REGOLA DI UN CERTO PADRE ALLE VERGINI

Regola di Walbert (o Valdeberto)

per le monache

(Libera traduzione dal testo latino)

Link al testo latino con italiano a fronte

 

I Quale deve essere la madre badessa del monastero?
II Come debba essere la priora del monastero.
III La portinaia del monastero.
III Quale debba essere la celleraria del monastero.
V L'amore e l'obbedienza reciproca.
VI L'assidua pratica della confessione.
VII Le confessioni delle sorelle non devo essere manifeste.

VIII Come si debba accorrere al segnale del Signore.
IX Come si debba custodire la regola del silenzio sia durante il lavoro quotidiano, che durante il pasto, e come si debba leggere a tavola.
X Con quale norma si debbano somministrare i pasti e che cosa si debba rispettare.
XI A quali opportune ore in inverno ed in estate si debba pasteggiare.
XII Nei giorni feriali come ci si debba dedicare al lavoro.
XIII Gli utensili e le cose necessarie.
XIV Come le sorelle debbano dormire nella stanza comune.
XV Come ci deve occupare delle sorelle malate?
XVI  Gli eventi che accadono per negligenza o dovuti al caso.
XVII Nel monastero nessuna monaca deve rivendicare qualcosa come proprio.
XVIII La scomunica per le colpe.
XIX Come debba essere la scomunica.
XX A proposito delle sorelle che, pur essendo state spesso corrette con solleciti rimproveri, non vogliono emendarsi.
XXI L'accettazione delle sorelle (fuggite dal monastero).
XXII Come le sorelle siano reciprocamente umili e osservino il loro posto. Come debbano osservare i precetti anche nelle azioni insignificanti.
XXIII Nessuna (sorella) difenda un'altra sorella o una parente nel monastero.
XXIV La formazione delle bambine (nel monastero).

 


 

Capitolo I. Quale deve essere la madre badessa del monastero?

La badessa del monastero deve essere nobile, non tanto per nascita quanto per saggezza e per santità, perché, coltivando la parola per istruire le anime con giuste istruzioni, deve stare attenta a non contraddire questo linguaggio con le sue azioni; le (sorelle a lei) subordinate, di fatto, si modellano sugli atti dei superiori più di quanto ascoltino i loro insegnamenti. Deve quindi far seguire ai santi discorsi le sante opere: così colei che prenderà come guida il suo insegnamento e la sua parola potrà anche imitare il suo comportamento e le sue opere; perché se l'opera in qualsiasi punto contraddice la parola, la parola inefficace non darà i suoi frutti.

Dovrà brillare sia con le parole che con le opere, in modo che le sue opere siano in armonia con la sua parola e la sua parola con le sue opere; dovrà adornarsi con i fiori del dominio di sé e della castità; così tutte saranno in grado di lodarla e di desiderare di imitare il suo esempio.

Dovrà adornarsi di una benevola carità, in modo da rallegrare i cuori di tutti i fedeli. Si mostri piena di sollecitudine verso i pellegrini e gli ospiti, attenta al curare gli ammalati, generosa in elemosina verso i poveri e gli indigenti.

Corregga la negligenza delle colpevoli e riporti all'osservanza della vita religiosa le anime rilassate e scoraggiate. Sparga con misericordia i doni della sua bontà, senza tuttavia, per eccesso di bontà, favorire le mancanze. Si mostri buona verso coloro che sono buone premiandole, rigorosa con le malvagie castigandole: ciò che si realizza per mezzo della sapienza, secondo la preghiera del Salmista che dice: "Insegnami, Signore, la bontà, la disciplina e la sapienza" (Sal 118,66, Volg.).

La badessa deve, infatti, fare attenzione a due eccessi: un eccesso di bontà che alimenta i vizi nei cuori delle (sorelle a lei) subordinate, un eccesso di severità che finisce per affliggere a causa di una correzione troppo severa, quelle che sarebbe stato necessario guarire con un lieve rimprovero. Le imprudenti, le aiuti e le incoraggi con una moderata persuasione, riversando sui loro ascessi, come medicamento, l'antidoto delle sue cure. Coloro che hanno un buon comportamento, le sostenga con le sue esortazioni, dando così loro i mezzi per portare a termine con successo ciò che hanno intrapreso. Non serve loro a nulla, infatti, l'aver imboccato (questa via), se non si sforzano di perseverare nel bene incominciato (cfr. Mt 10,22).

