La regola “Libellus De Regularibus Obseruantiis” o "Largiente Domino"
COLLEZIONE DELLE REGOLE MONASTICHE E CANONICHE
RACCOLTE UN TEMPO DALL’ABATE 
S. BENEDETTO D’ANIANE
Volume secondo
Secondo l’edizione di Luca Holstenio,
Augusta 1759
APPENDICE V
ANTICA REGOLA MONASTICA
Considerazione critica
	
Questa è una antica Regola che fu scritta prima di settecento anni fa; come ha testimoniato il molto insigne Edmund Martène (1654-1739), che la estrasse all'inizio di questo secolo dal MS. Colbertino di ottima qualità, ma senza il nome dell'Autore. Forse fu composta molto prima del secolo decimo, anche se fu ignota a San Benedetto Anianense, nel suo Regularum Codex edito da Lucas Holstenius, dove anche manca la Regola di Giovanni di Biclaro (Iohannes Biclarensis, 540 - circa 621), vescovo di Girona, scritta circa nel 589. Su questa omissione investigò lo studioso Jean Mabillon (1632 – 1707), poiché quella antica Regola conteneva la perfezione della vita Monastica. Il celebre Martène stima che l’autore di questa Regola non sia vissuto molto dopo dei santi Isidoro e Fruttuoso, poiché cita le loro Regole, partendo dalle quali, tuttavia, non si può assegnare un determinato tempo all’origine di questa Regola. Possiamo affermare una cosa sola, che questa Regola contiene la saggezza dell’antichità, ma è stata scritta quando il Monachesimo fioriva ovunque e nessun Monaco aveva iniziato ad allontanarsi dalla primitiva istituzione. L'autore esorta ed ammonisce i Monaci in tutti i quindici capitoli ad osservare i suoi precetti, prendendo come modello le vite dei primi Legislatori Monastici, soprattutto di Giovanni Cassiano, San Benedetto, Isidoro e Fruttuoso.
Antica Regola 
Monastica 
di autore Anonimo
CAPITOLI
I. COSA DOBBIAMO FARE LA DOMENICA MATTINA.
II. COME SI CELEBRANO GLI UFFICI DIVINI DALLA SANTA PASQUA FINO ALLE CALENDE 
DI OTTOBRE.
III. COME SI CELEBRANO GLI UFFICI DIVINI E COME SI DEVE LAVORARE NELLE ORE 
NOTTURNE E DIURNE DALLE CALENDE DI OTTOBRE FINO ALLA SANTA PASQUA.
IV. IL DIGIUNO.
V. LA QUOTIDIANA REFEZIONE.
VI. LA MISURA DEL CIBO.
VII. LA MISURA DELLA BEVANDA.
VIII. IL SILENZIO.
IX. LA PREGHIERA.
X. L’IMPEGNO NELLA LETTURA.
XI. IL LAVORO MANUALE.
XII. LA MEDIOCRITA’ DEGLI INDUMENTI.
XIII. L’OSPITALITA’.
XIV. LA GLORIA UMANA.
XV. LA PERSEVERANZA NELLE BUONE OPERE.
CAPITOLO I. COSA DOBBIAMO FARE LA DOMENICA MATTINA.
Come disse Isidoro: “Gli Apostoli 
resero sacra la domenica come festa religiosa perché in essa il nostro 
Redentore risorse dai morti, ed è chiamata domenica proprio affinché, 
astenendoci dalle attività terrene e dalle lusinghe del mondo, ci dedichiamo 
unicamente al culto divino, tributando a questo giorno onore e rispetto a 
causa della speranza, che abbiamo in esso, della nostra risurrezione"
(Isidoro. 
Gli uffici ecclesiastici, 
L. I, cap. 24). 
Si legge infatti così nella lettera di Leone Papa riguardo al sacramento 
della Domenica: "Il mondo ebbe il suo 
inizio in questo giorno ed in esso, tramite la resurrezione del Signore, la 
morte incontrò la sua fine e la vita il suo principio. Fu in questo giorno 
che gli Apostoli ricevettero l'incarico di predicare il Vangelo a tutti i 
popoli e di donare al mondo intero il sacramento della rigenerazione (del 
battesimo) (Mt 27,40). 
In questo giorno, come attesta il beato Giovanni Evangelista, entrò il 
Signore a porte chiuse in mezzo all'assemblea dei discepoli e, soffiando su 
di essi, disse: "Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i 
peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno 
perdonati" (Gv 20,22-23). E così 
questo giorno vide la discesa dello Spirito Santo promesso dal Signore agli 
Apostoli" (Leone Papa, Epistola 
9). Inoltre in questo giorno, come dalla parola e dall'esempio dei nostri 
Padri ci viene insegnato, non bisogna fare nulla, se non dedicarsi solo alla 
preghiera, alla lettura e alla predicazione.
CAPITOLO II. COME SI CELEBRANO GLI UFFICI DIVINI DALLA SANTA PASQUA FINO 
ALLE CALENDE DI OTTOBRE.
Dalla santa Pasqua alle Calende di Ottobre dopo l’Ufficio Mattutino segue 
subito l’Ora Prima, e fino a Terza si lavora con le mani ed allo stesso 
tempo con la meditazione divina. Ma dopo Terza occorre celebrare la 
solennità della messa: terminata questa ci si impegna nella “lectio 
divina”. Ma dopo Sesta, — se non è mercoledì, venerdì o sabato – ci si 
ristora. Dopo il ristoro della sesta ora, come san Benedetto e gli altri 
Padri insegnano, o ci si riposa, o si legge fino all’Ora Nona. Dopo Nona e 
fino al Vespro occorre lavorare e salmeggiare. Dopo l’Ufficio Vespertino è 
consentito mangiare a coloro che ne hanno bisogno, secondo il volere dei 
santi Padri. Dopo di ciò, per quanto il tempo lo permette, ci si dedica alla 
lettura e si dice Compieta ancora con la luce del giorno. Finita Compieta, 
come è scritto nella Regola dei Padri, si dice:
"Poni, 
Signore, una guardia alla mia bocca, sorveglia la porta delle mie labbra" 
(Sal 140,3-4, Volg.). E quando ci si sveglia: "Signore, 
apri le mie labbra” (Sal 51(50),17). 
