Regola di S. Benedetto
Prologo della Regola: Alziamoci, dunque, una buona volta, dietro l'incitamento della Scrittura che esclama: "E' ora di scuotersi dal sonno!" e aprendo gli occhi a quella luce divina ascoltiamo con trepidazione ciò che ci ripete ogni giorno la voce ammonitrice di Dio: " Se oggi udrete la sua voce, non indurite il vostro cuore!" e ancora: " Chi ha orecchie per intendere, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese!". E che dice? " Venite, figli, ascoltatemi, vi insegnerò il timore di Dio.
Capitolo II - L'Abate : Sappiamo infatti per fede che in monastero egli tiene il posto di Cristo, poiché viene chiamato con il suo stesso nome, secondo quanto dice l'Apostolo: "Avete ricevuto lo Spirito di figli adottivi, che vi fa esclamare: Abba, Padre!"
Capitolo VII - L'umiltà : Una volta ascesi tutti questi gradi dell'umiltà, il monaco giungerà subito a quella carità, che quando è perfetta, scaccia il timore; per mezzo di essa comincerà allora a custodire senza alcuno sforzo e quasi naturalmente, grazie all'abitudine, tutto quello che prima osservava con una certa paura; in altre parole non più per timore dell'inferno, ma per amore di Cristo, per la stessa buona abitudine e per il gusto della virtù. Sono questi i frutti che, per opera dello Spirito Santo, il Signore si degnerà di rendere manifesti nel suo servo, purificato ormai dai vizi e dai peccati.
Capitolo XLIX - La quaresima dei monaci : Perciò durante la Quaresima aggiungiamo un supplemento al dovere ordinario del nostro servizio, come, per es., preghiere particolari, astinenza nel mangiare o nel bere, in modo che ognuno di noi possa di propria iniziativa offrire a Dio "con la gioia dello Spirito Santo" qualche cosa di più di quanto deve già per la sua professione monastica; si privi cioè di un po' di cibo, di vino o di sonno, mortifichi la propria inclinazione alle chiacchiere e allo scherzo e attenda la santa Pasqua con l'animo fremente di gioioso desiderio.
Tema della Regola: Lo Spirito 
Santo
LA VITA NELLO SPIRITO
E SECONDO LO SPIRITO
(Estratto da: "Credo nello Spirito Santo", 
di Yves Congar, ed. Queriniana 1999)
Non possiamo proporre qui un trattato completo di vita spirituale. Tuttavia, 
vita spirituale significa una vita nello Spirito e secondo lo Spirito. Dovremo 
quindi trattare, anche se in maniera eccessivamente schematica, i principali 
articoli della vita del cristiano
[1].
1. Lo Spirito santo realizza, personalizza
e interiorizza la vita «nel Cristo»
Essere cristiano significa essere in Cristo, fare del Cristo il principio della 
propria vita, condurre la propria vita seguendo il Cristo. S. Paolo esprime 
tutto ciò con i termini ben noti «il Cristo in noi», «il Cristo in voi, speranza 
della gloria» (Col 1,27), «noi nel Cristo». Paolo gioisce, si rattrista, 
è forte, esorta nel Cristo, o nel Signore. Ma la stessa idea egli 
la esprime con altri termini molto vari, in particolare con alcuni verbi che 
egli ha creato: «associato (al Cristo) nella sofferenza, nella morte, nella 
resurrezione, nella gloria» (i verbi in syn), o anche con dei genitivi: 
avere la pazienza del Cristo, la carità del Cristo, essere 
prigioniero del Cristo...
È il medesimo Spirito quello che ha reso Maria feconda del Cristo e che rende 
feconda la Chiesa. Gli inizi della quale negli Atti, corrispondono ai primi 
capitoli del vangelo di s. Luca. Spingendo molto lontano il realismo verbale, i 
Padri, s. Tommaso e Gersone, identificano il «semen Dei, sperma tou Theou, 
il seme» per il quale noi nasciamo da Dio (1
Gv 3,9) con lo Spirito 
santo 
[2]. 
Il p. R. Spitz ha ripreso la stessa idea utilizzando, per meglio illustrarla, 
ciò che oggi sappiamo del permanere, nonostante il continuo cambiamento delle 
nostre cellule, della nostra programmazione o codice genetico che ha il suo 
supporto biologico nell’acido nucleico, D.N.A. o R.D.N. Dal punto di vista 
spirituale, è lo Spirito di Gesù che ci viene dato come principio di identità 
cristiana, fino alla consumazione escatologica. Che questo «seme di Dio» sia 
anche, o piuttosto la parola ricevuta con la fede, non fa altro che mostrare una 
volta di più quanto le due cose siano strettamente unite. Lo sono come il Cristo 
e lo Spirito nella loro venuta a noi, in noi. Lo sappiamo bene, s. Paolo direbbe 
tanto «nello Spirito» quanto «nel Cristo»: la preposizione en ha il senso 
di mediante-, non indica un luogo, bensì un principio di vita e di 
azione. Nel volume precedente abbiamo visto che si può stendere tutta una lista 
di attività o di situazioni di cui s. Paolo attribuisce la ragion d’essere o la 
causalità tanto allo Spirito quanto al Cristo. Ascoltiamo ancora una volta un 
Dottore che abbiamo già citato spesso:
Gesù chiama lo Spirito «un altro Paraclito»; con ciò egli lo vuole designare 
nella propria persona mostrandoci che lo Spirito ha con lui una rassomiglianza 
così grande e che opera tanto bene, senza nessuna differenza, ciò che lui stesso 
compirebbe, da sembrare di essere il Figlio e niente altro. In realtà è il suo 
Spirito. Per questo Gesù lo chiama «Spirito della verità», designando se stesso 
come la verità.