Si consideri come la madre di tante anime quante sono le figlie che ha sotto la sua direzione, e sappia reprimere i vizi di ciascuna secondo il temperamento di ciascuna. Nel suo desiderio di adattarsi a ciascuna, eviti di sostituire la tenerezza alla severità e la severità alla tenerezza. Si prende cura di tutte, per essere ricompensata del progresso di tutte. Così, quando sfuggirà alla corruzione della vita presente, riceverà un salario tanto maggiore per la sua fatica, quanto più avrà difeso ed aiutato (le sorelle) a sconfiggere il nemico.

 

Capitolo II. Come debba essere la priora del monastero.

La priora del monastero deve essere stabilita in ragione della maturità della sua condotta e non della sua età avanzata; in effetti, il gran numero di anni è per molte un argomento di elevazione, ma la vergogna di una vita tiepida e rilassata le riporta all'immaturità dell'infanzia. Per questo motivo sarà necessario scegliere una priora che sia seria nella sua condotta, edotta nelle sue parole, ferma nel carattere, attenta a tutto, solerte nell'azione, garbata nella correzione, moderata nella punizione, casta nel suo comportamento, sobria nella sua condotta, onesta nella gestione, brillante per la sua umiltà, paziente, cordiale, né turbolenta, né aggressiva. Che non sia contagiata né dall'orgoglio, né dall'arroganza, che non sia né esuberante né loquace, ma apprezzabile in ogni cosa nell'osservanza religiosa; sappia aiutare le anime malate e risvegliare il torpore delle tiepide.

La badessa possa riposare su di lei, in modo che non si allontani in nulla dai suoi precetti; sia invece sottomessa in tutte le cose e, attenendosi agli ordini della sua superiora, non faccia e non ordini di fare nulla di contrario dalla volontà della badessa, ma chieda la sua opinione in tutto secondo ciò che sta scritto: "Interroga tuo padre e te lo racconterà, i tuoi vecchi e te lo diranno" (Dt 32,7). Bisogna chiedere sempre, in modo che le anime subordinate non si oppongano mai all'opinione delle anziane e che le pecore non si discostino dalla volontà del pastore. Roboamo disprezzò l'opinione degli anziani, seguendo quella dei giovani. Di quali danni fu causa, la verità della Scrittura ce lo testimonia: avendo perso il potere su undici tribù, gliene era rimasta a malapena una con la quale passò il resto della sua vita, in mezzo a ogni tipo di afflizione, senza considerare la crudeltà della morte (cfr. 1 Re 12,6-19).

La priora deve prendersi cura di tutti i bisogni del corpo e dell'anima, per offrire gli aiuti necessari per la vita presente e per elevare il cuore delle (sorelle a lei) subordinate, eccitandole con pressante ammonizione a far risuonare le lodi del Creatore. (Le sorelle) che sono umili e sottomesse per amore di Cristo, le onori dando loro un rango più elevato, ma quelle che sono orgogliose, le riporti in un posto più umile col flagello della correzione.

Si prenda cura dei beni del monastero, degli utensili e dei mobili, affinché le tenebre della negligenza non la coprano mai con la loro ombra. Così, dopo aver dedicato tutte le sue cure alla santa fatica, riceverà dall'Onnipotente il frutto del suo impegno (cfr. Sal 127,2).

Ogni sabato, dopo la preghiera dell'ora nona (cfr. At 3,1), sia le preposite [1] anziane che quelle giovani visiteranno i letti di tutte le sorelle per cercare le negligenze e per vedere se ci sono oggetti tenuti illegalmente e senza permesso.

Allo stesso modo, dopo la compieta, visiteranno i letti di tutte con la luce per esaminare chi è vigile e chi è tiepida nella preghiera. Bisogna fare la stessa cosa a tutti gli uffici della notte per sapere quali (sorelle) si alzano per l'ufficio con fervore, quali con tiepidezza: quelle che saranno trovate colpevoli di lentezza o noncuranza, siano corrette secondo la loro colpa e la loro età, sia con un rimprovero, sia con la sferza.

 

Capitolo III. La portinaia del monastero.

 La portinaia o la custode del monastero devono essere tali da contribuire al bene di tutte, e siano di età avanzata, in modo che il mondo non dica loro più nulla e non desiderino certamente nulla delle vanità di questo mondo; altresì, aderendo con tutto lo slancio dei loro cuori al loro Creatore, ognuna possa dire: "Per me, il mio bene è stare vicino a Dio; nel Signore Dio ho posto il mio rifugio" (Sal 72,28).

