La regola di Donato di Besançon

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Regola per le vergini. [1]

PROLOGO

 (Libera traduzione dal testo latino)

Alle vergini di Cristo, sante e molto degne della mia venerazione, Gautstrude e tutta la sua comunità, che vivono nel monastero stabilito dalla serva di Dio Flavia, Donato, l'ultimo di tutti e l'umile servitore dei servi e delle serve di Dio, salute.

Anche se, per quanto ne so, voi viviate ogni giorno in modo straordinario secondo la norma della regola, quali vasi molto preziosi di Cristo, tuttavia voi volete, in uno zelo pieno di saggezza, cercare sempre come progredire nella perfezione. Questo è il motivo per cui voi mi avete spesso ordinato di esaminare la Regola di San Cesario, vescovo di Arles, particolarmente destinata alle vergini di Cristo, così come quelle dei beatissimi abati Benedetto e Colombano. E (mi avete ordinato ciò) affinché io, scegliendo e raccogliendo, per così dire, certi fiori come in un sol mazzo, ne faccia una specie di manuale e stabilisca come norme tutti i punti propri che devono essere particolarmente osservati dal sesso femminile. Voi dite, infatti, che le regole dei Padri sopra nominati non vi si addicono, dal momento che le hanno scritte in primo luogo per gli uomini e non per le donne e, sebbene san Cesario abbia rivolto la sua regola soprattutto alle vergini di Cristo come voi, tuttavia, a causa della differenza delle condizioni locali, anch'essa non vi si adatta per molti aspetti.

  Per molto tempo e con fermezza ho resistito al vostro desiderio, non ostinandomi nell'incomprensione, ma trattenuto dalla consapevolezza della mia incapacità; io temo il giudizio di molti - non ben informati, in questo caso, della necessità della cosa e delle circostanze locali -, per paura che mi rimproverino sconsideratamente di aver osato fare una scelta o dei cambiamenti nelle istituzioni di Padri così illustri. Allo stesso tempo io sono costretto ad andare contro il rispetto che ho nei loro confronti, tanto desidero vivamente la salvezza delle vostre anime. Ma l'insistenza delle vostre preghiere ha infine rotto il mio silenzio, o meglio, la mia ostinazione a tacere. A queste preghiere, per quanto possibile alla debolezza della mia umile persona, io mi affretto ad obbedire con tutto il mio desiderio di esservi gradito, ma temo che ciò avverrà con meno risultati positivi rispetto al piacere che ne trarrò. E di nuovo sono costretto da un doppio vincolo: io mi ritengo abbastanza incapace di penetrare gli avvertimenti dei Padri che ho appena nominato e sono turbato dal tumulto quotidiano degli affari secolari. Tuttavia, per affetto fraterno, poiché la carità trionfa su tutto, nella misura in cui, nonostante la mia abituale infermità fisica, la bontà divina mi ha dato le forze necessarie e dove l'oscurità della mia mente limitata l'ha permesso, ecco ciò che ho fatto: perché ciò corrisponde a quanto da voi desiderato legittimamente e poiché lo ha sollecitato una richiesta unanime da parte di tutta la vostra santa comunità che vive tra le mura di questo monastero. Io ho scelto alcuni punti tra molti di ciò che vi è utile, che le condizioni del luogo e le vostre possibilità fisiche suggeriscono come conveniente e che non si allontana dalla norma di una sana dottrina, in modo che voi e quelle che verranno dopo di voi possiate seguire, grazie alla regola, l'integrità della via di Cristo, con Lui che ci assiste.

Questo opuscolo, che è stato composto dietro vostra richiesta in modo sintetico e conciso, determina e dispone uno dopo l'altro tutti gli elementi della vita del monastero e le questioni trattate dalla regola. Ne sono stati estratti molto chiaramente dei titoli, in modo che tutto ciò che dovremo cercare lo si trovi a prima vista nell'elenco dei capitoli e poi lo si trovi facilmente nel capitolo corrispondente, secondo i numeri. Questo elenco dei capitoli viene dopo questa lettera di scuse per la mia indegnità.

Su questo argomento, alla presenza di Dio Onnipotente, l'affezione spirituale mi spinge a supplicarvi, anime sante e cuori dedicati a Dio: applicatevi a custodire per sempre questa regola stabilita dietro vostra richiesta, senza alcuna opposizione, con una costante attenzione ed un cuore pieno di saggezza. Costringete le più giovani ed anche le negligenti ad osservare le disposizioni della regola stessa e leggetela spesso in presenza di tutta la comunità, in modo che nessuna possa scusarsi con il pretesto dell'ignoranza.

Correggete le più giovani, esortate le anziane (cfr. 1 Ts 5,1), obbedite in tutto alla vostra priora; confessate loro ogni vostra negligenza, "Portate i pesi le une delle altre" (Gal 6,2), amatevi tutte a vicenda (cfr. Gv 14,34) con amore puro e casto affinché, alla venuta del vostro sposo, il Signore Gesù Cristo, voi possiate accorrere con le vostre lampade colme d'olio ed accese (Mt 25,7) e che ciascuna di voi, esultante, possa dire: "Io ho trovato colui che cercava la mia anima " (Ct 3, 4).

Io, l'ultimo di tutti, con preghiera umile e con fiducia supplico dunque la vostra bontà affinché, per tutto il tempo in cui mi trascino in questo miserabile corpo di fango, innalziate frequenti preghiere, durante gli uffici del giorno e della notte, per me che, piegandomi alla vostra richiesta, ho disposto tutti questi elementi "per membra e pause [2]". Dopo che, su invito del Signore, io avrò lasciato questo mondo, fate offrire a mio nome dei santi sacrifici al Signore affinché, quando nel coro delle vergini consacrate e sagge vi saranno concesse la palma della verginità e della beatitudine, a me, che sarò accusato del peso di tutti i miei peccati, sia concesso almeno il perdono delle mie colpe.

 

Elenco dei capitoli [3].

I Quale debba essere la madre badessa.

II La consultazione della comunità delle sorelle.

III Quali sono gli strumenti delle buone opere.

III Quale debba essere la madre badessa.

V La priora del monastero.

VI Non si accolga subito un’aspirante alla vita monastica.

VII Come devono essere accolte coloro che vengono al monastero dopo aver lasciato il marito.

VIII Nessuno deve possedere qualcosa di suo.

IX. Nessuna sorella faccia un lavoro personale senza l’ordine della madre badessa.

X. Nessuna disprezzi la propria sorella.

XI A nessuna sia concesso di scegliersi un alloggio appartato.

XII Come devono essere accudite le sorelle anziane o ammalate.

XIII Come si debba accorrere all’Ufficio divino.

XIV Riguardo coloro che arrivano tardi all’Ufficio divino o alla mensa.

XV Il segnale per l'Ufficio divino.

XVI L’oratorio del monastero.

XVII La partecipazione interiore all'Ufficio divino.

XVIII La riverenza nella preghiera.

XIX. Come devono osservare il silenzio le sorelle.

XX Quando ci si deve dedicare alla lettura.

XXI Se tutte devono ricevere le cose necessarie in egual misura.

XXII Come deve comportarsi la serva del Signore quando viene punita.

XXIII Come confessarsi ogni giorno.

XXIV Riguardo alle sorelle che pensano di nascondere qualcosa nel proprio giaciglio.

XXV Riguardo alle sorelle che prendono il pasto senza aver ricevuto la benedizione e cose simili.

XXVI Riguardo alle sorelle che in cucina hanno versato qualcosa.

XXVII Riguardo alle sorelle che escono dal monastero senza la preghiera.

XXVIII Del parlare ozioso, dello scusarsi, dell'opporre consiglio a consiglio.

XXIX Riguardo alle sorelle che criticano l’operato di un’altra e cose simili.

XXX Riguardo alle sorelle che litigano con le propria preposita con superbia.

XXXI Riguardo alle sorelle che, corrette, non chiedono perdono e cose simili.

XXXII Nessuna tenga per mano una sorella e le adolescenti non si parlino tra di loro.

XXXIII A tavola non si parli.

XXXIIII Come e quando ci si deve inginocchiare.

XXXV Non sia mai permesso di fare dei giuramenti.

XXXVI L’osservanza della Quaresima.

XXXVII – XLVIII Quanti sono i gradi dell’umiltà.

XLVIII Il silenzio.

L La custodia dello sguardo.

LI Non si nasconda il peccato altrui.

LII Le sorelle non devono litigare tra di loro e neppure insultarsi.

LIII Nessuna sorella riceva qualcosa dai suoi parenti senza il permesso.

LIIII Nessuna sorella faccia da madrina di battesimo alla figlia di chiunque.

LV In che modo gli intendenti del monastero o altri uomini devono entrare nel monastero.

LVI Sia proibito entrare nel monastero anche alle donne secolari sposate o alle ragazze.

LVII In che modo la madre badessa debba andare nel parlatorio per salutare e come le serve del Signore devono salutare i propri parenti.

LVIII Non si allestiscano pranzi per nessuno.

LIX La madre badessa non pranzi fuori dalla comunità.

LX Quali sorelle devono essere scelte per la portineria.

LXI La celleraria del monastero.

LXII Gli arnesi o gli altri oggetti del monastero e gli abiti.

LXIII Nel monastero non si facciano ornamenti (pregiati) o lavori di questo genere.

LXIV Non si cingano il capo oltre la misura.

LXV Come debbano dormire.

LXVI L’ordine della comunità.

LXVII Le settimanarie di cucina.

LXVIII Se ad una sorella vengano comandate cose impossibili.

LXVIIII La misura della scomunica.

LXX Le colpe più gravi.

LXXI Riguardo alle sorelle che senza comando si uniscono alle scomunicate.

LXXII La sollecitudine per le scomunicate.

LXXIII Riguardo alle sorelle che non si correggono, nonostante siano state corrette spesso.

LXXIIII Che nessuna presuma di difendere un’altra sorella.

LXXV L’ordine della salmodia.

LXXVI A quali ore le sorelle debbano mangiare.

LXXVII L’elezione della madre badessa.

 

Inizia la Regola

 

Capitolo primo. Quale debba essere la madre badessa.

La madre del monastero, che sarà degna di reggere la comunità, mediterà costantemente nella sua mente quale compito ha ricevuto ed a chi dovrà rendere conto della sua gestione. E sappia che deve essere colei che serve piuttosto che colei che governa.

  Deve quindi essere istruita nella legge divina per sapere dove attingere il nuovo ed il vecchio; sia casta, sobria, misericordiosa ed faccia sempre prevalere la pietà sul giudizio per essere trattata allo stesso modo. Abbia in odio i vizi ed ami le sorelle. Nella stessa correzione, agisca con prudenza e senza nulla di eccessivo per timore che, volendo grattar via la ruggine, il vaso non si spezzi. Abbia sempre davanti ai suoi occhi la propria fragilità e si ricordi che non bisogna "spezzare una canna incrinata" (Is 42,3). Con ciò non diciamo che ella deve lasciar crescere i vizi, ma che li tagli con prudenza e carità, nel modo che sembrerà adatto ad ognuna, come abbiamo già detto. E cerchi più di essere amata che di essere temuta. Non sia né agitata, né irrequieta, né eccessiva, né ostinata, né gelosa, né troppo sospettosa, altrimenti non si darà mai pace. Nei suoi ordini sarà prudente e riflessiva e, quando ordina dei lavori sia per le cose di Dio che per gli affari di questo mondo, lo faccia con discernimento e moderazione. Tutto ciò che avrà insegnato essere dannoso, lo mostri con le sue azioni che non bisogna farlo affinché, mentre predica agli altri, non sia lei stessa giudicata degna di condanna (1 Cor 9,27), e Dio non le dica a causa dei suoi peccati: "Perché vai ripetendo i miei decreti e hai sempre in bocca la mia alleanza, tu che hai in odio la disciplina e le mie parole ti getti alle spalle?" (Sal 49,16-17).

