La Regola per i Canonici

di san Crodegango Vescovo di Metz

Secondo d'edizione del Padre Filippo Labbe [1]

 

(Tradotto dal latino da: “Patrologia Latina”, vol. 89, col. 1097-1120 di J.P. Migne)

 Testo latino con italiano a fronte


PROLOGO

 

Al tempo del molto pio e molto sereno re Pipino [2], Crodegango, servo dei servi di Dio, vescovo della città di Metz.

Se l'autorità delle leggi dei 318 [padri di Nicea] [3] e degli altri Padri della Santa Chiesa fosse durata ed il clero secolare ed il vescovo vivessero secondo le loro giuste norme, sarebbe superfluo per una persona insignificante e non importante come me commentare o dire qualcosa di nuovo su una questione che era stata così ben trattata.

Tuttavia, sia i pastori che i loro greggi sono diventati sempre più negligenti ai nostri tempi. Quindi cos'altro posso fare, trovandomi in una situazione così grave, se non tentare per quanto posso di riportare il nostro clero sul sentiero della giustizia, sotto l'ispirazione di Dio, anche se non riuscirò a fare quanto dovrei.

Quando, per quanto indegno di me, mi fu concesso il trono di questa sede pontificia ed iniziai ad esaminare lo stato della cura pastorale della mia funzione, notai che sia il clero che la popolazione erano affondati in un tale stato di abbandono che mi diedi da fare con dolore per analizzare cosa avrei dovuto fare. Ma, sorretto dall’aiuto divino, aiutato dal conforto dei miei fratelli spirituali e spinto dalla necessità, ho deciso di delineare una breve Regola, in modo che il clero possa trattenersi da ciò che è illegale, si liberi dei suoi peccati ed abbandoni quei mali che ha praticato per così tanto tempo. Così che la sua mente si liberi dagli abituali vizi e possa essere più facilmente riempita di tutto ciò che è buono ed eccellente.

In obbedienza alla Sacra Scrittura, abbiamo stabilito che tutti devono avere un solo spirito nel Servizio di Dio e devono essere diligenti nelle letture spirituali. Tutti devono essere prontamente obbedienti al loro vescovo ed al preposito, come richiede l'ordine canonico; inoltre devono essere uniti nella carità, ferventi nel buon zelo e congiunti nell’amore, stando lontani da liti, da scandali e da odio. Chiunque sia il loro pastore non dovrà preoccuparsi solo dei bisogni materiali, ma anche di quelli spirituali ed in entrambi gli ambiti deve essere in grado di fornire le più attente cure, utilizzando i mezzi a sua disposizione. Reprima i vizi ed agisca il più rapidamente possibile per amputarli non appena iniziano a comparire. Faccia in modo di procurare ai suoi sottoposti tutto ciò che è necessario per la vita umana, secondo i principi indicati qui di seguito.

Così quando Cristo, pastore dei pastori e giudice dei vivi e dei morti, prenderà il suo trono di maestà in quell'ultimo e terribile giorno per giudicare tra tutte le nazioni, quando ognuno del clero lo contemplerà a viso scoperto, (senza velo come Mosè; Cfr. Es 34,34), potremo avere almeno una remissione completa dei nostri peccati; anche se non meriteremo di sentirlo dire: "Bene, servo buono e fedele" (Mt 25,21), come dirà invece ai sommi pastori ed alle greggi affidate ad essi, come ricompensa dei talenti dati loro e che avranno moltiplicato con profitti spirituali.

È chiaro che a chiunque i cui peccati sono stati perdonati per intero non verrà negato l'ingresso nel regno dei cieli, né qualcuno che raggiunge anche la più piccola porzione di paradiso può essere considerato infelice. Tale porzione è concessa a coloro che si affrettano il più velocemente possibile verso quell'obiettivo, attraverso i meriti della loro vita nella loro breve corsa durante questo tempo presente.

Quindi, dedichiamo le nostre menti a questo scopo nel miglior modo possibile, anche se non riusciremo a fare ciò che dovremmo, e la nostra vita si affligga nella penitenza per un po' di tempo, per timore che il castigo di Dio, che ora è così mite e paziente, si scateni su di noi e ci condanni nel tempo a venire.

INIZIA LA REGOLA.

 Indice dei capitoli.

Capitolo 1. L’umiltà.

Capitolo 2. L'ordine della Congregazione dei Canonici.

Capitolo 3. Tutti dormano insieme nel loro monastero.

Capitolo 4. La Compieta ed il silenzio.

Capitolo 5. Il Divino Ufficio durante la notte.

Capitolo 6. Tutti devono frequentare l'Ufficio divino durante le Ore canoniche.

Capitolo 7. Il modo di dire l'Ufficio divino.

Capitolo 8. Tutti vengano al Capitolo ogni giorno.

Capitolo 9. Del lavoro manuale quotidiano.

Capitolo 10. Coloro che vanno in viaggio.

Capitolo 11. Il buon zelo che i Servi di Dio devono avere. (Cfr. "Regola di san Benedetto", RB cap. 72)

Capitolo 12. Nessuno presuma di percuotere o di scomunicare un altro. (Cfr. RB 70)

Capitolo 13. Nella Congregazione dei Chierici è proibito difendersi a vicenda. (Cfr. RB 69)

Capitolo 14. Le confessioni. (Cfr. RB Cap. 7)

Capitolo 15. Le colpe più gravi.

Capitolo 16. Coloro che senza permesso si uniscono agli scomunicati. (Cfr. RB Cap. 26)

Capitolo 17. La scomunica per le colpe. (Cfr. RB Cap. 23)

Capitolo 18. Coloro che commettono errori insignificanti. (Cfr. RB Capitolo 46)

Capitolo 19. La misura della scomunica. (Cfr. RB Cap 24)

Capitolo 20. L’osservanza della Quaresima.

Capitolo 21. La disposizione dei tavoli [nel refettorio].

Capitolo 22. La misura del cibo.

Capitolo 23. La misura del bere.

Capitolo 24. I servizi settimanali di cucina.

Capitolo 25. L'arcidiacono ed il primicerio.

Capitolo 26. Il cellerario.

Capitolo 27. Il portinaio.

Capitolo 28. I Chierici canonici infermi che si sono particolarmente aggregati a questo ordine e non hanno i mezzi per soddisfare i loro bisogni durante la malattia.

Capitolo 29. Gli abiti e le calzature del clero e la loro legna da ardere.

Capitolo 30. Le feste dei santi.

Capitolo 31. Chi intende unirsi a questo particolare Ordine dei Canonici di questa Congregazione faccia di persona una solenne donazione delle sue proprietà alla Chiesa del beato Apostolo Paolo, pur riservandosene l'usufrutto per la durata della sua vita.

Capitolo 32. Le elemosine.

Capitolo 33. Come debbano accorrere al Capitolo od alla Messa la domenica o nelle festività dei santi.

Capitolo 34. Gli elemosinieri si rechino nella Chiesa Cattedrale specificata per ascoltare la parola di Dio.

 

 

 

Capitolo 1. L’umiltà.

La Sacra Scrittura ci proclama ad alta voce: “Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato”. (Lc 14,11). Più umili si diventa, maggiore sarà il grado di gloria che seguirà, perché “Dio resiste ai superbi, agli umili invece dà la sua grazia” (Gc 4,6). Ed ancora “Il Signore ha in orrore ogni cuore superbo” (Pr 16,5). Se vedi qualcuno che è orgoglioso, non dubitare che è figlio del diavolo; se scorgerai qualcuno umile, devi credere che è senza dubbio figlio di Dio.

Abbreviamo qui un lungo capitolo, in modo che le nostre menti possano essere ispirate all'amore dell'umiltà ed evitiamo così quell'orgoglio che è detestabile ed ostile a Dio. Mentre è giusto che tutti gli uomini cristiani e l'intero genere umano mostrino umiltà, è una cosa estremamente malvagia e detestabile che coloro che si sono dedicati al personale servizio di Dio lascino la via dell'umiltà e si associno con l’orgoglio, ovvero con la tirannia del diavolo.

Pertanto, è necessario che chiunque sia stato persuaso dal diavolo a vivere fino ad ora nella superbia e con atteggiamento orgoglioso debba chiedere immediatamente l'aiuto di Dio e tornare a vita nuova attraverso l'umiltà, la carità, l'obbedienza e tutti gli altri buoni precetti di Dio. Poiché è molto meglio regnare con Cristo nel regno dei cieli attraverso l'umiltà, piuttosto che sprofondare nell'inferno con il diavolo e gli altri presuntuosi a causa dell’orgoglio.

 

 Capitolo 2. L'ordine della Congregazione dei Canonici [4].

I Canonici mantengano il loro ordine così come sono stati ordinati nella loro dignità secondo la legittima disposizione della Chiesa romana, certamente in ogni circostanza, vale a dire nella chiesa od ovunque si incontrino per quanto è possibile, a meno che il vescovo non abbia elevato alcuni ad una posizione più elevata o, per sicure ragioni, li abbia degradati. Tutti gli altri, come abbiamo detto, rimangano nell'ordine in cui sono stati ordinati. Pertanto, i giovani onorino i loro anziani e gli anziani si curino in Dio dei loro giovani.

Nel rivolgersi l'un l'altro non usino mai il nudo nome ma, secondo l'ordinamento della Santa Chiesa e della Sede Apostolica, si chiamino a vicenda con il nome prefissato e con il grado del loro ministero, qualunque esso sia. Ogni volta che i sacerdoti si incontrano, il giovane si inchini e chieda la benedizione all'anziano. Se il giovane è seduto, quando passa un anziano si alzi, gli lasci il posto per sedersi e non presuma di sedersi con lui, a meno che il suo anziano non glielo ordini, in modo che si adempia ciò che sta scritto: “Gareggiate nello stimarvi a vicenda” (Rm 12,10).

Ragazzi e giovani devono attenersi rigorosamente al loro ordine nell'Oratorio ed a tavola. Ed anche in qualunque altro posto rimangano controllati e disciplinati.

 

Capitolo 3. Tutti dormano insieme nel loro monastero [5].