Che cosa possono infatti desiderare degli ornamenti di questo mondo coloro che, avendo disprezzato i beni deperibili, hanno cominciato ad amare Cristo, dopo aver riconosciuto in Lui il sommo bene attraverso la contemplazione dello spirito? Perciò, siano molto salde nella stabilità dello spirito, affinché possano dire al Signore nella preghiera con il Profeta: "Distogli i miei occhi dal guardare cose vane, fammi vivere nella tua via" (Sal 118,37).

A tutti coloro che verranno, esse offriranno sempre un esempio che glorificherà il nome del Signore al di fuori, tramite i visitatori, come dice il Signore: "Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli" (Mt 5,16); allo stesso tempo, all'interno, esse si preparano una ricompensa, tramite le loro sorelle, poiché è nel nome di tutte che si prendono cura dell'esterno. Siano prudenti nella loro condotta, abbiano l'umiltà, maestra delle virtù, e così manifestino con l'affabilità delle loro parole il fascino della perfetta pazienza. Mai una sola o due (sorelle) abbiano una conversazione senza una terza come testimone. Non alzino mai gli occhi per osservare laici o chierici ma, col viso umilmente inclinato e gli occhi abbassati, dicano il necessario.

Tra tutti si prenderanno cura dei poveri, dei pellegrini e degli ospiti, poiché è nella loro persona che si riceve Cristo, come ha detto Lui stesso: "Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me "(cfr. Mt 25,40).

Non si permettano di dare qualcosa all'esterno, di servirlo a qualcuno o di ricevere qualcosa dall'esterno senza il permesso della badessa, e ciò che hanno ricevuto dall'esterno come regali o come elemosine, che non lo portino alla celleraria prima di averlo depositato davanti all'oratorio e che l'intera comunità abbia pregato per il donatore.

Non prestino attenzione ai pettegolezzi che dovessero sentire alla porta, fatti dai secolari o da chiunque altro: e se, anche non volendo, li sentissero o li percepissero in parte, non riferiscano nulla alle loro sorelle. Se trasgrediscono in qualche modo ciò che abbiamo appena detto, siano punite con la penitenza regolare. Se si manifestano (il loro errore) con umile giustificazione, siano giudicate secondo l'umiltà della confessione. Se, al contrario, si aggiunge la colpa dell'ostinazione, la penitenza sarà maggiore. Essi non conserveranno mai le chiavi delle porte e del portone d'ingresso [2] durante la notte, ma di notte le riporteranno indietro alla badessa e le riceveranno di nuovo la mattina dopo (l'ufficio) della seconda ora. Anche le cellerarie, le fornaie e le cuoche faranno lo stesso, così che dal tramonto del sole - o quando un lavoro necessario sarà completato – e fino alla seconda ora la badessa conservi le chiavi. Se sorge una necessità, manterranno le chiavi di notte con l'autorizzazione della badessa e le riceveranno di nuovo dopo l'ufficio della seconda ora. Dal segnale dei vespri fino alla fine (dell'ufficio) della seconda ora, nessuna delle porte esterne sarà aperta e nessuno dall'esterno potrà entrare: se sarà necessario trattare un affare dopo i vespri, tutto sarà svolto attraverso la finestra della porta. Se, a causa dell'arrivo di ospiti o pellegrini, le portinaie non potessero unirsi alle sorelle all'ora del pasto, mangino con le cuoche e le inservienti, o quando avranno il tempo di mangiare. Le stoviglie e gli altri utensili che devono usare per il servizio degli ospiti, li trattino e li custodiscano come se fossero consacrati a Dio, in modo da non essere private della loro ricompensa da Colui del quale esse hanno distrutto i beni invece di conservarli, causa la loro negligenza. Non permetteranno assolutamente a uomini o a donne di mangiare o bere nella recinzione del monastero, all'interno delle porte, ma serviranno all'esterno, nei locali per gli ospiti, tutti coloro che si presentano, secondo l'onore dovuto a ciascuno e secondo gli ordini della badessa.  Ordiniamo che possono mangiare e bere all'interno solo coloro che sono votate a Dio nel santo stato religioso e legate nell'unità dell'obbedienza sotto una stessa regola. Le portinaie, animate da zelo verso Dio, agiscano sempre in modo tale da conservare in ogni cosa le disposizioni della regola per ricevere, come premio per la loro premurosa sollecitudine ed la loro operosità, la ricompensa incorruttibile.

