa la gola, quella invece lo spirito". - Il riferimento alla "Regola" non fornisce informazioni sulla Regola esattamente seguita a Condat: è la tradizione monastica in generale che obbliga all’obbedienza incondizionata.

[18] Il confronto tra il corpo umano e l'asino è diffuso nella letteratura ascetica. L'asino è considerato animale lussurioso-istintuale e diventa il simbolo del corpo umano. – Anche qui si può di nuovo ricordare San Francesco d'Assisi che parla del suo corpo come di "Frate Asino" (Tommaso da Celano, Vita Seconda 116; 129).

[19] Lupicino ha riconosciuto la vera causa della malattia: si trattava di un falso zelo ascetico che era nato dall’orgoglio egoistico.

[20] Gli Antichi identificavano tutto il grande, il bene ed il divino con la destra, il piccolo, il male ed il demoniaco con la sinistra. Per la continua influenza nel cristianesimo vedere. Otto Nußbaum, Die Bewertung von Rechts und Links in der römischen Liturgie (La valutazione di destra e sinistra nella liturgia romana) = Jahrbuch für Antike und Christentum, 5, 1962, pag. 158-171. La Vita porta avanti il confronto con l’ascesi monastica e prevede il rispetto della "via Regia", un tema tradizionale della letteratura ascetica, che ha la sua origine nella citata "via Regia" in Num 21,22. Spiritualmente interpretata a partire da Filone di Alessandria (come l'immagine della retta via verso Dio), da Clemente di Alessandria e da Origene viene considerata ai fini della dottrina di perfezione cristiana. Giovanni Cassiano dipende da loro (ad esempio De inst. 11,4 ; Conl 2,16; 4,12; 6, 11; 24, 14-25). Negli Apoftegmi dei Padri se ne può trovare un riferimento in Poemen 31: “In verità, digiunavo anche tre e quattro giorni e una settimana intera. I padri, che erano capaci, hanno provato tutte queste cose, e hanno trovato che è bene mangiare ogni giorno, ma poco; e ci hanno tramandato la via regale, che è leggera”.

[21] Come nell'altra Vita, quella di Romano, appare qui di nuovo la convinzione che un potere di guarigione può essere trasferito agli oggetti.

[22] Riguardo al posto per dormire di Lupicino vedere i par. 65-66.

[23] Il monaco, prima di lasciare il monastero per andare in viaggio al servizio della comunità, si raccomanda alle preghiere di tutti i fratelli e dell'abate, secondo RB 67,1. Invece secondo la Regula Magistri 57,23 la preghiera di intercessione (valem facere) è fatta nell'Oratorio come qui nella Vita.

[24] Il "Limes Paradisi" è il perimetro del monastero. Equiparare il monastero (la cella del monaco) con il Paradiso è di nuovo un tema tradizionale della letteratura monastica. È il risultato dell'idea che l'ascetismo vuole ristabilire la condizione del Paradiso prima della caduta dei progenitori.

[25] L’Autore impiega raramente, per designare l’abate, la parola senior (anziano), e solo in questi racconti che riguardano san Lupicino.

[26] Secondo questa indicazione di tempo e secondo l’intenzione espressa nel paragrafo 62, ora vuole solo riferire sugli eventi posteriori alla morte di Romano (nell’anno 460); questo fatto sgradevole doveva aver avuto luogo all'inizio del governo di Lupicino. La morte di Lupicino è comunemente ammessa nell’anno 480.

[27] Come esempio di questa "dottrina del peccato" si veda l’apoftegma Poemen 182: "Un fratello chiese ad Abba Poemen, “Padre, vi erano due uomini, uno era monaco e l'altro secolare, una sera il monaco pensò di gettare l'abito la mattina dopo, e l’altro pensò di diventare monaco. In quella notte entrambi morirono. Come saranno giudicati?” E l’anziano rispose: "Il monaco è morto da monaco ed il secolare da secolare, perché se ne sono andati come erano".