 Determiniamo che il clero canonico, che vive sotto la stessa regola con l'aiuto di Dio, deve vivere nel monastero e tutti i chierici devono dormire nello stesso dormitorio. Solo coloro a cui il vescovo ha concesso un permesso speciale, in base a ciò che ha ritenuto opportuno per determinate mansioni, possono dormire separatamente nello stesso monastero; all'interno del dormitorio (i giovani) dormano separati tra loro e mescolati con gli anziani, per assicurarsi che tutto vada bene ed affinché i più anziani possano controllare che i più giovani si comportino come Dio vuole.

Nello stesso monastero non entri nessuna donna e nessun uomo laico, a meno che il vescovo o l’arcidiacono od il primicerio [6] non abbiano ordinato che possano entrare nel refettorio per ristorarsi. Questi laici abbandonino le loro armi fuori dal refettorio e, non appena escono dal refettorio, siano condotti fuori dal monastero. Se fosse necessario per compiere qualche lavoro entrino uomini laici ma, non appena abbiano finito il lavoro escano in fretta dal monastero. Ad eccezione del caso di necessità e, per mancanza di chierici cuochi, se ci sarà bisogno, entrino dei cuochi laici solo per cucinare; finito il loro compito escano in fretta dal monastero.

Nei loro alloggi, i chierici canonici non devono avere a disposizione alcun chierico se non per ordine del loro vescovo. Se fosse permesso loro di averne uno si comportino con umiltà e timor di Dio in modo da non dispiacere né a Dio né al vescovo, né a coloro che governano la congregazione sotto l'autorità del vescovo. In caso contrario, il superiore li scomunichi oppure accettino la punizione corporale.

Negli alloggi che si trovano all'interno dello stesso monastero, né chierici né laici presumano di bere, mangiare o dormire, a parte gli stessi chierici che sono membri della congregazione [7] o quei chierici che, dietro ordine del vescovo, si occupano dei più anziani all'interno del monastero. Qualunque membro del clero che abbia i propri chierici all'interno del monastero, come abbiamo detto, abbia a disposizione una pianeta con gli altri paramenti e, nei giorni di domenica e negli altri giorni di festa, stiano nella Chiesa di Dio vestiti secondo il loro proprio ordine.

 

Capitolo 4. La Compieta ed il silenzio.

 Affinché tutto il clero che è membro della congregazione possa venire a Compieta, il primo segnale per la Compieta suoni al calar della notte, in ogni periodo dell'anno. Non appena sentono il segnale dato a tale scopo, tornino immediatamente al loro monastero, ovunque si trovino, e quando sentono il segnale dato una seconda volta entrino tutti nella chiesa di Santo Stefano e cantino Compieta nel nome di Dio.

Dopo aver cantato Compieta, non bevano né mangino fino all'ora stabilita della mattina successiva. Tutti osservino il silenzio e nessuno parli con un altro fino a quando non sarà cantata al mattino l’Ora Prima, a meno che non sia necessario. In tal caso, parlino a bassa voce, facendo molta attenzione a non far sentire la loro voce negli alloggi accanto.

Se qualcuno di loro non è presente a Compieta, non presuma di bussare alla porta più tardi quella notte, né di entrare nel monastero attraverso nessun'altra strada, fino a quando non entreranno per i Notturni. Né l'arcidiacono né il primicerio né il sagrestano possono concedere a nessuno il permesso di entrare in ritardo dopo Compieta. Questo permesso verrà concesso solo per i Notturni, nel caso che vi sia una ragione così convincente che l'arcidiacono, il primicerio o chiunque sia in carica al momento possano spiegare al vescovo il motivo per cui è successo. Se ci fosse questa necessità, allora abbiano l'autorizzazione di entrare ed uscire.

Se dovesse accadere che ci fosse un qualsiasi motivo per fare un annuncio all'interno del monastero dopo Compieta, l'interessato si rivolga al guardiano di Santo Stefano e lo informi, in modo che lo stesso faccia l'annuncio nel monastero.

Se dovesse accadere, Dio non voglia!, che uno del clero che era andato in città prima di Compieta, o era già lì, su richiesta del diavolo fosse diventato così audace, presuntuoso e disobbediente da rimanere da qualche parte in città per la notte piuttosto che nel suo monastero: in tal caso se lo avesse fatto solo una volta, e non per qualsiasi motivo vizioso, sia ammonito verbalmente. Ma se lo stesso chierico ripete l'offesa allora quel giorno digiuni con pane e acqua. Se lo facesse per la terza volta, passi tre giorni a pane e acqua. Se avesse il coraggio di farlo più spesso, sia sottoposto a punizione corporale, per intimorire gli altri.

Se qualcuno venisse persuaso dal diavolo a far tardi deliberatamente in modo da non riuscire ad andare in città prima di Compieta, al fine di ottenere il permesso di rimanere fuori dal monastero, e se il vescovo, l'arcidiacono o il primicerio sono in grado di accertare ciò, il chierico che ha commesso un simile reato sia scomunicato o sottoposto a punizione corporale.

 

Capitolo 5. Il Divino Ufficio durante la notte.

In inverno, ovvero dal primo di novembre fino a Pasqua, la prudenza impone che il sonno possa prolungarsi per uno spazio moderato oltre la mezzanotte e si alzino con la digestione completata per le Vigilie. Quando avranno terminato i Notturni, dicano il verso, il Kyrie eleison e la Preghiera del Signore. Ci sia quindi essere un intervallo, tranne la domenica e le feste dei santi, a discrezione del vescovo o dei suoi rappresentanti; vale a dire che abbiano il tempo necessario per cantare quaranta o cinquanta salmi, come sembra appropriato e come il tempo lo consente.

Coloro che hanno bisogno di una migliore conoscenza di se stessi, dedichino il tempo allo studio dei salmi e delle lezioni e durante questo intervallo riflettano nel miglior modo possibile. Coloro che non sono in grado di farlo cantino o leggano nella chiesa. Nessuno presuma di dormire durante questo intervallo, a meno che non sia costretto dalla malattia e gli venga dato il permesso; chiunque agisca diversamente sarà scomunicato. Tutti rimangano al loro posto come nelle Vigilie fino a dopo che sono state recitate le Lodi. All’Ora prima tutti cantino Prima insieme nella chiesa di Santo Stefano.

 

Capitolo 6. Tutti devono frequentare l'Ufficio divino durante le Ore canoniche.

Nell’ora dell'Ufficio Divino, non appena si sente il segnale, dopo aver abbandonato tutto ciò che hanno in mano, coloro che sono abbastanza vicini alla chiesa da poterci arrivare rapidamente vi arrivino più in fretta che possono. Se qualcuno dovesse trovarsi lontano dalla chiesa, in modo da non potere essere lì per l'Opera di Dio nelle ore canoniche ed il vescovo o l'arcidiacono concordino sul fatto che ciò è vero, costui celebri l'Ufficio dovunque sia, nel timore di Dio. L’arcidiacono, il primicerio od il guardiano della chiesa facciano in modo che le campane suonino nei momenti giusti.

 

Capitolo 7. Il modo di dire l'Ufficio divino. (Cfr. RB Cap. 19)

Sappiamo per fede che Dio è presente dappertutto e che "Gli occhi del Signore arrivano dappertutto, scrutano i malvagi e i buoni" (Pr 15,3), ma dobbiamo crederlo con assoluta certezza e senza la minima esitazione, quando prendiamo parte all'Ufficio divino. Perciò ricordiamoci sempre di quello che dice il profeta: "Servite il Signore nel timore" e ancora: "Cantate inni con arte" e ancora: "Ti canterò alla presenza degli angeli" (Sal 2,11; 47(46),8; 138(137),2, Volg.). Se quando dobbiamo chiedere un favore a qualche potente personaggio, osiamo farlo solo con soggezione e rispetto, quanto più dobbiamo rivolgere la nostra supplica a Dio, Signore di tutte le cose, con profonda umiltà e sincera devozione.

Ci siamo preoccupati, secondo l'insegnamento della Chiesa di Roma e come decretato dal nostro Sinodo, di fare in modo che il nostro clero, quando è in chiesa per l'Ufficio divino, non tenga in mano un bastone [8], a meno che non sia necessario a causa di infermità fisica.

 

Capitolo 8. Tutti vengano al Capitolo ogni giorno.

È necessario che tutto il clero canonico venga al Capitolo, dove ascolterà la Parola di Dio e questa nostra piccola regola, che abbiamo scritto con l'aiuto di Dio per il loro beneficio e per la salvezza delle loro anime. Ogni giorno ne leggano un capitolo, tranne la domenica, il mercoledì ed il venerdì, quando leggeranno al Capitolo un sermone ed altre omelie o qualunque cosa possa edificare gli ascoltatori. Abbiamo anche stabilito che tutti devono venire al Capitolo ogni giorno affinché l'anima possa ascoltare la Parola di Dio e affinché il vescovo, l'arcidiacono o chiunque sia in carica possa ordinare ciò che deve essere eseguito, possa correggere ciò che necessita di correzione e possa assicurarsi che ciò che deve essere fatto venga svolto. Dopo che Prima è stata cantata, gli stessi chierici vadano nei loro alloggi e si affrettino a prepararsi in modo che, non appena sentono il segnale, si rechino velocemente al Capitolo rivestiti in modo opportuno.

Tutto il clero che si trova fuori dal monastero e vive in città deve venire al Capitolo ogni domenica, vestito con le pianete e con i paramenti ufficiali come sta scritto nell'Ordine Romano. In queste domeniche, e nelle principali feste dei santi, tutto il clero che vive fuori dal monastero, come abbiamo detto, deve venire alle Vigilie ed alle Lodi. In questi stessi giorni rimangano assegnati alla propria funzione ed ognuno compia il proprio servizio fino a quando la Messa non sarà terminata. Se qualcuno agirà in modo diverso, sia scomunicato dall'arcidiacono o dal primicerio o anche, se necessario, sottoposto a punizione corporale. E nei giorni di domenica e delle principali feste dei santi, come abbiamo detto, mangino tutti nel refettorio insieme al resto del clero, stando ai tavoli a loro assegnati.

 

Capitolo 9. Del lavoro manuale quotidiano.

