Regola di S. Benedetto

 

Prologo della Regola: Alziamoci, dunque, una buona volta, dietro l'incitamento della Scrittura che esclama: "E' ora di scuotersi dal sonno!" e aprendo gli occhi a quella luce divina ascoltiamo con trepidazione ciò che ci ripete ogni giorno la voce ammonitrice di Dio: " Se oggi udrete la sua voce, non indurite il vostro cuore!" e ancora: " Chi ha orecchie per intendere, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese!". E che dice? " Venite, figli, ascoltatemi, vi insegnerò il timore di Dio.

Capitolo II - L'Abate : Sappiamo infatti per fede che in monastero egli tiene il posto di Cristo, poiché viene chiamato con il suo stesso nome, secondo quanto dice l'Apostolo: "Avete ricevuto lo Spirito di figli adottivi, che vi fa esclamare: Abba, Padre!"

Capitolo VII - L'umiltà : Una volta ascesi tutti questi gradi dell'umiltà, il monaco giungerà subito a quella carità, che quando è perfetta, scaccia il timore; per mezzo di essa comincerà allora a custodire senza alcuno sforzo e quasi naturalmente, grazie all'abitudine, tutto quello che prima osservava con una certa paura; in altre parole non più per timore dell'inferno, ma per amore di Cristo, per la stessa buona abitudine e per il gusto della virtù. Sono questi i frutti che, per opera dello Spirito Santo, il Signore si degnerà di rendere manifesti nel suo servo, purificato ormai dai vizi e dai peccati.

Capitolo XLIX - La quaresima dei monaci : Perciò durante la Quaresima aggiungiamo un supplemento al dovere ordinario del nostro servizio, come, per es., preghiere particolari, astinenza nel mangiare o nel bere, in modo che ognuno di noi possa di propria iniziativa offrire a Dio "con la gioia dello Spirito Santo" qualche cosa di più di quanto deve già per la sua professione monastica; si privi cioè di un po' di cibo, di vino o di sonno, mortifichi la propria inclinazione alle chiacchiere e allo scherzo e attenda la santa Pasqua con l'animo fremente di gioioso desiderio.

 



Tema della Regola: Lo Spirito Santo

 

Il cristiano, uomo guidato dallo Spirito Santo,

nel Vangelo secondo Giovanni

Carlo Maria Martini S.J.

Estratto da “La luce oltre il buio: Cosa fare in tempi difficili”

Edizioni Terra Santa 2024

 Da Google Books (https://books.google.it/)

 

Queste considerazioni nascono dalla consapevolezza che oggi, forse più che in altri tempi, il cristiano è chiamato a trovare il modo di vivere i valori del Vangelo in ogni situazione umana, per quanto oscura e difficile, il modo di offrire sempre e ovunque la carità: ed è sollecitato a una carità che abbia le dimensioni e i confini del mondo.

Il cristiano ha, infatti, l’umile certezza di potersi affidare alla guida dello Spirito santo, di quello Spirito di Dio che è, per essenza, carità diffusiva e operosa, carità attenta a tutti i drammi che lacerano l’umanità: dall’amara solitudine che segna l’esistenza di tante persone fino alle sofferenze dei malati e dei carcerati, dalle fatiche della vita economica fino ai gravi disagi del mondo del lavoro e delle fabbriche, dai problemi ardui e difficili della politica e della società fino al servizio della pace e dell’intesa tra gli uomini e tra le nazioni.

San Giovanni, nel suo Vangelo, tende a darci una catechesi ordinata e progressiva sul tema dello Spirito santo.

La catechesi è divisa in due parti. Nella prima, che va dall’inizio fino al capitolo dodicesimo, lo Spirito è presentato come mistero e come promessa. Lo Spirito è dato dall’alto, è qualcosa di sorgivo, di misterioso, di inafferrabile. Si manifesta con quella ricchezza di espansione e di imprevedibilità con cui si manifestano le realtà umane più profonde, che non possono essere oggetto di comando o di produzione meccanica perché partono dalla spontaneità dell’essere. Lo Spirito non fa quindi parte del mondo dell’efficienza: è dono gratuito che si riceve con amore, con ammirazione, con stupore pieno di riconoscenza e di gioia. La sua presenza nel mondo tende a trasformare la vita nel senso del gratuito, dello spontaneo, del dono generoso e incondizionato di sé.

