Regola di S. Benedetto

 

Capitolo XVIII - L'ordine dei salmi nelle ore del giorno: 22. Ci teniamo però ad avvertire che, se qualcuno non trovasse conveniente tale distribuzione dei salmi, li disponga pure come meglio crede, 23. purché badi bene di fare in modo che in tutta la settimana si reciti l'intero salterio di centocinquanta salmi e con l'Ufficio vigiliare della domenica si ricominci sempre da capo. 24. Infatti i monaci, che in una settimana salmeggiano meno dell'intero salterio con i cantici consueti, danno prova di grande indolenza e fiacchezza nel servizio a cui sono consacrati, 25. dato che dei nostri padri si legge che in un sol giorno adempivano con slancio e fervore quanto è augurabile che noi tiepidi riusciamo a eseguire in una settimana.

Capitolo XIX - La partecipazione interiore all'Ufficio divino: 1. Sappiamo per fede che Dio è presente dappertutto e che "gli occhi del Signore guardano in ogni luogo i buoni e i cattivi", 2. ma dobbiamo crederlo con assoluta certezza e senza la minima esitazione, quando prendiamo parte all'Ufficio divino. 3. Perciò ricordiamoci sempre di quello che dice il profeta: "Servite il Signore nel timore" 4. e ancora: "Lodatelo degnamente" 5. e ancora: " Ti canterò alla presenza degli angeli". 6.Consideriamo dunque come bisogna comportarsi alla presenza di Dio e dei suoi Angeli 7. e partecipiamo alla salmodia in modo tale che l'intima disposizione dell'animo si armonizzi con la nostra voce.

Capitolo XLVIII - Il lavoro quotidiano: 13. Dopo il pranzo si dedichino alla lettura personale o allo studio dei salmi.


 

Capitolo XI

PREGARE PER I CONFLITTI

Estratto da “Vivere con le contraddizioni”, di Ester de Waal, Ed. Milella 2004

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Le contraddizioni che riscontro in me, costituiscono le basi per accostarmi a Dio nella preghiera, la quale deve essere espressione reale della persona complessa che sono, poiché non ci può essere finzione in essa. Sono davanti a Dio come sono realmente - o almeno ciò che voglio fare è volgere a Lui il lato sorridente e piacevole di me stessa, sebbene molto spesso mi sembra di essere stata incoraggiata a ciò sin dai miei primi giorni da guide molto significative (genitori, chiesa, catechismo, breviari). E ciò perché pregare i salmi costituisce il modo migliore di raggiungere Dio con tutta la mia umanità.

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San Benedetto è stato formato dai salmi, e la Regola li cita sempre, con più frequenza rispetto a qualsiasi altra fonte biblica. Egli desiderava ardentemente che nel suo monastero, la vita della comunità e quella di ciascun individuo venisse formata e trasformata da essi. Così, i salmi costituiscono il fulcro della recita quotidiana dell’Ufficio divino, e l’intero salterio si recitava settimanalmente, fino a quando le parole dei salmi si imprimevano nella mente e penetravano il cuore. I benedettini sono persone dei salmi. San Benedetto stimava chi entrava a far parte della comunità dal modo con cui questi conosceva e amava il salterio. E le parole del Suscipe, tratte dal Salmo 119 (118):116, che il novizio pronuncia prendendo i voti, vogliono presentare l’individuo nella sua completezza davanti a Dio: “Accettami, Signore come hai promesso ed io vivrò”.

I salmi mi consentono di affrontare i miei confitti interiori. Essi mi consentono dapprima di mostrare i pugni a Dio e subito dopo di prorompere in un canto spontaneo. Prima sono arrabbiato, ma subito dopo riconoscente. Mi lamento per l’amarezza del mio destino e poi gioisco per le indicibili benedizioni che ricevo. Se riesco a scoprire la pienezza della mia umanità, scopro anche i molti volti di Dio. Se la storia del popolo di Israele e della sua lotta nel tener fede all’alleanza è anche la mia stessa storia, i salmi non lasciano in me alcun dubbio, come per le difficoltà implicate in quel rapporto. E ciò è consolante, poiché qui è un popolo che fa esperienza della lotta e del sacrificio, che conosce la luce ed il buio, la fame e la sete, che brontola e si lamenta, che gioisce e glorifica - e che non ha alcuna inibizione nel realizzare ciò apertamente e con vigore.