L'ozio è il nemico dell'anima. Decretiamo pertanto che, su ordine del vescovo, dell’arcidiacono, del primicerio o di chiunque venga da loro delegato, il clero deve passare dal Capitolo al proprio lavoro, ovunque gli venga comandato di andare, e deve svolgere i propri compiti di buon animo e senza mormorare. Quando non vi è alcun compito comune da svolgere, ognuno di essi rimanga occupato in una qualsiasi attività.

 

Capitolo 10. Coloro che vanno in viaggio.

Qualunque membro del clero che parte per un viaggio con il vescovo, verso qualsiasi destinazione, non deve trascurare di osservare il suo stile di vita, nella misura in cui la natura del viaggio lo consente. Non devono tralasciare gli orari stabiliti, sia per l'Ufficio Divino che per qualsiasi altra cosa.

 

Capitolo 11. Il buon zelo che i Servi di Dio devono avere. (Cfr. RB cap. 72)

Come c'è un cattivo zelo, pieno di amarezza, che separa da Dio e porta all'inferno, così ce n'è uno buono, che allontana dal peccato e conduce a Dio e alla vita eterna. Ed è proprio in quest'ultimo che i monaci devono esercitarsi con la più ardente carità e cioè: “gareggino nello stimarsi a vicenda” (Rm 12,10) e sopportino con grandissima pazienza le rispettive miserie fisiche e morali.

Se ci sono vizi da rimproverare, o punizioni da infliggere, spetta ai responsabili di tali cose provvedere a ciò, e devono accettare di farlo con benevolenza essendo i "collaboratori di Dio" come afferma l'Apostolo Paolo. (1 Cor 3,9) Così saranno in grado di distruggere i vizi quando si presenteranno e di incoraggiare tutti ad un modo di vivere migliore poiché sta scritto: "Odiate il male, voi che amate il Signore; infatti, chi ama l'iniquità odia la propria anima". (Salmo 97(96),10; 10,6 Volg.) Colui che in verità ama la propria anima è colui che custodisce sé stesso ed attira gli altri verso un modello di buona condotta, sia con le parole che con le azioni.

 

Capitolo 12. Nessuno presuma di percuotere o di scomunicare un altro. (Cfr. RB 70)

Ogni occasione di presunzione deve essere evitata in questo Ordine Canonico: perciò diamo ordine e comandiamo che nessuno sia autorizzato a scomunicare o percuotere suo fratello, anche se suo fratello è così irritante che lo spinge a farlo. Non ha il diritto di vendicarsi, né a parole né con azioni, ma vada dal superiore, che giudicherà la questione secondo la norma. Chiunque presuma di agire diversamente sia giudicato dal vescovo o dal suo rappresentante.

 

Capitolo 13. Nella Congregazione dei Chierici è proibito difendersi a vicenda. (Cfr. RB 69)

Bisogna evitare in tutti i modi che per qualsiasi motivo qualche Chierico si arroghi il diritto di difendere un altro Chierico. Né per motivi di parentela, né per amicizia o familiarità, i canonici devono fare ciò perché potrebbero verificarsi scandali molto gravi nella congregazione per questo motivo. Ma se qualcuno trasgredisse questa norma, sia punito molto severamente, affinché gli altri possano temere di farlo.

 

Capitolo 14. Le confessioni. (Cfr. RB Cap. 7)

Le Scritture ci esortano dicendo: "Affida al Signore la tua via, confida in lui". (Sal 37(36),5) Ed ancora: "Confessa al Signore, perché è buono e la sua misericordia dura per sempre". (Sal 106(105),1 Volg.) E di nuovo il profeta dice: “Ti ho fatto conoscere il mio peccato, non ho coperto la mia colpa”. E di nuovo: “Ho detto: «Confesserò al Signore le mie iniquità» e tu hai tolto la mia colpa e il mio peccato” (Sal 32(31),5). Inoltre: “Confessate perciò i vostri peccati gli uni agli altri [e pregate gli uni per gli altri] per essere guariti” (Gc 5,16) E altrove: "Chi nasconde le proprie colpe non avrà successo; ma chi li confesserà, salverà la sua anima dalla morte" (Pr 28,13 Volg.). Il Signore dice anche nel Vangelo: "Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino" (Mt 3,2).

Poiché abbiamo commesso molti reati contro la volontà del Signore ed i comandamenti di Dio, esortati dal diavolo, è necessario fare ammenda, come ci insegna la Scrittura, con sincera confessione e sincero cambiamento di vita. I Santi Padri che avevano raggiunto la perfezione stabilirono che non appena un pensiero malvagio fosse entrato nel cuore di un servitore di Dio, su suggerimento del diavolo, costui avrebbe dovuto umilmente confessarlo subito al suo superiore.

Potremmo essere così fragili e deboli da non essere in grado di seguire fino in fondo le loro orme, ma dovremmo tentare di seguirle almeno in parte, per quanto Dio ci darà la capacità, in modo da poter meritare di possedere il Regno di Dio attraverso la vera confessione.

Pertanto decretiamo che due volte all'anno, a turno, il nostro clero renda la sua sincera confessione al proprio vescovo. Ciò deve essere fatto nei seguenti tempi: una volta all'inizio dei quaranta giorni prima di Pasqua; l'altra volta tra metà agosto ed il primo novembre. Nel mezzo di questi tempi, se il vescovo concede il permesso a qualcuno che necessita di ciò, costui si può confessare in un’altra occasione al vescovo o ad un altro sacerdote a cui il vescovo ha dato facoltà, ogni volta che lo desidera e ne abbia bisogno.

Quel clero che non è impedito dal peccato deve ricevere il Corpo ed il Sangue di Nostro Signore Gesù Cristo ogni domenica e nelle principali festività, poiché il Signore dice nel Vangelo: "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui" (Gv 6,56) Ma se qualcuno riceve questi sacri misteri indegnamente, “mangia e beve la propria condanna” (1 Cor 11,29).

Può succedere, Dio non voglia!, che uno del clero vada a confessarsi dal proprio vescovo e che sia così pieno di spirito del diavolo da osare nascondere uno dei suoi peccati al suo vescovo. Potrebbe poi andare da altri sacerdoti per fare la sua confessione, desiderando nascondere la sua malvagità al proprio vescovo e temendo che il vescovo possa degradarlo dagli ordini sacri o impedirgli di raggiungere tali ordini se non è ancora stato ordinato, o vietargli di ricevere il Corpo del Signore, o potrebbe punirlo per i suoi vizi. In tal caso, se il vescovo in qualche modo riesce ad indagare e trova prove sufficienti, l'autore del reato subirà una punizione corporale o il carcere o qualsiasi altra cosa il vescovo decida, a seconda della natura della colpa, in modo che gli altri abbiano il timore di cadere in un tale peccato. È estremamente malvagio peccare agli occhi di Dio e vergognarsi di confessarlo davanti all'uomo dal quale, nella misericordia di Dio, dovrebbe ricevere consigli salutari su quel peccato.

 

Capitolo 15. Le colpe più gravi.

Se un chierico dell'ordine dei canonici è colpevole di aver commesso delle gravi colpe, vale a dire omicidio, fornicazione, adulterio, rapina o una qualsiasi delle principali colpe, deve essere dapprima sottoposto a punizione corporale. Quindi, finché il vescovo od i suoi rappresentanti lo riterranno opportuno, subirà la reclusione o l'esilio, meditando su quella terribile sentenza dell'Apostolo Paolo che dice: “Questo individuo venga consegnato a Satana a rovina della carne, affinché lo spirito possa essere salvato nel giorno del Signore” (1 Cor 5,5). E mentre è in prigione nessuno del clero deve avere alcuna comunanza con lui, né parlargli se non su ordine del superiore. Rimarrà lì da solo nella penitenza e nel dolore finché il superiore lo riterrà opportuno.

Quando esce di prigione, se il vescovo od i suoi rappresentanti lo riterranno opportuno, deve comunque fare penitenza pubblica, cioè deve essere sospeso dall'Oratorio e anche dalla messa. In tutte le Ore canoniche venga davanti alla porta della chiesa, in un luogo fissato dal superiore e si prostri con tutto il suo corpo davanti alla soglia della porta fino a quando tutti sono entrati; poi si alzi e stia fuori dalla chiesa, vicino alla porta, e faccia del suo meglio per seguire l'Ufficio da lì. Quando escono dalla chiesa si prostri allo stesso modo fino a quando non sono usciti tutti e quando si trova prostrato od in piedi sulla soglia non deve conversare con nessuno.

La durata e la natura del suo digiuno devono essere determinate dal vescovo o dai suoi rappresentanti, nella misura e nell'ora che riterrà opportune. Non sarà benedetto da nessuno finché non sarà assolto. Quando sarà chiamato a riconciliarsi davanti al vescovo od al clero venga con tutta umiltà e, con tutto il corpo prostrato a terra, chieda perdono a tutti; allora il vescovo gli concederà la riconciliazione secondo la regola canonica.

 

Capitolo 16. Coloro che senza permesso si uniscono agli scomunicati. (Cfr. RB Cap. 26)

Se un fratello presume, senza il permesso del vescovo o dei suoi delegati, di avvicinarsi in qualche modo ad un chierico scomunicato, o di conversare con lui, o di inviargli un messaggio od una lettera, costui riceva la stessa punizione della scomunica.

 

Capitolo 17. La scomunica per le colpe. (Cfr. RB Cap. 23)

Se un chierico sarà trovato contumace, o disobbediente, o orgoglioso, o ubriacone, o detrattore, o oppositore, o ribelle o litigioso o mormoratore, o uno che rompe il digiuno stabilito o che disdegna di stare davanti alla Croce se gli viene comandato di farlo; se quando viene rimproverato non chiede perdono; se sta in qualche modo disprezzando o contravvenendo a questa piccola Regola ed agli ordini del vescovo o dei suoi rappresentanti costui, secondo il comandamento di nostro Signore, sia ammonito privatamente dai suoi superiori per una prima ed una seconda volta. Se non si emenda, sia rimproverato pubblicamente davanti a tutti. Ma se anche allora non si corregge, subisca una scomunica, purché capisca la gravità di quella pena. Se, tuttavia, è perverso, o poco intelligente, o incorreggibile, subisca una punizione corporale.