Per mostrare chiaramente che il termine distintivo «altro» non deve essere 
inteso nel senso di una differenza, ma soltanto in ragione della sussistenza 
personale (perché lo Spirito è Spirito, e non Figlio, come il Figlio è Figlio, e 
non Padre), nel momento in cui dice che lo Spirito sarà inviato, Gesù promette 
che lui stesso verrà...
[3].
Ci sono però delle cose che s. Paolo dice del Cristo e che non direbbe dello 
Spirito: non soltanto, è chiaro, tutto quello che Gesù ha fatto nella sua 
umanità, ma anche alcune situazioni della vita del cristiano. Paolo non direbbe 
che siamo tempio del Cristo — anche se il Cristo abita in noi per la fede: Ef 
3,17; né direbbe che siamo membra dello Spirito santo... Come nota F.-X. 
Durrwell, «lo scambio delle formule in Spiritu e in Christo 
diventa impossibile quando la prima si riferisce allo Spirito personale e la 
seconda indica la nostra identificazione al Cristo. Siamo identificati solo al 
Cristo non allo Spirito santo (...). Nel pensiero di Paolo non esiste un «corpo» 
dello Spirito santo. L’ospite sacro compie in noi un segreto lavoro di 
incarnazione, ma per conto del Figlio di Dio, integrandoci al Cristo e facendoci 
simili a lui»
[4].
Questa identificazione spirituale, «mistica», al Cristo, questo credito assoluto 
che gli facciamo perché egli prenda tutto il posto nella nostra vita, lo Spirito 
santo li compie come causa trascendente e intima — abbiamo visto che questa è la 
sua inabitazione in noi —, ma la fede li realizza come disposizione in noi. Dio 
Padre, mediante il suo Spirito, fa abitare il Cristo nei nostri cuori, 
cioè nel più profondo di noi stessi, là dove si forma l’orientamento della 
nostra vita (Ef  3,14-17)
[5]. 
La fede, che è un dono di Dio per puro amore (Ef 2,8) è ciò a partire da 
cui (ex) o per mezzo di cui (dia) lo Spirito ci viene dato. Che si 
tratti della fede viva non c’è ombra di dubbio. I testi abbondano in s. 
Paolo, s. Luca, s. Giovanni.
È per le opere della legge che avete ricevuto lo Spirito o per aver creduto alla 
predicazione (Gal 3,2 e cf 5)... e noi ricevessimo la promessa dello 
Spirito mediante la fede (3,14; cf 5,5).
In lui (nel Cristo) anche voi dopo aver ascoltato la parola della verità, il 
Vangelo della vostra salvezza, e aver in esso creduto, avete ricevuto il 
suggello dello Spirito santo che era stato promesso, il quale è caparra della 
nostra eredità (Ef 1,13).
E Dio... Ha concesso anche a loro lo Spirito santo come a noi... purificandone i 
cuori con la fede (Atti 15,8-9). Avete ricevuto lo Spirito santo quanto 
siete venuti alla fede? (19,2).
‘Chi ha sete venga a me e beva, chi crede in me, come dice la Scrittura: fiumi 
di acqua viva sgorgheranno dal suo seno’. Questo egli disse riferendosi allo 
Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui (Gv 7,37-39).
Non si può limitare il dono e l’azione dello Spirito ad un solo momento dello 
svolgimento della vita di fede. Lo Spirito è attivo nella parola (1 Tess 
1,5; 4,8; 1 Piet 1,12) e nell’ascolto (Atti 16,14); egli rende 
testimonianza a Gesù, dentro e fuori (Gv 15,26; Atti 1,8; Ap 
19,10). Anche se l’unzione di cui si parla in 2 Cor 1,21 e in 1 Gv 
2,20 e 27 è l’unzione della fede, come ci pare che abbia stabilito il p. 
De la Potterie
[6], 
essa è legata all’azione dello Spirito: «È Dio stesso che ci conferma, insieme a 
voi, in Cristo, e ci ha conferito l’unzione e impresso il sigillo e ci ha dato 
la caparra dello Spirito nei nostri cuori» (2 Cor 1,21-22).
Il p. De la Potterie mostra anche che il seme di Dio (sperma Theouf di 
1 Gv 3,9 è la Parola di Dio che fa nascere alla fede chi la riceve; ciò è 
chiaro in 1 Piet 1,23. Ma anche lì, non se ne può separare lo Spirito. 