Signore Gesù Cristo, Figlio del Dio vivente l'altissimo, “nel tuo nome 
alzerò le mie mani” (Sal 63(62),5). 
“O Dio vieni in mio aiuto” Sal 70(69),2)
III. “Le mie parole”, VIII
(Sal 5,2). “Padre nostro” (Mt 
6,9-13), “Io credo in Dio” 
(Simbolo degli apostoli). “Degnati 
oggi, Signore”. (inno “Te Deum”) 
“Tieni saldi i miei passi” (Sal 17(16),5). 
Di giorno in giorno Benedetto il Signore (Sal 68(67),20). 
“(Degnati di) dirigere e santificare, ecc” (Breviario Romano). 
Venga la tua misericordia" (Sal 119(118),20, Volg.). Salmi. "
Signore, quanti sono i miei 
avversari!” (Sal 3,2). “Pietà 
di me, o Dio” (Sal 51(50),3). “Venite, 
cantiamo (al Signore)" (Sal 95(94),1).
CAPITOLO III. COME SI CELEBRANO GLI UFFICI DIVINI E COME SI DEVE LAVORARE 
NELLE ORE NOTTURNE E DIURNE DALLE CALENDE DI OTTOBRE FINO ALLA SANTA PASQUA.
Nel mezzo della notte si recita solennemente l’Ufficio, perché sta scritto: 
"
Nel cuore della notte mi alzo a 
renderti grazie per i tuoi giusti giudizi" (Sal 119(118),62). In 
questo tempo, infatti, l’Angelo devastatore colpì i primogeniti d’Egitto. 
Quindi dobbiamo vigilare per non coinvolgerci nel rischio degli Egiziani. 
Così (dice) il Signore nel Vangelo: "
Beati quei servi che il padrone al 
suo ritorno troverà ancora svegli; …. E se, giungendo alla sera o a 
mezzanotte o al canto del gallo, li troverà così, beati loro! " 
(Lc 12,37-38;
Mc 13,35). Infatti nel Vangelo si narra che Gesù trascorse la 
notte in preghiera a Dio. Nel carcere, verso 
mezzanotte Paolo e Sila, in preghiera, cantavano inni a Dio, mentre i 
prigionieri stavano ad ascoltarli. (Cfr. At 16,25) È necessario in 
queste ore salmeggiare, pregare e frequentare i Santi Uffici. Fatto ciò, 
dobbiamo poi passare tutta la notte fino al mattino in divine preghiere. 
All’alba dobbiamo celebrare la solennità dei
Mattutini, poiché al sorgere del 
giorno il Signore e Salvatore nostro è risorto dagli inferi, ed è per questo 
motivo che sul far del giorno si prega per celebrare la resurrezione di 
Cristo. Molto tempo prima, tuttavia, il Profeta Davide la preannunziò 
dicendo: "Al mattino mediterò su di 
te, perché sei stato un mio aiuto" (Sal 63(62),6; Volg.). E altrove: "Prima 
del mattino i miei occhi si rivolsero a te" (Sal 119(118),148; Volg.). 
Ed ancora: "A te io aspiro al primo 
apparir della luce" (Sal 63(62),1). Finito l'ufficio dei Mattutini, fino 
all’ora seconda del giorno ci si impegna intensamente nel segreto, in 
solitudine e con grande impegno alle preghiere a Dio. Anche l'ufficio 
dell’Ora Prima si legge che sia stato istituito dai santi Padri, perché è lo 
stesso Davide che dice: "Al 
mattino sto davanti a te e ti vedo, perché tu sei un Dio che non vuole 
l’iniquità" (Sal 5,4 Volg.). Ed ancora: “A 
te indirizzerò la mia preghiera: o Signore, al mattino tu esaudirai la mia 
voce” (Sal 5,3 
Volg.), e molti altri. Completato l'ufficio predetto, non si 
allontani dalle tue mani la santa lettura fino all’ora terza del giorno. 
L'Ufficio di Terza sia così celebrato, poiché si legge che alla stessa ora 
lo Spirito Santo in lingue di fuoco scese sugli Apostoli nel giorno della 
santa Pentecoste, riempiendoli della grazia che Cristo aveva promesso. 
Completato l’Ufficio di Terza e fino all’ora sesta del giorno occorre 
lavorare con le proprie mani mentre si cantano divini cantici. L'ufficio 
dell’Ora Sesta è così celebrato poiché alla sesta ora Cristo era sofferente. 
Al termine dell’Ufficio dell’Ora Sesta, di nuovo come sopra, insieme con la 
divina meditazione ci si affretti ad esercitare con le proprie mani un 
qualunque lavoro fino all'Ora Nona: e tuttavia, durante l'esercizio del 
lavoro della mente e del corpo, ci si impegni frequentemente alla preghiera; 
perché, come disse Agostino, "Il 
Servo di Dio, mentre lavora con le mani, deve salmeggiare nel nome del 
Signore" (Agostino, Il lavoro dei 
monaci 17; Esposizione sui Salmi, 
Salmo 91, 3). La sopraddetta frequente preghiera deve essere intensissima e 
pura, non con tante parole, ma con purezza di cuore e nella compunzione del 
pianto. L’Ufficio di Nona è stato così istituito dai santi Padri poiché 
nella stessa ora, secondo l'autorità evangelica, il Signore
Gesù emise il suo spirito (Mt 
27,50). Anche Daniele ed i tre fanciulli, come si legge nelle divine 
Scritture, offrirono le loro suppliche all’ora terza, sesta e nona (Dan 14). 