Non faccia alcuna distinzione tra le persone nel monastero. Non ami l'una più dell'altra, eccetto colei che troverà migliore nelle buone azioni o nell'obbedienza. La sorella che è venuta dalla condizione di libertà non passi davanti a quella che è venuta dalla schiavitù, a meno che non vi sia un altro ragionevole motivo perché, secondo la parola dell'Apostolo, "non c’è schiavo né libero; ... perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù " (Gal 3,28) e "Dio infatti non fa preferenza di persone"(Rm 2,11).

(La madre badessa) deve organizzare e discernere tutto secondo Dio, per ricevere nel giorno del giudizio la ricompensa del talento che le è stato affidato (cfr. Mt 25,14-30). Tenga salda questa regola in tutto così che, dopo aver adempiuto il suo servizio, ascolti dal Signore ciò che il buon servitore merita di sentire: "Bene, servo buono e fedele... prendi parte alla gioia del tuo padrone " (Mt 25,21).

 

Capitolo II. La consultazione della comunità delle sorelle.

 Ogni volta che si presenteranno delle questioni importanti nel monastero, la badessa convocherà l'intera comunità e lei stessa spiegherà di cosa si tratta. Ascoltando il consiglio delle sorelle, lei delibererà e farà ciò che avrà giudicato più utile. Diciamo che bisogna convocare tutte le sorelle in consiglio perché il Signore rivela spesso ad una più giovane ciò che è meglio.

Le sorelle daranno la loro opinione con la sottomissione dell'umiltà e non si permetteranno di appoggiare sfacciatamente il loro modo di vedere, ma spetterà alla madre badessa decidere ciò che giudicherà più appropriato e tutte le obbediranno.

In tutte le cose, quindi, tutte seguiranno la regola come maestra e nessuna si permetterà di allontanarsi da essa. Nessuna (sorella) nel monastero segua la volontà del proprio cuore. Nessuna si permetta di contestare la propria badessa insolentemente. Se qualcuna se lo permettesse, sia soggetta alla regolare disciplina, e cioè sia relegata in una cella finché non si umilii facendo penitenza.

La stessa badessa, tuttavia, deve fare tutto secondo il timore di Dio e l'osservanza della regola sapendo che, senza dubbio, dovrà rendere conto di tutti i suoi giudizi a Dio, il più imparziale dei giudici. Se si tratterà di cose meno importanti per il bene del monastero, la badessa prenderà solo consiglio dalle anziane, come sta scritto: "Non fare nulla senza consiglio, non ti pentirai di averlo fatto". (Pr 31,3, LXX; Sir 32,24)

 

Capitolo III. Quali sono gli strumenti delle buone opere.

Anzitutto, amare il Signore Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutte le forze (Mc 12,30, 10,27).

Poi il prossimo come se stesso (Mc 12,31, Lc 10,27).

Poi non uccidere (Mt 19,18-19, 18,20).

Non commettere adulterio.

Non rubare.

Non desiderare (Rm 13,9, Es 20,17).

Non dire falsa testimonianza (Mc 10,19).

Onorare tutti gli uomini (1 Pt 2,17).

Non fare ad un altro ciò che non si vuole sia fatto a noi (Mt 7,12, Tb 4,15).

Rinunciare a se stessi per seguire Cristo (Mt 16,24, Lc 9,23).

Moderare il proprio corpo (1 Cor 9,27).

Non abbracciare i piaceri.

Amare il digiuno.

 Dare ristoro ai poveri (Mt 25,36).

Vestire chi è nudo.

Visitare gli ammalati.

Sepellire i morti (cfr. Tb 1,20).

Soccorrere chi è nella prova.

Confortare gli afflitti.

Essere estraneo ai modi di agire del mondo.

Non preferire nulla all'amore di Cristo (cfr. Mt 19,27-29).

Non cedere all'ira (vedi Mt 5,22).

Non riservarsi un tempo per seguire gli impulsi della collera.

Non conservare l'inganno nel proprio cuore (cfr. Pr 12,20).

Non dare una falsa pace.

Non rinunciare mai alla carità.

Non giurare per timore di spergiurare (Mt 5,34).

Dire la verità col cuore e con la bocca (cfr. Ef 4,25).

Non rendere il male per il male (1 Pt 3,9).

Non recare ingiuria, ma pazientemente sopportare quella che ci viene fatta.

Amare i propri nemici (Mt 5, 44).

Non maledire quelli che ci maledicono, ma piuttosto benedirli (Lc 6,28, 1 Cor 4,12, 1 Pt 3,9).

Soffrire persecuzione per la giustizia (Mt 5,10).

Non essere orgoglioso (Tt 1,7).

Non dipendente dal vino.

Non grande goloso.

 

Non sonnolento (Mt 26,40).

Né pigro (Rm 12,11).

Né mormoratore.

Né detrattore (cfr. Sap 1,11).

Affidi a Dio la sua speranza (1 Pt 1,21).

Quando vede qualcosa di buono in sé, lo riferisca a Dio, non a se stessa.

Al contrario sappia che il male lo ha fatto lei stessa e lo imputi a sé.

Temere il giorno del giudizio.

Temere la gehenna.

Desiderare la vita eterna con tutto il desiderio dello spirito (1 Tm 6,12).

Avere ogni giorno la morte davanti agli occhi.

Vegliare in ogni momento sulle azioni della propria vita.

In ogni luoghi, dare per certo che Dio ci osserva (Sal 13,2).

Spezzare contro Cristo i cattivi pensieri che ci vengono al cuore e rivelarli ad una madre spirituale (2 Cor 10,5).

Custodire la propria lingua da ogni parola malvagia o perversa (cfr. Mt 12,36).

Non amare il molto parlare.

Non dire parole vane o che fanno ridere.

Non amare il riso frequente e smodato.

Ascoltare volentieri le letture sante.

Applicarsi frequentemente alla preghiera (1 Ts 5,17).

Confessare ogni giorno a Dio nella preghiera con lacrime e gemiti le proprie colpe passate,

ed inoltre, correggersi da questi difetti.

Non soddisfare i desideri della carne (Gal 5,16).

Odiare la propria volontà.

Obbedire in ogni cosa agli ordini della madre badessa anche se, Dio non voglia, lei agisce diversamente; ricordando il precetto del Signore: "Praticate ciò che dicono, ma non fate ciò che fanno" (Mt 23,3).

Non voler essere chiamato santo prima di esserlo, ma prima esserlo, al fine di essere così chiamati con più verità.

Adempiere ogni giorno, con i propri atti, i precetti di Dio.

Amare la castità.

Non avere odio verso nessuno (Dt 23,8).

Non avere gelosia o invidia.

Non amare la contestazione.

Fuggire la superbia (cfr. Ger 3,14-15).

Venerare gli anziani.

Amare i più giovani.

Nell'amore di Cristo, pregare per i propri nemici (Mt 5,44).

Far pace prima del tramonto del sole con chi si è in discordia (Ef 4,26).

E non disperare mai della misericordia di Dio.

Questi sono gli strumenti dell'arte spirituale. Se giorno e notte li usiamo instancabilmente, quando, nel giorno del giudizio, li riconsegniamo, il Signore ci darà la ricompensa che lui stesso ha promesso: "Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, ...Dio le ha preparate per coloro che lo amano" (1 Cor 2,9).

L'officina in cui bisogna usare con la massima diligenza questi strumenti è formata dai chiostri del monastero e dalla stabilità nella propria famiglia monastica.

 

Capitolo IV. Quale debba essere la madre badessa

Con quanta amabilità dovete amare la madre che porta la responsabilità di tutte voi, ed obbedite alla priora senza mormorare per non contristare in loro la carità. Da parte loro, coloro che vi dirigono devono cercare di mantenere la discrezione e la regola con carità e con vera dedizione. Correggano le indisciplinate, incoraggino le timorate, sostengano le deboli (1 Ts 5,14), pensando sempre che dovranno rendere conto a Dio a vostro riguardo. Pertanto voi stesse, obbedendo ancor più santamente, abbiate pietà non solo di voi stesse, ma anche di loro; perché più alta vi appare la loro carica, maggiore è la loro responsabilità. Per questo motivo obbedite con umiltà e rispetto non solo alla madre, ma anche alla priora, alla precettrice o alla maestra (delle novizie)

 

Capitolo V. La priora del monastero

La priora del monastero sarà scelta nella comunità dalla madre spirituale, con il consiglio delle sue anziane, santa, saggia, colma del timore di Dio, che abbia soprattutto l'umiltà, nota per il suo grande amore per le cose divine e la sua osservanza della regola. Questa priora eseguirà con riverenza tutto ciò che le sarà stato prescritto dalla madre spirituale, senza mai fare nulla contro la sua volontà ed i suoi ordini, perché quanto più è elevata rispetto alle altre sorelle, ancor più deve osservare coscienziosamente in tutte le cose i precetti della regola.

Se si vede questa priora cadere in qualche vizio o gonfiarsi d'orgoglio a causa della nomina o fosse confermato il disprezzo per la santa regola, sarà ripresa fino a tre volte. Se non si emendasse, sia sottoposta alla correzione della disciplina regolare. Se in questo modo non si corregge ancora, sia deposta dal suo rango di priora e si metta al suo posto un'altra che ne sia degna. Se dopo tutto ciò non fosse tranquilla ed ubbidiente nella comunità, sia cacciata dal monastero o sia relegata in una cella adatta alla penitenza.

 

Capitolo VI. Non si accolga subito un’aspirante alla vita monastica.

Ecco la norma che deve essere osservata soprattutto nel vostro santo monastero. Colei che, sotto l'ispirazione divina, desideri entrare nel monastero, non sia autorizzata a prendere l'abito religioso immediatamente, prima che la sua volontà sia stata messa alla prova da molto tempo, ma si farà come dice l'Apostolo: "Mettete alla prova gli spiriti, per saggiare se provengono veramente da Dio" (1 Gv 4,1), e altrove: "Vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono" (1 Ts 5,21). Se persevera nel bussare (alla porta), sembra sopportare pazientemente le ingiurie e le difficoltà che le vengono fatte e se persiste nella sua richiesta, le sarà permesso di entrare e starà in una cella dove mediterà, mangerà e dormirà.

Le sarà assegnata un'anziana che le leggerà spesso la regola, la controllerà attentamente e valuterà con cura se veramente sta cercando Dio, se è sollecita all'ufficio divino, all'obbedienza e nel sopportare le umiliazioni. Le saranno dette in anticipo tutte le cose dure ed aspre con le quali si va a Dio. Se ella promette di mantenere la sua perseveranza, solo allora, dopo un anno intero, entrerà nel monastero e, dopo aver promesso obbedienza e stabilità, sarà aggregata alla comunità.

E, per quanto possibile, non si accoglieranno mai, o molto difficilmente, bambine piccole nel monastero, ma solo dall'età di sei o sette anni, in modo che possano imparare a leggere, a scrivere e ad osservare l'obbedienza.

 

Capitolo VII. Come devono essere accolte coloro che vengono al monastero dopo aver lasciato il marito.

Coloro che vengono in monastero come vedove, o le donne che hanno lasciato i loro mariti, o che hanno mutato l'abito religioso, non saranno ricevute fino a quando non avranno fatto delle carte di donazione o atti di vendita per quanto riguarda tutti i loro beni, anche modesti, in favore di chi desiderano, in modo da non riservare nulla in loro potere da amministrare o da possedere come beni personali, a causa di questo comandamento del Signore: "Se vuoi essere perfetto, vai, vendi tutto quello che possiedi" (Mt 19,21), e: "Se uno non rinuncia a tutto per seguirmi, non può essere mio discepolo" (Lc 14,26).