Questa unzione della fede è in senso così vero opera dello Spirito che essa è la 
comunicazione e l’estensione dell’unzione profetica e messianica che Gesù ha 
ricevuto dallo Spirito al momento del battesimo, estesa a tutti i fedeli Questa 
unzione è attiva in tutta la vita di fede del battezzato e del testimone, sia di 
chi è ispirato personalmente sia di chi ha un mandato ufficiale. Lo Spirito 
approfondisce la fede dei discepoli, la conforta: egli è essenzialmente Spirito 
di verità (Gv 14,17; 15,26; 16,13).
Lo Spirito-Paraclito svolge un ruolo definitivo, per il nutrimento della nostra 
fede, nella lettura delle Scritture. Ne dà vivace testimonianza s. Paolo nel 
contrasto che egli sviluppa tra il ministero mosaico e quello della nuova 
Alleanza: «Infatti fino ad oggi quel medesimo velo (che copriva il volto di 
Mosè) rimane, non rimosso, alla lettura dell’Antico Testamento (come la fanno 
gli Ebrei), perché è in Cristo che esso viene eliminato... Quando ci sarà la 
conversione al Signore, quel velo sarà tolto. Il Signore è lo Spirito e dove c’è 
lo Spirito del Signore c’è libertà...» (2 Cor 3,14 s). Questa è stata la 
norma di lettura «spirituale» della Scrittura praticata dai Padri, così 
nutriente anche per noi, non certamente nei suoi eccessi allegorizzanti, bensì 
nella sua interpretazione sobriamente tipologica dell’Antico Testamento. Diciamo 
sobriamente, perché non tutto è autenticamente tipologico. Ambedue le 
cose si trovano in Origene, interpretazione tipologica e allegorica, ma egli 
merita di essere citato a questo punto per l’amore del Cristo con il quale ha 
scrutato le Scritture:
È opera solo di Gesù togliere il velo affinché possiamo contemplare le
Scritture e penetrare le cose che sono state dette in modo oscuro
[7].
Solo la Chiesa comprende la Scrittura, la Chiesa, cioè la porzione di umanità 
che si converte al Signore
[8].
I Padri non si stancano di ripetere che lo Spirito rivela il Figlio come il 
Figlio rivela il Padre
[9]. 
Anche i Medioevali lo dicono, con il loro vocabolario
[10]. 
È una cosa ben fondata sulla Bibbia e che porta molto lontano. Nella Scrittura, 
infatti, la testimonianza del Paraclito, data insieme, ma sovranamente, con 
quella degli Apostoli, è relativa al Cristo: Gv 14, 16; 15,13-16. La 
confessione della verità a proposito del Cristo è, a sua volta, il criterio 
dell’autenticità dell’azione dello Spirito: 1 Cor 12,3; / Gv 4,2. 
Lo Spirito di Dio, il solo che conosca ciò che è in Dio (1 Cor 2,11), è 
il solo che può farci raggiungere nella sua profondità la verità teandrica del 
Cristo. «Presente al Cristo secondo l’avvìo eterno della sua generazione di 
Figlio, lo Spirito è dunque da sempre con il Figlio. Ne è quindi anche il 
testimone privilegiato e insostituibile. Gli apostoli, i quali sono con il 
Cristo solo ‘dal battesimo di Giovanni’, sono anch’essi dei testimoni, ma il 
testimone assoluto se possiamo dire così, colui senza il quale la testimonianza 
degli Apostoli non è che una testimonianza di carne e di lettera, di bocca o di 
orecchio, ma non di spirito, è lo Spirito santo stesso, il solo che, come dice 
s. Paolo, ‘ha scrutato le profondità di Dio’ e può dire qual è l’identità 
radicale del Cristo».
La verità teandrica del Cristo esige che egli sia conosciuto nella sua umanità, 
nel suo condizionamento socio-culturale e storico. Il cristiano metterà quindi 
in opera gli strumenti tecnici che rispondono a questa esigenza. Ma come fedele, 
egli andrà più in profondità, dietro le orme di s. Paolo: «Ora noi non abbiamo 
ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere tutto ciò che 
Dio ci ha donato. Di queste cose noi parliamo, non con un linguaggio suggerito 
dalla sapienza umana, ma insegnato dallo Spirito, esprimendo cose spirituali in 
termini spirituali. L’uomo naturale però non comprende le cose dello Spirito di 
Dio» (1 Cor 2,12-14).
Non si ha il coraggio né di confrontarsi con s. Paolo né di applicare 
personalmente a se stessi un simile testo. Ci si può collocare, tuttavia, con 
umiltà, nel «noi» che egli usa, mettersi alla scuola della nube di testimoni che 
hanno portato umanamente la Tradizione, e allora, «radicati e fondati nella 
carità saremo in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la 
lunghezza, l’altezza e la profondità... per essere ricolmi di tutta la pienezza 
di Dio» (Ef 3,17-19). Questa scuola ci chiude le vie piuttosto vane di 
«etero interpretazione», di interpretazione, cioè, secondo idee e norme estranee 
alla realtà divino-umana del Cristo, centro di tutto il piano di Dio.