E queste tre ore ci dimostrano la riverenza verso la Trinità. Dopo l’Ora 
Nona si devono celebrare le solennità della messa. Dopo di questa, si tenga 
in mano con compunzione di cuore la “lectio 
divina” fino all’Ufficio del Vespro. L’Ufficio del Vespro è anche una 
solenne celebrazione dell'antico Testamento: poiché in quel tempo antico 
c’era la consuetudine di offrire i sacrifici e di bruciare offerte 
sull’Altare con aromi ed incensi, come dice Davide: "La 
mia preghiera stia davanti a te come incenso, le mie mani alzate come 
sacrificio della sera" (Sal 141(140),2). Nel nuovo Testamento in 
quel tempo il Signore e nostro Salvatore offrì agli Apostoli che cenavano 
con lui il Mistero del suo corpo e del sangue, per mostrare al mondo il 
momento stesso del Sacrificio vespertino (Cfr. Mt 26,27-29; e altri). Di 
conseguenza, in onore e memoria di così grandi Sacramenti ci conviene in 
questi tempi stare al cospetto di Dio e celebrare il suo culto, offrendo la 
nostra preghiera al suo Sacrificio e nello stesso tempo esultando nelle sue 
lodi. Terminato l’Ufficio vespertino, dopo aver detto un inno di 
ringraziamento, possiamo ricevere il cibo serale di scarso valore per il 
sostentamento del corpo, come ha detto tra l'altro il Beato Girolamo al 
Presbitero Paolino: "Il tuo cibo sia 
di scarso valore e preso sulla sera, cioè erbaggi e legumi; qualche volta 
prendi alcuni pesciolini e stimali come somma delizia" (Girolamo,
Epistola 58
a Paolino). Sia inoltre il tuo 
pasto a tavola riferito ai cibi per l'anima e il corpo, cioè, da un lato sia 
aperto il codice (di lettura) e dall’altra il pane: affinché la tua anima si 
sazi del verbo divino mentre il tuo corpo sazia del cibo umano. Perché, come 
sta scritto: "Non di solo pane vivrà 
l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio" (Mt 4,4; Dt 8,3). 
E quando ci si alza da tavola si compiano azioni di grazia davanti 
all’altare di Cristo. Dopo di ciò si tenga di nuovo in mano la santa lettura 
fino al termine della luce del giorno. Mentre è ancora giorno si celebri 
Compieta. Anche l’Ufficio di Compieta è stato istituito dall'autorità 
divina, dato che il Profeta Davide dice: "Non 
entrerò nella tenda in cui abito, non mi stenderò sul letto del mio riposo, 
non concederò sonno ai miei occhi né riposo alle mie palpebre, finché non 
avrò trovato un luogo per il Signore, una dimora per il Potente di Giacobbe" 
(Sal 132(131),3-5), ecc. Dopo Compieta venga concesso riposo al corpo. 
Rifletti anche su ciò che è scritto nel Cantico dei Cantici: "
Sul mio letto, lungo la notte, ho 
cercato l’amore dell’anima mia " (Ct 3,1). Per trovare (questo amore) 
che desideri e per affrettarti a raggiungerlo nella reggia celeste, ogni 
notte lava il tuo letto col pianto, irriga di lacrime il tuo giaciglio (Cfr. 
Sal 6,7). Veglia, e sii come il passero nel deserto (Cfr. Sal 102(101),8), 
dicendo al Signore tuo Dio: "Di notte 
anela a te l’anima mia, o Dio, perché i tuoi giudizi sono luce sulla terra” 
(Is 26,9; Vulg.). Come dice il beato Girolamo: "
Ogni notte alzati fino tre volte, per 
rimeditare i testi della Scrittura che sai a memoria" (Girolamo,
Lettera 22 a Eustochio, 37). Il 
tuo stesso sonno sia una preghiera, così che il tuo gesto dica: "
Mi sono addormentata, ma veglia il 
mio cuore" (Ct 5,2).
CAPITOLO IV. IL DIGIUNO.
San Girolamo: "Ebbene, digiuna, ma in 
modo di reprimere l'appetito e non rallentare la tua attività nella lettura, 
nel canto dei Salmi e nelle veglie” (Girolamo,
Lettera 130 a Demetriade, 11). “Parimenti 
ai digiuni di tre giorni si preferisca (l’assumere) poco cibo ed avere il 
ventre sempre famelico” (Girolamo,
Lettera X a Furia). Il vescovo 
Agostino: "Diciamo che il digiuno 
significa tutta la mortificazione del corpo" (Agostino,
La perfezione della giustizia 
dell’uomo, 8). Non bisogna digiunare solo dal desiderio dei cibi, ma da 
ogni motivo di gioia dei piaceri temporali.
CAPITOLO V. LA QUOTIDIANA REFEZIONE.