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Nulla è nascosto quando prego i salmi. “O Signore, ciò che più desidero è stare davanti a te”. Dicendo queste parole ho la percezione di parlare al mio creatore che mi conosce meglio di quanto io conosca me stessa. Sono davanti a Dio con un senso di mistero sul volto per il sorprendente miracolo della mia esistenza. “Sei tu che hai creato le mie viscere; mi hai tessuto nel seno di mia madre. Conosci la mia anima e le mie ossa non ti erano nascoste. I tuoi occhi hanno visto le mie membra quando erano ancora informi, e nel tuo libro tutto di me era scritto” (Salmo 139(138): 12-15). È l’apertura totale, il mettere da parte le apparenze, il togliere la maschera che i salmi rendono possibile.

Mi presento davanti a Dio che mi ha chiamata per nome perché mi ama - e per nessun altro motivo.

Egli mi conosce a fondo per aver guardato le mie ossa che si formavano nel seno di mia madre.

Egli legge i miei pensieri, i miei sentimenti ed i miei desideri.

Egli si preoccupa per me quando gioisco e quando sono frustrata, quando sono debole e quando sono forte.

Egli mi vede sorridere e piangere, nella malattia e nella salute.

Egli condivide le mie esperienze del passato come anche le mie aspettative per il futuro.

Tutte le volte che Egli sente il mio respiro ed il mio cuore battere, mi conosce meglio di quanto li conosca me stessa.

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Tutte le volte in cui mi sento distrutta posso dire a Lui ogni cosa, ogni dolore nel mio corpo, il senso del sentirmi dilaniata. “Il mio cuore è in tumulto, la forza mi abbandona e persino la luce dei miei occhi... i miei lombi bruciano dal dolore e non c’è parte sana in tutto il mio corpo”. (Salmo 38(37):7,9,10). Oppure, “Sono versato come acqua e tutte le mie ossa sono slogate; il cuore all’interno del mio petto è come cera che si scioglie. La mia bocca è arida come un coccio; e la mia lingua si è incollata al palato” (Salmo 22(21):15-16). Qui non c’è alcuna finzione. Dopo chiedo: “Per quanto tempo, o Signore; ti dimenticherai ancora di me?” (Salmo 13(12):1). I salmi parlano per me quando tutti i progetti sicuri per la mia vita svaniscono oppure quando tutte le mie certezze interiori si dissolvono. Il linguaggio vivace, ricco di immagini - e che si esprime con precisione - diventa un grido, “Le onde mi avevano raggiunto fino alla gola. I flutti di morte mi circondavano, e le correnti di caos mi sommergevano”. (Salmo 18(17):5)

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Spesso mi rivolgo a Dio con rabbia, lo accuso di essere enormemente ingiusto, di infliggermi sofferenze che non merito. “Tutto ciò ci è accaduto nonostante non ti avessimo dimenticato, nonostante non avessimo tradito la tua alleanza. I nostri cuori non si sono rivolti indietro, né i nostri passi hanno abbandonato i tuoi sentieri ... Svegliati o Signore. Perché dormi? “(Salmo 44(43):18-19,24). Che genere di Dio è questo? Gli lancio rimproveri, non solo per ciò che accade, ma per l’indifferenza ostentata, quasi un’incapacità dimostrata nel fare qualcosa. “Perché nascondi la tua mano? Perché tieni la tua mano destra nel tuo petto?” E nello stesso modo non esito nell’esprimere la mia rabbia verso coloro i quali mi hanno trattato molto male, o che ritengo responsabili per la maggior parte dei miei dolori e delle mie sofferenze. Voglio che anche essi soffrano. “Siano in disgrazia e spaventati per sempre; siano maledetti e periscano” (Salmo 83(82):18). “Siano come pula al vento; con l’angelo del Signore che li sospinge; sia la loro strada buia e scivolosa; con l’angelo del Signore che li insegue” (Salmo 35(34): 5,6,7). Il salmo continua, “Perché senza motivo essi hanno teso, di nascosto, una rete per me; senza motivo hanno scavato una fossa per intrappolarmi”, e penso di avere davanti qualcosa che potrei, altrimenti, eludere e ciò, infatti, rappresenta tutta la mia amarezza e risentimenti da cui sono stata completamente irretita. Poi rifletto e la mia preghiera diventa “O Signore, a te ho gridato: e mi hai guarito”. (Salmo 30(29):2)