[28] Secondo una rigorosa pratica monastica (ad es. RB 58,28; RM 89,83-87) Lupicino avrebbe dovuto rimproverare e punire i due monaci pubblicamente. Il comportamento di Lupicino adempie un’istruzione per l'Abate come stabilisce la Regula Benedicti 46,6, secondo la quale l'abate può curare le ferite altrui, senza svelarle e renderle di pubblico dominio.

[29] L'abate come "medicus" è particolarmente sottolineato da Benedetto (RB 27,2; 28,2); anche nella Regola del Maestro l'immagine è famigliare (ad esempio, 14,12; 15,19) - La disciplina monastica e la direzione spirituale dall'abate possono essere ampiamente intese come medicina spirituale, come arte della guarigione. L'autore segue nella terminologia probabilmente un cliché, ma con ciò intende sottolineare il particolare potere e l'arte di Lupicino nella gestione delle risorse umane.

[30] L'episodio descritto mostra la conoscenza dell'autore della psicologia spirituale. Lo sfondo reale della narrazione può essere l'esperienza di fratelli che hanno effettivamente lasciato il monastero sulla base delle motivazioni indicate. Secondo la Regulae fusius tractatae cap. 36 di Basilio, un monaco può ad esempio lasciare una comunità monastica molto corrotta.

[31] Il fuggiasco si recò a Tours presso la tomba di S. Martino, motivo per cui l'autore, per inciso, può nuovamente parlare della venerazione di Martino nel suo monastero.

[32] Come nelle altre Vite i Demoni sono nascosti e si annunciano ad alta voce. Così, il monaco si riconosce come una vittima dei Demoni. Il monaco illuso dal Demone come "vehiculum" del Diavolo è una descrizione plastica dello stato in cui colui che soccombe è dominato dal diavolo, come un veicolo dal suo conducente o come un cavallo da parte del suo cavaliere. - Origene, in Ex. Hom. VI 2, applica l'immagine a Giuda: Prima del tradimento Giuda era un cavallo e aveva Cristo come cavaliere, poi Satana diventò il suo cavaliere (adscensor) e lo guidò contro il Signore.

[33] L'autore rimane sulla stessa immagine. Egli qui chiama Satana il "sessor antiquus".

[34] Ha cacciato il demone con un soffio (exsufflans): un’espressione di disprezzo per il diavolo, che è anche entrata nel rituale del battesimo cristiano.

[35] Si può interpretare la parola “giudici” sia in un senso generale (coloro che apprezzavano la condotta di Lupicino), sia in senso stretto, ciò che è più probabile, dato che si parla di un suo sollecito in favore di gente infelice.

[36] Come Costanzo di Lione rivela in Germano un vescovo nel ruolo del "difensore", così la Vita parla ora dell'abate in questo ruolo. (Cfr. L'opera di Costanzo intitolata "Vita di Germano (vescovo) di Auxerre" in Gallia tra il 418 ed il 448). Un'indicazione della crescente importanza di un abate al di fuori del suo monastero.

[37] Il contesto sembra indicare che si tratta di un dignitario Gallo-romano.

[38] Chilperico I, re semi-leggendario dei Burgundi (morto nel 480 circa). Era il fratello del re Gundioco e quindi probabilmente un figlio di re Gundicaro. Chilperico I fu coreggente assieme al fratello; nel 457, quando il fratello era ancora vivo, era presentato come il re, con la sua residenza a Ginevra. Come governatore militare e civile era al servizio di Roma. L'autore lo caratterizza come favorevole e benevolo, ciò che è coerente con altre testimonianze, anche se era ariano. Cfr. Ludwig Schmidt, Storia dei tedeschi dell'Est, Monaco 1941.

[39] "Nonne tu es ille ... inpostor, qui ante hos ... annos", una sorprendente allusione letteraria ad Atti 21,38 (“Nonne tu es Aegyptius qui ante hos dies tumultum concitasti “- Paolo davanti al tribunale di Gerusalemme).