Dalla santa Pasqua a Pentecoste, come dice san Benedetto, occorre pranzare 
alla sesta ora e cenare alla sera. Di questi giorni così dice san Isidoro 
nel Libro degli Uffici Divini: "Dopo 
Pasqua e fino a Pentecoste, anche se la tradizione Ecclesiastica ha 
affievolito il rigore dall’astinenza dal pranzo, tuttavia, se dei monaci o 
delle monache desiderano digiunare, non si deve loro proibirlo: poiché 
leggiamo che sia Antonio, che Paolo e gli altri antichi Padri, anche in 
questi giorni nell’eremo si astenevano (dal mangiare) e si astenevano 
dall’astinenza solo la domenica" (Isidoro,
Libro degli Uffici Divini L. I, 
cap.43). "Dalla 
Pentecoste fino alle Calende di ottobre, nella quarta e nella sesta feria 
(mercoledì e venerdì), proprio come disse santo Apollonio,
non si è dispensati dal digiuno. Ma 
il giorno di sabato sia consacrato agli Apostoli ed ai santi Padri" 
(Citazione sconosciuta). Il lunedì, il martedì ed il giovedì, se così piace, 
si pranza alla sesta ora. Altrimenti si protrae fino alla nona ora. Dalle 
Calende di ottobre e fino a Pasqua, eccetto i giorni di festa, la refezione 
venga ritardata sino a sera.
CAPITOLO VI. LA MISURA DEL CIBO.
San Fruttuoso: "(I monaci) vivano 
solo con verdure e legumi, e raramente con pesce di fiume o di mare" 
(Fruttuoso, Regola per i monaci, 
cap. 5). Il vescovo Isidoro: "Durante 
tutta la settimana, i fratelli si nutrano di alimenti poveri, cioè verdure e 
legumi secchi" (Isidoro, 
Regola per i monaci, cap. 10(9)). Il vescovo Basilio: "
Tuttavia ci si deve in ogni modo 
servire di quei cibi che si possono comprare facilmente e a minor prezzo" 
(Basilio, Regola per i monaci, 
Questione 9,24). Ed ancora: "
Se dunque vi è qualche cosa che può 
soddisfare più presto e più facilmente questa necessità del corpo in fatto 
di cibi, quella è da scegliere a differenza di altre " (Basilio,
Regola per i monaci, Questione 
9,16). Il santo Benedetto dice: " 
Riteniamo che per il pranzo quotidiano, sia quando è unico, sia quando si 
pranza e si cena, devono bastare una libbra di pane e due pietanze cotte e, 
se ci sarà la possibilità di procurarsi della frutta o dei legumi freschi, 
se ne aggiunga una terza" (Benedetto,
Regola per i monaci, cap. 39). 
Girolamo al presbitero Paolino dice: "
Il tuo cibo sia ordinario e preso sul 
far della sera, cioè erbaggi e legumi; prendendo qualche volta alcuni 
pesciolini stimali come somma delizia. Chi desidera Cristo e si pasce del 
suo pane non cerca cibi raffinati che produrranno solo feci" (Girolamo,
Lettera 15 (o 53 ?) a Paolino). 
Di nuovo Girolamo ad Eustochio: "Mangia 
con moderazione e non portare mai a sazietà lo stomaco. Molti, infatti, 
sobri nell'uso del vino, diventano come ubriachi per l'intemperanza nel 
mangiare. La notte, quando ti alzi a pregare, non ti venga il singhiozzo per 
l'indigestione, ma per lo stomaco vuoto. Digiuno quotidiano: mai cibo a 
sazietà. È inutile avere lo stomaco vuoto per un digiuno di due o tre 
giorni, se nello stesso tempo (per compensare la lunga astinenza) lo si 
rimpinza" (Girolamo, Lettera 22 
ad Eustochio, cap. 17). Il vescovo Ambrogio: "Non 
fornire a te stesso la sazietà del ventre e non saziarti del sonno notturno. 
In questo modo porrai fine alle cose mondane e lo Spirito del Signore 
scenderà su di te" (Ambrogio, 
Trattato sulla Trinità, ?: 
Sentenze di Evagrio monaco, 
?).
CAPITOLO VII. DELLA MISURA DELLA BEVANDA.
San Benedetto dice: " A tutti possa 
bastare un quarto di vino a testa al giorno. Quanto ai fratelli che hanno 
ricevuto da Dio la forza di astenersene completamente, sappiano che ne 
riceveranno una particolare ricompensa. Mettiamoci almeno d'accordo sulla 
necessità di non bere fino alla sazietà, ma più moderatamente, perché il 
vino fa apostatare anche i saggi". (Benedetto,
Regola per i monaci, cap. 40). 
Girolamo: "
Il vino e la giovinezza sono un 
doppio incendio di voluttà. Perché aggiungere olio alla fiamma? Perché 
alimentare il fuoco a questo piccolo corpo che arde?" (Girolamo,
Lettera 22 ad Eustochio). Paolo a 
Timoteo: "Non 
bere soltanto acqua, ma bevi un po’ di vino, a causa dello stomaco e dei 
tuoi frequenti disturbi" (1 Tm 5,23). Guardate in quali casi è 
ammessa la porzione di vino, per rimediare al dolore di stomaco ed ai 
frequenti disturbi e, forse per non farci attrarre dalle infermità, precisa 
che deve essere assunto in modica quantità, secondo il consiglio di un 
medico piuttosto che dell’Apostolo. Poiché lo stesso Apostolo altrove ha 
detto di ricordarsi che: "
Il vino fa perdere il controllo di sé 
" (Ef 5,18). Ed (anche) "
Perciò è bene non mangiare carne né 
bere vino " (Rm 14,21). Il Vescovo Ambrogio: "Non 
ti rallegri il vino e neppure ti seducano le carni, per non nutrire (solo) 
di carne il tuo corpo e per tenere lontani da te i turpi pensieri" (Sentenze 
di Evagrio, ?). Non dire: "Oggi è 
festa e bevo vino, domani è la Pentecoste e mangerò carne" perché non 
c’è festa tra i monaci sulla terra, né occorre riempire il tuo stomaco. Dà 
il vino agli anziani ed il cibo agli ammalati, perché le carni logorano la 
tua gioventù. Il Vescovo Atanasio: "Fuggi 
la carne ed il vino, che sono come stimoli alle passioni ed incitamenti alla 
libidine" (Citazione sconosciuta).