Esso è dato solo all’uomo che si mette in umile atteggiamento di ascolto e di ricettività. Tuttavia non è estraneo all’essere dell’uomo, non è un lusso, una cosa che ci potrebbe essere o non essere, senza la quale l’uomo potrebbe compiere egualmente il suo cammino.

Lo Spirito dà all’uomo la capacità di spontaneità espressiva, di libertà, di offerta di sé che imprimono gusto e significato all’esistenza.

Nella seconda parte del Vangelo lo Spirito è chiaramente rivelato. Vorrei ispirarmi in particolare al testo di Gv 16,13 che dice: «Quando verrà lo Spirito della verità, guiderà voi nella verità tutta intera». Per chiarezza esprimerò in alcune tesi successive i valori evocati dal testo.

 

La verità tutta intera

Particolarmente interessante è l’uso del verbo “guidare” (odeghéo nel testo greco) che troviamo nella seconda metà del versetto: «Guiderà voi nella verità tutta intera».

V’è assonanza col Sal 25,5 (secondo il testo della versione dei LXX). Nel salterio ebraico esso è un salmo alfabetico e porta il n. 26. Si compone di una serie di invocazioni, i cui inizi ci danno le lettere successive dell’alfabeto ebraico. Nella versione greca, evidentemente, l’ordine alfabetico non risalta più.

Al v. 5 leggiamo: «Guida me nella verità tua e insegnami perché tu sei Dio, salvatore mio». Il verbo in greco è: odégheson me, guidami.

Le parole di Gv 16,13 appaiono come la risposta alla richiesta del salmista. È interessante la traduzione che dà un commento recente: «Lo Spirito della verità vi guiderà progressivamente alla verità tutta intera». Si tratta cioè di un condurre passo passo.

D’altra parte il verbo odeghéo significa anche istruire, introdurre in qualche cosa. Qui il riferimento è al libro degli Atti (8,31) con l’episodio di Filippo che si avvicina all’etiope, intento a leggere il profeta Isaia, e gli dice: «Capisci ciò che leggi?». Risponde l’etiope: «Come potrei se qualcuno non mi guida (odeghései me)?». Il che vuol dire: «Come potrei capire Isaia se qualcuno non mi introducesse, se non mi facesse entrare progressivamente nel testo?».

Un’esplicazione di Gv 16,13 potrebbe allora essere proposta in questo modo: «Lo Spirito di verità vi introdurrà nella verità tutta intera, intesa come un mondo, una molteplicità di realtà storiche che vanno abbracciate successivamente fino a essere colte con uno sguardo totale, in cui si esprime la verità di Cristo per l’uomo».

Non si tratta della somma di piccole indicazioni, di frammentari comportamenti: piuttosto di uno sguardo globale, orientativo, della pienezza di Cristo nella storia.

Ciò che Gesù promette è che la Chiesa, nel discernere il cammino storico dell’esistenza che realizza il corpo totale di Cristo nella diversità e complessità delle situazioni umane, è guidata, condotta, progressivamente introdotta dallo Spirito.

Lo Spirito mette nella Chiesa l’orientamento delle cose che fu quello di Gesù, del Vangelo, delle beatitudini, facendole scoprire in ogni realtà le tracce del piano divino, permettendole di proiettare su ogni avvenimento e in ogni epoca la luce della rivelazione.

Questa è dunque la prima tesi: lo Spirito santo guida al Cristo vissuto nella storia in pienezza.

 

La verità intera a cui lo Spirito santo guida ha molti nomi

Nella prima tesi abbiamo considerato l’azione dello Spirito santo nel suo riflesso oggettivo, in quanto conduce alla totalità della visuale che la Chiesa esprime nella storia.

Nel suo riflesso soggettivo, a livello di esperienza del singolo cristiano, la pienezza della verità a cui lo Spirito santo guida l’uomo ha molti nomi.