S. Agostino ha comunicato alla Tradizione cattolica il tema meraviglioso del 
Maestro interiore, senza la segreta istruzione del quale le parole esteriori e 
il testo sacro stesso non libererebbero tutta la verità che trasmettono:
Il suono delle parole colpisce le vostre orecchie, il Maestro è dentro di voi 
(...). Non avete forse udito tutti questo sermone? Quanti usciranno di qui senza 
aver imparato nulla? Per quanto dipendeva da me, ho parlato a tutti; ma coloro 
ai quali questa unzione non parla interiormente, coloro che non sono istruiti 
nel loro intimo dallo Spirito santo, se ne vanno senza nessun frutto. Gli 
insegnamenti esteriori sono un aiuto, un invito a fare attenzione. Ma la 
cattedra di colui che istruisce i cuori, sta nel cielo (cit. di Mt 8-9) 
...
(...) Se colui che vi ha creati, riscattati, chiamati — lui che per la fede del 
suo Spirito abita in voi — non vi parla interiormente, le nostre parole 
risuonano invano
[11].
La vita «nel 
Cristo» sotto l’azione dello Spirito è una vita filiale
Il Cristo è centro e anche culmine, ma non è il termine. «Figlio dell'uomo», 
tipo dell’uomo, egli va al di là di se stesso e porta oltre se stesso. Egli è 
tutto ad Patrem, pros ton Patera, verso il Padre e per lui. Altrimenti 
non ci farebbe superare l’uomo. «Lo Spirito ci porta al Figlio, il quale ci 
porta il Padre» dicono le nostre autorità classiche
[12]. 
Abbiamo visto il fondamento della nostra filiazione in quella di Gesù. Bisogna 
abbozzare l’esercizio, e in primo luogo da parte di Gesù stesso.
La sua anima filiale! Intendiamo la sua anima umana, il suo comportamento umano 
di Figlio di Dio. Entrando nel mondo, il Cristo dice: «Tu non hai voluto né sacrificio 
né offerta, un corpo invece mi hai preparato... Allora ho detto: Ecco, io vengo 
per fare o Dio, la tua volontà» (Eb 10,5 e 7; Sal 40,7-9). 
Gesù aveva sentito risuonare, nella sua coscienza, il «Tu sei il mio Figlio 
prediletto. In te ho posto la mia compiacenza» (Mc 1,11). Da allora, preparate dall’obbedienza del ragazzo al suo 
padre terreno (Lc 2,51), si distribuiscono lungo tutta la vita di Gesù, 
queste parole che ci riferisce s. Giovanni, nelle quali si esprime la relazione 
di Gesù al Padre, di cui troviamo testimonianza già nei Sinottici:
Il Figlio da sé non può fare nulla, se non ciò che vede fare dal Padre (5,19).
Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato a compiere la sua opera 
(4,34; 6,38; confr. 10,18).
Non cerco la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato (5,30).
Il mio insegnamento non è mio ma di colui che mi ha mandato (7,16).
Io non faccio nulla da me stesso, ma come mi ha insegnato il Padre, così parlo 
(8,28) io faccio sempre le cose che gli sono gradite (29).
Io non ho parlato da me, ma il Padre che mi ha mandato egli stesso mi ha 
ordinato le cose che devo dire e annunziare. E io so che il suo comandamento è 
vita eterna. Le cose dunque che io dico, le dico come il Padre le ha dette a me 
(12,49-50).
Perché il mondo sappia che io amo il Padre e faccio quello che il Padre mi ha 
comandato... (avviandosi al Getsemani e alla Passione) (14,31), Padre, è venuta 
l’ora... (17,1).
Ecco come fu Gesù. Ma il piano di Dio è di andare dall’uno all’uno passando per 
i molti. «Nessuno sale al cielo se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio 
dell’uomo» (Gv 3,13); noi non arriveremo al Padre se non per mezzo di 
lui. Per questo Dio ha costituito in Gesù una realtà unica di relazione filiale 
perfetta con Lui e ci chiama alla comunione con il suo Figlio (1 Cor 
1,9), «perché egli sia il primogenito di una moltitudine di fratelli» (Rom 
8,29), in una storia coestensiva alla nostra, fino al momento in cui «il Figlio 
stesso sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia 
tutto in tutti» (1 Cor 15,28).
Commentando la frase «allora anche il Figlio sarà sottomesso», s. Agostino dice 
che quel Figlio non è solo la nostra Testa, il Cristo, ma il suo corpo, di cui 
noi siamo le membra
[13]. 
Noi, figli di Dio, siamo il corpo del Figlio unico...
[14]. 
S. Cirillo, dottore della nostra filiazione divina, scrive:
Il Cristo è il Figlio unico e insieme il figlio primogenito. Egli è il Figlio 
unico come Dio; è figlio primogenito per l’unione salvifica che egli ha 
stabilito tra noi e lui, diventando uomo. In conseguenza di ciò, noi, in lui e 
per mezzo di lui, siamo fatti figli di Dio, e per natura e per grazia. Per 
natura lo siamo in lui, e solo in lui; per partecipazione e per grazia lo siamo, 
mediante lui, nello Spirito
[15].
La nostra vita filiale, sarà la nostra obbedienza, la nostra ricerca di 
conformità fatta di amore e di fedeltà, alla volontà di Dio, senza rinunciare 
alla nostra intelligenza e alla nostra dignità di uomini. Saranno forse idee 
all’antica, ma sono attestate in una tradizione costante, sono solide e sono 
vere: questa volontà di Dio si incarna tra l’altro nei doveri del nostro stato. 