 

Capitolo 18. Coloro che commettono errori insignificanti. (Cfr. RB Capitolo 46)

Se un chierico arriva tardi [all'Opera di Dio] od alla mensa, o se un anziano gli ha ordinato di intonare la salmodia o di cantare la Messa e per qualche ragione non l’ha fatto; se rompe qualcosa o perde qualcosa, o cade in qualsiasi trasgressione e non si reca subito di propria iniziativa davanti al vescovo od ai suoi rappresentanti per confessare il suo reato e fare penitenza per esso, ma questo reato diventa noto attraverso un altro (chierico), costui subisca una pena maggiore a seconda della natura della colpa come riterrà opportuno il vescovo od i suoi rappresentanti. Ma se lo confesserà di propria iniziativa subirà una pena minore e, come abbiamo detto, secondo la natura della colpa.

 

Capitolo 19. La misura della scomunica. (Cfr. RB Cap 24)

La misura della scomunica e della punizione deve essere proporzionata alla gravità della colpa e ciò è di competenza del vescovo o dei suoi rappresentanti. Coloro che cadono in un peccato grave non devono essere trattati allo stesso modo di quelli che commettono mancanze meno gravi; ma la medicina deve essere adeguata alla malattia, perché in caso contrario né un compassionevole (Latino: pius) medico potrebbe curare le ferite, né colui che rifiuta di prendere una medicina spirituale potrebbe conseguire la guarigione da un medicamento spirituale.

 

Capitolo 20. L’osservanza della Quaresima.

Sebbene la vita di un cristiano debba essere sempre semplice e sobria, è molto appropriato che le menti religiose vivano in modo più moderato in questi giorni e siano ansiose di avvicinarsi a Dio con un'attenta devozione. Pertanto, decretiamo che durante i quaranta giorni che precedono la Pasqua, il nostro clero deve preservarsi puro nella mente e nel corpo, al meglio delle proprie possibilità, con l'aiuto di Dio. Assumano con moderazione cibo e bevande, nella misura in cui Dio dà loro forza: ovvero tutti i giorni tranne la domenica dall'inizio della Quaresima fino alla santa Pasqua, mangino nel refettorio dopo aver detto i Vespri; si astengano da determinati cibi e bevande secondo ciò che il vescovo ritiene ragionevole. Non mangino altrove in quei quaranta giorni, né in città, né in altri monasteri, né in nessun luogo, nemmeno nelle loro case (di famiglia), a meno che non siano così lontani da non riuscire a stare a pranzo con i loro fratelli al momento giusto. Quindi, possono avere il permesso in tal caso di necessità di mangiare la stessa razione dell'altro clero e facciano in modo di non anticipare le ore stabilite.

 In quei quaranta giorni, i fratelli abbiano il tempo di leggere tra la Prima e la Terza Ora e non escano dal monastero, salvo per andare in quelle chiese che sono vicino alla Cattedrale [9], a meno che non sarà necessario, secondo il giudizio del vescovo o del suo rappresentante, per fare ciò che dovrà essere fatto. Dopo l’Ora Terza celebrino il Capitolo.

Da Pasqua fino a Pentecoste mangino due volte al giorno ed abbiano il permesso di mangiare carne, a meno che non siano penitenti, tranne il venerdì. Da Pentecoste fino alla Natività di San Giovanni Battista mangino due volte al giorno nello stesso modo, ma si astengano dalla carne fino a dopo la celebrazione della messa. Dalla Natività di San Giovanni il Battista fino alla festa del transito di San Martino, come prima mangino due volte al giorno e si astengano dalla carne il mercoledì ed il venerdì. A partire dal transito di Martino fino alla Natività del Signore si astengano tutti dalla carne e digiunino fino a Nona tutti questi giorni e mangino nel refettorio. Quindi, dopo la Natività del Signore fino all'inizio della Quaresima, pranzino nel refettorio a Nona il lunedì, il mercoledì ed il venerdì; nei giorni rimanenti consumino due pasti nello stesso refettorio. Durante questo periodo si astengano dalla carne il mercoledì ed il venerdì. Ma se si verifica un giorno di festa in uno di questi due giorni, possono mangiare carne, se lo permette il superiore.

A causa della debolezza del nostro clero abbiamo deciso che il mercoledì o il venerdì o le altre volte in cui abbiamo decretato che bisogna astenersi dalla carne, il vescovo o i suoi delegati possono, se necessario e con ponderazione prendere (una decisione contraria) per la loro salute o per necessità o per il verificarsi di una festività, nel modo che meglio riterranno.

Ed io, Angilramno [10], arcivescovo e cappellano del più eccellente re Carlo, sono lieto di aggiungere che, mentre noi ed il nostro clero celebriamo con devozione il tempo dalla Pentecoste alla sua ottava, che è la seconda Pasqua - la venuta dello Spirito Santo - in questi santi otto giorni il clero di Santo Stefano Protomartire, che dipende da noi, può avere il permesso di mangiare carne, ad eccezione di coloro che hanno deciso di astenersi per il bene delle loro anime o perché è stata posta su di loro una penitenza.

 

Capitolo 21. La disposizione dei tavoli [nel refettorio].

Il primo tavolo è per il vescovo con ospiti e pellegrini, dove può sedere anche l'arcidiacono e chiunque sia stato comandato dal vescovo. Il secondo tavolo è per i sacerdoti; il terzo per i diaconi; il quarto per i suddiaconi; il quinto per gli ordini rimanenti; il sesto per gli abati [11] e chiunque sia stato comandato dal superiore. Al settimo tavolo i canonici che vivono in città al di fuori del monastero nei giorni di domenica e delle note festività. Quando arriva il momento del pasto e suona la campana del refettorio, i fratelli si radunino lì in fretta ed entrino insieme nel refettorio, preghino insieme e recitino il versetto. Quando il vescovo od un altro sacerdote hanno impartito la benedizione sui tavoli, tutti rispondano "Amen" ed ognuno vada al proprio tavolo secondo l’ordine predisposto.

Il clero deve conservare un perfetto silenzio nel refettorio fino a quando non sarà uscito da esso, in modo che la lettura spirituale possa essere ascoltata e ponderata nel cuore. Perché è necessario che l'anima sia nutrita con cibo spirituale mentre prendono il cibo corporale.

Il lettore, il cellerario, il portinaio, il settimanario [12] e quelli che servono quando il vescovo ed il suo clero si ristorano nel refettorio, devono venire al refettorio prima dei fratelli e cibarsi con un po’ di pane ed una bevanda, per timore che il digiuno sia difficile da sopportare mentre il clero sta mangiando. Infatti, il lettore deve leggere fino a quando il superiore non dà ordine di terminare la lettura.

Bisogna fare attenzione che né i preti, né i diaconi né i suddiaconi, né alcun clero porti fuori dal refettorio alcun cibo o qualsiasi cosa da mangiare o da bere, senza l’ordine del vescovo.

Bisogna anche prestare attenzione al fatto che senza l'ordine del vescovo o di chiunque sia incaricato in quel momento, non entri nessuno nel refettorio, né per mangiare né per bere, prima del momento opportuno, ad eccezione di coloro che dovranno servire. Neppure devono infastidire irragionevolmente il cellerario ma, al momento opportuno, (gli incaricati) chiedano le cose che devono essere chieste e diano quelle che devono essere date.

All'interno del refettorio, né laici né chierici diversi da quelli della Congregazione possono mangiare o bere senza l’ordine del vescovo o dei suoi delegati. E nessuno del clero subordinato, che si trova sotto il comando dei suoi anziani, entri nel monastero dove il clero si reca per il Capitolo o nel refettorio, a meno che non sia necessario oppure che il vescovo o i suoi delegati l'abbiano comandato.

 

Capitolo 22. La misura del cibo.

Quando il nostro clero mangia due volte al giorno nei periodi dell'anno sopra determinati, riceva una quantità sufficiente di pane. A mezzogiorno, riceva una pietanza, una porzione di carne ogni due (chierici) ed altro cibo; se non ci sono altri cibi abbia due porzioni di carne o di lardo. Anche a cena riceva una porzione di carne ogni due (chierici) o qualche altro cibo.

Nel tempo in cui (i chierici) seguono un regime quaresimale, a mezzogiorno abbiano una porzione di formaggio ogni due fratelli e qualche altro piatto; se sono disponibili pesci, fagioli od altro, si aggiunga un terzo piatto. A cena ricevano un altro piatto ogni due (chierici) od una porzione di formaggio. Se Dio concede loro di più, devono esserne grati.

Nei giorni in cui c'è un solo pasto, abbiano un piatto di cibo ogni due (chierici), una porzione di formaggio ed una porzione di fagioli o altre pietanze. E se accade che in quell'anno non ci sono ghiande o faggiole [frutti dei faggi] e non hanno i mezzi per compensare la razione di carne, il vescovo si assicuri che abbiano qualche conforto almeno mediante cibo quaresimale o qualsiasi altro (alimento), a seconda della possibilità che Dio offre.

 

Capitolo 23. La misura del bere.

Quando mangiano due volte al giorno, i sacerdoti ricevano tre tazze [13] (di vino) a mezzogiorno e due a cena; quelli che sono nel rango di diacono ne ricevano tre a mezzogiorno e due a cena; i suddiaconi due a mezzogiorno e due a cena; gli altri gradi due tazze a mezzogiorno e una a cena. Quando c'è un solo pasto al giorno, devono ricevere lo stesso numero di tazze stabilito per il pasto di mezzogiorno quando mangiano due volte al giorno; e ciò che avrebbero dovuto bere a cena rimanga nella gestione del cellerario. Ed evitino assolutamente l’ubriachezza.

Se dovesse capitare che ci fosse meno vino disponibile ed il vescovo non è in grado di compensare questa razione, se ne fornisca nel modo migliore possibile; i fratelli non si lamentino, ma ringrazino Dio e sopportino con serenità. Infatti, se fosse stato possibile distribuire la loro razione, certemente ciò non sarebbe stato loro negato.

Per coloro che si astengono dal vino, il vescovo od il suo rappresentante si assicurino che abbiano la stessa razione di birra che avrebbero dovuto avere di vino.

Se il vescovo desiderasse accrescere la suddetta razione di bevande, ciò è in suo potere ed utilizzi la birra come conforto.

