Grimlaico: Regola dei solitari
	Introduzione
	
	
	Scott 
	G. Bruce
	Parziale recensione del libro 
	di Thornton, Andrew, OSB, “Grimlaicus: 
	Rule for Solitaries”, Cistercian Studies Series. Colligeville, MN: 
	Liturgical Press, 2011: 
	estratta da “The Medieval Review”, Indiana University, 20 Nov. 2011
	La maggior parte degli europei 
	occidentali del tardo Impero Romano non incontrò di persona i grandi asceti 
	dell'Egitto e della Siria. Come gli agenti imperiali di Treviri
	
	
	[1] che si 
	convertirono ad una vita di religione nel 381 dopo aver letto la traduzione 
	latina di Evagrio di Antiochia della Vita di Antonio 
	(composta da Atanasio di Alessandria) 
	
	
	[2], così essi si 
	basavano principalmente su immagini raffiguranti il carattere dell'ascetismo 
	cristiano piuttosto che su un coinvolgimento in prima persona con i suoi 
	praticanti. Queste immagini di espressione monastica - sotto forma di 
	lettere di aspiranti asceti come Girolamo, raccolte di detti pronunciati da 
	santi uomini e donne, regole di condotta scritte per la loro fiorente 
	koinonia, ed i primi esempi di agiografia cristiana - estrapolarono il 
	disordinato panorama religioso del Mediterraneo orientale in un semplice 
	principio: i monaci devono vivere insieme in comunità, in obbedienza ad una 
	regola e ad un abate. Nel VI secolo, solo una manciata di virtuosi ascetici 
	che “erano stati lungamente provati nel monastero, dove con l'aiuto di molti 
	avevano imparato a respingere le insidie del demonio" (Regola 
	Benedetto, RB, 1,4) praticavano l'arte di vivere da soli nell'Europa 
	occidentale. Intrisa di tentazioni del corpo e della mente, la vocazione 
	dell'anacoreta o dell'eremita non era adatta agli spensierati od a coloro 
	che erano mal preparati, ma le ricompense di questa vocazione erano 
	commisurate ai suoi rischi. Nelle parole dell'abate Pietro il Venerabile, 
	scrivendo ad un recluso cluniacense nel 1120, gli stretti confini della 
	cella dell'eremita gli procurano "la vastità del cielo". [Lettera 
	20 a Gisleberto] In realtà, la pratica ascetica altomedievale era molto più 
	ampia e molto più complicata della semplice dicotomia tra monaci di clausura 
	e reclusi non di clausura. Nella Regola dei Solitari (regula 
	solitariorum), un sedicente inclusus (letteralmente, "un 
	rinchiuso") di nome Grimlaico fornisce un modello di ritiro, ascetico 
	all'interno dei confini di un monastero, che sposa i principi della 
	Regola di Benedetto con gli ideali di abbandono della propria comunità, 
	che tradizionalmente hanno caratterizzato la vocazione eremitica.
	Poco si sa di Grimlaico e del 
	suo contesto storico, ma studiosi risalenti a Mabillon (Acta Sanctorum Ordinis S. Benedicti, 1783) sono riusciti a 
	raccogliere solo poche prove che lo collocano intorno all'anno 900 nella 
	diocesi di Metz (Lorena, Francia) con possibili collegamenti con l'abbazia 
	di Gorze. Questo è plausibile e non vale la pena contestarlo senza la 
	scoperta di nuove informazioni. La sua Regola dei solitari è meno una 
	composizione originale e più un lavoro di compilazione che attinge molto 
	dalla RB del VI secolo ed, in misura minore, dal Liber scintillarum 
	(Libro delle scintille) del monaco Defensore di Ligugé, una 
	raccolta popolare di detti della Bibbia e dei Padri della Chiesa compilata 
	nel VII o VIII secolo
	