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I salmi mi consentono di presentare a Dio l’immagine di me, appena abbozzata. È proprio il coesistere delle differenze che rende i salmi così ricchi e reali per me. Non c’è alcun tentativo di imporre coerenza. Proprio questa è esattamente una delle loro forze più grandi. Molto di ciò che viene detto giunge come esclamazioni sconnesse, come espressioni veementi che sgorgano dal mio cuore. Non c’è raffinatezza letteraria in grado di ordinare tutti questi sentimenti. Così un momento sono scoraggiata ed il seguente piena di fiducia nell’amore e forza di Dio. “Dio mia gioia e mio giubilo” (Salmo 43(42):4), “Il mio cuore esulta di gioia” (Salmo 28(27):7). Sono preghiere di certezza. “Grande è la tua misericordia con me” (Salmo 86(85):13). E poi guardo oltre me stessa a tutto il creato. “I cieli sono tuoi ed anche la terra: tu hai fondato il mondo e tutto ciò che è in esso” (Salmo 89(88):12). Ci sono volte in cui posso gridare dalla gioia per la visione del mondo in cui ogni cosa è collocata al posto giusto, natura, uomini, donne e Dio. Erba per il bestiame, gli alberi sono irrigati, il sole conosce l’ora del suo sorgere e la luna mantiene le sue fasi - la litania continua, ma la cosa migliore è il fatto che tutto ciò contiene il mio arco di vita nella giusta prospettiva. “L’uomo esce per il suo lavoro; e fatica fino a sera” (salmo 104(103):23).

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Pregando i Salmi ho di fronte, ancora una volta, la mia solitudine ed unicità, e talvolta la relazione della mia esistenza con gli altri. Vedo me stessa come parte di un tutto e provo un senso di solidarietà sia con il resto della razza umana, sia con l’universo. Questo costituisce per me uno degli aspetti più importanti dei salmi perché essi sono subito così personali - come se fossero stati scritti solo per me, così ben fatti come se servissero a soddisfare solo i miei bisogni - tuttavia essi sono universali e mi rendo conto che per migliaia di anni sono stati utilizzati da persone proprio come me. Così, mentre ho la certezza di essere unica e che Dio mi ha creata con il suo amore, devo riconoscere che devo condividere anche quella umanità, che ciò che è giusto per me lo è anche per gli altri. Questa solidarietà si estende oltre i limiti dello spazio temporale, mi unisce al presente, ma mi fa anche essere parte del passato. Così, quando i salmi mi consentono di identificarmi con il popolo eletto di Israele e la loro lunga e difficile ricerca di Dio, là, trovo anche il mio passato.