Tuttavia, se dovesse accadere, per una buona ragione, che venga concesso un pasto supplementare, non possiamo permettere che ricevano più della suddetta razione (di bevande), ovvero tre tazze, ad ogni singolo pasto; ed anche questo ci sembra superfluo, perché "il vino fa deviare anche i saggi" (Sir 19,2), e l'ubriachezza porta a litigi ed al peccato. Noi ammoniamo che un chierico conduca una vita assolutamente sobria; dal momento che al giorno d'oggi non possiamo persuaderli a non bere vino, allora concordiamo su ciò, che per lo meno non siano condizionati dall'ubriachezza, poiché l’Apostolo Paolo ci dice che gli ubriaconi sono esclusi dal Regno di Dio, a meno che non si emendino con adeguata penitenza.

 

Capitolo 24. I servizi settimanali di cucina.

I chierici canonici devono servirsi a vicenda e nessuno deve tralasciare il servizio di cucina, a meno che non sia malato o perché è occupato in qualche attività importante, poiché con questo servizio si acquisisce una maggiore ricompensa e benevolenza. I deboli abbiano l'aiuto loro necessario affinché possano svolgere il loro ufficio senza tristezza, ma tutti abbiano un aiuto in base alle dimensioni della comunità od alla posizione della località. L'arcidiacono, il primicerio, il cellerario ed i tre guardiani delle chiese di Santo Stefano, di San Pietro e di Santa Maria, che sono occupati in servizi più importanti, siano esonerati dal servizio di cucina. Gli altri invece si servano l'un l'altro con benevolenza.

Quando l’incaricato termina la sua settimana nel giorno di sabato, faccia le pulizie e riconsegni al cellerario i vasi che aveva ricevuto per il servizio, integri e puliti. Se qualcuno di questi fosse rotto, chieda perdono al Capitolo del sabato e rimetta al suo posto il vaso o qualunque cosa fosse rovinata. Quindi faccia la penitenza che il vescovo od il suo delegato riterranno opportuna.

 

Capitolo 25. L'arcidiacono ed il primicerio.

Bisogna essere “Prudenti come i serpenti e semplici come le colombe” (Mt 10,16) in altre parole prudenti nel bene ed innocenti nel male. Siano istruiti dai precetti del Vangelo e dalle regole canoniche stabilite dai santi Padri e da questa nostra piccola regola, in modo da poter insegnare al clero secondo la legge di Dio. Si adeguino al loro clero, in modo da insegnare i precetti divini non solo a coloro che capiscono le loro parole, ma con il loro esempio li dimostrino a quelli più semplici. Devono sempre osservare la regola dell'Apostolo, in cui egli dice: "Ammonisci, rimprovera, esorta" (2 Tm 4,2): si adattino cioè alle circostanze, ora usando la severità ed ora la persuasione. Vale a dire che devono severamente rimproverare l'indisciplinato e l'irrequieto, ma gli obbedienti, i mansueti ed i pazienti, li esortino ad avanzare in virtù. In quanto ai negligenti, ribelli ed orgogliosi, li rimproverino e li puniscano. Non chiudano gli occhi sulle colpe dei trasgressori ma, non appena iniziano a comparire, le amputino il più possibile dalle radici, consapevoli del destino di Eli, sacerdote a Silo (Cfr. 1 Sam 2,11-35). Coloro che sono più corretti e più sensibili devono essere puniti (per la loro trasgressione) una prima ed una seconda volta con ammonizione verbale; ma i perfidi, i duri di cuore, gli orgogliosi ed i disobbedienti siano sottoposti fin dall'inizio del loro errore alla verga ed alla punizione corporale, secondo ciò che sta scritto: "Lo sciocco non si corregge con le parole" (Pr 18,2 Volg.), e di nuovo: “Percuoti tuo figlio con il bastone e salverai la sua anima dalla morte” (Pr 23,14 Volg.; RB 2).

Se c'è qualcosa che non riescono a decidere da soli, giustamente e ragionevolmente, secondo la regola canonica o secondo questa nostra piccola regola, l'arcidiacono od il primicerio la rivelino al vescovo e spetterà a lui, secondo la volontà di Dio, punire ciò che deve essere punito e correggere ciò che deve essere corretto.  Siano inoltre sempre fedeli ed obbedienti a Dio ed al vescovo, nel loro comportamento e nelle loro azioni. Non siano orgogliosi, ribelli o sprezzanti, ma casti, sobri, pazienti, gentili e misericordiosi e “la misericordia abbia sempre la meglio sul giudizio”, (Gc 2,13) in modo che essi stessi possano ottenere misericordia.

Amino il clero, odino i vizi, nell'amministrazione della correzione agiscano con prudente moderazione, per non essere troppo zelanti nel rimuovere la ruggine finendo per rompere il vaso. Ricordino che la canna incrinata non deve essere spezzata (cfr. Is 42,3). Con questo non intendiamo dire che devono permettere ai mali di crescere, ma che devono sradicarli con prudenza e carità il prima possibile. E "non succeda che, dopo avere predicato agli altri, loro stessi vengano squalificati" (1 Cor 9,27), ricordando quel precetto del Signore: "Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello, e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? ... Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello” (Mt 7,3:5).

Se si scoprisse che l'arcidiacono od il primicerio, Dio non voglia!, sono orgogliosi o boriosi o polemici o sprezzanti della regola canonica e di questa nostra piccola regola, siano ammoniti una o due volte, secondo il precetto del Signore e se non si emendassero siano giudicati dal vescovo secondo l'entità della loro colpa. Se non si correggono nemmeno allora, siano deposti dai loro ordini ed al loro posto subentrino uomini degni e che adempiano la volontà di Dio e del loro vescovo, in conformità con la legge di Dio.

 

Capitolo 26. Il cellerario.

Il cellerario deve essere un uomo timoroso di Dio, sobrio, non un grande bevitore, non litigioso, non irascibile, ma di carattere modesto, maturo e fedele. Custodisca fedelmente tutto ciò di cui si è assunto la cura per le esigenze del clero. Non faccia nulla se non su ordine del vescovo o del suo incaricato e non sprechi o sperperi le sostanze del clero, perché se così farà, dovrà senza dubbio renderne conto a Dio nel Giorno del Giudizio; “Coloro infatti che avranno esercitato bene il loro ministero, si acquisteranno un grado degno di onore” (1 Tm 3,13).

 

Capitolo 27. Il portinaio.

Il portinaio, con l’aiuto di un giovane, sorvegli le porte e gli ingressi del monastero per un periodo di un anno o più se il vescovo lo ritiene opportuno. Questo portinaio sia sobrio, paziente e saggio, sappia ascoltare e dare una risposta, custodisca le porte e gli ingressi del monastero e non presuma di fare qualcosa di contrario a questa disposizione: se dovesse agire così, sia scomunicato. Dopo Compieta deve restituire le chiavi delle porte all'arcidiacono e se l'arcidiacono fosse via, riceva le chiavi il suo delegato. I guardiani delle chiese che vi dormono all’interno o nelle case accanto devono osservare il silenzio il più possibile come il resto del clero e dopo Compieta non mangino né bevano. Non permettano di entrare a coloro che sono rimasti fuori dal monastero dopo Compieta, né permettano di uscire attraverso le porte loro affidate a quelli che si trovano all'interno del monastero. Se dovessero permettere ciò siano giudicati dal vescovo o dal suo delegato.

 

Capitolo 28. I Chierici canonici infermi che si sono particolarmente aggregati a questo ordine e non hanno i mezzi per soddisfare i loro bisogni durante la malattia.

Se si ammala qualcuno dei chierici che fanno parte di coloro che si sono particolarmente aggregati a questo ordine e non hanno i mezzi per soddisfare i loro bisogni durante la malattia, il vescovo si prenda la massima cura di costoro, insieme all'arcidiacono ed al primicerio, facendo in modo che i malati non siano trascurati, ma siano serviti come Cristo stesso, poiché egli disse: "Ero malato e mi avete visitato"; e "tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me" ( Mt 25,36:40). Di conseguenza, quando è necessario devono provvedere a fornire tutto ciò che è utile ed appropriato a coloro che sono infermi, integralmente e senza indugio, perché è compito dei responsabili fare in modo che i malati non manchino di qualcosa o non siano trascurati. Sappiano che senza dubbio dovranno rendere conto di tutte queste questioni, e di come le hanno seguite, nel grande Giorno del Giudizio in cui il Re dei vivi e dei morti “siederà sul trono della sua gloria” (Mt 25,31). E se l'arcidiacono od il primicerio non sono del tutto in grado di provvedere ai loro bisogni, ne informino assolutamente il vescovo che provveda, nel timore di Dio e nella carità, a fare in modo che possano avere tutto ciò di cui hanno bisogno per soddisfare le esigenze dei malati.

A questi fratelli malati siano assegnati alloggi speciali, opportunamente sistemati ed attrezzati il meglio possibile affinché si riprendano dalla loro malattia. Sia nominato uno del clero che teme Dio, che si prenda la massima cura degli ammalati in tutte le loro necessità e che abbia assistenza, se necessario e come decide il superiore, in modo che i malati possano essere serviti senza lamentele o negligenze. Se eseguirà bene il suo lavoro, sappia che si meriterà un grado degno di onore (Cfr. 1 Tm 3,13; RB 31,8).

I malati da parte loro considerino che vengono serviti per l’onore di Dio e non affliggano coloro che li stanno servendo con richieste irragionevoli. Finché sono infermi siano sopportati pazientemente, ma quando si saranno ripresi tornino al loro stile di vita regolare.

 

Capitolo 29. Gli abiti e le calzature del clero e la loro legna da ardere.

La metà del clero di età avanzata riceva ogni anno una nuova cappa e quando riceve quella nuova restituisca sempre quella vecchia che aveva ricevuto l'anno prima. L'altra metà del clero riceva ogni anno le vecchie cappe che gli anziani hanno restituito e questi anziani non barattino le cappe che dovrebbero restituire.

I sacerdoti che prestano servizio regolarmente nella Cattedrale ed i sette diaconi che rimangono nei loro gradi ricevano delle tuniche; in alternativa abbiano a disposizione abbastanza lana per farsi due tuniche all'anno e ciascuno del clero minore ne abbia una. Sacerdoti e diaconi ricevano ciascuno due camicie ogni anno, i suddiaconi (il tessuto per) una camicia e mezza e quelli di ordine minore una camicia ciascuno. Come calzature, tutto il clero riceva stivali [14] di pelle ogni anno e quattro paia di sandali.