Quelle che, essendo ancora in vita i loro genitori, non possono disporre delle loro proprietà o che sono ancora minorenni, saranno costrette a fare le carte (di donazione o di vendita) quando arriverà il momento in cui potranno disporre della proprietà dei loro genitori o quando avranno raggiunto l'età prescritta dalla legge. Se noi prescriviamo ciò alle vostre anime sante, è perché temiamo l'esempio di Anania e Saffira che, dichiarando di aver consegnato tutto agli apostoli, ne consegnarono una parte e se ne riservarono in modo fraudolento un'altra parte (cfr. At 5,1-11); ciò che non è né conveniente, né permesso, né utile.

Non è permesso a nessuna delle sorelle, nemmeno alla badessa, di avere un'ancella particolare al suo servizio; se è necessario, su ordine della badessa, riceveranno aiuto dalle sorelle più giovani.

 

Capitolo VIII. Nessuna deve possedere qualcosa di suo.

  Soprattutto, è necessario rimuovere alla radice questo vizio dal monastero. Nessuna si permetta di avere qualcosa di proprio, né di dare, di ricevere o di mantenere nulla, senza il permesso della madre, né tavoletta, né stilo da scrivere, cioè assolutamente nulla, poiché non è loro nemmeno lecito di avere a propria disposizione i loro corpi o le loro volontà; devono chiedere alla madre del monastero tutto ciò che è loro necessario. E nessuna avrà il diritto di avere qualcosa che la (madre) stessa non le ha dato o permesso. Sia tutto comune a tutti, come è scritto: "Fra loro tutto era comune". (At 4,32) E che nessuna dica che qualcosa è suo o lo pretenda.

Se qualcuna è sorpresa in questo vizio detestabile, dovrà fare penitenza con tre giorni di privazione (della parola o del cibo).

 

VIIII. Nessuna sorella faccia un lavoro personale senza l’ordine della madre badessa.

Nessuna sorella si sceglierà a suo piacimento e senza alcun ordine un qualunque lavoro o mestiere, ma quello che fanno lo facciano in comune, con uno zelo santissimo ed una passione fervente come se lo facessero per loro stesse. E quello che fanno, lo presentino alla madre che lo distribuirà a chiunque ne avrà bisogno. Ma a chi si mostra ribelle, le si porti via ciò che ha fatto e venga punita con cento colpi.

Le sorelle che avevano qualcosa nel mondo, quando entrano nel monastero, lo offrano umilmente alla madre, in modo che serva all'uso comune. Quanto a quelle che non avevano nulla, non cerchino nel monastero ciò che non potevano neanche avere all'esterno.

 

CAPITOLO X. Nessuna disprezzi la propria sorella.

 Quanto a coloro che nel mondo sembravano avere qualcosa, non trattino con disprezzo o sdegno le loro sorelle venute dalla povertà in questa santa comunità. Non siano orgogliose delle ricchezze che hanno donato al monastero, come se ne godessero ancora nel mondo. A che cosa serve disperdere i propri beni e diventare poveri donando ai poveri, se l'anima infelice è gonfia di una diabolica superbia? Vivete dunque nell'unanimità e nella concordia ed onorate a vicenda in voi Dio, di cui avete meritato di essere i templi. Come abbiamo detto sopra, colei che sarà giudicata colpevole di questo peccato di arroganza farà penitenza col silenzio.

 

XI A nessuna sia concesso di scegliersi un alloggio appartato.

A nessuna delle sorelle sarà permesso di scegliersi un alloggio appartato o di avere una stanza, un armadio o qualcosa di simile, che possa essere chiuso con una chiave ad uso personale; ma tutte vivranno nella stessa casa con letti separati. Quanto a colei che si permettesse di agire diversamente, o di avere qualcosa di suo, subisca la penitenza.

Per quanto riguarda le sorelle che sono anziane o malate, è necessario ottemperare ai loro desideri ed organizzare le cose in modo che non abbiano ciascuna una cella singola, ma che siano tutte raggruppate in una stanza dove rimarranno e studieranno.

Lì, come nel resto della comunità, non parlino mai a voce troppo alta in modo che non le sentano all'esterno contrariamente al solito. Se ciò accadesse, ricevano la penitenza del silenzio oppure cinquanta colpi.

 

Capitolo XII. Come devono essere accudite le sorelle anziane o ammalate.

Innanzitutto avverto e scongiuro te, santa madre, così come te venerabile priora, e colei che ha il compito di seguire gli ammalati, la precettrice e la maestra (delle novizie), a prestare molta attenzione a questo punto: se vi sono sorelle che hanno ricevuto un'educazione più accurata o che soffrono forse abbastanza spesso di mal di stomaco e che non possono digiunare come le altre o possono farlo con grande difficoltà se, per la vergogna, non osano chiedere, ordinate alle cellerarie di dare loro ciò che fa per loro e ordinate a queste sorelle di accettarlo. Siano persuase, accettando di prendere qualsiasi cosa l'anziana darà loro o prescriverà in qualsiasi ora, che riceveranno Cristo nell'alleggerimento (dal rigore) che sarà loro accordato. E, come abbiamo detto sopra, ci si occuperà prima di tutto e sopra tutto delle ammalate. Saranno servite come Cristo in persona, poiché egli ha detto: "Ero malato e mi avete visitato" (Mt 25,36) e "Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me "(Mt 25,40).

Ma da parte loro le sorelle ammalate considereranno che è a causa del timore di Dio che sono servite e non contristeranno le sorelle che le servono con richieste superflue. Tuttavia, sarà necessario sopportarle con pazienza perché a causa loro si conseguirà una ricompensa maggiore (cfr. Ef 4,2). La madre avrà quindi molta cura nell'assicurare che non soffrano di alcuna negligenza. Queste sorelle malate ricevano una dimora separata ed una sorella timorata di Dio ed attenta per servirle. Sarà offerto alle malate l'uso dei bagni ogni volta che sarà utile; ma raramente sarà dato alle sane, specialmente alle giovani.

Nessuna delle sorelle mangerà carne; se una di loro sarà in uno stato disperato, la riceverà dietro ordine e secondo le istruzioni della badessa. Quando avranno recuperato le loro forze, riprendano la loro felice consueta astinenza.

Se il bene delle malate lo richiederà e la madre del monastero lo riterrà giusto, le sorelle malate avranno una piccola dispensa ed una cucina in comune.

 

Capitolo XIII. Come si debba accorrere all’Ufficio divino.

All'ora dell'ufficio divino, non appena udito il segnale e lasciato tutto ciò che è nelle nostre mani, si accorra in tutta fretta ma con contegno, in modo da non dare alimento alla sregolatezza. Non si anteponga tuttavia nulla all'opera di Dio. Colei che non arriverà alle vigilie per il Gloria del primo salmo, non starà al suo posto nel coro, ma nell'ultimo posto o nel luogo che l'anziana avrà designato per le negligenti di questo tipo, così che sia vista da lei e da tutte fino a quando, finita l'opera di Dio, farà penitenza con una pubblica riparazione. Senza dubbio, questa regola che abbiamo appena formulato sarà osservata anche per le ore del giorno.

 

XIV Riguardo coloro che arrivano tardi all’Ufficio divino o alla mensa.

Colei che, al segnale dato, arriverà in ritardo all'opera di Dio o al lavoro, soggiacerà al giusto rimprovero. Se dopo due o tre avvertimenti non vorrà correggersi, sarà sottoposta a regolare disciplina. Allo stesso modo, a colei che non sarà a tavola durante il primo versetto della preghiera, a meno che non sia impegnata in qualcos'altro per obbedienza, non sarà permesso di sedersi a partecipare alla tavola comune, ma, messa a parte dalla compagnia di tutte, prenderà il suo pasto da sola e le sarà tolta la sua porzione di vino. Si tratterà allo stesso modo colei che non sarà presente al versetto che si dice dopo il pasto.

 

Capitolo XV. Il segnale per l'Ufficio divino.

Annunciare l'ora dell'opera di Dio, giorno e notte, è compito della badessa, sia che la annunzi lei stessa, sia che ne incarichi una sorella così puntuale in modo che tutto sia compiuto alle ore prescritte. Coloro che ne avranno ricevuto l'ordine intoneranno salmi ed antifone, nel loro ordine, dopo la badessa. Nessuna si permetta di cantare o leggere, tranne colei che può edificare le sorelle presenti. Colei che ne avrà ricevuto l'ordine dalla badessa lo farà con umiltà, gravità e timore.

 

Capitolo XVI. L'oratorio del monastero.

L'oratorio sia ciò che il suo nome significa. Non vi si farà e non vi si depositerà altro. Completata l'opera di Dio, tutte le sorelle usciranno in profondo silenzio e manifesteranno la riverenza dovuta a Dio; in modo che, se forse una sorella volesse pregare particolarmente da sola, non sarà ostacolata dall'importunità delle altre. Se, però, anche in un altro momento qualcuna desiderasse pregare per proprio conto, entri senz'altro e preghi, non a voce alta, ma con lacrime e intimo ardore. A chiunque non si comporterà in questo modo non si permetterà di restare nell'oratorio dopo che l'opera di Dio sia finita, come abbiamo detto, in modo che un'altra sorella non sia disturbata dalla sua presenza.

 

Capitolo XVII. La partecipazione interiore all'Ufficio divino.

Ovunque noi crediamo che Dio sia presente e che "gli occhi del Signore scrutano i buoni ed i malvagi" (Pr 15,3). Ma soprattutto noi lo crediamo fermamente quando assistiamo all'opera di Dio. Ricordiamo sempre ciò che dice il profeta: "Servite il Signore con timore" (Sal 2,11). E ancora: "Salmodiate con sapienza" (Sal 46,8, Volg.). E ancora: "Io canterò per te alla presenza degli angeli" (Sal 137,1, Volg.).

Consideriamo, quindi, come dobbiamo stare alla presenza della Divinità e dei suoi angeli, e nel salmodiare comportiamoci in modo tale che la nostra mente sia in accordo con la nostra voce. Nell'oratorio, durante la salmodia, è assolutamente vietato chiacchierare. Mentre vi dedicate a Dio con i salmi e gli inni, sia presente nel vostro cuore ciò che esprime la vostra voce. Ed a colei che sorride durante la preghiera, sei colpi; se il riso erompe rumorosamente, un giorno di privazioni.

 

Capitolo XVIII. La riverenza nella preghiera

Quando vogliamo esporre qualcosa agli uomini potenti della terra, noi ci permettiamo di farlo solo con umiltà e riverenza. Quanto più occorre supplicare il Signore Dio dell'universo in tutta umiltà e con pura devozione (cfr. Is 13,11). Crediamo che non sarà per la moltitudine di parole, ma per la purezza del cuore e le lacrime di compunzione che noi saremo esaudite. La preghiera deve quindi essere breve e pura, a meno che essa si prolunghi per un sentimento ispirato dalla grazia divina (cfr. Mt 6,7). Ma in comunità la preghiera sarà molto breve e, al segnale della priora, tutte si alzeranno nello stesso tempo.

 

Capitolo XIX. Come devono osservare il silenzio le sorelle.

In ogni momento ed in ogni luogo le serve di Cristo devono applicarsi al silenzio, ma soprattutto durante le ore della notte. È per questo che, quando usciranno da compieta, nessuna potrà dire nulla fino al mattino, dopo la seconda ora celebrata in comune. A questo punto, chiedendo perdono una ad una e confessando i loro pensieri carnali e vergognosi o le loro immaginazioni notturne, preghino poi tutte insieme dicendo: " Su di noi sia il tuo amore, Signore, come da te noi speriamo". (Sal 32,22) Ugualmente dicano all'anziana, una dopo l'altra: "Dammi il permesso di cambiare il vestito e di fare ciò che sarà necessario".

 

Capitolo XX. Quando ci si deve dedicare alla lettura.