Non è un denominatore comune delle parenesi di s. Paolo nelle sue lettere?. Il 
culmine, però, il cuore profondo della nostra vita filiale è di raggiungere Gesù 
nella sua preghiera. Questa preghiera noi la conosciamo: «Padre, io ti lodo» 
(Lc 10,21, «sotto l’azione dello Spirito santo»); «Padre glorifica il Figlio 
tuo» (Gv 17,1); «Abbà, Padre...» (al Getzemani; Mc 14,36; Lc 
22,42); «Padre, nelle tue mani affido il mio spirito» (Lc 23,46). E, certamente, come tutti sappiamo: «Quando pregate dite: 
Padre...» (Lc 11,2; Mt 6,9). Dopo i bei studi di J. Jeremias, 
sappiamo che questa invocazione è propria a Gesù e che comporta una sfumatura di 
familiarità affettuosa e confidente
[16]. 
Sappiamo anche che è lo Spirito che ce la fa pronunciare, o addirittura che 
l’articola in noi: Gal 4,6; Rom 8,15.
Ci vuole tutto questo — l’intelligenza del mistero del Cristo, una vita di 
obbedienza vissuta quotidianamente, una preghiera di figli al loro Padre — per 
essere trasfigurati nell’immagine del Figlio dal Signore, che è lo Spirito (2 
Cor 3,18).
2.
Oggi e nella consumazione finale.
«Già e 
non ancora»
Tutto ciò viene detto nel ben noto passo dell’epistola di Giovanni: «Quale 
grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio (tekna), e 
lo siamo realmente! ... noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non 
è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi 
saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è» (1 Gv 3,1-2)
[17].
Non si potrebbe esprimere meglio l’unità e la tensione di ciò che caratterizza — 
che si tratti del Regno di Dio o della «vita eterna» —, uno statuto di già 
e non ancora. S. Paolo parla piuttosto sul piano del «non ancora», s. 
Giovanni su quello del «già». Per s. Paolo la nostra qualità di figli per 
adozione è la promessa e la garanzia di ereditare i beni patrimoniali di Dio
[18]. 
Per s. Giovanni, noi abbiamo la vita eterna a condizione di credere in Colui che 
Dio ci ha mandato
[19]. 
Ma s. Paolo parla continuamente del Cristo in noi, della caparra dello Spirito, 
e s. Giovanni sa che noi siamo in attesa della gloria.
Nella prospettiva biblica, la verità di una cosa è il suo termine, ciò a cui 
essa è destinata. «Possedendo le primizie dello Spirito, noi sospiriamo in noi 
stessi, aspettando di essere veramente trattati come dei figli e che il nostro 
corpo sia riscattato» (Rom 8,23, trad. Cerfaux, p. 253). Queste primizie 
sono un pegno della nostra eredità e hanno l’effetto di consolidarci in una 
piena fiducia: 2 Cor 1,21-22; 5,5; Ef 1,13: «In lui anche voi, 
dopo aver ascoltato la parola della verità, il vangelo della vostra salvezza e 
avere in esso creduto, avete ricevuto il suggello dello Spirito santo che era 
stato promesso, il quale è caparra della nostra eredità; in attesa della 
completa redenzione quando ne prenderemo possesso». Lo Spirito donato e attivo 
in pienezza procurerà la resurrezione dei nostri corpi come ha fatto per il 
Cristo (Rom 1,4; 1 Piet 3,18): noi saremo figli di Dio pienamente 
solo quando saremo, come il Cristo, nella condizione di figli di Dio. 
Questa condizione, al Cristo l’hanno data la sua resurrezione e la sua 
glorificazione, tanto che Paolo, in un discorso degli Atti (13,33) vede nella 
resurrezione di Gesù la realizzazione della parola: «Tu sei mio Figlio. Oggi io 
ti ho generato» (Sal 2,7). Gesù, parlando della condizione degli uomini 
nel mondo a venire, aveva detto: «sono figli di Dio, perché sono figli della 
resurrezione» (Lc 20,36); «essi vivono per Dio» (v. 38) come il Cristo, 
il quale, dopo essere risuscitato, «vive, e vive per Dio» (Rom 6,10. 
Questa vita, in noi, è iniziata ed è ancora oggetto di speranza e di attesa:
Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento 
che lo Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito del Cristo, 
non gli appartiene. E se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto a causa del 
peccato, ma lo spirito è vita a causa della giustificazione. E se lo Spirito di 
colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato 
Gesù Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del 
suo Spirito che abita in voi (Rom 8,9-11).
Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio. E se siamo 
figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se veramente 
partecipiamo alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria. Io 
ritengo, infatti, che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili 
alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi. La creazione stessa attende 
con impazienza la rivelazione dei figli di Dio... e nutre la speranza di essere 
lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà 
della gloria dei figli di Dio (...). Essa non è la sola, ma anche noi, che 
possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando 
l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo (8,16-23).
