LE SENTENZE PER I MONACI DI NOVATO IL CATTOLICO

Breve riassunto

Di A. Sevestre, estratto e tradotto da "Dictionnaire de Patrologie" Vol. 4, Ed. J. P. Migne, Parigi 1855

Novato, monaco del IV° secolo [1], ci è noto solo per un'esortazione indirizzata a dei religiosi e che si trova nel 1° volume della "Bibliothèque des Pères (Biblioteca dei Padri)", sotto questo titolo: Sentenza od omelia del santo Padre Novato, cattolico, ai suoi fratelli, sull'umiltà e l'obbedienza, ciò che può far credere che Novato fosse abate. I monaci a cui parla indossavano abiti lugubri, erano tutti uguali, ma soggetti ad un superiore che era il padre della congregazione. Novato li esorta a non soffermarsi con troppa compiacenza a questa idea di uguaglianza. Egli vuole che ciascuno di loro si creda inferiore a tutti gli altri, ciò che può essere fatto solo attraverso l'umiltà, fonte di tutte le altre virtù. Bisogna camminare nella via della salvezza con semplicità, davanti a Dio solo e senza preoccuparsi degli uomini, perché chi vuole apparire umile agli occhi del mondo è un ipocrita.

Le altre virtù che egli raccomanda particolarmente ai suoi religiosi sono l'obbedienza e la carità fraterna. La pratica di quest'ultima virtù chiude soprattutto la porta agli scandali che possono provocare il cibo, i vestiti, le opere buone, le veglie e gli orari della casa. Vuole soprattutto che tutti lavorino per stabilire una pace stabile tra la propria anima ed i comandamenti di Dio. Solo in questo modo si può trionfare sulla concupiscenza e sulla carne. Il peccatore è un uomo malato e l'abitudine a peccare è una malattia, che può essere superata solo coalizzandosi col dottore contro di essa. Questo medico è Gesù Cristo, che difficilmente provvederà alla guarigione se il malato si unirà contro di lui con la malattia. È in questo senso che Novato comprende questo passaggio di san Matteo (Mt 5,25): "Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui". Questo avversario, dice, sono i precetti del Signore, perché si oppongono alle nostre abitudini ed ai nostri peccati. Non appena siamo d'accordo con questi precetti, la malattia soccombe ed il giogo del Signore diventa dolce e leggero.

Un religioso non deve avere altra preoccupazione che quella di soddisfare la volontà del suo abate. Lo stato che ha abbracciato non gli permette di preoccuparsi del necessario, dal momento che vi sono altri che hanno il compito di fornirglielo. La vera umiltà di un monaco consiste nel ricevere tutto ciò che gli viene dato dal suo abate, come se venisse da Dio stesso. Se l'abate sembra favorire qualcun'altro più di lui o se lo fa mangiare ad un tavolo diverso, egli deve riconoscere la volontà di Dio in quella del suo superiore, senza vantarsene se sarà a sua volta promosso. Colui che non riceve ciò che chiede deve essere persuaso, o che questo oggetto non si trova nel monastero, o che è stato ritenuto utile rifiutarglielo. Poiché l'abate non può vedere o ascoltare tutto e talvolta si trova costretto ad assentarsi dal monastero, bisogna che ogni monaco sia l'abate di suo fratello, vale a dire che devono tendersi la mano l'un l'altro e, quando cadono in qualche colpa, devono riprendersi e correggersi a vicenda. I monaci devono soprattutto applicarsi all'umiltà, all'obbedienza ed alla carità; poiché, sebbene il digiuno e le mortificazioni siano di grande aiuto nel domare le passioni, nulla è più pericoloso per i monaci del credere che questi esercizi li elevano al di sopra degli altri.

Questo discorso, la cui epoca sembra difficile da determinare, è ben pensato e ben scritto.

[1] Nota del traduttore: si confronti l'altra introduzione: Autore e data di composizione


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14 novembre 2018                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net