Dalla seconda ora alla terza, se non le trattiene qualche necessità di lavoro, le sorelle si dedicheranno alla lettura. Per il resto della giornata, faranno il loro lavoro senza chiacchierare, secondo questa parola dell'Apostolo: "Lavorando in silenzio" (2 Ts 3,12), e quest'altra: "L'abbondanza di parole non è senza colpa "(Pr 10,19). Parlate solo di ciò che contribuisce all'edificazione o all'utilità dell'anima; quando il lavoro lo richiede, allora si potrà parlare.

Mentre le altre lavorano, una delle anziane leggerà: nel resto del tempo la recitazione della parola di Dio non cesserà nei cuori. Tuttavia, come abbiamo detto, se qualche necessità impone che questo lavoro debba essere completato, in base a ciò che avrà giudicato la madre, le sorelle lo compiano senza mormorare. Qualunque lavoro voi facciate, quando non si fa la lettura, ruminate sempre un brano delle sacre Scritture. Che nessuna agisca mormorando, per non perire sotto una condanna simile a quella dei mormoratori, secondo la parola dell'Apostolo: "Fate tutto senza mormorare" (Fil 2,14).

Siate sempre umili le une con le altre, non solo verso le anziane, ma anche verso le sorelle uguali ed anche le più giovani, per timore che Dio resista ai superbi (1 Pt 5,5) e che le orgogliose non possano passare attraverso la stretta via (cfr. Mt 7,14). Qualunque cosa vi sia ordinata dalle anziane, accoglietela così com'è, come se cadesse dal cielo, dalla bocca di Dio. Non criticherai nulla, non disprezzerai nulla, non mormorerai in nulla interiormente, perché sei venuta al monastero per servire, non per dominare, per ubbidire piuttosto che per comandare. Qualunque cosa tu vedrai comandare sia a te che alle altre, giudicala assolutamente santa, assolutamente giusta, assolutamente utile.

 

Capitolo XXI. Se tutte devono ricevere le cose necessarie in egual misura.

Sta scritto: "Veniva distribuito a ciascuno secondo il suo bisogno" (At 4,35). Con ciò non diciamo che si faccia preferenza di persone (Rm 2, 11; Gc 2,9) - che Dio non voglia - ma che si abbia considerazione per le inferme (cfr. 1 Ts 5, 14), in modo che chi ha bisogno di meno renda grazie a Dio e non si affligga; colei che ha bisogno di più si umilierà a causa dalla sua debolezza e non si vanterà a causa della misericordia che le è stata fatta. Così tutti le membra saranno in pace (cfr. 1 Cor 12, 26).

 Soprattutto, non appaia il male della mormorazione (cfr. Fil 2,4), per qualsiasi ragione, nella pur minima parola o allusione. Se qualcuna vi fosse sorpresa, sarà sottoposta ad una correzione molto severa.

 

Capitolo XXII. Come deve comportarsi la serva di Dio quando viene punita.

Chiunque, per qualsivoglia difetto, riceva un avvertimento, una punizione o una correzione, non si permetterà assolutamente di rispondere (a colei che la riprende). Se lo fa, riceverà una regolare disciplina. Chi si rifiuta di adempiere a uno degli ordini ricevuti sarà tenuta lontana dalla preghiera comune o dalla mensa, secondo la gravità della colpa.

 

Capitolo XXIII. Come confessarsi ogni giorno.

 Tra tutte le altre osservanze della regola, avvertiamo soprattutto le sorelle, tanto le giovani che le anziane, di dedicarsi con zelo assiduo e incessante alla confessione di ogni pensiero, di ogni parola inutile, di qualsiasi atto, del minimo turbamento di spirito, ogni giorno, ogni ora e ogni momento, e che nulla sia tenuto nascosto alla madre spirituale. Perché è prescritto dai santi Padri che ci confessiamo prima del pasto o prima di andare a dormire o quando è conveniente, perché la confessione e la penitenza liberano dalla morte. Quindi non dovremo nemmeno trascurare i piccoli pensieri nella confessione perché sta scritto: "Chi disprezza le piccole cose cadrà a poco a poco" (Sir 19,1).

 

Capitolo XXIV. Riguardo alle sorelle che pensano di nascondere qualcosa nel proprio giaciglio.

Una sorella che si permetterà di nascondere sotto il suo letto qualcosa da mangiare o da bere sarà ripresa pubblicamente davanti a tutte e, quindi, ammonita apertamente in presenza di tutte, dovrà subire la privazione (1 Tm 5,20).

 

Capitolo XXV. Riguardo alle sorelle che prendono il pasto senza aver ricevuto la benedizione e cose simili.

 Se una sorella mangia o beve senza osservare la benedizione e se non risponde "Amen", riceverà sei colpi; e quella che non farà il segno di croce sul cucchiaio con cui mangia, riceverà sei colpi. Allo stesso modo, colei che parla mentre mangia, se non lo richiede la necessità di un'altra sorella, riceverà sei colpi; e chi rovina la tavola con il suo coltello, sei colpi; e chi dice che qualcosa è suo, sei colpi.

 

Capitolo XXVI. Riguardo alle sorelle che in cucina hanno versato qualcosa.

 Ogni sorella incaricata di cucinare o di servire e che versa qualcosa, in una ben piccola quantità, è previsto che sia corretta con una preghiera nella chiesa dopo il servizio, in modo che le sorelle preghino per lei. Colei che, durante la sinassi, cioè durante l'Ufficio, dimentica di inchinarsi – si tratta dell'inchino che si fa in chiesa alla fine di ogni salmo - farà la stessa penitenza. Sarà corretta ugualmente da una preghiera in chiesa, colei che lascia cadere delle briciole. Tuttavia, questa piccola penitenza le sarà inflitta solo se ne avrà sparso una piccola quantità.

Se per negligenza o dimenticanza, o per non aver preso le precauzioni necessarie, avrà perduto più sostanza liquida o solida del solito, la sorella farà una lunga penitenza in chiesa rimanendo prostrata senza alcun movimento durante il canto dei dodici salmi alla dodicesima ora. E chi non conserva l'ordine andando all'eucarestia, sarà corretta con sei colpi.

 

Capitolo XXVII. Riguardo alle sorelle che escono dal monastero senza la preghiera.

 Colei che, uscendo dalla casa, non si inchina per chiedere una preghiera, non fa il segno della croce dopo aver ricevuto la benedizione e non si avvicina alla croce, è prescritto di correggerla con dodici colpi. Allo stesso modo, colei che dimentica la preghiera prima del lavoro o dopo il lavoro, dodici colpi. E colei che, ritornando alla casa, non si inchina all'interno della casa per chiedere una preghiera, sarà corretta con dodici colpi. Allo stesso modo, colei che compie dei percorsi non necessari verrà corretta con dodici colpi.

 

Capitolo XXVIII. Del parlare ozioso, dello scusarsi, dell'opporre consiglio a consiglio.

Se una sorella tiene vani discorsi con un'altra e si riprende immediatamente, basta una semplice scusa. Ma se costoro non si riprendono e continuano, faranno penitenza con un giorno di privazione della parola o con cinquanta colpi. Se ci si scusa senza riflettere quando si riceve un rimprovero e non si dice subito: "È colpa mia, mi dispiace" e, senza riflettere, si oppone la propria opinione contro un'altra, si subisca una penitenza di cinquanta colpi.

 

Capitolo XXIX. Riguardo alle sorelle che criticano l’operato di un’altra e cose simili.

Colei che critica la condotta di altre sorelle o le calunnia, opponendo rimprovero a rimprovero, in altre parole, correggendo chi la corregge, farà penitenza con tre giorni di privazione (della parola). E la sorella che nasconde qualche mancanza che vede in sua sorella, fino al momento in cui questa non viene corretta per un altro vizio o per quello, e poi lo rivela a sfavore della sua sorella, tre giorni di privazione. Colei che calunnia una sorella, o la sente calunniare senza riprenderla, tre giorni di privazione. E colei che pronuncia una parola con spirito di contraddizione o di tristezza, farà anche lei penitenza con tre giorni di privazione. Colei che, essendoci qualcosa da rimproverare, non vuole riferirlo alla sua priora, riservandosi il diritto di riferirlo alla madre superiora, subirà una penitenza simile. La sorella che biasima il servizio che deve compiere in favore di una sorella, che mormora o dichiara: "Non lo farò, a meno che non me lo dica l'anziana o la seconda", ugualmente tre giorni di privazione. Colei che, ad una sua parente che sta imparando un mestiere o (sta facendo) qualsiasi altra cosa che le è stata ordinata dalle anziane, dice che è meglio leggere, sarà punita con tre giorni di privazione.

 

Capitolo XXX. Riguardo alle sorelle che litigano con le propria preposita con superbia.

  Colei che osa rispondere alla priora: "Non sei tu che giudicherai il mio caso, ma la nostra superiora o le altre sorelle", sia punita con una penitenza di quaranta giorni, a meno che lei non dica umilmente: "Mi pento di quello che ho detto".

 

Capitolo XXXI. Riguardo alle sorelle che, corrette, non chiedono perdono e cose simili.

Colei che, dopo essere stata corretta, non chiede perdono, (un giorno) di privazione. Colei che visita altre sorelle nelle loro celle senza chiedere il permesso, la stessa penitenza. Colei che va in cucina dopo l'ora nona, (un giorno) di privazione. Colei che esce dalla clausura, cioè dalla recinzione del monastero senza chiedere il permesso, farà penitenza con tre giorni di privazione.

 

Capitolo XXXII. Nessuna tenga per mano una sorella e le adolescenti non si parlino tra di loro.

È proibito che, con il pretesto dell'affetto, qualcuna debba tenere la mano di un'altra, sia che si trovi in piedi, sia che cammini o stia seduta. Se qualcuna lo farà, verrà corretta con dodici colpi. Le adolescenti alle quali è stato fissato un periodo in cui non possono parlarsi, se vengono meno (a questo divieto), riceveranno una penitenza di quaranta colpi.

 

Capitolo XXXIII. A tavola non si parli.

A tavola, staranno silenziose e saranno attente alla lettura. Ma, quando finirà la lettura, non smetteranno di recitare i testi sacri che conoscono a memoria. Se manca qualcosa, la sorella che presiede alla tavola se ne occuperà e chieda il necessario con gesti anziché con parole. La vostra bocca non sia la sola ad assorbire il cibo, ma anche le vostre orecchie ascoltino la parola di Dio. Colei che si permetterà di parlare riceverà venti o trenta colpi. Se la sorella che presiede alla tavola è a conoscenza di qualcuna che meriti penitenze minori, le infliggerà al momento del pasto, senza dare più di venticinque colpi alla volta.

 

Capitolo XXXIV. Come e quando ci si deve inginocchiare.

  Le sorelle penitenti e quelle che devono assolvere una penitenza di salmi - vale a dire, coloro che hanno bisogno di cantare di nuovo dei salmi a causa di un sogno sopravvenuto di notte, per un'illusione diabolica o a causa della natura del sogno, devono cantare le une ventisei salmi di fila, altre quindici, altre dodici; costoro, quindi, (essendo penitenti), si inginocchino anche la notte della Domenica e nel tempo di Pasqua.

  Tutti i giorni e tutte le notte, quando si recitano le preghiere, alla fine di tutti i salmi, tutte le sorelle insieme, a meno che un'infermità fisica non lo impedisca, devono inginocchiarsi per compiere lo stesso movimento per la preghiera, dicendo sottovoce: "Dio, vieni a salvarmi, Signore, vieni presto in mio aiuto" (Sal 69,2).

Dopo aver cantato silenziosamente questo versetto tre volte durante la preghiera, si rialzino insieme dalla preghiera genuflessa, tranne la domenica ed a partire dal primo giorno della santa Pasqua fino al cinquantesimo giorno; in questi giorni, durante la salmodia, si inchineranno leggermente senza piegare le ginocchia e quando si avvicineranno all'altare per la comunione, si inchineranno tre volte.