	
	[3]. L'obiettivo del lavoro di 
	Grimlaico è quello di presentare un manuale per coloro che desiderano vivere 
	in isolamento tra le mura di una clausura monastica. Non fu un'impresa da 
	poco: «Coloro che vivono nella vita contemplativa hanno già rinunciato ai 
	loro beni per l'uso dei poveri, continuano a spogliarsi del mondo e con 
	tutte le loro forze si ritirano in cielo» (Regula 
	solitariorum, RS. 10). Dopo un periodo di prova della durata di due anni 
	e con l’approvazione di un vescovo o di un abate, il solitario - che fosse o 
	meno già monaco della comunità - si ritirava in una cella speciale 
	all'interno del recinto monastico. La descrizione di questa cella suggerisce 
	che abbia un piccolo oratorio attiguo alla chiesa, se il recluso è 
	sacerdote, ed un giardino che gli permetterà di piantare e raccogliere 
	verdure e prendere una boccata d'aria fresca. Ci si aspetta che il recluso 
	abbia dei discepoli che si occupino dei suoi bisogni. Questi devono vivere 
	in piccole abitazioni attigue alla sua cella. Questa sistemazione sembra più 
	normale che non avere più solitari che vivono in diverse celle adiacenti 
	nella stessa comunità monastica. Grimlaico presenta un quadro di intensa 
	verifica e competizione tra di loro: "Siamo tutti tenuti, quindi, a 
	esaminare e scrutare ogni giorno le azioni dell'altro per vedere chi di noi 
	è più desideroso di compiere l'opera di Dio, chi è più fervente nella 
	preghiera , più attento nella lettura, più puro nella castità, più profuso 
	nel pianto, più decoroso nel corpo, più sincero nel cuore; chi è più gentile 
	nell'ira, più modesto nella dolcezza, meno pronto al riso, più fervente 
	nella compunzione, più saldo nella serietà, più gioioso nella carità. In 
	questo modo, rendiamo ogni giorno conto gli uni agli altri del nostro modo 
	di vivere» (RS 24). Oltre a coltivare la virtù, i solitari devono essere ben 
	versati nelle Scritture per offrire consigli spirituali a coloro che li 
	visitano, stando alla finestra delle loro celle. Devono anche essere dotti 
	nella dottrina in modo da poter confutare le false argomentazioni degli 
	eretici e degli ebrei, che minacciano di sviare i cristiani. Come spesso 
	accadeva con gli eremiti cristiani, il vero isolamento era molto difficile 
	da raggiungere, anche quando gli individui seguivano rigide regole di 
	clausura. Tuttavia, nonostante i molti visitatori che venivano a conversare 
	con loro, era raro che qualcuno entrasse nelle celle dei solitari, tranne i 
	loro discepoli. Secondo Grimlaico, potevano ricevere individui nelle loro 
	celle solo quando erano malati, ma "non appena cominciano a guarire dalla 
	loro malattia, la porta della cella deve essere sigillata nel modo consueto, 
	e devono tornare di nuovo a dimorare da soli" (RS 48). Nella maggior parte 
	degli altri aspetti della loro vita in clausura, tuttavia, questi solitari 
	vivevano per lo più come monaci di clausura, un fatto sottolineato dal 
	debito di Grimlaico nei confronti del testo della RB in quasi ogni capitolo 
	della sua regola.
	
	
	Note del traduttore.
			
			
			
			
			[1] 
			Treviri - Augusta Treverorum 
			(il cui significato latino era di "città di Augusto, nel paese dei 
			Treveri") fu una città romana fondata sulle sponde del fiume Mosella 
			nel territorio della tribù gallica dei Treveri della Gallia Belgica 
			(oggi Treviri, in Germania). In epoca imperiale la popolazione 
			ammontava a circa 80 000 abitanti, tanto che
			Augusta Treverorum era 
			considerata la più grande città a nord delle Alpi.
			Durante la prima parte del regno di Costantino, 
			la città divenne sua residenza imperiale almeno dal 306 al 312, 
			tanto da ribattezzarla: "la città di Roma del Nord".
			Molte infine furono le personalità di quel 
			periodo che trascorsero alcuni periodi della loro vita in questa 
			città: Lattanzio (che qui morì nel 317), Decimo Magno Ausonio 
			(attorno al 383) e Ambrogio (vescovo di Mediolanum) che nacque nella 
			città della Gallia.
			(Fonte 
			Wikipedia)
			
			
			
			
			[2] 
			Dalle “Confessioni” di 
			sant'Agostino, Libro VIII. 
			(dal sito augustinus.it)
			