[40] Il procuratore vuole probabilmente con questa accusa alludere al fatto che Chilperico, sebbene funzionario romano, si preoccupa soprattutto dal suo stesso popolo. Quel "certo personaggio" sarebbe quindi annoverato nell'aristocrazia gallo-romana, che ancora credeva all’ "eterna Roma ".

[41] In questa veemente replica il santo non nega i propositi mantenuti già da tempo; egli li esplicita: la catastrofe da lui predetta interessa essenzialmente l’aristocrazia fondiaria gallo-romana, le cui estorsioni hanno attirato su di essa un castigo divino, l’espropriazione dei grandi a profitto degli occupanti. Questa interpretazione teologica delle invasioni si ritrova altrove, in particolare da un contemporaneo di san Lupicino, il prete Salviano di Marsiglia. Si veda il suo De Gubernatione Dei IV,12, dove vi è un raffronto fra i vizi dei Romani e le virtù dei barbari portato allo scopo di dimostrare come la Provvidenza agisca attraverso i secondi per punire i vizi dei primi.

[42] Un tipico eufemismo per il reale trasferimento di potere dai Romani ai Germani. La formulazione ricorda Sidonio Apollinare, Ep. VII 9, dove "principes purpurati" e "iudices pelliti" sono contrapposti.

[43] Gli uncini, in latino uncus, erano utilizzati dai romani per trascinare i prigionieri sulle Scale Gemonie, vicine al carcere, e gettarli nel Tevere.

[44] Agrippino fu “Magister militum”, ovvero maestro dei soldati, in Gallia almeno dal 452. Nel 458 fu destituito dall’imperatore Maggioriano (457-461) e ritenuto responsabile di aver favorito i barbari. Dopo l'assassinio dell'imperatore nel 462 fu nominato ancora “Magister militum” e si alleò con i Visigoti contro Egidio. La descrizione dell'Autore si adatta a stento ai fatti reali.

[45] Egidio, un comandante militare romano in Gallia, era molto amico dell'imperatore Maggioriano. Dopo il suo assassinio, ha rifiutato il governo di Libio Severo (461-465), succeduto a Maggioriano, cercando di rovesciarlo. Dopo che questo piano fallì, si costruì la sua propria posizione di potere nel nord della Gallia, indipendente dal governo nazionale.

[46] La Vita si riferisce all’incriminazione di Agrippino dell'anno 458; ma mescola gli eventi che riguardano Egidio dopo il 462 e la conseguente riabilitazione di Agrippino. Così si può ben scrivere a favore di Agrippino e contro Egidio. Martine, in “Vie des Pères du Jura” - S.C. 142, pag. 445, commenta: "L'amico di un santo non è necessariamente lui stesso un santo."

[47] Questo gesto si spiega così: costituendosi garante della buona fede di Egidio, sa Lupicino contratta una specie di impegno nei confronti di Agrippino; è un nuovo legame che si stabilisce tra i due amici. In questo modo, il miracolo compiuto da sa Lupicino sarà un modo di soddisfare ai suoi obblighi di garante.

[48] L'idea della fervente preghiera è una preoccupazione particolare dell'autore. Vedere il prologo, paragrafi 68-70; 81; 90; secondo Sulpicio Severo, Dial. III 14,3-6 Martino pregò e digiunò in un caso particolare: "si ritirò nella sua cella, dove rimase a pregare ed a digiunare per sette giorni e sette notti, e da dove ne uscì soltanto dopo che il Signore gli accordò ciò che si era incaricato di chiedere."

[49] Ricordando Pietro in carcere: Atti 12,6-7.

[50] Agrippino cercava la Basilica di San Pietro; era quella basilica a cinque navate, che fu costruita circa nel periodo dal 330 a dopo la metà del IV secolo sopra la tomba dell'Apostolo.

[51] Forse quegli edifici nella basilica costantiniana, che il Lib. Pont. 1, Pag. 239, attribuisce a Papa Leone I (440-461). Si pensi al paralizzato Servulo che san Gregorio Magno ci mostra mentre passa tutta la sua vita “sotto il portico che conduce alla chiesa di San Clemente” a Roma (Hom XV in Ev, 5)

[52] L’Autore della Vita insiste volentieri sugli effetti spirituali dei miracoli (cfr. par. 49); in questo caso si è compiuta una vera conversione nell’anima di Agrippino: la sua liberazione ha avuto anche un significato soprannaturale.