 

Capitolo XXXV. Non sia mai permesso di fare dei giuramenti.

Le sorelle eviteranno accuratamente giuramenti o insulti, come veleno del diavolo. Se una di loro vi si abbandona, sarà punita con due privazioni della parole e cento colpi.

 

Capitolo XXXVI. L’osservanza della Quaresima.

In ogni momento la vita di una monaca dovrebbe tenere l'osservanza della Quaresima. Tuttavia, poiché ci sono pochi che hanno questa perfezione, esortiamo tutte le sorelle a vivere in tutta purezza durante questi giorni di Quaresima ed a cancellare, in questi giorni santi, tutte le meschinità e le negligenze degli altri tempi. Questo è ciò che faremo degnamente se ci proteggeremo da tutti i vizi, se ci applicheremo alla preghiera con le lacrime, alla lettura (1 Tm 4,13) ed alla compunzione del cuore ed alle privazioni (cfr. Mt 16,24).

In questi giorni, quindi, aggiungiamo qualcosa alla misura ordinaria del nostro servizio: preghiere particolari, restrizioni nel cibo e nelle bevande. Che ognuna offra di propria volontà a Dio, "nella gioia dello Spirito Santo" (1 Ts 1,6), qualcosa in aggiunta alla misura imposta, vale a dire toglierà al suo corpo una parte del cibo, delle bevande, del sonno, degli incontri, degli svaghi; e così aspetterà con desiderio spirituale la santa gioia della Pasqua. Tuttavia, ciò che ciascuna offre a Dio lo renda noto alla sua badessa e lo farà solo con la sua preghiera e la sua approvazione. Poiché tutto ciò che viene fatto senza il permesso della madre spirituale sarà imputato a presunzione e vanagloria e non come ricompensa.

Capitolo XXXVII. Quanti sono i gradi dell’umiltà.

 Il primo grado dell'umiltà è l'obbedienza senza indugio. Essa è adatta a coloro che pensano di non avere nulla di più caro di Cristo. A causa del santo servizio che hanno professato, o per il timore dell'inferno, o per desiderio della gloria della vita eterna, non appena la superiora ha comandato qualcosa, non possono sopportare alcun ritardo per eseguirlo, proprio come se Dio avesse dato l'ordine.

È di loro che il Signore dice: "All’udirmi, subito mi obbedivano" (Sal 17,45). E dice ancora a coloro che insegnano: "Chiunque ascolta voi ascolta me" (Lc 10,16). Perciò costoro, rinunciando immediatamente ai propri interessi ed abbandonando la propria volontà, lasciano subito ciò che hanno tra le mani e lasciano incompiuto ciò che stanno facendo, obbedendo con tale rapidità che i loro atti seguono la voce di colei che comanda, nel momento stesso in cui l'ordine è dato dalla superiora di cui si è detto. Nello stesso tempo devono sopportare anche le cose sgradevoli (che vengono comandate). La Scrittura dice, a nome di coloro che soffrono: "Per te ogni giorno siamo messe a morte, stimate come pecore da macello " (Sal 43,23, Rm 8,36). E, sicure nella speranza della ricompensa divina, essi perseguono con gioia, dicendo: "Ma abbiamo vinto tutte queste cose grazie a colui che ci ha amati " (Rm 8,37). E la Scrittura dice anche in un altro passo: " O Dio, tu ci hai messi alla prova; ci hai purificati col fuoco come si purifica l’argento. Ci hai fatto cadere in un agguato, hai caricato le nostre spalle di tribolazioni" (Sal 65,10-11, Volg.). E per dimostrare che noi dobbiamo vivere sotto un superiore, prosegue dicendo: "Hai posto degli uomini sulle nostre teste" (Sal 65,12, Volg.).

Perciò esse prendono la via stretta di cui il Signore dice: "Stretta è la via che conduce alla vita" (Mt 7,14). Non vivono più a loro piacimento e non obbediscono più ai loro desideri o piaceri ma, avanzando secondo il giudizio ed il comando altrui, desiderano sottomettersi ad un superiore vivendo in un monastero. Certamente tali donne imitano la parola del Signore che dice: "Non sono venuto per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato" (Gv 6,38). Ma questa obbedienza sarà gradita a Dio e dolce per gli uomini, soltanto se l'ordine viene eseguito senza incertezze, senza ritardi, senza mormorii (Fil 2, 16), senza parole di rifiuto, poiché l'obbedienza offerta ai superiori è diretta a Dio stesso che ha detto: "Chi ascolta voi, ascolta me" (Lc 10,16). Poiché se tale non è l'obbedienza, non sarà gradita a Dio, che dice: "Chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me" (Mt 10,38). E perciò dice del suo degno discepolo: "Dove sono io, là sarà anche il mio servitore " (Gv 12,26).

 

Capitolo XXXVIII. (Il secondo grado dell'umiltà)

 Il secondo grado dell'umiltà è quello in cui, non amando la propria volontà, non si trova alcun piacere nella soddisfazione dei propri desideri, ma si imita il Signore, mettendo in pratica quella sua parola, che dice: "Sono venuto non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato" (Gv 6,38). Così pure afferma la Scrittura: "La volontà infatti porta con sé la pena, mentre la costrizione porta con sé la corona" (Passio Anastasiae 17 [4]).

 

Capitolo XXXIX. (Il terzo grado dell'umiltà).

Terzo grado dell'umiltà è quello in cui la sorella, per amore di Dio, si sottomette alla superiora in assoluta obbedienza, a imitazione del Signore, del quale l'Apostolo dice: "Fatto obbediente fino alla morte". (Fil 2,8).

 

Capitolo XL. (Il quarto grado dell'umiltà).

Il quarto grado dell'umiltà è quello della sorella che, pur incontrando difficoltà, contrarietà e persino offese non provocate nell'esercizio dell'obbedienza, accetta in silenzio e volontariamente la sofferenza e sopporta tutto con pazienza, senza stancarsi né cedere secondo il monito della Scrittura: " Chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato" (Mt 24,13).  E ancora: "Si rinsaldi il tuo cuore e spera nel Signore".  (Sal 26,14).

 

Capitolo XLI. (Il quinto grado dell'umiltà).

 Il quinto grado dell'umiltà consiste nel manifestare con un'umile confessione alla propria sorella anziana tutti i cattivi pensieri che sorgono nell'animo o le colpe commesse in segreto, secondo l'esortazione della Scrittura, che dice: "Affida al Signore la tua via, confida in lui" (Sal 36,5). Ed anche: "Rendete grazie al Signore, perché è buono, perché il suo amore è per sempre" (Sal 105,1; Sal 117,1), mentre il Profeta esclama: "Ti ho reso noto il mio peccato e non ho nascosto la mia colpa. Ho detto: "confesserò le mie iniquità dinanzi al Signore" e "tu hai perdonato la malizia del mio cuore" (Sal 31,5, variante del Breviario Romano approvato dal Concilio di Trento).

 

Capitolo XLII. (Il sesto grado dell'umiltà).

Il sesto grado dell'umiltà è quello in cui la monaca si accontenta delle cose più misere e grossolane e si considera un'operaia incapace ed indegna nei riguardi di tutto quello che le impone l'obbedienza, ripetendo a se stessa con il Profeta: " Io ero insensato e non capivo, stavo davanti a te come una bestia. Ma io sono sempre con te" (Sal 72,22-23).

 

Capitolo XLIII. (Il settimo grado dell'umiltà).

Il settimo grado dell'umiltà consiste non solo nel qualificarsi come la più miserabile di tutte, ma nell'esserne convinta dal profondo del cuore, umiliandosi e dicendo con il profeta: "Ma io sono un verme e non un uomo, rifiuto degli uomini, disprezzato dalla gente" (Sal 21,7); "Mi sono esaltata e quindi umiliata e confusa" (Sal 87,15, Volg) ed ancora: "Bene per me se sono stato umiliato, perché impari i tuoi decreti" (Sal 118,71).

 

Capitolo XLIV. (L'ottavo grado dell'umiltà).

L'ottavo grado dell'umiltà è quello in cui la monaca non fa nulla al di fuori di ciò a cui la sprona la regola comune del monastero e l'esempio dei Padri.

 

Capitolo XLV. (Il nono grado dell'umiltà).

  Il nono grado dell'umiltà è proprio della monaca che sa dominare la lingua e, osservando fedelmente il silenzio, tace finché non è interrogata, perché la Scrittura insegna che: "Nel molto parlare non manca la colpa" (Pr 10,19) e che: "L'uomo dalle molte chiacchiere va senza direzione sulla terra" (Sal 139,12, Volg.).

 

Capitolo XLVI. (Il decimo grado dell'umiltà).

Il decimo grado dell'umiltà è quello in cui la monaca non è sempre pronta a ridere, perché sta scritto: "Lo stolto alza la sua voce quando ride" (Sir 21,20).

 

Capitolo XLVII. (L'undicesimo grado dell'umiltà).

L'undicesimo grado dell'umiltà è quello nel quale la monaca, quando parla, si esprime pacatamente e seriamente, con umiltà e gravità, e pronuncia poche parole assennate, senza alzare la voce, come sta scritto: "Il saggio si riconosce dalla sobrietà nel parlare" (Sesto, Enchiridion 145 [5])

 

Capitolo XLVIII. (Il dodicesimo grado dell'umiltà).

Il dodicesimo grado, infine, è quello della monaca la cui umiltà non è puramente interiore, ma traspare di fronte a chiunque la osservi da tutto il suo atteggiamento esteriore, in quanto durante il lavoro, in coro, nel monastero, nell'orto, per via, dovunque, sia che sieda, cammini o stia in piedi, tiene costantemente il capo chino e gli occhi bassi; e, considerandosi sempre rea per i propri peccati, si vede già dinanzi al tremendo giudizio di Dio, ripetendo continuamente in cuor suo ciò che disse, con gli occhi fissi a terra il pubblicano del Vangelo: "Signore, io, povero peccatore, non sono degno di alzare gli occhi al cielo" (Lc 18,13, variante). E ancora con il profeta: "Sono curvato ed umiliato all'estremo" (Sal 37,9, Volg.).

Una volta ascesi tutti questi gradi dell'umiltà, la monaca giungerà subito a quella carità, che "quando è perfetta, scaccia il timore" (1 Gv 4,18); per mezzo di essa comincerà allora a custodire senza alcuno sforzo e quasi naturalmente, grazie all'abitudine, tutto quello che prima osservava con una certa paura; non più per timore dell'inferno, ma per amore di Cristo, per la stessa buona abitudine e per il gusto della virtù. Sono questi i frutti che, per opera dello Spirito Santo, il Signore si degnerà di rendere manifesti nel suo operaio, purificato ormai dai vizi e dai peccati.

 

Capitolo XLIX. Il silenzio.

 Per quanto riguarda il silenzio, la regola deve essere osservata con cura, perché sta scritto: " Onorare la giustizia darà silenzio e pace" (Is 32,17, variante). Quindi, per non cadere nel reato di verbosità, si deve tacere, tranne che per i bisogni e le necessità, perché, secondo la Scrittura: "Nel molto parlare non manca la colpa" (Pr 10,19). E altrove viene detto: "Ho posto un freno sulla mia bocca, non ho parlato, mi sono umiliato e ho taciuto anche su cose buone" (Sal 38,2-3, Volg.). Con ciò il profeta ci mostra che se si deve tacere sulle cose buone per amore del silenzio, quanto più è necessario tagliare le parole sconvenienti a causa della punizione. Dobbiamo quindi tacere e parlare con circospezione e misura, evitando che pettegolezzi e presuntuose contraddizioni si trasformino in chiacchiere odiose e superflue. Ecco perché, a causa dell'importanza del silenzio, le sorelle di Cristo, anche se sono perfette, raramente potranno parlare anche di cose buone, sante ed edificanti perché, come abbiamo detto sopra: "Nel molto parlare non manca la colpa" (Pr 10,19), e altrove: "Morte e vita sono in potere della lingua" (Pr 18,21). Se qualcuna si permette di alzare la voce, sia punita con due giorni di privazione della parola o con cinquanta colpi, e se si permette di farlo di nuovo, cento. Escludiamo poi sempre e dovunque la trivialità, le frivolezze e le buffonerie e non permettiamo assolutamente che le serve di Cristo aprano la bocca per discorsi di questo genere.