Per quanto riguarda la legna da ardere, abbiamo deciso che con quattro libbre [15] di denaro si possa comperare legna sufficiente per un anno. Il legno deve essere acquistato utilizzando le entrate assegnate al clero dalla città o dal paese, in altre parole quattro libbre devono essere riservate a questo scopo. Ricevano queste entrate il primo maggio ed allora possono comprare la loro legna da ardere.

Le cappe, le tuniche e le calzature siano acquistate con il resto delle entrate che abbiamo appena menzionato, con l’indennità di calzatura che il vescovo dà abitualmente al suo clero ogni anno e con le donazioni che Dio fornirà specificamente per il clero. Se rimangono dei soldi, acquistino qualsiasi altra cosa di cui hanno bisogno o li custodiscano nelle loro camere. Ma se non hanno abbastanza entrate per comprare tutto questo, il vescovo deve provvedere e inviarne abbastanza affinché possano soddisfare a tutte le loro necessità come è stato detto sopra.

Ricevano i loro vestiti, le cappe e le tuniche nella festa di San Martino, l’11 novembre, le camicie venti giorni dopo Pasqua e le calzature il primo settembre. Ma se qualcuno del clero della chiesa ha ricevuto un beneficio dal vescovo [16], sufficiente per lui per acquistare le cose necessarie, allora si procuri le cappe e le calzature.

 

Capitolo 30. Le feste dei santi.

Ci sembra giusto suggerire che noi ed il nostro clero dobbiamo cercare di celebrare l'intero Ufficio Divino, giorno e notte, per quanto Dio ci dia la possibilità, nelle feste di Nostro Signore, della Santa Maria, dei dodici Apostoli e degli altri santi che di solito vengono celebrati in questa provincia ogni anno. A Natale e Pasqua, il vescovo pranzi con i suoi chierici a casa sua, se è presente. Se in questi giorni fosse assente, faccia in modo che abbiano sufficiente refezione nel proprio refettorio, come è scritto sopra. Dopo aver lasciato il refettorio vadano nel salone [17] dove bevano due o tre calici (di vino) che siano di conforto ma evitando l'ubriachezza.

L'Epifania, il mercoledì di Pasqua ed il sabato dopo la Pasqua, l'Ascensione, la Pentecoste ed il compleanno del vescovo, lo stesso vescovo preparerà una cena per i chierici nel refettorio dopo l’Ora Sesta. L'usanza che c’era di dare una cena per i chierici in queste festività nelle abbazie che abbiamo all’interno o nelle vicinanze di questa città, non deve essere mantenuta, per quanto possibile.

L'arcidiacono, o chiunque sia al momento responsabile come rappresentante del vescovo, deve assumersi la responsabilità e preparare una cena per i chierici nel refettorio (nelle festività sopra menzionate); e tutto ciò che sopravanza i loro bisogni sia dato al cellerario.

L'arcidiacono, sotto la propria responsabilità, provveda lui stesso alle necessità dei chierici approntando per loro una cena nel refettorio dopo l’Ora Sesta nelle feste della Purificazione di Santa Maria (2 febbraio), di tutti gli Apostoli (1 maggio ?), di San Giovanni Battista (24 giugno) e di San Remigio (di Reims) (1 ottobre).

 

Capitolo 31. Chi intende unirsi a questo particolare Ordine dei Canonici di questa Congregazione, faccia di persona una solenne donazione delle sue proprietà alla Chiesa del beato Apostolo Paolo, pur riservandosene l'usufrutto per la durata della sua vita.

 Leggiamo che nella Chiesa primitiva, al tempo degli Apostoli, erano così uniti e concordi che si distaccarono da tutti (i loro beni) ed ognuno vendette le sue terre e depose il ricavato ai piedi degli Apostoli; “nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune", così si diceva che “avevano un cuore solo e un'anima sola" (At 4,32). Ogni giorno, infatti, spezzando il pane di casa in casa condividevano ciò che avevano in comune con uomini, donne e bambini e tutta la comunità infiammata dall’ardore di fede e spinta dall'amore per la propria religione, offriva a tutti ciò che serviva. Ma, dal momento che al giorno d'oggi non è facile convincere di questo, mettiamoci almeno d’accordo (Cfr. RB 40) sul fatto che dobbiamo adattare il nostro comportamento al loro in una certa misura; poiché la nostra risulterebbe una devozione troppo indolente, tiepida e remissiva – noi che dovremmo essere particolarmente osservanti delle regole canoniche – se non fossimo pronti a fare qualche tentativo di copiare la loro perfezione, dato che, come abbiamo detto, in quei giorni l'intera comunità era una sola nel nome di Dio.

Se non possiamo a rinunciare a tutto, tratteniamo a nostro utilizzo solo le entrate della nostra proprietà e garantiamo che, ci piaccia o no, la nostra proprietà non vada ai nostri eredi e parenti carnali, ma vada in eredità alla Chiesa, che serviamo in comunità su ispirazione di Dio e da cui riceviamo i nostri stipendi. In questo modo, anche se non potremo ottenere la corona della perfezione e la piena remissione dei nostri peccati, rinunciando perfettamente a tutto e disprezzando le cose di questo mondo, almeno Dio concederà a noi miseri la sua misericordia. San Prospero ed altri santi Padri ci hanno detto, con autorità divina, che i chierici che desiderano vivere coi beni della Chiesa devono cedere i propri beni con un atto legale a Dio ed alla Chiesa che servono, così saranno più legittimamente e senza colpa in grado di attingere ai beni della Chiesa. Poiché come il clero è in grado di godere dei beni della chiesa, così la chiesa può rallegrarsi del fatto che lei ed i suoi poveri siano rafforzati e migliorati dai beni di quei chierici. Per tutta la vita questi chierici possono, se preferiscono, possedere il reddito derivante dalle loro proprietà, previo accordo con la chiesa, a condizione che tutta la proprietà stessa sia tenuta in comune e che la proprietà ritorni, alla sua morte, alla Chiesa od alla congregazione dei Canonici a cui era già stata concessa.

Allo stesso modo si determina che i chierici che hanno abbastanza proprietà devono vivere basandosi su di esse, se sono così restii da non essere disposti a dare tutto alla chiesa di Dio che servono fedelmente; in questo modo possono servire nella Chiesa per l'amore di Cristo, servendo gratuitamente ed osservando la corretta procedura. Sappiano che, poiché non attingono alla proprietà della chiesa come fanno gli altri canonici, riceveranno una speciale ricompensa da Dio, poiché lo servono a proprie spese. Se lo stipendio che avrebbero ricevuto per il loro ministero è lasciato nelle mani dell'economo come elemosina, costui può darlo a coloro che non hanno nulla e detti chierici possono mantenere le loro proprietà senza colpa; perché anche loro hanno in una certa misura rinunciato ai loro beni in quanto si accontentano di essi, senza pensare di avere diritto a qualcosa di più.

Ma se immaginano di dover ricevere una parte di ciò che viene dato alla Chiesa e non possono farne a meno e sono incapaci di rinunciare alle proprie proprietà perché pensano che sarebbe vergognoso diventare come i poveri, sappiano che è ancora più vergognoso che i ricchi si nutrano delle elemosine dei poveri. Bisogna fare attenzione, inoltre, affinché la madre Chiesa non sia sovraccaricata, poiché è obbligata dalla legge canonica concordata ad essere costantemente intenta a soccorrere i poveri, le vedove, gli orfani e tutti coloro che si trovano in simili privazioni.

Pertanto, se qualcuno vuole unirsi a questo ordine di canonici che abbiamo cercato di riformare, come abbiamo indicato nella piccola regola che abbiamo scritto, deve fare una solenne donazione di persona delle proprietà che possiede nella chiesa del beato Paolo, come dono per l'opera di Dio ed il clero che vi serve. Quindi, se lo desidera, può ricevere un mandato dal vescovo in modo tale che durante la sua vita possa ricevere regolarmente le entrate dalla sua proprietà ma, dopo la sua morte, tutto ciò che rimarrà sarà dato interamente alla chiesa o alla congregazione a cui la donazione era stata assegnata, senza che nessuno dei suoi beni possa ritornare a qualcuno o che qualcuno abbia il diritto di aspettarsi un lascito. Tuttavia, durante la sua vita e come membro della congregazione può fare una donazione di qualsiasi suo bene mobile, sia per i poveri che per la stessa congregazione, come e quando desidera e può anche usarli per i propri bisogni. Se un bene mobile rimane dopo la sua morte, metà di esso andrà in elemosina per i poveri, o per le Messe per la sua anima, od ovunque egli decida, e l'arcidiacono, il primicerio o chiunque nominerà durante la sua vita sarà l’esecutore. L'altra metà sarà assegnata in elemosina al clero od alla stessa congregazione.

Gli stessi chierici non hanno il potere di sottrarre, vendere o scambiare alcuna delle proprietà che (hanno donato e che) detengono su mandato, né terreni, vigneti o foreste, prati, case, edifici, servi o coloni, né qualsiasi altra proprietà immobiliare, tranne, come abbiamo detto, che durante la loro vita possono fare ciò che vogliono con le entrate dei beni donati o con i prodotti del loro lavoro.

Ma se dovesse succedere, su consiglio del diavolo, che uno qualsiasi dei fratelli che detengono per mandato la proprietà dovesse cadere in un peccato, sia esso grave o lieve, costui deve compiere la penitenza che il vescovo giudica opportuna e non deve essere escluso dalla penitenza in virtù delle elemosine pagate dalla proprietà che detiene su mandato. E se dovesse succedere che uno dei nostri abati [18] o un membro del clero di altre località, desideri unirsi alla nostra congregazione nel modo che abbiamo indicato sopra, deve farlo alle stesse condizioni degli altri fratelli. Altrimenti, se qualcuno desidera unirsi alla congregazione e rinunciare a tutte le sue proprietà per raggiungere una perfezione di vita, il vescovo deve provvedere alle sue necessità in modo che possa adempiere al buon impegno che ha iniziato su ispirazione di Dio.