A rileggere un testo così denso, non ci si stanca mai! Noi gemiamo. È ben altro 
che lagnarsi e lamentarsi. Significa desiderare ardentemente che venga il Regno 
di Dio. Escatologicamente, noi regneremo con lui: «Se soffriamo con lui, con lui 
regneremo» (2 Tim 2,12). Abbiamo visto che una variante del testo seguita 
da molti Padri sostituisce le parole «Che venga il tuo Regno» del Pater con 
queste altre: «Che il tuo Santo Spirito venga su di noi e ci purifichi». È noto 
che s. Giovanni esprime in termini di «vita» ciò che i Sinottici (e s. Paolo) 
esprimono in termini di Regno o Regno di Dio. Queste due realtà, secondo i due 
aspetti che esse contengono del già e del non ancora, possono 
altrettanto bene essere tradotte in termini di Spirito santo.
«In Romani 8, ove Paolo tratta nel modo più esplicito della filiazione, 
egli considera la filiazione escatologica come una maturazione della filiazione 
presente». Vita, Regno, Spirito hanno un’esistenza, e un’esistenza dinamica 
nelle nostre vite terrene. Lo Spirito è insieme chiamata o esigenza e principio 
di vita santa. «Dio non ci ha chiamati all’impurità, ma alla santificazione... 
che vi dona il suo santo Spirito» (1 Tess 4,7-8).
S. Paolo parla di purità. È un tema legato a quello dell’inabitazione di Dio e 
del tempio, con l’aspetto personale e l’aspetto comunitario o ecclesiale a 
quello collegati. Abbiamo parlato della vita della Chiesa (I parte di questo 
libro) e ne parleremo ancora. Si potrebbe parlare, qui, di tutta la vita di 
Cristo. Più avanti ne tratteremo gli aspetti più decisivi: preghiera, lotta 
contro la carne e partecipazione alla Passione del Cristo, vita sotto la guida 
dello Spirito e «doni». Nel volume seguente parleremo dei sacramenti in 
relazione allo Spirito.
Il legame tra filiazione presente e filiazione escatologica è evidentemente 
prima di tutto quello della realtà stessa: dono dello Spirito e grazia creata 
legati come abbiamo visto. Si può considerare la cosa anche sotto l’angolatura 
particolare del «merito»: la teologia, quella in ogni caso di s. Tommaso, 
attribuisce in questo argomento un ruolo veramente decisivo allo Spirito santo
[20]. 
Perché ci sia merito, bisogna che noi mettiamo in opera la nostra libertà 
— se non ci fosse libertà, non si vede quale potrebbe essere la verità di un 
«Giudizio» di Dio! — ma perché ci sia merito di vita eterna, merito di 
entrare, cioè, nella comunione e nella famiglia di Dio stesso, è necessario che 
l’atto buono della nostra libertà venga preso da una potenza dell’ordine di Dio. 
Questa potenza, è il Cristo — un aspetto sviluppato nel XVI secolo da Gaetano 
seguito ai nostri giorni dal p. Mersch e dal card. Journet — ed è lo Spirito 
santo. Tommaso d’Aquino, ama citare, a questo proposito, Gv 4,14, 
«l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la 
vita eterna». Il concilio di Trento ha ripreso la medesima citazione
[21]. 
Essa significa che può salire fino a Dio solo un’energia che viene da lui. È in 
un certo senso l’immagine dei vasi comunicanti. Il merito esiste solo per la 
grazia, intendendo che lo Spirito è «inviato» e donato nel dono della grazia e 
che è per il suo dinamismo assolutamente divino che noi possiamo tornare al 
Padre per mezzo del Figlio.
In fine, l’iniziativa assoluta è di Dio, in quanto egli è Amore e Grazia. Essa 
deve trovarci consenzienti, cooperanti («sinergia»), ma è essa che inizia e 
porta a compimento il processo che s. Paolo descrive in Rom 8,29-30. I 
nostri atti eventualmente «meritori» della vita eterna sono elementi di una 
catena di grazia di cui lo Spirito santo, Grazia increata, ha l’iniziativa e 
garantisce il dinamismo fino alla vittoria finale nella quale Dio, coronando i 
nostri «meriti» non fa altro che coronare i propri doni.
Lo Spirito santo e la carità divina che egli diffonde nei nostri cuori (Rom 
5,5) sono anche il principio della Comunione dei santi e della comunicazione dei 
beni spirituali nella quale si traduce questa Comunione. Ne abbiamo detto 
qualcosa in uno dei capitoli precedenti.
Nota del redattore del sito:
Ho riportato solo una parte delle note, in particolare quelle che si riferiscono 
ai Padri della Chiesa.
[1] 
Nell’abbondanza delle referenze possibili, scegliamo di citare le opere 
generali alle quali in seguito rimanderemo con la semplice menzione 
dell’autore: L. Cerfaux, Le 
chrétien dans la théologie paulinienne (Lectio 
divina 33), Parigi 1962; I. de la Potterie e S. Lyonnet,
Le vie selon l’Esprit, condition 
du chrétien (Unam Sanctam 
55), Parigi 1965.
[2] Cf I. 