 

Capitolo L. La custodia dello sguardo.

Non sorga in voi, su istigazione del diavolo, nessuna "concupiscenza degli occhi" (1 Gv 2,16) nei confronti di un uomo, chiunque egli sia. Non dite che il vostro spirito è puro se i vostri occhi sono impuri, perché uno sguardo impuro tradisce un cuore impuro. Colei che fissa un uomo maliziosamente, non deve pensare che le altre non la vedano quando lo fa. Lei è senz'altro vista da coloro che non sospetta che la vedano. Ma ammettiamo che passi inosservata e che non sia vista da nessuno; cosa immaginerà dell'osservatore supremo, da cui non può passare inosservata? Abbia perciò paura di dispiacere a Dio e abbia in animo di non piacere in modo sconveniente ad un uomo. Quando siete insieme ed arriva l'economo del monastero o qualche uomo con lui, proteggete a vicenda il vostro pudore. Anche Dio, che abita in voi, vi protegge in questo modo. Il vostro vestito non attiri l'attenzione, non aspirate a piacere per i vestiti, ma per il modo di vivere che si addice al vostro proposito.

 

Capitolo LI. Non si nasconda il peccato altrui.

Se vedrete una sorella comportarsi con più libertà di quanto convenga, fatelo sapere alla madre. Non giudicatevi malvage quando denunciate ciò con pura intenzione. Voi sareste davvero molto più colpevole e sareste complici del suo peccato, lasciando che la vostra sorella perisca a causa del vostro silenzio, mentre avreste potuto correggerla con la punizione.

In effetti, se portasse una ferita sul corpo o se fosse stata morsa da un serpente, e volesse nascondere ciò per paura che la operassero, non sarebbe una crudeltà il tacere e un atto di misericordia il parlare? Quanto più dovete manifestare i disegni e gli agguati del diavolo in modo che la ferita del peccato non si aggravi nel cuore ed il male della concupiscenza non cresca più a lungo nell'anima? Comportatevi così con l'amore verso le vostre sorelle e l'odio per i vizi.

 

Capitolo LII. Le sorelle non devono litigare tra di loro e neppure insultarsi.

Non solo è impensabile, ma anche incredibile, che le vergini consacrate possano offendersi con pesanti parole o con insulti. Ma se per caso, perché tale è la debolezza umana, alcune sorelle si lasciassero istigare dal diavolo e osassero commettere un furto o venire alle mani, è giusto che subiscano la disciplina regolare, poiché hanno violato le disposizioni della regola. È necessario infatti che si compia in loro ciò che lo Spirito Santo ha predetto per bocca di Salomone riguardo a dei figli indisciplinati: "Chi ama il proprio figlio usa spesso la frusta per lui" (Sir 30,1) e ancora: "Se lo percuoti con il bastone, lo salverai dal regno dei morti" (Pr 23,14). Tuttavia, questa disciplina sarà inflitta a loro in presenza della comunità, secondo la parola dell'Apostolo: "Quelli poi che risultano colpevoli, rimproverali alla presenza di tutti" (1 Tm 5,20).

 Non litigate, secondo questa parola dell'Apostolo: "Un servo del Signore non deve essere litigioso" (2 Tm 2,24). Se non è giusto che il servo di Dio litighi, quanto più è inopportuno per la serva di Dio? Il suo cuore deve essere tanto più mite quanto più il suo corpo è riservato. Se succede (che abbiate dei litigi), terminateli il più presto possibile, per timore che la collera non degeneri in odio, che la pagliuzza diventi una trave e che l'anima diventi omicida. Infatti voi leggete così: "Chiunque odia il proprio fratello è omicida" (1 Gv 3,15), e ancora: "(Pregate) alzando al cielo mani pure, senza collera e senza polemiche " (1 Tm 2,8). Chiunque offenda sua sorella con un insulto, una parola maliziosa o addirittura un'accusa sappia che deve espiare il suo crimine chiedendo scusa. Se cade nella stessa colpa, sarà severamente punita, finché, scusandosi, non meriterà di essere reintegrata. Le più giovani, in particolare, mostreranno rispetto verso le anziane. Se, come accade, su istigazione del diavolo, le sorelle si sono offese a vicenda, dovranno chiedersi perdono l'un l'altra e rimettersi i loro debiti, a ragione delle loro preghiere che devono essere tanto più pure quanto più frequenti. Se colei a cui viene chiesto il perdono non vuole perdonare sua sorella, sia esclusa dalla comunità e abbia timore che, se non perdonerà, anche lei non sarà perdonata (cfr. Mt 6,15, Mc 11,26). Per quanto riguarda colei che non vuole mai chiedere perdono, o non lo fa con tutto il cuore, o che rifiuta il perdono che le viene chiesto (cfr. Mt 18,35), certamente non fa parte della comunità. Costei non si unisca per niente alla comunità finché non abbia dato soddisfazione pentendosi e perdonando la propria sorella. Astenetevi dalle parole dure; se le pronuncerete, non vergognatevi nel tirar fuori il rimedio dalla stessa bocca che ha causato le ferite.

 Se voi, che siete le superiore, per mantenere la disciplina e reprimere i comportamenti scorretti, siete costrette a dire parole dure, e se anche riteneste di aver superato la misura, non vi chiediamo di domandare perdono. E ciò affinché un eccesso di umiltà non comprometta la vostra autorità su coloro che vi devono essere sottoposte. Ma tuttavia dovete chiedere perdono di tutte loro al Signore, che sa anche con quanta benevolenza amiate quelle che più rimproverate con ragione.

 

Capitolo LIII. Nessuna sorella riceva qualcosa dai suoi parenti senza il permesso.

Senza il consenso della badessa nessuna sorella può ricevere dai suoi parenti o da qualunque altra persona lettere, oggetti di devozione o altri piccoli regali e neanche farne a sua volta o scambiarli con le sorelle. E anche se i parenti le mandassero qualche dono, non si permetta di accettarlo, senza averne prima informato la madre. Ma costei, anche nel caso dia il suo consenso per ricevere il dono, può sempre assegnarlo alla sorella, se ne ha bisogno, o a chiunque altro. Chiunque poi, Dio non voglia, si sia spinta così tanto nel male da ricevere di nascosto lettere o qualsivoglia messaggio o piccolo dono, se lo confesserà da sé, meriti indulgenza e si preghi per lei; se invece sarà scoperta nel nasconderlo e sarà dimostrata colpevole, sia gravemente punita secondo le regole del monastero. Soggiaccia ad un simile rigore anche colei che abbia osato con sacrilega presunzione recapitare a chiunque lettere o piccoli doni; tuttavia se qualcuna, per affetto verso i genitori o per qualunque rapporto di familiarità, volesse far pervenire lettere o un pane benedetto, si consigli con la madre badessa; se la stessa lo permetterà, lo dia  tramite le portinaie, ed esse lo trasmettano a suo nome a chi vorrà: la stessa sorella non presuma di dare o di ricevere qualcosa per conto suo, senza la priora o la portinaia: se si permette di fare ciò, sarà punita con tre giorni di privazione.

 

Capitolo LIV. Nessuna sorella faccia da madrina di battesimo alla figlia di chiunque.

Nessuna si permetta di tenere a battesimo la figlia né di un ricco, né di un povero. Non si accolgano assolutamente le figlie né di nobili, né di poveri da assistere o da istruire, a meno che non perseverino nel monastero sotto l'abito religioso come le altre.

 

Capitolo LV. In che modo gli intendenti del monastero o altri uomini devono entrare nel monastero.

Soprattutto, proteggete la vostra reputazione e non consentite a qualsiasi uomo di entrare in parti remote del monastero o nell'oratorio, tranne che per i vescovi, il sacerdote ed il diacono e uno o due lettori raccomandabili per la loro età e condotta, che di volta in volta devono celebrare la messa. Quando si dovranno riparare i tetti, o si dovranno sistemare porte o finestre, o per qualsiasi altra riparazione, entreranno solo gli artigiani ed i loro aiutanti con l'intendente, se necessario; e ciò (avvenga) solo se a conoscenza della madre e con la sua autorizzazione. Lo stesso intendente entrerà nell'interno solo per i casi di necessità di cui sopra; e comunque mai, o difficilmente, senza la badessa o un'altra (sorella) irreprensibile come testimone: cosicché le donne consacrate a Dio mantengano la loro clausura, come conviene e come è utile.

 

Capitolo LVI. Sia proibito entrare nel monastero anche alle donne secolari sposate o alle ragazze.

Le donne sposate o le ragazze laiche o gli uomini, nobili o no, di condizione secolare, che vengono in monastero per vedere i loro parenti, per pregare o per rendere loro visita, non potranno entrare nell'interno del monastero, ad eccezione di coloro che sono riconosciuti come religiosi e timorati di Dio e che la madre del monastero avrà ritenuto degni per il merito delle loro vite. Quando costoro saranno passati per i luoghi che la madre ha loro permesso, tornino immediatamente al parlatorio o alla porta; quindi, se la badessa ritiene giusto così, in sua presenza o in presenza di altre, secondo il suo desiderio, si ricevano gli oggetti di devozione o le altre cose che (gli ospiti) hanno deciso di offrire.  Ma quelle che servono e tutte le sorelle non si permettano di ricevere nulla al di fuori del refettorio, dove è stabilito (che ciò possa avvenire).

 

Capitolo LVII. In che modo la madre badessa debba andare nel parlatorio per salutare e come le serve del Signore devono salutare i propri parenti.

 Per ricevere visite, la badessa non andrà al parlatorio senza il rispetto a lei dovuto, e cioè senza essere accompagnata da due o tre sorelle anziane. Allo stesso modo le altre sorelle non vadano a salutare i loro genitori o qualsiasi religioso senza due o tre testimoni, ovvero delle sorelle designate dalla badessa. A nessuna sorella sarà permesso di parlare da sola con un uomo, nemmeno per un momento. Le sorelle non accetteranno i loro abiti per lavarli, tingerli, tenerli o ripararli. Tuttavia, se una donna viene da un'altra città per incontrare la figlia o per visitare il monastero, se ella è pia e la badessa è d'accordo, la si deve invitare a tavola, ma le altre assolutamente mai, perché le sante vergini consacrate a Dio devono rimanere libere per Cristo e pregare per tutto il popolo piuttosto che organizzare dei pasti. Se qualcuno vuole vedere sua sorella, sua figlia, una parente o una congiunta, non gli sarà negata una conversazione in presenza della priora o di un'anziana.

 Se dei vescovi, degli abati o altri religiosi raccomandabili per la loro alta posizione lo richiedono, devono essere autorizzati ad entrare per pregare. Dobbiamo anche fare in modo che la porta del monastero resti aperta ai visitatori in ore appropriate.

 

Capitolo LVIII. Non si allestiscano pranzi per nessuno.

 Non preparate mai dei pasti, né al monastero né all'esterno del monastero, per queste persone, cioè vescovi, abati, monaci, chierici, uomini e donne laiche, né per i parenti della badessa o di un'altra monaca. E i pasti non saranno serviti neppure al vescovo di questa città, né all'intendente del monastero stesso. Né la badessa né alcuna delle sorelle potranno mai permettersi di partecipare al pasto del vescovo o di un parente, o di qualsiasi altro, sia all'interno che all'esterno del monastero. Ma se qualcuno dei parenti o chiunque altro vuole comprare qualche (alimento) per loro, faccia pervenire all'interno del monastero quello che ha deciso tramite le portinaie, e le sorelle lo prepareranno per se stesse come conviene, secondo la santa usanza.