Gli israeliti ebbero esperienze positive ed esperienze negative. Molto fu il fallimento, il peccato, il rifiuto di sentire, l’incapacità di ascoltare la voce divina. Forse intravedo qui qualcosa che mi parla della mia vita, e la presenza di un Dio che parla e aspetta la mia risposta. Si tratta semplicemente di quel dialogo che san Benedetto considera fondamentale per la vita benedettina e che viene ricordato tutti i giorni nelle parole del Salmo 95(94):7: “Oggi ascoltate la sua voce”. Questa è anche una sollecitazione, oggi, e ogni giorno. Ho bisogno di sentire e di ascoltare non ciò che voglio, ma i vari modi con cui Dio cerca di raggiungermi. Ma, proprio come in qualsiasi altra relazione, so quanto non sia semplice ascoltare l’altro. Dio mi ha dato la libertà di ascoltare o di non ascoltare, di rispondere o no. Qui sono in relazione con Dio, il quale mi chiede di essere aperta a lui nei diversi modi con i quali egli sceglie di raggiungermi. Mi chiede di essere sensibile alle sue parole minuto per minuto. Se devo vivere così, questa condizione mi impedisce di imporre alla mia vita un modello ordinato o certo. Mi costringe a vivere con precarietà. Mi costringe a capire che devo essere preparata a vivere con le discordanze che mi circondano. Devo andare avanti alla ricerca della guarigione e dell’integrità, e allo stesso tempo devo considerare la possibilità che tutto ciò potrebbe non fare parte del progetto di Dio. Devo rendermi conto che quelle tensioni che sono in me potrebbero non essere risolte affatto e che forse devo imparare a vivere con le contraddizioni e cercare di considerare che, nel loro intimo, c’è il mistero di Dio, un Dio che è certezza ed imprevedibilità, totalmente sicuro, tuttavia, anche sorprendentemente esplosivo.

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Questo infastidisce e nello stesso tempo rassicura. E di nuovo riscontro l’ironia. Perché invece di trovare una soluzione devo andare avanti affrontando oppure convivendo con tale situazione. Ciò mi fa vivere con la confusione, il disordine, l’incomprensione. Non mi aspetto più che ci siano nelle cose dei modelli ordinati, un meraviglioso appagamento che si realizzi. Invece, sono in grado di dire di non esserne a conoscenza, e scoprire, esprimendo ciò, di affermare qualcosa di positivo e liberatorio. Se sono in grado di capire ciò, posso anche comprendere che alla fine c’è solo la misericordia, l’espressione più perfetta dell’amore di Dio. Io mi tengo aggrappata alla promessa della Regola “Mai disperare della misericordia di Dio”.

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“Mostraci la tua misericordia, o Signore; e donami la salvezza” (Salmo 85(84):8). “Abbi pietà di me, o Signore; a te grido tutto il giorno” (Salmo 86(85):3). “E quando dicevo ‘Il mio piede vacilla’ la tua misericordia, o Signore, mi ha sostenuto” (Salmo 94(93):18). E questo è il ritornello che si ripete sempre. Dopo aver fatto esperienza ed aver espresso tutto ciò che provo resta la fiducia nella misericordia di Dio... È il Dio che può trasformare la roccia in lago ed il ciottolo in una sorgente d’acqua (Salmo 114(113A):8) proprio quando non credevo che ciò sarebbe potuto accadere. È il Dio che mi porterà, ripetutamente, ai piedi della croce. E questa, sebbene per me sia difficile da comprendere, è la sua grande misericordia. Non è una strada facile da seguire. Non è la promessa semplicistica che il cammino non sarà accidentato ed il procedere difficile. Tuttavia so anche che si tratta di un Dio che mi ama e che non mi abbandonerà mai; ed il paradosso in ciò consiste nel fatto che egli è un Dio che mi ama abbastanza, tanto da lasciarmi andare. Ed io devo vivere con questa contraddizione che è fondamentale: il Dio che mi lascia libero è il Dio che mi sostiene.

Così ancora una volta mi ritrovo a pregare con le parole del Suscipe,

 

“O Signore, accettami, sostienimi, dammi il tuo aiuto, accoglimi, nella tua misericordia”, adesso, oggi, domani e per il resto della mia vita sin oltre la tomba quando alla fine tutto si trasformerà e potrò vedere ogni cosa nella luce della Pasqua e la gloria del Cristo risorto.

 

NOTA del redattore del sito ora-et-labora.net

Nel testo originale la numerazione dei salmi è quella ebraica. Ho aggiunto tra parentesi la numerazione dei LXX e della Liturgia romana.

 


Capitolo XII

 

Nel Prologo alla Regola, san Benedetto ci presenta, con una immagine vivace, il Signore al mercato che grida a tutti coloro che passano: “C’è qualcuno qui che anela alla vita e desidera vedere giorni migliori?”.