Questi nomi non sono perfettamente sinonimi e tuttavia fanno riferimento l’uno all’altro, si illuminano a vicenda, hanno la medesima connotazione di totalità. La storia della spiritualità e della cultura ha determinato, di fatto, il prevalere di un nome sugli altri.

La pienezza della verità a cui progressivamente guida lo Spirito è il cuore nuovo, di cui nell’Antico Testamento parla il profeta Ezechiele: «Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno Spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. Porrò il mio Spirito dentro di voi...» (cfr. Ez 36).

Nell’interpretazione neotestamentaria il cuore nuovo esprime l’atteggiamento di chi abbraccia con la mente e con le opere della vita il mistero di Dio vissuto nella storia mediante Cristo.

Sant’Agostino usa un’espressione che aveva, per la cultura del suo tempo, pregnanza di significato: la vita beata. È la pienezza di gioia, di serenità interiore che comprende l’insieme delle cose e delle situazioni vedendole in Dio, che prelude alla vita perfetta e anticipa la visione gloriosa di Dio.

Nel Medioevo e all’inizio dell’età moderna, l’intera verità a cui conduce lo Spirito santo è indicata con il nome di devozione, parola che san Tommaso d’Aquino commenta molto profondamente e che avrà una rilevante applicazione nell’epoca di san Francesco di Sales.

Per il vescovo di Ginevra «la vita devota» è l’insieme della pienezza della verità vissuta, a cui si può giungere soltanto sotto la guida dello Spirito, come spiega nella sua classica opera Introduzione alla vita devota.

Successivamente prevale un altro termine (che pure ha la sua origine nel Nuovo Testamento), dalla connotazione più propriamente psicologica: il fervore. Nell’ascetica cristiana si è voluto spesso indicare con esso la pienezza di entusiasmo in cui si coglie la totalità del mistero di Cristo e la si esprime.

Anche la parola contemplazione è talora usata per indicare la pienezza di verità vissuta a cui introduce il dono dello Spirito.

E lo stesso termine comunione che noi oggi usiamo con frequenza può essere inteso in questo senso.

I sinonimi possono essere tanti. L’importante è rendersi conto che la pienezza di verità a cui conduce lo Spirito non è semplicemente la somma di piccoli gesti, ma è un orientamento decisivo, un capovolgimento completo della vita.

Il capovolgimento completo della vita suggerisce tuttavia subito un altro nome dal significato molto profondo, specialmente se esso viene colto in relazione con i nomi già indicati: la conversione.

La conversione cristiana nella sua totalità è un nuovo sguardo sulle cose, sugli avvenimenti, sulle situazioni, su se stessi, è la capacità di vedere la pienezza di Cristo riflessa nella storia.

Vi sono motivi per sottolineare oggi l’uso della parola “conversione” anche per le sue implicazioni etiche, culturali e filosofiche.

 

La conversione a Cristo

passa per le realtà storiche

Lo Spirito della verità guida alla pienezza di verità che è Cristo, il Figlio di Dio incarnato. L’uomo deve uscire da sé e darsi a lui con tutto il cuore, con radicale conversione. Qui il termine conversione va inteso in tutta la pregnanza: non è la conversione da questa o da quella debolezza, da questo o da quel peccato. Conversione è volgersi completamente a Cristo e, in lui, tendere a ogni perfezione, abbandonata ogni autogiustificazione che ci chiude in noi stessi.

Conversione è lasciare le secche di una religiosità farisaica, dominata da un agire religioso ancora nostro e un po’ ambizioso, per entrare pienamente nel modo di agire e di essere di Cristo. Vuol dire conformarci a lui, fare le scelte che ha fatto lui, e discernere nell’oggi quali sono queste scelte.

Vorrei sottolineare che la conversione dell’intera vita umana a Cristo è il fine di tutta l’azione dello Spirito santo e che questo fine è assoluto e totale. Su di esso non cade discernimento.