 

Capitolo LIX. La madre badessa non pranzi fuori dalla comunità.

La madre badessa non mangi mai fuori dalla sua comunità, se non in caso di indisposizione, di malattia o per un impegno urgente.

 

Capitolo LX. Quali sorelle devono essere scelte per la portineria.

  Alla porta del monastero verrà posta una sorella anziana e saggia, che sappia come ricevere e dare un parere, e la cui maturità le impedisca di vagare qua e là. Questa portinaia dovrà avere la cella vicino alla porta e due o tre sorelle più giovani che l'aiutino, in modo che coloro che arrivano trovino sempre qualcuno che dia loro una risposta.

Per questo motivo, davanti a Dio ed ai suoi angeli, imploro tutte coloro che sorvegliano la porta di servizio di non dare nulla delle cose del monastero e di non lasciare che nulla venga ricevuto dall'esterno senza che la badessa ne sia informata ed abbia dato il suo permesso. Se la badessa, come spesso accade, è occupata con i visitatori, le sorelle portinaie mostreranno alla priora ciò che è stato loro consegnato, qualunque cosa sia. Se avranno trascurato di adempiere a ciò, sia le portinaie che quelle che accettano, subiranno la punizione più grave del monastero per aver trasgredito la santa regola.

 

Capitolo LXI. La celleraria del monastero.

Come celleraria del monastero si scelga una sorella saggia, matura, sobria, che non ecceda nel mangiare e non abbia un carattere superbo, facile alle male parole, indolente e prodiga, ma sia timorata di Dio e una vera madre per la comunità. Si prenda cura di tutto e di tutte. Non faccia nulla senza il permesso della badessa ed esegua fedelmente gli ordini ricevuti. Non dia alle sorelle motivo di irritarsi e, se qualcuna di loro avanzasse pretese assurde, non la mortifichi sprezzantemente, ma sappia respingere la richiesta inopportuna con ragionevolezza e umiltà. Custodisca l'anima sua, ricordandosi sempre di quella sentenza dell'Apostolo che dice: "Coloro che avranno esercitato bene il loro ministero, si acquisteranno un grado degno di onore" (1 Tm 3,13).

Si interessi dei malati, dei bambini, degli ospiti e dei poveri con la massima diligenza, ben sapendo che nel giorno del giudizio dovrà rendere conto di tutte queste persone affidate alle sue cure. Tratti gli oggetti e i beni del monastero con la reverenza dovuta ai vasi sacri dell'altare e non tenga nulla in poco conto. Non si lasci prendere dall'avarizia né si abbandoni alla prodigalità, ma agisca sempre con criterio e secondo le direttive della badessa. Soprattutto sia umile e se non può concedere quanto le è stato richiesto, dia almeno una risposta caritatevole, perché sta scritto: "Una buona parola vale più di un dono ricco" (Sir 18,17). Si interessi solo delle incombenze che le ha affidato la badessa, senza ingerirsi in quelle da cui l'ha esclusa. Distribuisca alle sorelle la porzione di vitto prestabilita senza alterigia o ritardi, per non dare motivo di scandalo, ricordandosi di quello che toccherà, secondo la divina promessa, a "Chi avrà scandalizzato uno di questi piccoli" (Mt 18,6). Se la comunità fosse numerosa, le si concedano degli aiuti con la cui collaborazione possa svolgere serenamente il compito che le è stato assegnato. Nelle ore fissate si distribuisca quanto si deve dare e si chieda quello che si deve chiedere, in modo che nella casa di Dio non ci sia alcun motivo di turbamento o di malcontento.

 

Capitolo LXII. Gli arnesi o gli altri oggetti del monastero e gli abiti.

Per la cura di tutto quello che il monastero possiede di arnesi, vesti o qualsiasi altro oggetto la badessa scelga delle sorelle su cui possa contare a motivo della loro vita virtuosa e affidi loro i singoli oggetti nel modo che le sembrerà più opportuno, perché li custodiscano e li raccolgano. Tenga l'inventario di tutto, in maniera che, quando le varie sorelle si succedono negli incarichi loro assegnati, lei sappia che cosa dà e che cosa riceve.  Le sorelle preposte alla dispensa, alla cantina, ai vestiti, ai libri, alla porta di servizio o al deposito della lana prenderanno possesso delle chiavi sul libro del Vangelo e serviranno le altre senza mormorare. Se qualcuna tra di loro si mostrerà negligente nella distribuzione e nella cura di vestiti, scarpe e utensili, sarà severamente punita come dissipatrice delle cose del monastero. Quando si riceveranno dei nuovi vestiti, se non abbiamo più bisogno di quelli vecchi, li restituiremo alla Badessa, perché li distribuisca ai poveri o alle novizie più giovani.

 

Capitolo LXIII. Nel monastero non si facciano ornamenti (pregiati) o lavori di questo genere.

  Raccomando specialmente di non usare abiti vistosi, né color porpora o in pelle di castoro, ma solo bianco opaco o colore del latte. In monastero non saranno mai realizzati né ricami, né ornamenti, né tessuti in vari colori di qualsiasi tipo, né nessuna tintura, tranne il nero solo se necessario, secondo le parole dell'Apostolo: "Nessuno, quando presta servizio militare, si lascia prendere dalle faccende della vita comune, se vuol piacere a colui che lo ha arruolato" (2 Tm 2,4). Anche la biancheria per il letto sarà semplice, perché è molto sconveniente che sul letto di una religiosa splendano coperte mondane o copriletti variopinti. Non userete l'argento, tranne che per il servizio dell'oratorio.

 

Capitolo LXIV. Non si cingano il capo oltre la misura.

Non si cingano il capo oltre la misura che abbiamo qui indicata con un disegno. (Nei manoscritti vi è qui disegnato uno schizzo con misure diverse secondo il criterio di ogni amanuense. Ndt.)

 

Capitolo LXV. Come debbano dormire.

 Ciascuna (monaca) dorma in un letto proprio e ne riceva la fornitura conforme alle consuetudini monastiche e secondo quanto disporrà la madre. Se è possibile dormano tutte nello stesso locale, ma se il numero rilevante non lo permette, riposino a dieci o venti per ambiente insieme con le anziane incaricate della sorveglianza. Nel dormitorio rimangano sempre accese delle lampade fino al mattino. Dormano vestite, con ai fianchi semplici cinture (cfr. Lc 12,35), così che siano sempre pronte e, appena dato il segnale, alzandosi senza indugio si affrettino a prevenirsi vicendevolmente per l'Ufficio divino, ma sempre con la massima gravità e modestia. Le più giovani non abbiano i letti vicini, ma alternati con le più anziane. Quando poi si alzano per l'Ufficio divino, si esortino garbatamente a vicenda per prevenire le scuse delle assonnate.

 

Capitolo LXVI. L’ordine della comunità.

Nel monastero ognuna conservi il posto che le spetta secondo la data del suo ingresso o l'esemplarità della sua condotta o la volontà dell'anziana. Bisogna però che quest'ultima non metta lo scompiglio nel gregge che le è stato affidato, prendendo delle disposizioni ingiuste come se esercitasse un potere assoluto, ma pensi sempre che dovrà rendere conto a Dio di tutte le sue decisioni ed azioni. Dunque le sorelle si succedano nel bacio di pace e nella comunione, nell'intonare i salmi e nei posti in coro, secondo l'ordine che essa avrà stabilito. E in nessuna occasione l'età costituisca un criterio distintivo o pregiudizievole per stabilire i posti, perché Samuele e Daniele, quando erano ancora fanciulli, giudicarono gli anziani (cfr. 1 Sam 3; Dn 13). Quindi, ad eccezione di coloro che, come abbiamo già detto, la madre avrà promosso per ragioni superiori o degradato per motivi fondati, tutti le altre occupino sempre i posti determinati dalla data del rispettivo ingresso, in modo che la sorella arrivata, per esempio, in monastero all'ora seconda, sappia di essere più giovane di quella arrivata all'ora prima, quale che sia la sua età e dignità. Per quanto riguarda le giovani, invece, si osservi in tutto e per tutto la relativa disciplina. Le più giovani, dunque, trattino con riguardo le più anziane, che a loro volta le ricambino con amore. Anche quando si chiamano tra loro, nessuna si permetta di rivolgersi all'altra con il solo nome, ma le anziane diano alle giovani l'appellativo di "sorella" e le giovani usino per le anziane quello di "nonna", come espressione di una materna riverenza. Dovunque le sorelle si incontrino, la più giovane chieda la benedizione alla più anziana; quando passa un'anziana, la più giovane si alzi e le ceda il posto, guardandosi bene dal rimettersi a sedere prima che l'anziana glielo permetta, in modo che si realizzi quanto è scritto: "Prevenitevi a vicenda nel rendervi onore" (Rm 12,10).

 

Capitolo LXVII. Le settimanarie di cucina.

  Le sorelle si serviranno l'un l'altra (cfr. Gal 5,13). In ogni servizio materiale, in cucina ed in tutte le necessità quotidiane, le sorelle devono alternarsi a turno, tranne la madre e la priora. Nessuna sia dispensata dal servizio della cucina, se non per malattia o per un impegno di maggiore importanza, perché così si acquista un merito più grande. Ma le più deboli siano provvedute di un aiuto, in modo da non dover compiere questo servizio di malumore; è bene che tutte abbiano degli aiuti in conformità della grandezza della comunità ed alle condizioni locali. La sorella che termina il suo turno settimanale consegni puliti ed intatti alla celleraria tutti gli utensili di cui si è servita nel proprio turno. A sua volta la celleraria li affidi alla sorella che entra in servizio, in modo da sapere quello che dà e quello che riceve. Un'ora prima del pranzo, le sorelle di turno in cucina ricevano un po' di pane e di vino, per poter poi all'ora del pranzo servire le proprie sorelle senza lamentele né grave disagio. Ma nei giorni festivi aspettino fino al termine della celebrazione eucaristica.

 

LXVIII Se ad una sorella vengano comandate cose impossibili.

Se ad una sorella viene imposta un'obbedienza molto gravosa, o addirittura impossibile a eseguirsi, il comando (della priora) dev'essere accolto da lei con mansuetudine ed obbedienza. Ma se proprio si accorgesse che si tratta di un carico, il cui peso è decisamente superiore alle sue forze, esponga (alla priora) i motivi della sua impossibilità con molta calma e senso di opportunità, senza assumere un atteggiamento arrogante, riluttante o contestatore. Se poi, dopo questa dichiarazione, la priora restasse ferma nella sua convinzione, insistendo nel comando, la giovane sia pur certa che per lei è bene così ed obbedisca per amore di Dio, confidando nel Suo aiuto.

 

Capitolo LXIX. La misura della scomunica.

La scomunica e, in genere, la punizione disciplinare dev'essere proporzionata alla gravità della colpa. Il genere di colpa è di competenza della badessa. Se, tuttavia, una sorella avrà commesso mancanze meno gravi sia esclusa dalla mensa comune. Il trattamento inflitto a colei che viene esclusa dalla mensa è il seguente: in coro non intoni salmo, né antifona, né reciti lezioni fino a quando non avrà riparato alle sue mancanze; mangi da sola dopo la comunità, sicché se, per esempio, le sorelle pranzano all'ora di sesta, ella mangi a nona; se le sorelle pranzano a nona, ella a Vespro, fino a quando avrà ottenuto il perdono con una conveniente riparazione.

 

Capitolo LXX. Le colpe più gravi.