Se dico “Sì” ed intraprendo il cammino con san Benedetto come mia guida, non ho cognizione di cosa esso comporti. Egli mi dice che dapprima il cammino sarà difficile e faticoso, non mi promette di sfuggire al dolore, ma piuttosto che “attraverso la perseveranza condivideremo le sofferenze di Cristo”. Descrive anche questo cammino come “la strada della vita” e promette che, correndo e facendo progressi, i nostri cuori saranno “traboccanti dell’inesprimibile delizia dell’amore”, fino a quando, alla fine, avremo raggiunto la casa celeste.

Dire sì a questo invito e a seguire san Benedetto è un’affermazione straordinaria. Sì, è una parola di sfida che richiede coraggio. Dire sì, implica dei rischi, significa muoversi in avanti e mi ricorda qualcosa che Dag Hammarsjköld dice in Markings: “Nello stesso momento in cui dissi sì ... e da quel momento in poi fui certo ... che la mia vita, nell’abbandono, aveva un obiettivo”. Questo è il sì alla chiamata di Cristo, all’essere suo discepolo.

Non è, e non potrà mai essere un sì detto soltanto con la mente, una convinzione intellettuale. Deve essere il sì che viene dal cuore, il sì che dico con il corpo, con la mente e con lo spirito, con tutto il mio essere. Questo significa che devo scendere nel mio io più profondo, nel mio reale io senza la maschera, l’io che va al di là delle apparenze, prima di poterlo esprimere. Viene solo da me perché è la mia unica ed individuale risposta a quell’invito e ciò spiega perché in se stesso mi spaventi. Perché richiede un enorme atto di fede, l’essere da sola, ammettendo la mia totale dipendenza. Tuttavia so che non sarebbe possibile se non sapessi di essere sostenuta e sorretta dai miei fratelli e sorelle in Cristo - l’individuo e la comunità coesistono in tensione, qualcosa di cui tutti abbiamo fatto esperienza.

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Il mio sì significa che cerco di ascoltare Dio in tutti i modi con cui Egli mi parla; che ascolto e rispondo - è il sì dell’obbedienza.

Il mio sì significa che accetto il presente e non cerco di fuggire da me stessa, ma resto dove sono, saldamente radicata e accettando me stessa - è il sì della stabilità.

Il mio sì significa che sono aperta alle novità e sono pronta a proseguire il mio cammino, ad andare avanti a qualunque costo - è il sì della conversatio morum. È il sì della certezza costante di Dio, ed il sì alla costante imprevedibilità di Dio. E il sì ad una serie di porte sempre aperte. È il sì in cui io so che non sfuggirò mai le contraddizioni, ma che per tutta la mia vita andrò avanti lottando per farle coesistere. Per questa conoscenza rassicurante e liberatoria, sono profondamente grata.

È anche il sì della costante riconoscenza, il sì della meraviglia e dello stupore, dell’infinita generosità di un Dio che continuamente mi copre di doni di qualsiasi genere - persino forse del dono del fallimento. Mi piace il modo con cui William Law ne parla:

Se qualcuno ti indicasse la strada più breve e più sicura verso la completa felicità e perfezione, ti direbbe di seguire una regola per te stesso per ringraziare e lodare Dio per tutto ciò che ti accade. Poiché è cosa certa che qualsiasi calamità si possa abbattere su di te, se ringrazi e lodi il Signore per essa, tu la trasformi in una benedizione. Potresti perciò operare miracoli, ma non potresti fare per te stesso più di quanto lo spirito grato possa fare, poiché esso guarisce pronunciando una parola e trasforma in felicità tutto ciò che tocca.

 

Anche ciò che scrive David Steindl-Rast è ricco di significato:

Siamo propensi a pensare che le persone felici siano grate perché ottengono ciò che desiderano. In realtà le persone grate sono felici perché amano ciò che hanno.

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Prego Sì all’inizio di ogni giornata accettando ciò che viene e sperando che io possa, in tutto ciò che accade, vedere, sentire e riconoscere la presenza di Dio.

Prego Sì alla fine di ogni giornata quando consegno tutto ciò che è accaduto a Dio e chiedo perdono a Lui per tutto questo.