[53] Il soldo o solido, in latino “solidus”, è stato introdotto come unità monetaria in tutto l’impero da Costantino il Grande, che divenne imperatore nel 324.

[54] Il dialogo del romano esprime bene la paura opprimente delle invasioni barbariche. Questa paura spiega anche la rapida condanna di Agrippino (par. 100) e, più oltre, il rapido cambio di opinione della folla, del senato e dell’imperatore a favore di questo personaggio (par. 109-110).

[55] Agrippino è temuto a causa del suo valore, del suo prestigio presso i Barbari e della sua politica fondata sull’alleanza con loro.

[56] Ecce ich sum ego Agrippinus è una reminiscenza della frase rivolta al demonio da parte di sant’Antonio: Ecce hic sum ego Antonius (PL 73, 131 D)

[57] Il fratello al timone (della Comunità), cioè il suo coabate, è Minauso, che è stato designato da Romano e Lupicino al monastero di Condat come abate ed ora governava con Lupicino (abate a Laucone) le due comunità; confrontare il seguente par. 132.

[58] Una ricorrente critica che si trova nella letteratura monastica primitiva nei riguardi della presente desolante situazione e costruita sull'antitesi tra passato e presente. Che i monaci vadano a cavallo è ovviamente una novità degli ultimi tempi, con cui l'autore non si è ancora adattato.

[59] Confrontare questo atteggiamento con la modestia e la discrezione di san Romano, in particolare in occasione di miracoli. Cfr. La vita di Romano, ai precedenti paragrafi 43; 46-50.

[60] L'anonimo rammenta sia San Paolo: l'anima è un tempio di Dio (1 Cor 3,16), sia una celebre scena del Vangelo: Gesù che caccia i venditori del tempio (Mt 21,12); la scena dei venditori è così trasportata sul piano della vita interiore: non è soltanto in un tempio materiale, ma nel tempio del cuore che il commercio è vietato. Si aggiunge inoltre una precisazione interessante: mentre Gesù quel giorno si è mostrato più indulgente per i mercanti di colomba che per i cambiavalute (Gv 2,15-16), mostrerà uguale severità per i nuovi mercanti di colombe, cioè i cristiani che fanno commercio dei beni spirituali. È la simonia che qui viene considerata. Un'esegesi simile non era nuova. Ecco per esempio un passaggio del sermone di Sant'Agostino a proposito di Simone il mago: " Ma il Signore cacciò dal tempio coloro che vendevano le colombe, dove la colomba raffigurava appunto lo Spirito Santo. Ebbene, Simone voleva comprare la colomba e vendere la colomba; ma il Signore Gesù Cristo, che aveva dimora in Pietro, gli si avvicinò e col flagello fatto di corde cacciò via l'empio mercante" (Esposizione sui Salmi 130, 5).

[61] La successione è a sua volta disciplinata dalla designazione. Per il monastero di Condat, Lupicino può effettivamente non aver nominato un nuovo abate, dal momento che governava ancora Minauso, insediato da Romano e Lupicino.

[62] Confrontare il precedente paragrafo 66.

[63] L'autore fa un ingegnoso avvicinamento tra la situazione di san Lupicino nel tempo e la sua situazione nello spazio, ovvero la posizione della sua tomba. Questa nota si accorda molto bene con la topografia: S. Lupicino occupa approssimativamente il sommo di un triangolo isoscele abbastanza appiattito i cui due altri angoli corrispondono l'uno a Saint Claude, a est, e l'altro a San Romano a sud-ovest. Tutte e tre le fondazioni monastiche conservano quindi una santa spoglia come garanzia del mantenimento della vita monastica e della protezione divina. Per Romano cfr. il precedente paragrafo 61 e per Eugendo il seguente 178.



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7 aprile 2015                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net