Il processo di discernimento che il cristiano è chiamato a fare non può mai riguardare il fine: esso riguarda la scelta dei mezzi mediante i quali l’uomo è introdotto progressivamente a vivere quella totalità. È quindi soltanto a partire dalla contemplazione della pienezza di quel fine che è possibile cogliere il significato del discernimento e anche il suo valore. Il discernimento del cristiano, infatti, pur se storicamente o categoricamente imperfetto o addirittura “sbagliato”, nella misura in cui è autentico condurrà al fine. Nasce qui spontaneo l’interrogativo: possono due cristiani discernere autenticamente sulla stessa cosa e arrivare a conclusioni diverse? Si ha l’impressione di sì e, di fatto, ci sono dei casi in cui due uomini veramente spirituali sembrano giungere a discernimenti opposti. Un episodio clamoroso si ha nel libro degli Atti, al capitolo ventesimo: Paolo, nello Spirito santo, afferma di dover andare a Gerusalemme e la comunità, nello Spirito santo, afferma che non ci deve andare! Questo fatto si riproduce nella storia della Chiesa e ci fa intendere che il discernimento riguarda i mezzi e che l’azione dello Spirito, al di là dei mezzi e passando per essi, conduce alla pienezza della verità. Non c’è allora da meravigliarsi se due santi hanno visuali diverse su alcuni aspetti o questioni particolari: entrambi possono raggiungere la totalità del fine che è la piena trasformazione dell’uomo in Cristo.

Il tema è certamente difficile, richiede un approfondimento teologico, ma ci invita in ogni caso a non trasporre il discernimento al di là del piano in cui esso si trova.

La conversione totale a Cristo passa per realtà storiche il cui significato sarà chiaro soltanto nell’insieme del cammino.

 

L’uomo è incapace di conversione a Cristo

Esprimo una quarta tesi. La conversione totale a Cristo, che è il fine della guida dello Spirito santo e a cui tendono i singoli atti di discernimento, è impossibile all’uomo.

L’uomo, nel fondo della sua realtà storica, è un essere chiuso, diffidente, continuamente attento a difendere il suo esiguo patrimonio personale, privo di fiducia in se stesso. L’uomo si sente votato alla morte, preso nei lacci dell’egoismo e dell’ambizione, incapace a uscirne e quando giunge a cogliere la verità su se stesso si ritrova pienamente nella descrizione dell’apostolo:

 

Io so che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene; c’è in me il desiderio del bene ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. Ora se faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. Io trovo dunque in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male è accanto a me. Infatti acconsento nel mio intimo alla legge di Dio, ma nelle mie membra vedo un’altra legge, che muove guerra alla legge della mia mente e mi rende schiavo della legge del peccato che è nelle membra. Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte? (Rm 7,18- 24).

La tesi è molto importante: la consapevolezza della conversione a Cristo è il punto di partenza per lasciarsi guidare dallo Spirito santo.

 

La vita di Cristo in noi attraverso l’azione dello Spirito

All’impotenza storica dell’uomo viene offerta la grazia che è lo stesso Cristo, il suo modo di essere e di vivere come uomo.

Cristo che è venuto al mondo per servire, non per essere servito, partecipa al cristiano la sua capacità oblativa, il suo essere dono, essere “per”. E questo essere dono, che è la caratteristica della vita di Cristo uomo, ed è, ancor profondamente, il segreto del Verbo - dono del e al Padre - viene messo in noi attraverso l’azione dello Spirito santo.

Lo Spirito della verità, dunque, guida nella verità tutta intera rivelando e attuando nel cristiano la capacità di assimilare la vita di colui «che non considerò un tesoro da custodirsi gelosamente la sua uguaglianza con Dio» (Fil 2,66), la capacità di sottrarsi al male e di entrare nella «sublime conoscenza di Cristo Gesù mio Signore» (3,8).

Quest’azione dello Spirito santo inizia con il sacramento del battesimo che rende nuovo l’uomo nel suo essere profondo, prosegue con il sacramento della cresima e ha il suo culmine nell’eucarestia.

Così la verità tutta intera a cui lo Spirito di verità guida è il mistero eucaristico, è l’«attirerò a me» che Cristo opera nell’eucarestia.