			Un'avventura 
			di Ponticiano e tre suoi amici
			6. 15. Di qui il suo discorso si spostò sulle 
			greggi dei monaci, sulla loro vita, che t'invia soavi profumi, e 
			sulla solitudine feconda dell'eremo, di cui noi nulla conoscevamo. A 
			Milano stessa fuori dalle mura della città esisteva un monastero 
			popolato da buoni fratelli con la pastura di Ambrogio senza che noi 
			lo sapessimo. Ponticiano infervorandosi continuò a parlare per un 
			pezzo, e noi ad ascoltarlo in fervido silenzio. Così venne a dire 
			che un giorno, non so quando ma certamente a Treviri, mentre 
			l'imperatore era trattenuto dallo spettacolo pomeridiano nel circo, 
			egli era uscito a passeggiare con tre suoi camerati nei giardini 
			contigui alle mura della città. Lì, mentre camminavano accoppiati a 
			caso, lui con uno degli amici per proprio conto e gli altri due 
			ugualmente per proprio conto, si persero di vista. Ma questi ultimi, 
			vagando, entrarono in una capanna abitata da alcuni servitori del 
			Signore, poveri di spirito, 
			di quelli cui appartiene il 
			regno dei cieli (Mt 5,3), e vi trovarono un libro dov'era 
			scritta la vita di Antonio. Uno dei due cominciò a leggerla e ne 
			restò ammirato, infuocato. Durante la lettura si formò in lui il 
			pensiero di abbracciare quella vita e abbandonare il servizio del 
			secolo per votarsi al servizio del Signore. Erano in verità di quei 
			funzionari, che chiamano agenti amministrativi. Improvvisamente 
			pervaso di amore santo e di onesta vergogna, adirato contro se 
			stesso (Cfr. Sal 4,5), guardò fisso l'amico e gli chiese: "Dimmi, di 
			grazia, quale risultato ci ripromettiamo da tutti i sacrifici che 
			stiamo compiendo? Cosa cerchiamo, a quale scopo prestiamo servizio? 
			Potremo sperare di più, a palazzo, dal rango di amici 
			dell'imperatore? E anche una simile condizione non è del tutto 
			instabile e irta di pericoli? E quanti pericoli non bisogna 
			attraversare per giungere a un pericolo maggiore? E quando avverrà 
			che ci arriviamo? Invece amico di Dio, se voglio, ecco, lo divento 
			subito (Gdt 8,22; Gc 2,23)". Parlava e nel delirio del parto di una 
			nuova vita tornò con gli occhi sulle pagine. A mano a mano che 
			leggeva un mutamento avveniva nel suo intimo, ove tu, o Signore, 
			vedevi, e la sua mente si svestiva del mondo, come presto apparve. 
			Nel leggere, in quel rimescolarsi dei flutti del suo cuore, a un 
			tratto ebbe un fremito, riconobbe la soluzione migliore e risolse 
			per quella. Ormai conquistato dal Signore, disse all'amico suo: "Io 
			ormai ho rotto con quelle nostre ambizioni. Ho deciso di servire 
			Dio, e questo da quest'ora. Comincerò in questo luogo. Se a te 
			rincresce d'imitarmi, tralascia d'ostacolarmi". L'altro rispose che 
			lo seguiva per condividere con lui l'alta ricompensa di così alto 
			servizio. Ormai entrambi del Signore, cominciavano la costruzione 
			della torre, pagando il prezzo adeguato (Cfr. Lc 14,28), e cioè 
			l'abbandono di tutti i propri beni per essere suoi seguaci (Cfr. Mt 
			19,27; Lc 5,11:28). In quella Ponticiano e l'amico che con lui 
			passeggiava in altre parti del giardino, mentre li cercavano 
			giunsero là essi pure, li trovarono e li esortarono a rientrare, 
			visto che il giorno era ormai calato (Cfr. Lc 24,29; 9,12). Ma i due 
			palesarono la decisione presa e il proposito fatto, nonché il modo 
			com'era sorta e si era radicata in loro quella volontà. Conclusero 
			pregando di non molestarli, qualora rifiutassero di unirsi a loro. I 
			nuovi venuti persistettero nella vita di prima, ma tuttavia piansero 
			su di sé, come diceva Ponticiano, mentre con gli amici si 
			felicitarono piamente e si raccomandarono alle loro preghiere, per 
			poi tornare a palazzo strisciando il cuore in terra, mentre essi 
			rimasero nella capanna fissando il cuore in cielo. Entrambi erano 
			fidanzati; quando le spose seppero l'accaduto, consacrarono 
			anch'esse la loro verginità a te.
			
			
			
			
			[3] 
			Defensor di Ligugé (o Defensore o Grammaticus). - Monaco dell’abazia 
			di san Martino di Ligugé (diocesi di Poitiers) che ad istanza del 
			suo superiore Ursino mise insieme dalle sue letture un florilegio di 
			sentenze che intitolò Liber 
			scintillarum. La materia dell'opera deriva con qualche libertà 
			di forma dalla Sacra Scrittura e dai Padri della Chiesa, da Flavio 
			Giuseppe nella versione detta di Egesippo (rifacimento in senso 
			cristiano della Guerra 
			Giudaica), dalle 
			Collationes di Cassiano, dalle
			Vitae Patrum. La fonte più 
			recente di tutte è Isidoro di Siviglia: cosicché l'opera e l'autore 
			non possono risalire più su del sec. VII, ma dovranno anzi 
			discendere alla fine di quel secolo o ai primi anni del successivo. 
			Il Liber scintillarum si compone di ottantuno capitoli, in cui 
			suddivide ed ordina le frasi ed i proverbi per argomento (vizi, 
			virtù, pratiche di devozione, sacramenti e tematiche quotidiane).
			L'opera è stampata nel volume LXXXVIII della 
			Patrologia Latina del Migne (coll. 595-718). L'attribuzione a 
			Defensor è fondata sul prologo, che però manca in alcuni 
			manoscritti. (Fonte: Enciclopedia Treccani)
			
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	15 giugno 2021        a cura di Alberto "da Cormano"        
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