 

Capitolo IV. Quale debba essere la celleraria del monastero.

Per celleraria del monastero, ne sceglieremo tra tutte (le sorelle) della comunità una saggia e di spirito religioso che, nell'amministrare (i beni del monastero), non cerchi né il suo interesse né la sua volontà, ma soddisfi l'intera comunità serenamente e con bontà. Non deve cercare di compiacere con mezzi che la farebbero cadere nel peccato e che vi trascinerebbero coloro che consentissero a queste colpe perverse. In altre parole, ella non darà nulla oltre la misura prescritta a causa di qualche amicizia o come ringraziamento per un servizio, sapendo che "Il Signore è giusto e da sempre ha amato la giustizia: il suo volto è rivolto all'equità" (Sal 10,7, Volg.). Sia quindi gradita a tutte grazie ad un'equa distribuzione (dei beni assegnati). Ella sia matura nel suo comportamento, sobria, né avida, né altezzosa, né agitata, né portata all'ingiuria, né lenta, né pigra, ma accorta in tutte le sue azioni: che serva l'intera comunità, sia le anziane che le stesse giovani, con l'atteggiamento amorevole di una madre. Si prende cura di tutto ciò che le è stato affidato, ma non si permetta di fare nulla senza l'autorizzazione della badessa. Non turbi le sorelle in alcun modo, né le più anziane, né le più giovani, e se una delle sorelle le pone una richiesta irragionevole, la rifiuti con una indulgente risposta, data con voce umile, a chi chiede irragionevolmente. Serva le sorelle colpite dalla malattia con cura diligente e con premuroso affetto. Allo stesso modo, si prenda cura dei poveri. In tutto, abbia davanti ai suoi occhi il timore del Signore, sapendo che lei dovrà rendergli conto se non agisce in tutto per obbedire ai suoi precetti, ricordandosi sempre di colui che ha detto: "Se qualcuno mi vuol servire, mi segua" (Gv 12,26). Ad ogni buona opera che facciamo uniamoci, dunque, al timore di Dio. Ella deve essere così attenta in tutte le cose in modo che non incorra in alcuna condanna per la sua negligenza. Fugga assolutamente dal flagello dell'avarizia e dell'avidità. Allo stesso modo non sia avara, così come neanche prodiga. In altre parole, così come lei non deve sottrarre i doni di Dio onnipotente nascondendoli per avidità, allo stesso modo non deve sprecare il bene comune distribuendo più della ragione, ma deve soppesare tutto con misura e discernimento. E se non ha nulla da dare di ciò che le viene chiesto, risponderà con una parola gentile e senza asprezza, manifestando con il tono della sua risposta la dolcezza del suo cuore, secondo ciò che sta scritto: "Favo di miele sono le parole gentili" (Pr 16,24), e ancora: "Una parola non vale più di un dono ricco?" (Si 18,17). Ella saprà che il compito affidato alle sue cure le varrà una ricompensa solo se si impegna a fare tutto con umiltà e gentilezza. Se non ha di che dare a chi le chiede, non risponderà che non ce l'ha, ma dirà con un tono pieno di fede: "Il Signore darà". Ciò che deve dare, lo concederà senza indugio affinché il ritardo stesso non sia un'occasione di scandalo o fonte di malcontento; ricorderà senza sosta i precetti del Signore, che non sopporta che qualcuno dei suoi sia scandalizzato (cfr. Mt 18,6).

 

Capitolo V. L'amore e l'obbedienza reciproca.