CAPITOLO VIII. IL SILENZIO.
Al momento della preghiera bisogna, secondo l'autorità dei Santi Padri 
Cattolici, cessare la conversazione umana e la lettura, a meno che non si è 
costretti a rinunciare per l’arrivo di ospiti: nelle restanti ore destinate 
all’esercizio del lavoro manuale, nel caso i tuoi aiutanti e tu stesso 
aveste bisogno (di parlare), con una breve vicendevole conversazione la 
faccenda deve concludersi: perché, secondo la testimonianza del Profeta 
Geremia: " È bene per l’uomo portare 
un giogo nella sua giovinezza. Sieda costui solitario e resti in silenzio 
" (Lam 3,27-28). Quando incombe la necessità di parlare, l'autorità del 
Santo Padre ti comanda di dire per tre volte: "
Signore, apri le mie labbra e la mia 
bocca proclami la tua lode " (Sal 51(50),17. Dopo aver detto ciò, porgi 
subito la risposta prontamente, con grande rapidità e con il fervore della 
carità. Parla con moderazione e senza risate, umilmente e con poche e 
ragionevoli parole, perché sta scritto: "
Nel molto parlare non manca la colpa 
" (Pr 10,19). Quando qualcuno bussa alla tua porta, secondo l'autorità di 
san Benedetto, tu rispondi: "Deo 
gratias". E subito, liberate le mani e lasciato incompiuto ogni lavoro, 
rispondi prontamente e con rapidità nel timore di Dio. Se dei cattivi 
pensieri giungono al tuo cuore, secondo l'autorità di san Benedetto dì col 
cuore e con la bocca: " 
Sarò senza macchia dinanzi a lui, solo se mi guarderò da ogni malizia 
" (Benedetto, Regola per i monaci, 
cap. 7,18; Sal 
19(18),14). Se ti colgono uno sciocco piacere ed una risata, ricorda 
quel precetto Domenicale: " Guai a 
voi, che ora ridete, perché … piangerete ". E per contro: "
Beati voi, che ora piangete 
" (Lc 6,21:25). E 
l'Apostolo: "
Riconoscete la vostra miseria, fate 
lutto e piangete; le vostre risa si cambino in lutto e la vostra allegria in 
tristezza " (Gc 
4,9). E Salomone: "
Del riso ho detto: «Follia!» 
" (Qo 2,2). Ed 
ancora: " Guai a voi che ridete,
lo stolto alza la sua voce 
quando ride, ma l’uomo saggio sorride appena sommessamente"
(Sir 21,20). Infatti, 
si legge che il Signore e Salvatore nostro abbia pianto Lazzaro al suo 
sepolcro ed in un altro luogo abbia visto la città ed abbia pianto su di 
essa, dicendo: "
Se avessi compreso anche tu 
" (Lc 19,42). 
Inoltre, in nessuna circostanza, per quanto riguarda l'autorità del Vangelo, 
si ritrova la consuetudine del ridere (smodatamente).
CAPITOLO IX. DELLA PREGHIERA.
San Cipriano:" 
Dio ci ha insegnato a 
pregare non soltanto a parole, ma anche con i fatti, pregando e supplicando 
egli stesso frequentemente e dimostrando con la testimonianza del suo 
esempio che cosa dobbiamo fare anche noi, come sta scritto: Egli poi si 
ritirò in luoghi deserti e pregò” 
(cfr. Lc 5, 16); 
ed ancora: “Salì sul monte a pregare, e passò la notte nella preghiera a 
Dio” (cfr. Lc 6, 12). Se pregava 
Lui, che era senza peccato, quanto è più necessario che noi peccatori 
preghiamo, e se Lui vegliando ininterrottamente per tutta la notte pregava 
con orazioni continue, quanto più frequentemente noi dobbiamo vegliare e 
pregare tutta la notte! " 
(Cipriano, 
Il Padre Nostro, 
29). 
Il vescovo Giovanni (Crisostomo): "La 
preghiera della Chiesa sciolse le catene a Pietro (Cfr. At 12,5-7),
ed aumentò a Paolo la fiducia nella 
predicazione. L’orazione estinse la fornace di fuoco, chiuse la bocca ai 
leoni, la preghiera domò la ribellione, la preghiera aprì (le porte del) 
paradiso, la preghiera ripristinò i confini del cielo, l’orazione fecondò la 
sterile, l’orazione di Cornelio salì al cielo, la preghiera giustificò il 
pubblicano" (Giovanni Crisostomo, 
Omelia 27 ?; Elogio della 
concezione di san Giovanni Battista ?). Il vescovo Isidoro: "Questo 
è il rimedio per colui che arde per gli stimoli dei vizi: ogni volta venga 
toccato da un vizio di qualunque tipo, si sottometta altrettante volte alla 
preghiera, poiché l’orazione frequente estingue l’assalto dei vizi" 
(Isidoro, 
Sentenze
L. 3, cap. 7). San 
Benedetto: " Bisogna inoltre sapere 
che non saremo esauditi per le nostre parole, ma per la purezza del cuore e 
la compunzione che strappa le lacrime. Perciò la preghiera dev'essere breve 
e pura, a meno che non venga prolungata dall'ardore e dall'ispirazione della 
grazia divina" (Benedetto, Regola 
per i monaci, cap 20,3-4). Vescovo Atanasio: "Quando 
desideri celebrare una preghiera, presenta te stesso come se stessi per 
parlare con il Signore. Accetta di parlare con il Salmo con colui col quale 
vuoi parlare e gioisci di più per la compunzione d’animo, piuttosto che per 
la dolcezza di una limpida voce. Dio approva di più le lacrime di chi 
salmeggia rispetto alla voce. Credi che Dio osserva tutte le tue opere e 
tutti i tuoi pensieri; e fai attenzione ad evitare di essere indegno agli 
occhi divini nelle opere e nei pensieri" (Atanasio,
Esortazione ad una sposa di Cristo, 
18).