Al cristiano, come alla Chiesa, diviene possibile obbedire alla parola di Gesù: «Come il Padre che ha la vita ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me, vivrà per me» (Gv 6,57), uscirà da sé ed entrerà in questa totalità di conversione.

È la partecipazione al mistero trinitario.

Sarebbe interessante, a questo proposito, confrontare le epiclesi dei diversi canoni della messa. Una di esse chiede che lo Spirito trasformi il pane nel corpo di Cristo e un’altra chiede che la Chiesa intera diventi un unico corpo: lo stesso Spirito che trasforma il pane nel corpo di Cristo fa della Chiesa un unico corpo e un unico corpo con Cristo, lo introduce nella pienezza del dono.

Solo con il dono dello Spirito santo possiamo dunque pervenire alla totalità della conversione e del Vangelo. Recando in se stesso il mistero trinitario e attingendovi, lo Spirito - effuso dal Padre in nome del Figlio, effuso dal Figlio come dono del Padre a lui - lo riversa sulla Chiesa facendo di essa una cosa mirabile «non mai udita».

«Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche: ecco io faccio una cosa nuova, proprio ora germoglia» (Is 43,18-19).

Il cristiano evidentemente non è sottratto alla lotta quotidiana. Essa è parte del suo lasciarsi guidare dallo Spirito per esprimere la conversione nella totalità del suo essere.

La conversione trinitaria impregna l’uomo dello Spirito della verità, attraverso un cammino lento, paziente, attraverso una sofferta ascesi nella quale ha grande posto il sacramento della riconciliazione.

La storia della Chiesa e dei cristiani è ricca di luci e di ombre. Pensiamo, ad esempio, al rapporto tra lo Spirito e la lettera, cioè tra creatività e adesione alle tradizioni, che è stato vissuto ordinariamente in modo “pendolare”. Ci sono state epoche della Chiesa nelle quali movimenti di carattere spirituale hanno insistito sull’elemento di novità.

In altre epoche hanno prevalso tendenze che insistevano sulle tradizioni fino a giungere al tradizionalismo, al letteralismo.

La Chiesa è forza di novità che continuamente introduce la capacità di guardare al nuovo e di paragonarlo con l’antico per scoprire ciò che corrisponde al piano di Dio.

Lo Spirito è pronto a ogni confronto con il mondo, a ogni urto, a ogni provocazione, a ogni rischio e assume la guida del cristiano per fare della sua esistenza una creativa traduzione dell’amore eucaristico di Cristo, dell’amore di Dio per gli uomini.

 

I segni della vita nello Spirito: carità e unità

A queste cinque brevi tesi, che riguardano il fine della guida dello Spirito della verità rispetto al cristiano e le modalità attraverso cui il cristiano viene guidato alla verità tutta, vorrei aggiungere una riflessione sui segni.

Quali sono, cioè, i segni che ci rivelano la genuinità del cammino che stiamo facendo?

L’esperienza ci mostra che spesso si inizia bene e successivamente il cammino procede in modo fiacco e opaco; che da sincere conversioni gradualmente si giunge a una religiosità esteriore, non corrispondente a quella profonda coerenza di vita che sola può testimoniare Cristo al mondo.

Non basta quindi avere colto il senso del cammino: il cristiano può continuamente inaridirsi, incepparsi, bloccare la porta allo Spirito. Il degrado nella vita spirituale rispetto a momenti di raggiunto equilibrio è anche legato al passare dell’età, all’indebolimento delle forze sia nei singoli che nelle comunità. Ci sono comunità religiose che cominciano con fervore, zelo, impegno di comunione e poi si spengono. È allora necessario conoscere i segni rivelatori della vita nello Spirito.

Se l’azione dello Spirito si manifesta in noi come conversione radicale alla persona di Gesù, il primo segno è quello della carità. Carità che è l’opposto della carnalità: «Le opere della carne sono ben note: fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordie, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere» (Gal 5,19-21).

