LA REGOLA DEL MAESTRO

 

Commenti e note esplicative al testo

 

ISTITUZIONI

Estratto e tradotto da "La Règle du Maître. " Tome I, Adalbert de Vogüé.

Sources Chrétiennes 105–7. Paris: Cerf, 1964–65

Comunità: i vari incarichi

Monastero: i vari locali

La suddivisione del tempo

L'osservanza




  Note del redattore del sito (In fase di completamento)  

Divisione del giorno

Lucernario

Orologio e canto del gallo Ufficio divino

Salmi antifonali e responsoriali

 Vigilgalli

 

 

 


 

Divisione del giorno (si veda anche "La suddivisione del tempo")

Secondo il computo romano le 24 ore della giornata erano divise in due parti di 12 ore, quelle del giorno e quelle della notte, individuate dal sorgere e dal tramonto del sole. Le ore del giorno erano divise in quattro parti, di tre ore ciascuna: terza, sesta (mezzogiorno), nona e dodicesima (coincidente col tramonto). Le ore della notte erano divise in quattro "vigilie" che corrispondevano ai turni di guardia. Agli equinozi (21 marzo e 23 settembre) l'ora terza, sesta, nona e dodicesima del giorno corrispondevano alle nostre attuali 9, 12, 15 e 18 e quindi il giorno andava dalle ore 6 alle ore 18 attuali. La prima, seconda, terza e quarta vigilia (o anche terza, sesta, nona e dodicesima) della notte corrispondevano alle nostre attuali ore 21, 24, 3 e 6. Le ore erano legate al ciclo solare e quindi, secondo le stagioni, avevano una durata diseguale: d’estate le ore diurne erano più lunghe rispetto a quelle notturne. D’inverno invece accadeva il contrario. Tanto per fare un esempio, a Roma e dintorni d'estate un'ora di luce poteva durare 75 minuti al solstizio di giugno e 45 minuti al solstizio di dicembre. Solo due volte all'anno, ovvero agli equinozi del 21 marzo e del 23 settembre, le ore del giorno erano uguali a quelle della notte e duravano 60 minuti. Tra equinozio e solstizio le ore aumentavano o diminuivano e gli unici punti fissi erano il mezzogiorno e la mezzanotte.

(Fonte: "Byzantine monastic foundation documents" Vol. 1, Edited by John Thomas and Angela Constantini des Hero, Dumbarton Oaks 2000).


 

Lucernario (o Lucernale)

Il Lucernario (o Lucernale) precede i vespri ed è una specie di responsorio composto da vari versetti ricavati dai Salmi. In esso si fa sempre allusione alla luce, dato che quando si recitano i vespri, al tramonto del sole, è anche l'ora di accendere le lampade, le lucernae, in chiesa. Verrà poi assorbito dai Vespri.


Orologio

La stessa Regola di San Benedetto non menziona ancora alcuna procedura o ausilio per determinare questo tempo. La Regula Magistri, redatta intorno al 520 e quindi ancora contemporanea alla Regola, menziona un “horelogium” che doveva essere assiduamente osservato giorno e notte. Potrebbe essere stato un semplice orologio ad acqua o tavole delle stelle e delle ombre (nella tavola delle stelle erano indicate le posizioni delle stelle nelle varie ore della notte ed in funzione del mese e nella tavola delle ombre erano elencate le lunghezze delle ombre di uno stilo (detto gnomone) su una tavola orizzontale o verticale in corrispondenza delle varie ore diurne ed in funzione del mese. Ndr.). Versioni successive e spiegazioni della Regola Benedettina prevedono spesso l'uso di un "horologium". Qui notiamo subito che questi “horologia” erano usati solo di notte per svegliare i monaci per gli uffici notturni o per determinare la loro distanza temporale dagli uffici mattutini, che dovevano anche iniziare quando era ancora buio. Durante il giorno non troviamo alcuna menzione del loro utilizzo. Di conseguenza solo la persona incaricata di svegliare i fratelli, di solito il sacrestano (in questa funzione a volte chiamato "horoscopus"), è menzionata in relazione alla supervisione dell'"horologia".

 Il canto del gallo

Ma non tutti i testi di questa natura, nemmeno la maggioranza, prevedono l'uso di un "horologium". Altri mezzi per determinare l'ora erano almeno altrettanto familiari ai monaci. Spesso citato e spesso celebrato in letteratura era il classico segnale di risveglio della vecchia società agraria, già importante nella Bibbia: il canto del gallo (Cfr. per es. Gb 38,36 e Mc 13,35; 14,30). È stato simbolicamente immortalato come una banderuola sulle guglie delle chiese. Come figura mobile faceva parte del repertorio degli automi degli orologi monumentali in epoche successive. Ad esempio, una figura meccanica di un gallo è tutto ciò che resta del primo orologio astronomico della Cattedrale di Strasburgo.

Un altro metodo che veniva praticato soprattutto nei monasteri era l'osservazione del corso delle stelle. Nel V secolo Cassiano lo raccomandò alle sentinelle del monastero (Cfr. Istituzioni Cenobitiche, Libro II, cap.XVII). Le osservazioni celesti furono raccolte e tramandate nei monasteri. Alla fine del VI secolo, Gregorio di Tours compose un breve tratto intitolato Sul corso delle stelle, il cui unico scopo era quello di fornire ausili per determinare l'ora delle preghiere notturne. I metodi per osservare i cieli furono perfezionati nel corso del tempo. Alcuni monasteri compilarono speciali tabelle di osservazione, chiamate anche "horologium". La pratica dell'astronomia nei monasteri medievali trovò in questi impegni un importante scopo pratico e una convincente giustificazione teorica. Il canto del gallo non è un indicatore del tempo molto affidabile e le osservazioni celesti non sono possibili in caso di maltempo. Ecco perché Pier Damiani raccomandava che il "significator horarum" memorizzasse il tempo necessario per cantare i vari salmi ed in questo modo usasse se stesso come strumento di misurazione del tempo ogni volta che fosse necessario.