CAPITOLO X. L’IMPEGNO NELLA LETTURA.
San Cesario Vescovo: "Dalle divine 
fonti delle Scritture sgorga continuamente acqua di salvezza dell’anima, 
della quale acqua il Signore dice: " (Beva) chi crede in me. (Come 
dice la Scrittura): Dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva "
(Gv 7,38). L’anima santa si 
sforzi di ornarsi di continuo anche dei fiori del paradiso, cioè dei 
pensieri delle sante Scritture " (Cesario,
Regola per i monaci, ?). Il 
vescovo Atanasio: "Amate il banchetto 
delle divine letture, aspirate a saziarvi di cibi spirituali e cercate 
preferibilmente quei cibi di cui si nutre di più l'anima che il corpo" 
(Atanasio, Esortazione ad una sposa 
di Cristo). 
Il presbitero Girolamo: “Leggi 
spesso, impara il più possibile, il sonno ti sorprenda mentre tieni in mano 
un codice ed una santa pagina sostenga il volto che sta reclinando" 
(Girolamo, Epistola 22). Quando 
apri il codice, prima di iniziare a leggere, è opportuno che tu dica per tre 
volte quel versetto dei Salmi, secondo l'autorità del padre Davide: "Signore, 
apri le mie labbra, e la mia bocca annunzierà la tua lode," (Sal 
51(50),17). E: " 
Dammi intelligenza, perché 
io custodisca la tua legge e la osservi con tutto il cuore" (Sal 
119(118),34). E poi può iniziare la lettura con compunzione di cuore. Dopo 
aver completato la lettura, occorre che tu dica: "
Ti loderò con cuore sincero, Signore, 
quando avrò appreso i tuoi giusti giudizi. 
Sgorghi dalle mie labbra la tua lode, perché ho scelto i tuoi precetti " 
(Sal 119(118),7;171;173). Se ti turberà una qualche tentazione di uomini 
malvagi o anche di spiriti immondi, secondo l'autorità del signore vescovo 
Agostino dì con la bocca ed il cuore: "
Il Signore è per me, non avrò timore: 
che cosa potrà farmi un uomo? Il Signore è per me, è il mio aiuto, e io 
guarderò dall’alto i miei nemici" (Sal 118(117),6-7).
CAPITOLO XI. DELLE OPERE DELLE MANI.
Sant'Isidoro vescovo: " Il servo di 
Dio lavori sempre con le sue mani, in modo che si applichi ad ogni mestiere 
artigianale e ad ogni lavoro, seguendo l'Apostolo che dice: "Né abbiamo 
mangiato gratuitamente il pane di alcuno, ma abbiamo lavorato duramente, 
notte e giorno". Ed ancora: "Chi 
non vuole lavorare, neppure mangi" (Cfr. 2 Ts 3, 8.10).
Infatti, con l'ozio, passioni e 
pensieri cattivi trovano il loro cibo e crescono, mentre i vizi scompaiono 
completamente con l'esercizio del lavoro. In nessun modo il monaco deve 
disdegnare di eseguire un qualunque lavoro necessario alle esigenze del 
monastero. In effetti, i patriarchi pascolarono le greggi, i filosofi pagani 
furono calzolai e sarti ed il giusto Giuseppe, la cui sposa era la vergine 
Maria, fu un fabbro ferraio. E così anche Pietro, principe degli apostoli, 
fece il mestiere di pescatore e tutti gli apostoli facevano un lavoro 
materiale con il quale sostenevano il corpo. Il servo di Cristo deve 
lavorare con le mani per avere sempre la lode di Dio sulla bocca e con la 
lingua offrire salmi ed inni. È quindi necessario lavorare con il corpo, ma 
con l'intenzione dell'animo fissata in Dio, ed impegnare le mani nel lavoro 
in modo che lo spirito non si allontani da Dio" (Isidoro,
Regola per i monaci, cap. 6(5)). 
Il vescovo Agostino: " Quanto al 
cantare i canti divini, può esser fatto - e con facilità - anche mentre si 
lavora con le mani. Anzi, è bello rallegrare così il lavoro quasi col ritmo 
di una celestiale cadenza. Chi dunque può proibire al servo di Dio che, 
mentre lavora con le mani, mediti la legge del Signore e canti salmi a 
gloria del nome del Dio altissimo?” (Agostino,
Il lavoro dei monaci, 17,20). Il 
presbitero Cassiano: "Come i servi di 
Dio devono sottrarre al riposo una parte del tempo, così allo stesso modo 
devono esercitare le virtù dell’anima ed i compiti dell’uomo esteriore, per 
non porre fine alla meditazione spirituale”
(Citazione 
sconosciuta). Il vescovo Ambrogio: "
L’Apostolo Paolo dal mattino fino al 
pasto della quinta ora lavorava con le mani: e poi discuteva pubblicamente 
fino alla decima ora" (Ambrogio, 
Commento alla seconda lettera ai Corinzi). Girolamo a Rustico: "
Attendi a qualche lavoro manuale, 
perché il diavolo ti trovi sempre occupato. Se gli Apostoli di Cristo, che 
avevano diritto di vivere del vangelo (cfr. 1 Ts 2,9), lavoravano con le 
loro mani per non essere di peso a nessuno, e anzi, porgevano ristoro agli 
altri dai quali, in cambio dei beni spirituali, avevano diritto di cogliere 
i beni materiali " (Girolamo, 
Lettera a Rustico, 11). San Benedetto: "perché 
i monaci sono veramente tali, quando vivono del lavoro delle proprie mani 
come i nostri padri e gli Apostoli" (Benedetto,
Regola per i monaci, 48,8). 