E carità che è il contrario della mondanità: «Non amate il mondo né le cose del mondo! Se uno ama il mondo, l’amore del Padre non è in lui; perché tutto quello che è nel mondo, la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita non viene dal Padre, ma dal mondo» (Gv 2,15- 16).

La vita dello Spirito emerge dunque in un drammatico e continuo confronto tra la tendenza fondamentalmente carnale e mondana e la tendenza fondamentalmente evangelica.

È nella pienezza distesa della storia che il cristiano vive un’esistenza partecipe di Cristo o da lui staccata. Se leggiamo attentamente l’elenco di Paolo nel capitolo quinto della Lettera ai Galati, ci accorgiamo che l’esito inconfondibile dell’uomo egoista e possessivo è la divisione dei cuori e delle comunità. L’apostolo parla di inimicizie, di discordia, di gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie. Sono sette attributi ben calcolati della carne, dell’atteggiamento opposto all’essere per e di Cristo, al suo essere eucaristico.

Allo Spirito di degrado è contrapposto lo Spirito della verità con il suo frutto di «amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (Gal 5,22). Sono questi i nove segni privilegiati del cammino guidato dallo Spirito verso la totalità della verità, perché lo Spirito è forza unitiva e costruttiva.

Esso unisce tra loro i membri della Chiesa, tutti coloro che credono e anche tutti gli uomini di buona volontà che si lasciano animare da lui che agisce al di là delle frontiere visibili della Chiesa, agisce in ogni realtà del mondo e della storia.

«Amore, gioia, pace» sono l’esito di una lotta quotidiana contro le opere della carne: lotta tra le nostre tendenze innanzitutto e poi lotta contro gli spiriti del male.

Non è amore che coincide col piacere, non è gioia che coincide con un certo tipo di godere, non è pace come assenza di contraddizioni o come risultato di superficiali equilibri.

Il frutto dello Spirito è la potente presenza di Cristo che urge in noi e si dirige contro il male che pure è in noi. È l'amore crocifisso di Cristo, è la gioia che nasce dal sacrificio di sé, è la pace con Dio che fonda, mantiene e diffonde la pace tra gli uomini.

 

I segni della risurrezione e della vita

 Nella Lettera ai Romani al capitolo ottavo noi troviamo, oltre alla linea della carità, dedizione, gioia, pace, la linea dei segni che vanno nel senso della risurrezione e della vita.

 

Voi non siete sotto il dominio della carne ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito del Cristo, non gli appartiene. E se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto a causa del peccato ma lo spirito è vita a causa della giustificazione. E se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Gesù Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi. Voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi... (Rm 8,9-11,15).

 

Essere guidato dallo Spirito vuol dire essere nella realtà della risurrezione, vuol dire il superamento dell’avvilimento, della disperazione, di tutte le chiusure di speranza perché Cristo, speranza della gloria, è in noi.

La stessa desolazione che può coglierci nel cammino spirituale quando diventa particolarmente drammatico e contrastato, è superata se riusciamo a orientarla verso la speranza. Tuttavia l’esistenza cristiana conosce e deve accettare la desolazione, l’avvilimento, la sconfitta. Deve accettare il turbamento che nasce quando vediamo che non trionfa né speranza, né amore, ma invece trionfa l’odio, il conflitto, la chiusura, la violenza. Gesù stesso ha conosciuto il turbamento nel momento in cui ha pensato al dramma oscuro della sua passione e di fronte al rifiuto di Giuda.

Lo Spirito è la forza dinamica che continua a guidarci verso la risurrezione, la vita, la pace; è la forza dinamica che ci aiuta in questa contro-contestazione per rimettere le cose a posto, per riportare il vero senso delle realtà che è l’amore.

E se il cristiano si lascia guidare dalla tristezza e dallo sconforto, fosse anche lo sconforto per i propri peccati, senza continuare a credere nella forza della risurrezione di Cristo, non è sotto l’azione dello Spirito di verità. Possiamo qui ricordare l’opera classica di san Francesco di Sales, L’arte di trarre profitto dalle proprie colpe: in maniera molto semplice spiega il modo con cui lo Spirito santo può guidare l’uomo persino quando esperimenta tristezze, colpe, minacce di morte spirituale.