Così il mio sì nella preghiera diventa gradualmente il mio sì alla pienezza della vita. Il sì che tiene tutto insieme, che rende tutto chiaro e che dà a tutto un significato.

Osa il tuo sì - e fai esperienza del significato. Ripeti il tuo sì - e tutte le cose acquisteranno di significato.

Quando tutto avrà un significato, come potrai vivere nella solitudine delle cose per il sì?

 

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Un sì poco convinto, un sì chiuso dalle condizioni, non servirà. Non è cosa buona regolarsi per non incontrare difficoltà. Non è cosa buona essere la persona “con il cuore diviso” che il salmista conosce (Salmo 119(118):113). Fino a quando sono dilaniato dall’errato tipo di tensione, da quelle forze distruttrici di disgregazione nella morsa di vecchie colpe non perdonate e ferite che respingono la vita e che ancora mi riportano indietro, non posso pronunciare il sì intero, pieno e chiaro - perché io sono ancora legata in schiavitù al passato, e tuttavia non ancora libera di muovermi verso il futuro. Ecco perché il perdono quotidiano ed il rinnovamento del patto è una parte essenziale della vita che san Benedetto ci indica.

* * *

L’autenticità del mio sì acquista il suo vero significato al di là del successo o del fallimento. Ha solo senso nel contesto del mistero pasquale. Il mio sì mi indica la follia della croce - oppure è la saggezza della croce? Esso mi indica il paradosso fondamentale: il fallimento che è vittoria, ciò che il mondo chiamerebbe assoluta stupidità, dove perdere è guadagnare e dove il morire rende possibile la nuova vita. Un paradosso che ciascuno di noi, in fondo al proprio cuore, considera come verità. Perché non c’è alcuno di noi che non abbia dovuto morire o non abbia dovuto superare alcune morti dolorose - e chi anche non abbia riscontrato quel miracolo che dalla morte nasce la vita.

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Non è sufficiente dire sì solo una volta. Lo devo ripetere continuamente, ripeterlo mentre si va avanti. Alcune volte per me è difficile, quasi impossibile da dire. Mi sento come Giacobbe che lotta durante la notte e per lui, talvolta, la notte è molto lunga. E forse essa, per me, dura così tanto perché come Giacobbe non so contro chi stia combattendo. Non ho ancora imparato a riconoscere Dio nei suoi molti aspetti: Le mie preoccupazioni, bisogni, ansietà, l’orgoglio ed il mio desiderio di sicurezza mi hanno resa cieca e sorda. Ma quando smetto di combattere contro Dio guardo attorno a me e, come Giacobbe, dico: “Davvero il Signore è stato in questo luogo e non l’ho riconosciuto”. (Genesi 28:16).

Come Maria alla tomba, guardo intorno e Cristo è là.

Questo è il loro più grande sì.

Nell’esprimerlo mi unisco con il sì di Cristo.

“Il figlio di Dio, Gesù Cristo...non fu mai una mescolanza di sì e di no. Con lui ci fu e c’è un sì. Poiché tutte le promesse di Dio trovano il loro sì in Lui” (2 Corinzi 1:19,20).

In Cristo tutte le cose saranno un bene.

In Cristo tutte le cose si riuniranno - tutte quelle tensioni e contraddizioni, portate insieme in un uomo che era un tutt’uno con se stesso, che dorme nella barca mentre la tempesta infuria attorno a sé.

Solo in lui e per lui, con e per quello stupefacente, totale, primo ed incondizionato amore io posso dire sì.

E così unisco il mio sì a quello di Maria, un decreto, un gioioso decreto, sì - fa che sia secondo il tuo volere.

E così unisco il mio sì con quello di tutti coloro che attraverso i secoli hanno detto Suscipe me, “Accettami, o Signore, accoglimi, sostienimi, come hai promesso ed io vivrò; non deludere le mie speranze”.

 

NOTE

La citazione, che presumo sia nota a molti, è tratta da Markings, di Dag Hammarskjöld, tradotto dalla lingua svedese da Leif Sjöberg e W.H. Auden, Knopf, Penguin, London and New York 1964, p. 110.

 


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19 giugno 2021                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net