Semplici meridiane erano in uso per ottenere un senso approssimativo del tempo durante il giorno. Sono stati menzionati solo nelle prime Regole, ma numerosi frammenti sopravvissuti dimostrano che erano ampiamente utilizzate. Il tipo medievale, a semicerchio con segmenti delimitati ad intervalli regolari, è ragionevolmente “preciso” solo in due giorni dell'anno. Oggi queste meridiane sono chiamate "quadranti di massa" o "meridiane canoniche". (Queste meridiane erano contrassegnate con le ore canoniche anziché o in aggiunta alle ore standard di luce del giorno. Ndt.).

L'accensione di candele accuratamente calibrate in lunghezza e peso è consigliata nelle Regole che furono influenzate dal movimento di riforma dell'abbazia benedettina di Cluny come metodo per determinare la durata della notte. Le candele, come in seguito le clessidre, erano anche in uso al di fuori dei monasteri nell'era moderna come un modo semplice per delimitare periodi brevi, come, ad esempio, alle aste o alle elezioni.

Fonte: “History of the hour…”, di Gerhard Dohrn-van Rossum, The University of Chicago Press 1996

 

Orologio ad acqua

Cassiodoro (560 circa) informa i suoi monaci di aver fatto installare nel cenobio un orologio ad acqua, in modo da poter calcolare le ore anche durante la notte: “Non abbiamo tollerato che voi ignoriate del tutto la misurazione delle ore (horarum modulos), così utile al genere umano. Per questo, oltre all’orologio che funziona con la luce del sole, ne abbiamo voluto un altro idraulico (aquatile), che misura la quantità delle ore tanto di giorno che di notte,…” (De institutiones divinarum litterarum, PL, 70, 1146 a-b).

Fonte: “Altissima povertà – Regole monastiche e forme di vita” di Giorgio Agamben, Neri Pozza Editore 2011.

 (Il testo di Cassiodoro prosegue così: “perché ovviamente spesso manca la luminosità del sole, ma l'acqua traccia meravigliosamente sulla terra il corso che la potenza ardente del sole percorre sul suo percorso sopra di noi. Così, l'arte degli uomini ha fatto correre insieme le cose che si oppongono in natura; in questi dispositivi l'affidabilità degli eventi presenta una tale verità che la loro funzione armoniosa sembra essere organizzata dai messaggeri (internuntios). Queste cose sono state fornite in modo che i soldati di Cristo, rammentati da alcuni segnali, possano essere chiamati a svolgere l'opera divina come se fossero chiamati dal suono delle trombe”. Ndr.)

 (Probabilmente questo orologio ad acqua (aquatile), più che indicare le ore, emetteva dei suoni al passaggio delle ore ed era azionato dal movimento di un galleggiante posto in un recipiente da dove usciva l’acqua con una certa regolarità. Ndr.)

 


 

Ufficio divino

La preghiera quotidiana del monaco cominciava nelle ore notturne, alle due o poco dopo in inverno, e alle tre o poco dopo in estate, con il canto dell'ufficio di Veglia o Notturno (più tardi chiamato Mattutino). Terminati i Notturni, la comunità non tornava a letto; c'era solo un breve intervallo, dopo il quale veniva cantato l'ufficio di Lodi, alle prime luci, e poi l'ufficio di Prima, al sorgere del sole. Poi i monaci uscivano in processione dal coro e andavano alle proprie occupazioni. In seguito c’erano gli altri uffici del giorno alla terza, sesta e nona ora, e l'ufficio della sera dei Vespri. Il giorno finiva con il canto di Compieta, al calare del sole.

(Fonte: "Il monachesimo medievale" di C. H. Lawrence – Edizioni San Paolo).


 

Salmi antifonali (o antifonici) e salmi responsoriali (o responsori)

Nella salmodia antifonica c'è l'alternanza di due cori che cantano i versetti di un salmo, mentre in quella responsoriale il coro risponde all'unisono a colui che canta.  Le fonti della salmodia antifonica sono diverse … e anche Basilio di Cesarea nell’Epistola ai Neocesariani attesta che la pratica del canto antifonico o alternato era praticato nelle chiese cristiane d’Oriente durante l’ultima metà del IV secolo e che essa conviveva con quella responsoriale.

Fonte: “La musica sacra…” di Marco Caroli, Univ. degli Studi di Padova 2016.


 

Vigilgalli, RM 31,12 e 52,3

I due monaci che, nella Regola del Maestro, hanno il compito di svegliare i fratelli (e, innanzitutto, l'abate, tirandolo leggermente per i piedi, mox pulsantes pedes abbatis suscitent eum - RM 32,5) svolgono una funzione così essenziale, che, per onorarli, la Regola li chiama "vigilgalli", galli sempre desti ("così grande è presso il Signore la ricompensa di coloro che destano i monaci all'opera divina, che la Regola per onorarli li chiama vigigallos". RM 31,12 e cfr. anche RM 52,3). Essi dovevano disporre di orologi in grado di segnare le ore anche in assenza del sole, perché la regola ci informa che era loro cura guardare l'orologio (horologium, secondo l'etimologia medievale, quod ibi horas legamus) di notte non meno che di giorno ("in nocte et in die solliciti horologium conspicere" RM 31,7 in Patrologia Latina, Vol. 88).

Fonte: “Altissima povertà – Regole monastiche e forme di vita” di Giorgio Agamben, Neri Pozza Editore 2011.


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31 dicembre 2020                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net