Quando ti è necessario esercitare il lavoro corporale delle mani, prima di 
iniziare secondo l'autorità di San Benedetto e Cassiano dì per tre volte: "
O Dio, vieni a salvarmi, Signore, 
vieni presto in mio aiuto (Sal 70(69),2)., 
aggiungendo il Gloria al Padre", e poi, fatto il segno della croce, 
inizia il Padre Nostro. Così, infatti, dice San Girolamo: "
Ad ogni azione, e ogni volta che ti 
metti per strada, fatti il segno della croce " (Girolamo,
Epistola 22). Dopo aver recitato 
il versetto: "Dio, vieni in mio aiuto", 
lo stesso Cassiano nella decima Collazione lo celebra con grande lode, 
affermando che è consigliabile e moltissimo utile, dicendo che è di aiuto 
sia in ogni utilità umana, che contro il nemico invisibile (Cassiano,
Collazione 10, cap.10). Terminato 
il lavoro, secondo l'autorità di san Benedetto si dice per tre volte davanti 
all’altare di Cristo: "
Sii Benedetto, Signore Dio, che mi 
hai aiutato e mi hai consolato " (Benedetto,
Regola per i monaci, cap. 35,16: 
Cfr. Sal 86(85),17).
CAPITOLO XII. LA MEDIOCRITA’ DEGLI INDUMENTI.
Sia anche di tuo gradimento la mediocrità e la spregevolezza degli 
indumenti, secondo gli esempi di molti dei santi Padri. San Gregorio papa: "Nessuno 
stimi che non vi sia peccato nella ricercatezza e nella dissolutezza delle 
vesti poiché, se ciò non fosse una colpa, per nessun motivo il Signore 
avrebbe lodato Giovanni per la ruvidezza del suo abbigliamento. Se il culto 
delle vesti non fosse una colpa, mai l'apostolo Pietro nella lettera avrebbe 
frenato le donne dal desiderio delle vesti preziose dicendo: "Non con vesti 
sontuose" (Cfr. 1 Pt 3,3; 1 
Tm 2,9). Dobbiamo considerare seriamente che il desiderio di vesti 
lussuose, dal quale il pastore della Chiesa si preoccupava di allontanare le 
donne, è anche una colpa per gli uomini"(Gregorio Papa,
Omelia sui Vangeli,
Libro I,
Omelia 6,3). Si legge, infatti, 
nei Sacri Canoni del Concilio Cartaginese, che il chierico non deve cercare 
l’eleganza né dei vestiti né delle calzature. Il santo Girolamo così dice: "
la tunica grossolana attesti il tuo 
disprezzo per il mondo " (Girolamo,
Lettera 125 a Rustico, cap. 7). 
San Benedetto così dice, a proposito del colore o della qualità da conferire 
agli abiti: "
i monaci non devono attribuirvi 
eccessiva importanza, accontentandosi di quello che si può trovare sul posto 
ed è più a buon mercato " (Benedetto,
Regola per i monaci, cap. 55,7). 
Cassiano inoltre (dice) così: "
Per quanto riguarda la veste del 
monaco, è sufficiente che copra il corpo, rimuova la vergogna della nudità e 
prevenga la sofferenza del freddo, ma non deve nutrire i semi della vanità e 
dell'orgoglio " (Cassiano, 
Istituzioni Cenobitiche, Libro 1, 
cap.3). Anche San Cesario ci ammonisce di ciò dicendo: "Non 
desiderate possedere coperte 
eleganti o copriletti ricamati, e neanche
stoffe decorate o 
altre cose simili preparate con spesa enorme ed inutili per la lussuria 
degli occhi " (Cesario, Regola 
per le monache, cap. 41 e 42). San Basilio: "
Chi vuole condurre una vita devota e 
pia ricerchi sempre le vesti semplici e di poco pregio, cioè quelle che si 
acquistano con poca spesa.
Per le calzature si 
osserverà pure il medesimo criterio: che, cioè, si scelga quanto vi è di più 
semplice, di più disponibile " (Basilio,
Regola per i monaci, Questione 
11). Pacomio così (dice): "
Il vostro abbigliamento non attiri 
l'attenzione e non aspirate ad essere graditi per i vestiti, ma per il 
vostro modo di vivere " (Pacomio, 
Regola di Pacomio, ?: Regola del 
monastero Tarnantense, cap. 17) . Isidoro così dice: "
(Il monaco) deve abbandonare 
l'eleganza delle vesti e l'ornamento degli indumenti. Il servo di Dio ha 
bisogno di protezione, non di delicatezza " (Isidoro,
Regola per i monaci, cap 13(12). 
E riguardo ai vestiti che non devono essere superflui, ascolta il beato 
Benedetto che dice: "
a ogni monaco bastano due cocolle e 
due tonache"(Benedetto, 
Regola per i monaci, cap. 55,10). E san Basilio su questo argomento così 
si pronuncia, dicendo:"
Riguardo al numero dei vestiti non 
possiamo dire nulla, poiché è prescritto con chiara precisione, là dove si 
dice: Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non l'ha. Da ciò risulta 
certamente illecito avere più abiti. Dunque si può prescrivere qualche norma 
riguardo alla diversità degli abiti per chi non può possedere due tuniche? 