Possiamo comprendere perché sant’Ignazio di Loyola, nelle sue regole per il discernimento degli spiriti, consiglia di non prendere alcuna decisione nei momenti di desolazione e di tristezza. Non percependo in quei momenti l’azione dello Spirito della verità, si può arrivare a fare delle scelte sbagliate.

Le decisioni appartengono al tempo della “consolazione spirituale”, tempo che attinge alla pace e alla gioia di Cristo, proprie dell’azione del suo Spirito. Lo Spirito consola ridandoci il senso del piano di Dio, la certezza della sua presenza di amore nel mondo.

La parola “consolazione”, paráclesi, sant’Ignazio la intende come sinonimo dei nomi che abbiamo prima ricordato: cuore nuovo, vita beata, devozione. Al di fuori di questa vita in Cristo per mezzo dello Spirito, ogni cosa può nascondere l’inganno dell’autogiustificazione, dell’orgoglio, della mancanza di purità e di povertà nello spirito volute da Gesù.

Al contrario la contemplazione di Cristo a cui ci introduce lo Spirito riporta il vigore dell’antimondanità evangelica, dell’unità e della pace.

 

La preghiera dello Spinto

Ci possiamo infine domandare qual è l'atteggiamento di preghiera che esprime meglio il lasciarsi guidare dallo Spirito della verità, l'atteggiamento caratteristico di un'esistenza secondo lo Spirito.

Credo sia l'atteggiamento che percorre tutti i Salmi dell'Antico Testamento: la lode. Lode è parola che in ebraico, oggi, vuol dire "grazie". Gli ebrei, infatti, per dire grazie dicono todah, lode. Lode a Dio, lode che ringrazia. Tutti gli altri aspetti della preghiera - la petizione, la supplica, la compunzione - traggono la loro verità profonda dall'essere immersi in un clima in cui la gloria di Dio prevale su ogni altra cosa.

È preghiera nello Spirito là dove le gioie, i dolori, i problemi, le reali esigenze personali esistono e sono presenti - perché sono il tessuto della vita quotidiana - e però finiscono col diventare un canto alla misericordia di Dio.

Ogni volta che, in un atto di vita vitale dell'uomo, Dio prende il posto del nostro io, si avvera la presenza dello Spirito santo d'amore in Cristo, con Cristo e per Cristo.

Ritorna ancora una parola: eucaristia, cioè ringraziamento, benedizione, lode.

 

Il cristiano sa, in conclusione, che deve impegnarsi per essere fedele a Cristo e al suo Vangelo di fronte al mondo. Sa che solo lo Spirito può trasformarlo dall'interno e renderlo capace di aprirsi a tutte le attività che sono a servizio della vita, di affrontare l'esistenza con quelle forze costruttive di carità e di servizio che sono la proclamazione dell'amore in un mondo che tende, attraverso l'egoismo, all'entropia della freddezza, del prevalere violento dell'uno sull'altro.

La testimonianza del cristiano guidato dallo Spirito della verità si inserisce nella promozione umana perché è vitalità profonda, non semplice messa in opera di dighe e di barriere: vitalità su cui si innestano le altre vitalità dell'uomo quando raggiungono la loro trasparenza.

Non vi è nessuna situazione che si sottragga all'azione dello Spirito. È con questa fiducia che il cristiano annuncia Cristo al mondo, con umiltà e con coraggio, non scusandosi con nessuno, molto meno pregando di essere tollerato.

Dio ci manda al mondo, anche se pochi, poveri, umiliati, poco appariscenti, in circostanze ambigue, contorte ed equivoche. La sua Parola non ha paura di niente, lo Spirito scioglie tutto e con la dinamica evangelica del seme, del lievito, del sale, lo Spirito che è in noi dà l'assoluta certezza che non c'è realtà umana che sia insensibile alla forza di amore di Dio che ha creato l'uomo e gli ha donato, fin dall'inizio, lo Spirito.

 


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25 luglio 2025                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net