La sorella colpevole di mancanze più gravi sia invece sospesa oltre che dalla mensa anche dal coro. Nessuna lo avvicini per farle compagnia o per parlare di qualsiasi cosa. Attenda da sola al lavoro che le sarà assegnato e rimanga nel lutto della penitenza, consapevole della terribile sentenza dell'apostolo che dice: "Questo individuo venga consegnato a Satana a rovina della carne, affinché lo spirito possa essere salvato nel giorno del Signore" (1 Cor 5,5). Prenda il suo cibo da sola nella quantità e nell'ora che la badessa giudicherà più conveniente per lei; non sia benedetta da chi la incontra e non si benedica neppure il cibo che le viene dato.

 

Capitolo LXXI. Riguardo alle sorelle che senza comando si uniscono alle scomunicate.

Se qualche sorella oserà avvicinare in qualche modo una sorella scomunicata, o parlare con lei, o inviarle un messaggio, senza l'autorizzazione della badessa, incorra nella medesima pena della scomunica.

 

Capitolo LXXII. La sollecitudine per le scomunicate.

La madre deve prendersi cura delle colpevoli con la massima sollecitudine, perché "non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati" (Mt 9,12). Perciò deve agire come un medico sapiente, inviando in qualità di consolatrici nascoste delle sorelle anziane e prudenti che, quasi inavvertitamente, confortino la sorella vacillante e la spingano ad un'umile riparazione, incoraggiandola perché "perché non soccomba sotto un dolore troppo forte", ma, come dice l'Apostolo, bisogna "far prevalere nei suoi riguardi la carità" (2 Cor 2,7-8), e tutte preghino per lei (cfr. Gc 5,15).

 

Capitolo LXXIII. Riguardo alle sorelle che non si correggono, nonostante siano state corrette spesso.

 Se una sorella, già ripresa più volte per una qualsiasi colpa, non si correggerà neppure dopo la scomunica, si ricorra ad una punizione ancor più severa e cioè al castigo corporale. Ma se neppure così si emenderà o - non sia mai! - montata in superbia pretenderà persino di difendere il suo operato, la madre si regoli come un medico sapiente, ossia, dopo aver usato i linimenti e gli unguenti delle esortazioni, i medicamenti delle Scritture divine e, infine, la cauterizzazione della scomunica e le piaghe delle verghe, vedendo che la sua opera non serve a nulla, si affidi al rimedio più efficace e cioè alla preghiera sua e di tutta la comunità per ottenere dal Signore, che tutto può, la salvezza della sorella malata. Se, però, nemmeno questo tentativo servirà a guarirla, (la badessa) metta mano al ferro del chirurgo, secondo quanto dice l'apostolo: "Togliete il malvagio di mezzo a voi!" (1 Cor 5,13) e ancora: "Se l'infedele vuole separarsi, si separi" (1 Cor 7,15), perché una pecora infetta non debba contagiare tutto il gregge. Oppure sia rinchiusa in cella, finché non si riconosca la sua buona volontà.

 

Capitolo LXXIV. Che nessuna presuma di difendere un’altra sorella.

 Bisogna evitare in tutti i modi che, per qualsiasi motivo in monastero, una sorella si provi a difendere un'altra o ad assumerne in certo modo la protezione, anche se ci fosse tra loro un qualsiasi vincolo di parentela. Le sorelle si guardino assolutamente da un simile abuso, che può costituire una pericolosissima occasione di scandali. Se qualcuna trasgredisse queste norme, sia punita con tre giorni di privazione (della parola).

 

Capitolo LXXV L’ordine della salmodia.

  Per quanto riguarda la sinassi [6], vale a dire l'ufficio dei salmi e la misura canonica delle preghiere, secondo le norme della nostra regola devono essere fatte alcune distinzioni.

 Dall'ottavo giorno prima delle Calende di ottobre (il 24 settembre), l'ufficio aumenta fino a un massimo di venticinque "cori" [7], - che i nostri Padri hanno prescritto di cantare per tutto l'inverno - che inizia alle Calende di Novembre (il 1° di novembre) e termina alle Calende di febbraio (il 1° di febbraio) – nelle vigilie notturne nella notte di sabato e quella di domenica. Si dovranno cantare dodici cori in inverno ogni notte fino all'ottavo giorno prima delle Calende di aprile (il 25 marzo), e dopo la fine dell'inverno dodici cori alle sante vigilie dei martiri. E mentre cresce (il numero dei salmi), così diminuisce anche di cinque cori.

Il primo sabato è necessario aumentare di cinque cori, per arrivare a venti; ogni altro sabato, si aumenta di un coro fino alle Calende di novembre (il 1° novembre), fino a quando l'intero corso dei salmi sia completato, cioè venticinque cori di salmi. Questo numero deve essere compiuto durante i tre mesi invernali nelle due notti sopra menzionate e, dopo questi quattro mesi, diminuisce di sabato in sabato. Il primo sabato, cinque cori, poi uno ogni sabato, poiché c'è più tempo dalla fine dell'inverno fino all'equinozio di primavera per far crescere l'ufficio piuttosto che diminuirlo. Pertanto, di sabato in sabato, i cori sono tagliati uno ad uno fino all'ottavo giorno prima delle Calende di aprile (il 25 marzo). Durante l'estate, per l'ufficio delle notti sante, vale a dire le notti del sabato e della domenica, dovremo cantare dodici cori. Ma dobbiamo cantarne otto le altre notti, da equinozio ad equinozio, vale a dire per sei mesi. Dall'equinozio di primavera all'equinozio d'autunno (dal 25 marzo al 25 settembre) si devono cantare ventiquattro salmi. La regola del silenzio deve essere osservata con la massima cura, dappertutto ed in ogni lavoro, in modo che, per quanto lo permette la fragilità umana abituata a correre precipitosamente nel vizio, siamo purificati da ogni vizio della lingua e lavoriamo per edificare i nostri vicini e le nostre vicine, per i quali il Salvatore nostro Gesù Cristo ha versato il suo santo sangue, piuttosto che pronunciare parole uscite dal nostro cuore che straziano gli assenti o parole inutili delle quali dovremo rendere conto al giudice giusto (cfr. Mt 12,36).

 

 

Capitolo LXXVI. A quali ore le sorelle debbano mangiare.

 Dalla Santa Pasqua a Pentecoste, le sorelle pranzino alla sesta ora e cenino la sera. Da Pentecoste, per tutta l'estate, a meno che i lavori manuali siano troppo pesanti o il caldo eccessivo dell'estate le prostri, digiunino fino all'ora nona il mercoledì ed il venerdì. Gli altri giorni, pranzino alla sesta ora. Per quanto riguarda la misura del cibo, è la badessa che deciderà e consiglierà. Spetta a lei regolare tutte le cose con misura e disporre di esse in modo che le anime siano salvate e le sorelle facciano ciò che devono fare senza nessuna mormorazione. Dalle Calende di febbraio fino alle Calende di novembre, digiuneranno il lunedì, il mercoledì ed il venerdì. Ma, dalle Calende di novembre fino al Natale del Signore, è necessario digiunare tutti i giorni tranne che nelle feste. Dalla santa Epifania fino all'inizio della Quaresima, digiuneremo il mercoledì e il venerdì. Dall'inizio della Quaresima fino alla santa Pasqua, prendano cibo la sera. Anche i vespri siano celebrati in modo tale da non aver bisogno della luce di una lampada durante il pasto, ma in modo che tutto possa essere finito alla luce del giorno.

 

Capitolo LXXVII. L’elezione della madre badessa.

Quando la santa badessa si avvierà verso Dio, nessuna di voi voglia che sia eletta una meno capace, per un sentimento terreno o per motivo di nascita o di patrimonio o per parentela; ma tutte, con l'ispirazione di Cristo, unanimemente sceglierete una (sorella) santa e spirituale, che possa  custodire in modo adeguato la regola del monastero ed insieme sappia dare in modo saggio una risposta ai visitatori, per loro edificazione, con prudenza e santo affetto; in modo che tutte le persone che verranno a voi con grande fede e reverenza per la loro edificazione, benedicano grandemente Iddio, e si congratulino spiritualmente dell'elezione da voi fatta e della vita spirituale di colei che avete eletto.

Tuttavia, cosa che non penso potrà avvenire e che Dio con la sua misericordia non permetterà, se in qualunque momento una qualsiasi badessa tentasse di modificare o di addolcire una delle prescrizioni di questa regola, o volesse a causa della parentela o di una motivo qualsiasi avere rapporti di dipendenza o di familiarità con il vescovo di questa città, nel modo che Dio vi ispirerà noi vi autorizziamo a resistere su questo punto con rispetto e gravità ed a non permettere che ciò avvenga per nessun motivo.

Te poi, santa e venerabile madre del monastero, e te priora della santa Comunità, esorto e scongiuro davanti e Dio ed ai suoi angeli, che mai minacce o critiche o lusinghe di alcuno fiacchino il vostro animo, tanto da sminuire l’insegnamento della santa e spirituale regola. Credo tuttavia che, per misericordia di Dio, non incorrerete in peccato per qualche negligenza, ma potrete felicemente pervenire all'eterna beatitudine, grazie all’obbedienza santa e gradita a Dio. Amen.

 

Fine della regola di Donato a Gautstrude.

 



Note del traduttore estratte da vari testi:

[1] Per i riferimenti alle altre regole a cui si è ispirato Donato si veda l'articolo a questo link: reguladonatiintro.html .

[2] In latino "per cola et commata". Si tratta di un'espressione tecnica riferita ad alcuni manoscritti latini in cui le parole sono disposte secondo uno schema definito "per cola et commuta", che vuol dire all'incirca «per clausole e pause», (oppure «per membra (di versetti) e pause». Ndr.), in cui la prima riga di ogni frase riempie tutta la larghezza della colonna e la seconda e le successive sono più brevi. Tale formato era quasi certamente quello che caratterizzava il manoscritto originale della Vulgata di Girolamo ed è tipico delle sue primissime copie. Ogni unità corrisponde verosimilmente a ciò che una persona è in grado di leggere e pronunciare a voce alta prima di riprendere fiato. (Nota estratta da "Storia di dodici manoscritti" di Christopher De Hamel, Edizioni Mondadori 2017)

[3] L'elenco dei capitoli non c'è nella Patrologia Latina, da cui ho attinto il testo latino, anche se Donato ne accenna nel Prologo quando dice: "Questo opuscolo, che è stato composto dietro vostra richiesta in modo sintetico e conciso, determina e dispone uno dopo l'altro tutti gli elementi della vita del monastero e le questioni trattate dalla regola".

[4] La Passio Anastasiae, narra del martirio di santa Anastasia, probabilmente nella persecuzione di Diocleziano (304 ca.). Venerata a Sirmio in Pannonia, il suo culto si diffuse, specie a Costantinopoli ove vennero traslate le reliquie, ed a Roma, dove la leggenda ne fece una martire romana. Questo testo è stato scritto da un autore anonimo non prima del VI secolo.

[5] Le Sentenze di Sesto Pitagorico, in greco "Enchiridion", sono citate per la prima volta da Origene a metà del III secolo. L'autore dell'opera resta sconosciuto. Il testo potrebbe essere di epoca ellenistica, ma rivisto dal punto di vista cristiano; potrebbe essere opera del filosofo latino Quinto Sestio (I sec. a.C.), che scriveva in greco e professava teorie pitagoriche e stoiche, oppure potrebbe semplicemente essere opera di un cristiano del II secolo. Tirannio Rufino, che predispose la traduzione latina di 451 detti di Sesto Pitagorico, li riteneva opera del papa Sisto II.

[6] "Sinassi" è un termine di origine greca che può significare "assemblea" o "riunione" di ogni tipo. Negli scritti dei Padri indica preferibilmente il radunarsi dei monaci per la liturgia.

[7] Come Colombano nella sua regola, anche Donato utilizza il termine "chora", tradotto con "cori", per indicare un gruppo di tre salmi, il cui ultimo è antifonato.

 


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14 maggio 2018        a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net