" (Basilio, Regola per i monaci, 
Questione 11, Par. 42-44).
CAPITOLO XIII. L’OSPITALITA’.
Cerca davvero di soddisfare l’ospitalità a seconda delle tue capacità, 
sorretto dai molti esempi dei Padri, per l’amore di Colui che nel giorno del 
giudizio dirà: "Ero straniero e mi 
avete accolto" (Mt 25,35), e "
tutto quello che avete fatto a uno 
solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me " 
(Mt 25,40). Onde anche Paolo lo dice: "
L’amore fraterno resti saldo. Non 
dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto 
degli angeli " (Eb 13,1-2). Quindi Pietro dice: "
Praticate l’ospitalità gli uni verso 
gli altri, senza mormorare " (1 Pt 4,9). Il beato papa Gregorio 
inoltre (dice): " Amiamo dunque 
l’ospitalità, fratelli carissimi; amiamo praticare la carità " (Gregorio 
papa, Omelia 23). Inoltre, san 
Fruttuoso martire diceva così: "
Con la più grande devozione di amore 
e di servizio occorre prestare le attenzioni ai fratelli che sono ospiti o 
viaggiatori e la sera si lavino i loro piedi; se sono stanchi di un viaggio, 
siano unti con olio. Si forniscano loro letti, lampade e materassi morbidi 
e, quando se ne vanno, si riforniscano del necessario, a seconda dei mezzi 
del monastero" (Fruttuoso, 
Regola per i monaci, cap. 10(9)). Agli ospiti sono persino da lavare i 
piedi e, fatto ciò, secondo l'autorità di san Beenedetto si deve dire: "
Abbiamo ricevuto la tua misericordia, 
o Dio, nel mezzo del tuo Tempio ". “Agli 
ospiti in arrivo o in partenza”, come dice san Benedetto, "con 
il capo chino o il corpo prostrato a terra, si adori in loro lo stesso 
Cristo, che così viene accolto nella comunità. Dopo questo primo 
ricevimento, gli ospiti siano condotti a pregare. Dopo l'orazione gli si 
offra un bacio (di pace) e si legga all'ospite un passo della sacra 
Scrittura, per sua edificazione, e poi gli si usino tutte le attenzioni che 
può ispirare un senso di umanità" (Benedetto,
Regola per i monaci, cap 53).
CAPITOLO XIV. LA GLORIA UMANA.
Il Signore e Redentore nostro, nel suo Vangelo ci ricorda il detto: "
State attenti a non praticare la 
vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro 
" (Mt 6,1), e cioè, fate bene attenzione a non ricevere vane lodi dagli 
uomini. Ma qualunque cosa buona faccia il Cristiano, la faccia desiderando 
di ottenere il regno celeste ed eserciti la carità fraterna per amore di 
Cristo e per la salvezza della sua anima. Coloro che fanno l’elemosina o le 
preghiere ed i digiuni, per ricevere la lode umana, senza dubbio si privano 
della bontà eterna. Di questi infatti, che quindi compiono buone cose per 
ricevere in questo secolo la lode dagli uomini, dice il Redentore del mondo: 
"In verità io vi dico: hanno già 
ricevuto la loro ricompensa" (Mt 6,2). “Quando 
per una azione retta”, 
come dice il santo Papa Gregorio, "
si cerca una lode passeggera, si 
vende a poco prezzo una cosa degna di un compenso eterno” (Gregorio 
papa, Regola Pastorale, cap. 35). 
“Il servo di Dio deve cercare con 
ogni sforzo di fare in modo che le cose buone che ha fatto vadano in lode di 
Dio, da cui ha ricevuto i beni, non in sua lode" (Gregorio papa,
?). Come dice il Signore nel Vangelo: "
Così risplenda la vostra luce davanti 
agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre 
vostro che è nei cieli" (Mt 5,16). E l'Apostolo: "Chi 
si vanta, si vanti nel Signore" (2 Cor 10,17). Ed il Salmista: "Non 
a noi, Signore, non a noi, ma al tuo nome da’ gloria" (Sal 115(113B),1).
CAPITOLO XV. LA PERSEVERANZA NELLE BUONE OPERE.
La virtù delle buone opere è la perseveranza, come dice il Signore nostro 
Dio: "
Ma chi avrà perseverato fino alla 
fine sarà salvato " (Mt 24,13). Ascolta perché non disse: "Chi 
avrà bene iniziato", ma "chi avrà 
perseverato nel bene sarà salvato". La virtù non sta nell’iniziare 
(l’opera) buona, ma nel perseverare nel bene. Ci sono, infatti, coloro che 
bene iniziano, ma terminano male la propria conversione, come Giuda, prima 
apostolo e più tardi traditore del Signore. Al contrario ci sono coloro che 
iniziano male, ma finiscono bene, come Paolo che prima era un persecutore e 
poi un predicatore; prima ladro, più tardi fedele amministratore; prima 
lupo, in seguito agnello. Il servo di Dio, quando inizia a compiere una 
buona azione, deve assolutamente chiedere a Dio con pressante orazione che 
la conduca a termine: in modo che anche Colui che abbiamo conosciuto - 
grazie al dono della sua indicibile misericordia - ci conceda con la sua 
solita pietà di desiderare e portare a termine (le buone opere). E così, noi 
che non valiamo per i nostri meriti, grazie alle preghiere dei suoi Santi 
che gli piacquero fin dall’inizio, meritiamo di ottenere ogni tipo di 
perseveranza nelle buone opere. E ciò grazie a Lui che è l'alfa e l'omega, 
il principio e la fine, Gesù Cristo nostro Signore, che con l'eterno Padre e 
con lo Spirito santo vive e regna in eterno e per sempre. Amen.
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