 

Capitolo 32. Le elemosine.

Accettando le elemosine abbiamo stabilito quanto segue: se qualcuno vuole offrire a uno dei sacerdoti un'offerta di qualsiasi tipo, per celebrare la Messa, o per ascoltare la confessione, o per l'aiuto in malattia, o per chi gli è caro, vivo o morto, il sacerdote può accettarla dal donatore e fare ciò che desidera in seguito. Ma se il donatore desidera fare un'offerta per l'intera comunità di sacerdoti, in condizioni specifiche od in qualsiasi modo, che ciò avvenga tanto per tutti i sacerdoti che per tutti i canonici, in modo che tale offerta sia di proprietà comune . Allo stesso modo, ogni elemosina che va a tutto il clero in comune deve essere tenuta in comune con tutti ed i chierici offrano generosamente salmi o messe ai donatori, come determinerà il vescovo.

Abbiamo fissato questo limite su ciò che i sacerdoti possono ricevere a titolo di elemosina per il proprio bisogno poiché riteniamo che sarebbe un onere eccessivo per quei sacerdoti se da soli dovessero sopportare l'immenso peso dei peccati altrui. Poiché la misericordia di Dio per i peccatori è più facilmente invocata da molti, piuttosto che da uno solo, per quanto devoto egli sia. Ognuno deve aver timore per i pesi che deve sopportare la propria coscienza e perciò non deve aumentare il carico dei suoi peccati, oltre la sua forza, portando i peccati degli altri. L'arcidiacono o il primicerio ricevano queste elemosine e le spendano per i bisogni dei fratelli, nella misura in cui ci sarà bisogno ed il vescovo avrà determinato; e se rimane qualcosa, sia custodito negli armadi dei fratelli.

 

Capitolo 33. Come debbano accorrere al Capitolo od alla Messa la domenica o nelle festività dei santi.

La domenica o le feste dei santi, o quando il vescovo (lat. Pontifex) od i suoi incaricati decidono, tutti gli ufficiali indossino le vesti la mattina dopo che l’Ora Prima è stata cantata, comprese le loro pianete, come richiede la legge ecclesiastica. Una volta vestiti correttamente, si affrettino alle loro funzioni senza indugio. Quando viene udito il primo suono della campana, tutti si rechino al Capitolo e, dopo aver ascoltato una lettura, vadano insieme in chiesa e quando la campana suona la seconda volta cantino Terza. Quindi, seduti nel loro giusto ordine, aspettino il vescovo, come è l'usanza nella Chiesa di Roma. Nessuno poi potrà lasciare il suo posto prima che tutto sia finito, tranne coloro che seguono e servono il vescovo, o quelli che sono occupati in qualche dovere necessario se è tale da non poter essere differito; e costoro informino il vescovo (lat. Episcopus) od i suoi delegati di ciò.

Se qualcuno del clero di qualunque grado, sacerdote o diacono o suddiacono od accolito, non fosse in quel momento presente e vestito per svolgere il suo incarico e se dovesse comportarsi con negligenza o ritardo, se non a causa di una grave malattia, costui sarà privato del suo vino o delle bevande il giorno seguente. Se per pigrizia o dispregio ripeterà l'insolenza, sarà corretto più severamente dal vescovo o dai suoi rappresentanti, in modo che gli altri ne siano intimoriti. Negli altri giorni si rechino al Capitolo nel modo che abbiamo descritto precedentemente in questa regola.

Se c'è un luogo pubblico [19] nelle chiese fuori città dove i fratelli vi celebrano la Vigilia, una volta che la Vigilia è completata al mattino, tornino al monastero con tutta compostezza, in modo che tutti possano partecipare al Capitolo; se qualcuno arriva in ritardo per negligenza e non frequenta il Capitolo, sia corretto per questo difetto una prima ed una seconda volta, ma se non si corregge, nel giorno in cui non partecipa al Capitolo, dovrà astenersi dal vino fino al giorno dopo.

 

Capitolo 34. Gli elemosinieri [20] si rechino nella Chiesa Cattedrale specificata per ascoltare la parola di Dio.

Ora che abbiamo descritto ciò che è necessario per riformare la vita del clero canonico, come abbiamo ritenuto giusto fare, con l'aiuto di Dio, nella misura della nostra modesta capacità, ci rivolgiamo agli elemosinieri, sia della cattedrale che delle parrocchie in periferia. Il loro stile di vita non è secondo il modo dell’antica Chiesa, ma con loro grande pericolo e per negligenza sono diventati, potrei dire, irresponsabili, senza occuparsi né della predicazione né della confessione; neppure si recano al luogo pubblico della cattedrale per ascoltare la parola di Dio, né frequentano gli altri luoghi di incontro, ma ognuno rimane inattivo al suo posto.

Pertanto, con l'accordo dei nostri fratelli spirituali, abbiamo deciso che tutti gli elemosinieri devono venire due volte al mese tutto l'anno, ogni quindici giorni, e di sabato, sia quelli collegati agli ospizi della cattedrale che quelli delle altre chiese della città e della campagna, devono venire alla riunione concordata nella chiesa della cattedrale la mattina all’Ora Prima e rimanere al loro posto fino a quando scandisce il segnale di Terza. Quindi apparirà il vescovo, a meno che egli non sia impegnato in qualcos'altro di importante, ed ordinerà di leggere una lettura adeguata scelta dai trattati o dai sermoni dei santi Padri; questo per edificare gli ascoltatori ed insegnare loro la via della salvezza, in modo che con l'aiuto di Dio possano raggiungere la vita eterna.

Recitata l’Ora Terza, se il vescovo non appare, allora il sacerdote guardiano della chiesa di Santo Stefano prenderà il suo posto, leggendo ed insegnando loro la via della salvezza, al meglio delle sue capacità. Questo sacerdote faccia assolutamente in modo di non tralasciare di eseguire ciò che deve essere fatto e ciò che è stato scritto, se il vescovo non arriverà entro il tempo stabilito.

Gli elemosinieri faranno la loro confessione a quel sacerdote, due volte l'anno: una volta in Quaresima, l'altra volta tra la festa di San Remigio e san Martino. E se, su esortazione del diavolo, sorgessero vizi o scandali tra di loro, tali che i colpevoli debbano andare alla confessione la prossima volta che si riuniscono per ascoltare le letture, dopo la lettura facciano un’onesta confessione al sacerdote. Se qualcuno rifiuta di confessare e cerca di nascondere il suo peccato e viene scoperto da un altro, colui che ha nascosto la mancanza deve essere scomunicato o sottoposto a punizione corporale da parte del sacerdote che proclama loro la parola di Dio.

Per ogni ospizio di carità ci sia un primicerio degli elemosinieri che li controlli attentamente. Così, se un uno di loro cercherà di nascondere i suoi peccati ed il suo primicerio sarà in grado di rilevarlo, non nasconda nulla al sacerdote che proclama loro le letture. Se l'autore del reato fa di nuovo la stessa cosa, deve essere giudicato dallo stesso sacerdote; se il sacerdote non è in grado da solo di correggerlo, deve avvisare l'arcidiacono od il primicerio in modo che possano correggere l'autore del reato in modo ragionevole, in base alla natura della sua colpa; se fosse necessario, essi comunichino il fatto al vescovo che intraprenderà la correzione.

Come abbiamo detto, tutti gli elemosinieri senza eccezioni devono venire alle letture nei giorni stabiliti e devono dire al sacerdote di tutti i loro bisogni, sia dell'anima che del corpo: il sacerdote li corregga da solo o informi i suoi superiori su di loro. Se qualcuno degli elemosinieri persisterà a non venire alle letture, a meno che non sia impedito da qualche infermità, deve essere ammonito una volta ed una seconda volta e, se non si correggerà, sia scomunicato. Se lo farà di nuovo per disprezzo, sia espulso dall'ospizio di carità ed un altro che è disposto ad ascoltare la parola di Dio sarà inviato lì al suo posto.

Abbiamo stabilito che dalla nostra generosità, da quella dei nostri successori e dai fondi della Cattedrale ogni elemosiniere riceverà una pagnotta ogni volta che verrà ad ascoltare la parola di Dio ed in alterne occasioni una razione di lardo od una razione di formaggio; gli elemosinieri che verranno alla cattedrale dagli ospizi riceveranno queste razioni per tutto l'anno, come abbiamo decretato. Durante la Quaresima riceveranno in due occasioni del vino con il loro pane, nella misura di un sestario, circa mezzo litro, per quattro di loro. Il Giovedì Santo riceveranno una misura di vino come sopra indicato con il loro pane, così come una razione di lardo e di formaggio. Abbiamo calcolato che avranno bisogno di otto moggi [21] di pane cotto in ogni occasione; nei giorni in cui ricevono il lardo avranno bisogno di sei porzioni; quando ricevono il formaggio ne avranno bisogno una libbra (circa 0,4 kg) per ciascuno. Ciò equivale a duecento moggi di grano ogni anno, grano che proviene da Worms e che devono raccoglierlo quando è maturo. Di lardo ne avranno bisogno sessanta porzioni ogni primo gennaio; di formaggio dodici porzioni ad ogni messa di san Martino. Di vino ventiquattro moggi ogni messa di san Martino. L'arcidiacono od il primicerio dovranno raccogliere tutto questo e vedere che sia distribuito come sarà gradito a Dio e secondo ciò che abbiamo stabilito. Così aumenterà la nostra ricompensa, quella dei nostri successori o di chiunque si occuperà di ciò; ed il vescovo dia due once [22] e mezza di denaro il primo di maggio per l'acquisto della legna per cuocere il pane. Se rimanesse qualcosa di ciò che abbiamo assegnato in precedenza, l'arcivescovo od il primicerio lo distribuiscano ad altre persone povere o come riterranno opportuno.

 

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Nota del traduttore. Le note sottostanti sono ricavate da Wikipedia, se non diversamente indicato.