Ireneo, Adv. Haer. IV, 31, 2 
(PG 7, 1069-70; S. Chr. 100, p. 792 e 793: realismo estremo di una 
tipologia di Lot che giace con le due figlie!); s. Ambrogio unisce la 
Parola e lo Spirito: «Cui nupsit Ecclesia, quae Verbi semine et Spiritu 
Sancto plena, Christi corpus effudit, populum scilicet christianum» (In 
Lucam III, 38: PL. 15, 1605); altre referenze in S. Tromp, Corpus Christi quod est Ecclesia. III.
De Spiritu Christi anima, Roma 1960, p. 165 s. 228 s. s. Tommaso 
spiegando la nostra filiazione divina: «Semen autem spirituale a Patre 
procedens est Spiritus Sanctus» e cita 1
Gv 3,9 (In
Rom. c. 8 lect. 3), «semen 
spirituale est grafia Spiritus Sancti» (In
Gal c. 3 lect. 3). Gersone, 
sermone «Ambulate dum lucem habetis», in
Oeuvres, ed. P. Glorieux, t. 
V, p .44 (cf L.B .Pascoe, Jean Gerson:
Principles of Church Reform, 
Leida 1973, p. 45-47 e 207-208.
[3] s. Cirillo 
d’Alessandria, In Ioan., Lib.
IX: PG 74, 257 AB e 261 A (tr. franc., A. Soulignac,
Nouv. 
Rev. théol., 1955, p. 428).
[4] F.-X. Durrwell, 
La 
Résurrection de Jésus mystère de salut, 2a ed., Le 
Puy-Parigi 1955, p. 257-58; 10a ed, Parigi, p. 170.
[5] Testo che 
s. Bernardo cita spesso. Reagendo contro qualsiasi identificazione 
fisica del cristiano con il Cristo, Pio XII ha respinto l’idea di una 
durata dell’abitazione dell'umanità del Cristo in noi mediante la 
comunione eucaristica (encicl. 
Mystici Corporis, 1943, e 
Mediator Dei, 1947): cf Ami du 
Clergé, 27 aprile 1950, p. 257 s; 14 febbraio 1952, p. 99; St. 
Schmitt, Päpstliche Entscheidung 
einer theologischen Streitfrage. 
Keine Dauergegenwart der 
Menschheit Christi im Christen, in
Benedikt. Monatschrift, 1948; 
G. Söhngen, Die Gegenwart Christi 
durch den Glauben, in A. Fischer,
Die Messe in der 
Glaubensverkündigung, Friburgo 1950.
[6] L’unzione 
del cristiano mediante la fede: I. de la Potterie, p. 107-167. Il testo 
di 1 Gv 2,20 e 27 è citato 
dalla costituzione conciliare 
Lumen Gentium n. 12 a proposito del «sensus fidei» di tutto il 
popolo di Dio.
[7] Origene,
Disputa con Eraclide, Ed. 
Paoline, 1971, p. 318.
[8] Citato da H. de Lubac,
Histoire et Esprit. 
L’intelligence de l’Ecriture d’après Origène (Théologie 16), Parigi 1950, p. 303 e 304, 316 s [tr. it,
Storia e Spirito. La comprensione 
della Scrittura secondo Origene, Ed Paoline, 1971]. Si veda anche il 
libro molto sostanzioso di H.U. von Balthasar,
Parole et Mystère chez Origène, 
du Cerf, Parigi 1957 (prima erano articoli di
Rech. de Sc. rel., 26 (1936), 
513-562 e 27 (1937), 38-64) [tr. it, in
Il mondo, il Cristo e la Chiesa, 
Jaca Book, 1972]. 
[9] Si veda s. 
Atanasio, III lettera a Serapione 
(tr. franc, J. Lebon, S. Chr. 15, 1947, p. 163-165).
[10] 
Citiamo il seguente testo di s. Alberto Magno: «L’Apostolo attribuisce 
la rivelazione allo Spirito santo quando dice: ‘Dio a noi lo ha rivelato 
per mezzo del suo Spirito’ (1 Cor 
2,1-13)... Egli dice così perché come lo spirito dell’uomo è il vettore 
del pensiero che anima la mano dell’artefice nel suo lavoro e il vettore 
del pensiero nella lingua che uno parla, così lo Spirito santo è il 
vettore del Verbo del Padre, che rivela il Padre. E la rivelazione viene 
dal Padre come dalla sua origine e dal suo autore, e dal Verbo come 
dalla sua forma di luce e di conoscenza formale, e dallo Spirito come 
dal suo vettore e ispiratore»: In 
Lucam 10, 22 (Borgnet XXII, 45).
[11] S. Agostino, Commentaire de la Première épitre de S. Jean, tr. 
III, 13 e IV, 1: PL 35, 2004 e 2005 (tr. Franc., P. Agaesse, S. Chr. 73, 
1961, p. 211 e 219. Questo tema in s. Agostino,
De Magistro, XI, 36-XIV, 46 
(PL 32, 1215-1220); Conf. 
IX, 9 (32, 
773); Sermo 179, 1 (38, 966); 
E. Gilson, Intr. à l’étude de S. 
Augustin, Parigi 1920, p. 88-103, 137-38, 164-65, 256 n. 1: J. 