[1] Philippe Labbe (in latino Philippus Lebbeus ed in italiano Filippo Labbe o Labbè o Labbeo) (1607-1667) - Gesuita, storico, teologo, bibliografo e grecista francese. Labbe scrisse più di 80 opere letterarie, filosofiche e teologiche ed è considerato, insieme a Denis Pétau uno dei più importanti eruditi gesuiti della storia francese. Labbe è noto soprattutto per la monumentale raccolta dei Sacrosancta Concilia della Chiesa, curata con il confratello Gabriel Cossart e per avere curato il Corpus scriptorum historiæ byzantinæ (noto anche come Byzantine du Louvre), la più importante collezione di opere storiche bizantine del XVII secolo, realizzata in collaborazione con du Cange e Combefis.

Nello stesso vol. 89 della Patrologia Latina c'è un'altra edizione di questa regola, composta da 86 capitoli, "Secundum Dacherii Recensionem". Il Migne si riferisce a Luc d'Achery (in latino Lucas Dacherius, in italiano Luca d'Acherio) (1609 – 1685) che fu un monaco cristiano e storico francese, dell'ordine benedettino, appartenente alla congregazione di San Mauro, bibliotecario, erudito e storico.

[2] Pipino III detto il Breve (Jupille, 714 – Saint Denis, 24 settembre 768) è stato maggiordomo di palazzo di Neustria (741-751) e d'Austrasia (747-751), poi re dei Franchi (751-768). Fu il padre del futuro imperatore Carlo Magno. Venne incoronato re dei Franchi dal papa Stefano II (o III) che, minacciato dall'avanzata dei Longobardi, ne aveva ottenuto la protezione e ricambiò l'aiuto ricevuto da Pipino il Breve con un'incoronazione formalmente illegittima.

[3] Il concilio di Nicea, tenutosi nel 325, è stato il primo concilio ecumenico cristiano. Venne convocato e presieduto dall'imperatore Costantino I, il quale intendeva ristabilire la pace religiosa e raggiungere l'unità dogmatica, minata da varie dispute, in particolare sull'arianesimo; il suo intento era anche politico, dal momento che i forti contrasti tra i cristiani indebolivano anche la società e con essa lo Stato romano. Con queste premesse, il concilio ebbe inizio il 20 maggio del 325. Data la posizione geografica di Nicea, la maggior parte dei vescovi partecipanti proveniva dalla parte orientale dell'Impero. Il loro numero non è mai stato appurato con certezza ma, simbolicamente, sono stati riconosciuti da alcuni Padri della Chiesa come 318, ovvero come i servitori di Abramo (si veda Genesi 14,14).

[4] Questo capitolo ricorda il capitolo 63 della Regula Benedicti, ma mentre Benedetto assegna l’ordine di precedenza in funzione dell’entrata nella vita monastica, Crodegango considera la data di ordinazione sacerdotale. I canonici camminano in processione, siedono nel coro, a tavola ed altrove nell’ordine determinato dalla data di ordinazione, non per nascita o classe sociale. (Si veda "The Chrodegang Rules: The Rules for the Common Life of the Secular Clergy ...", di Jerome Bertram, Ed. Routledge 2017)

[5] Il termine latino è “claustra”, da me tradotto con monastero.

[6] Il primicerio (latino “primicerius”) era il nome di una carica all'interno delle gerarchie imperiali ed ecclesiastiche, ancora in uso in qualche diocesi. Il termine "primicerio" deriva dalle parole latine primus e cera, a indicare il primo iscritto in una lista di cera. Nel Medioevo era il titolo di un dignitario di primo rango in una amministrazione civile (come fu il caso dell'Impero bizantino) o il primo tra i canonici di un capitolo cattedrale o il capo di una confraternita.

[7] "Membri della Congregazione" significa coloro che vivono in comunità, al contrario del clero che vive al di fuori, sia i chierici minori sposati (che potrebbero essere utili come servi o infermieri) oppure i sacerdoti parrocchiali. (Si veda opera citata: "The Chrodegang Rules…..", di Jerome Bertram)

[8] La noia e l'incomodo che soffrivano i Canonici di Metz stando in piedi, ridusse questi a portare un bastone d'appoggio per servirsene in Chiesa allorché cantavano l'Ufficio: il che fu poi proibito da Crodegango che permise ciò solo agli infermi. (Estratto da "Dell'offizio divino trattato istorico-critico-morale ...", di Giampellegrino Pianacci, Stamperia Salvioni Roma 1770)

[9] Cattedrale, in latino "ecclesia in domo" o solamente (in domo), la chiesa attaccata alla casa del vescovo. (Si veda opera citata: "The Chrodegang Rules…..", di Jerome Bertram).

[10] Angilramno di Metz (Sens (Borgogna, Francia), ...? – Metz (Mosella, Francia), 791) è stato un abate e vescovo tedesco. Monaco nell'abbazia di sant'Avoldo (Lorena, Francia), nel 768 divenne vescovo di Metz per intervento di Pipino il Breve e ricevette dal papa il titolo di arcivescovo. Nel 770 divenne il settimo Abate dell'Abbazia di Saint-Pierre de Senones (Vosgi, Francia). Amico di Carlomagno, lo accompagnò in quasi tutti i suoi viaggi e nel 781 divenne cappellano di corte. Morì nell'attuale Ungheria accompagnando Carlomagno in una delle sue campagne contro gli Avari. È venerato come santo dalla Chiesa cattolica.

[11] Questi "Abati" possono essere i veri Abati Benedettini dei monasteri vicini, ma la parola è usata anche per i superiori delle Comunità di chierici, ognuno dei quali può essere invitato a cena in determinati giorni. (Si veda opera citata: "The Chrodegang Rules…..", di Jerome Bertram).

[12] Ndt. Secondo l’opera citata di Jerome Bertram per “septimanarius” si intende il sacerdote responsabile della celebrazione di quella settimana. A mio parere si tratta di colui (o coloro) a cui sono affidati i servizi settimanali di cucina del capitolo 24. In quel caso il termine “septimanarii” viene tradotto in inglese “kitcheners” ovvero “cucinieri”.

Si veda anche il capitolo 35 della Regola di san Benedetto che ha lo stesso titolo del capitolo 24 di Crodegango, “De septimanariis coquinae”, e che si riferisce ai monaci che, a turno settimanale, svolgono i servizi di cucina.

[13] In latino "calix", è un'unità di misura dei liquidi che corrisponde alla sesta parte di un "sextarius" (sestero o sestario). Quest'ultimo corrisponde a circa mezzo litro. Si veda Du Cange et al., “Glossarium mediæ et infimæ latinitatis”. Niort : L. Favre, 1883-1887. Anche sul sito ducange.enc.sorbonne.fr/matricula. Secondo l’opera citata di Jerome Bertram il “calix” corrisonde a mezza “hemina” che a sua volta corrisponde a mezzo “sextarius”.

[14] In latino “pelles baccinas”, letteralmente “pelli di mucca”: significa gli stivali stessi o il materiale per fare i propri stivali. (Fonte "The Chrodegang Rules…..", di Jerome Bertram).

[15] La "libra", in italiano “libbra” era un'unità di misura di peso usata sia nel commercio che nella coniazione delle monete. Una "libra" corrisponde ad una massa di circa 400 grammi d'argento e con un "libra" di argento si potevano coniare 240 "denari".

Intorno al 755 la riforma carolingia di Pipino il Breve istituì il sistema monetario europeo che può essere espresso così: 1 "libra"= 20 "solidi"= 240 "denari".

[16] Un canonico poteva essere incaricato dei servizi in una chiesa, in città o nelle vicinanze, che aveva entrate proprie: questo è l'inizio del sistema di "prebende" che ha finito per distruggere la vita comunitaria dei canonici della cattedrale. (Fonte "The Chrodegang Rules…..", di Jerome Bertram).

[17] In latino “caminata”, ovvero salone di incontro dove c’era il camino per riscaldare l’ambiente. (Opera citata: Du Cange in "Glossarium mediae et infimae latinitatis").

[18] Invece di “uno dei nostri abati” (latino “unus ex abbatibus”) potrebbe significare “una delle nostre abbazie” (“unus ex abbatiis”). (Fonte "The Chrodegang Rules…..", di Jerome Bertram).

[19] Luogo pubblico, in latino "statio publica", dove il vescovo ed i canonici facevano le celebrazioni quando visitavano qualche chiesa in città o fuori città, forse il giorno della Dedicazione della Chiesa. L'usanza romana era che il Papa visitasse a turno ogni Chiesa della città durante la Quaresima. (Fonte "The Chrodegang Rules…..", di Jerome Bertram).

[20] In latino “matricularius”, ovvero colui che teneva i registri (matricula). In questo caso sono i registri con annotati i bisognosi dei vari ospizi di carità, ma in altri casi possono essere elencati anche sacerdoti o altre persone. In altri testi latini la “matricula” è invece il luogo dove vivono i “matricularii”, cioè “coloro che vivono di elemosine”. (Opera citata: Du Cange in "Glossarium mediae et infimae latinitatis").

Ndt. Nel libro citato di Jerome Bertram i matricularii vengono proprio intesi come i bisognosi che vivevano negli ospizi di carità. Leggendo l’inizio del capitolo 34, che tratta di queste persone, non sembra che Crodegango si rivolga ai bisognosi: “Ora che abbiamo descritto ciò che è necessario per riformare la vita del clero canonico, come abbiamo ritenuto giusto fare, con l'aiuto di Dio, nella misura della nostra modesta capacità, ci rivolgiamo agli elemosinieri (ad matricolarios), sia della cattedrale che delle parrocchie in periferia. Il loro stile di vita non è secondo il modo dell’antica Chiesa, ma con loro grande pericolo e per negligenza sono diventati, potrei dire, irresponsabili, senza occuparsi né della predicazione né della confessione; neppure si sono recati nel luogo pubblico della cattedrale per ascoltare la parola di Dio, né hanno frequentato gli altri luoghi di incontro, ma ognuno è rimasta inattivo al suo posto”.

[21] Un moggio, latino “modius o modium” equivale a 16 sestiari o sesteri (“sextarius”) ed equivale a circa 8,5 litri o kg. Nel libro citato "The Chrodegang Rules…..", di Jerome Bertram si dice invece che un moggio equivale a 24 sestiari. Ogni sestiario equivale a due emine ed il suo volume è tra 2,5 e 3,3 litri.

[22] Ndt. Un’oncia (latino “uncia”) corrisponde alla dodicesima parte della libbra (“libra”).

 


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25 luglio 2020                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net