Rimaud, Le maitre intérieur, in Saint-Augustin (Cahiers de la Nouv. 
Journée 
17), Parigi 1930, p. 53-69. Seguito del tema: s. Gregorio,
Hom. in Evang. lib. II, hom. 30 (PL 76, 1222);
Moral. XXVII, 43 (78, 424). Il p. J. Alfaro (Gregorianum 44 (1963), 779, n. 357) dà referenze a s. Prospero, 
Fulgenzio di Ruspe, s. Beda, Alcuino, Rabano Mauro, Aimone di Auxerre, 
Pascasio Radberto, Floro di Lione, Attone di Vercelli, Ruperto di Deutz, 
Erreo di Deols, Pietro Lombardo, Roberto Pullen, Ugo di S. Caro, Nicola 
di Lyre, s. Bonaventura. Per quest’ultimo aggiungiamo una referenza a E. 
Eilers, Gottes Wort. Eine 
Theologie der Predigt nach Bonaventura, Friburgo 1941, p. 57 s, 71 
s. Aggiungiamo soprattutto Tommaso d’Aquino,
De Verit. q. 11 a. 1;
Sum. theol. 
I. q. 117 a. 1 ad 1; 
In Ioan. c. 14 lect. 6. Più vicino a noi, Bossuet,
Sermons sur la parole de Dieu, 13/IX/1661 (Lebarq III, p. 579-80); 
Gratry, Les Sources.
[12] 
È noto il «Vieni verso il Padre» di Ignazio di Antiochia (Ad Romanos VII, 2); ma si veda s. Ireneo,
Adv. 
Haer. 
V, 36 (PG 7, 1225; S. Chr. 163, 1969, p. 460, 461); Tommaso d’Aquino,
In loan. c. 14 lect. 6: «Sicut 
effectus missionis Filii fuit ducere ad Patrem, ita effectus missionis 
Spiritus Sancti est ducere ad Filium».
[13] De 
div. quaest. LXXXIII, q. 69, 10 (PL 40, 79).
[14] 
Epist. Ioan. ad Parthos 
tr. X, 5,9 (PL 35, 2055); cf In 
Ioan. Ev. tr. 
XX, 5 e XLI, 8 (35, 1568 e 1696); 
En. in Ps. 122, 5 (37, 1634). Al che bisognerebbe aggiungere il tema 
del «Christus integer» e il commento agostiniano a «Uno solo sale al 
cielo, il Figlio dell'uomo». Citiamo anche
Sermo 71,28: «Ad ipsum 
(Spiritum) pertinet societas qua efficimur unum corpus
unici Filii Dei» (38, 461).
[15] 
s. Cirillo d’Alessandria, De recta 
fide ad Theodosium (PG 76, 1177).
[16] J. Jeremias,
Paroles de Jesus. 
Le Sermon sur la montagne. 
Le Pater 
(Lectio divina 38), Parigi 
1963; Abbà, Paideia, Brescia 
1968.
[17] 
Cf s. Paolo, Col 3,3-4: «La 
vostra vita è nascosta con Cristo in Dio. Quando si manifesterà Cristo, 
la vostra vita, allora anche voi sarete manifestati con lui nella 
gloria»; e cf Fil 3,21. Cf L. 
Cerfaux, p. 296 s.
[18] 
Rom 8,19, 23-24; Ef 1,14;
1 Tim 6,12;
Tito 3,7. Tema dell’eredità futura del Regno di Dio (1 
Cor 6,9-10; 15,50; Gal 
5,21), dell’incorruttibilità (1 
Cor 15,50), della ricchezza di gloria (Ef 
1,18), della sorte dei santi nella luce (Col 
1,12). Sull’eredità del Regno cf anche
Ef 5,5;
Giac 2,5. Il
già e il non ancora in s. 
Paolo è stato ben analizzato da J.D.G. Dunn,
Jesus and the Spirit... Londra 1975, p. 308 s.
[19] 
6,29.40.47; 1 Gv 3,1; 5,11 e 
13. S. Gregorio Nisseno interpreta come riferita al dono dello Spirito 
la parola di Gv 17,22, «io ho 
dato loro la gloria che tu mi hai dato»: In
Cant. Cant., hom. 15 (PG 44, 
1117).
[20] 
Si veda la nostra voce Merito nel 
Dizionario ecumenico, Cittadella, 1972 (bibliogr.). Lì diamo delle 
referenze a s. Tommaso; aggiungere però questo testo: «Hominis opera qui 
Spiritu Sancto agitur, magis dicuntur esse opera Spiritu Sancti quam 
ipsius hominis» (Sum. theol. 
Ia IIae q. 93 a. 6 ad 1). Nello stesso luogo abbiamo citato anche 
Alberto Magno, il quale afferma con forza che solo l’azione di Dio può 
farci raggiungere l’infinito: si veda anche G. Philips,
L’union personnelle avec le Dieu 
vivant, Gembloux 1974, p. 128-29, 271-75.
[21] 
Sessione VI, c. 16: DSch 1546.
  
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18 
aprile 2020   
            a cura di
Alberto
"da Cormano"         alberto@ora-et-labora.net
      
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