Con quale zelo le monache nel monastero debbano amarsi in Cristo, il Signore ce lo rivela attraverso il Vangelo di Giovanni quando dice: "Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri (come io ho amato voi). Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici" (Gv 15,12-13), e ancora: "Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri" (Gv 13,35). Ci è stato quindi comandato di amarci gli uni gli altri per contribuire alla salvezza gli uni gli altri, e per imitare con un reciproco affetto colui che, secondo l'Apocalisse "Ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue" (Ap 1.5). Che una sorella ami così sua sorella per amore di Cristo, in modo da non allontanare Cristo a causa di un affetto mondano. Poiché il vero amore secondo Cristo consiste nel non fare del male al prossimo. (La sorella) che è nostro prossimo sia dunque amata non secondo l'affetto della carne, ma secondo il servizio dell'amore. Sia amata secondo la purezza, amata secondo lo spirito religioso, amata con dolcezza, amata nella carità, affinché in ogni amore si trovi sempre Cristo e che l'amore non rimanga secondo il mondo ma secondo Dio. Questo è il precetto del Signore: "Amerai il prossimo tuo come te stesso" (Mt 22,39). Se una sorella ama sua sorella come se stessa, non contrarrà mai la macchia del peccato, ma adornata con la pratica della gentilezza e dell'affetto, riceverà le ricompense eterne. L'affetto rimanga perciò sempre nel suo cuore per estinguere il veleno della gelosia dell'antico nemico: è per lui che, all'inizio, quando ingannò il nostro primo padre, la morte fu introdotta nel mondo secondo ciò che sta scritto: "Per l'invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo" (Sap 2,24). Una sorella deve amare sua sorella per non essere contaminata dalla macchia insanguinata dell'odio e cadere nel crimine dell'omicidio, come testimonia l'apostolo Giovanni che dice: "Chiunque odia il proprio fratello è omicida" (1 Gv 3,15). (La sorella) ami sua sorella, temendo di non essere assolta dalle proprie colpe per aver tenuto dentro di sé qualche motivo di discordia, come testimonia il Signore nel Vangelo: "Se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe" (Mt 6,15). Perdoniamo al prossimo, affinché l'Onnipotente ci perdoni. Dice (il Signore): "Date e vi sarà dato" (Lc 6,38). Oh, come è giusto questo scambio! Oh, quanto è buona questa misericordia! ricevere donando, donare ricevendo! Nessun germe di contrasto sia trattenuto, nulla che possa alimentarlo. L'Apostolo ci esorta dicendo: "Rivestitevi dunque di sentimenti di tenerezza, di bontà... perdonandovi gli uni gli altri, ... come il Signore vi ha perdonato (in Cristo)" (Col 3,13). Non ci è stato comandato di dare qualcosa di diverso da quello che chiediamo sia dato a noi. Questo è anche ciò che diciamo pregando: "Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori" (Mt 6,12). Perdonando ai nostri debitori, siamo liberati dal nostro debito. Perdoniamo quindi il prossimo con dilezione ed amore, affinché Dio ci liberi dai nostri peccati nella sua bontà e misericordia. Amen.

 

Capitolo VI. L'assidua pratica della confessione.

 Con quale frequenza e con quale cura è necessario praticare la confessione, la tradizione di molti Padri, sostenuta dalle Scritture, lo ha dimostrato. Dobbiamo sempre praticare la confessione, al fine di conservare sempre come nuovo lo stato della nostra anima, che le seduzioni oscure del peccato invecchiano ed oscurano ogni giorno, come ci ha insegnato la Scrittura, dicendo: "Più di ogni cosa degna di cura custodisci il tuo cuore, perché da esso sgorga la vita" (Pr 4,23); Allo stesso modo il beato Davide diceva al Signore nella sua preghiera: "Ti ho fatto conoscere il mio peccato, non ho coperto la mia colpa. Ho detto: «Confesserò al Signore le mie iniquità» e tu hai tolto la mia colpa e il mio peccato" (Sal 31,5). Quanto è efficace una pura e pronta confessione! Immediatamente la preghiera ottiene certamente ciò che chiede. Chi ha confessato contro se stesso per sottrarsi al peso dei suoi peccati, ha pianto su di sé nel confessarsi, ha reso gloria ricevendo il perdono; piangendo ha rivelato la sua colpa, consegnandola ha ritrovato la speranza. Infatti, non ha anticipato la fiducia della speranza, poiché ricordava di aver detto una volta nello Spirito Santo, illuminato dal Signore, "Presso di te è il perdono e per merito della tua legge ho confidato in te, o Signore" (Sal 129,4, Volg.), e ancora: "Perché con il Signore è la misericordia e grande è con lui la redenzione"(Sal 129,7). Egli riconosce che c'è l'abbondanza della redenzione in colui presso il quale la misericordia è eterna. Cerchiamo allora la misericordia là dove sappiamo che c'è l'abbondanza della redenzione. Si lasci che il dolore cresca dopo la caduta, per trovare il rimedio per la colpa. Confessate a vicenda le vostre colpe, affinché l'Onnipotente possa perdonare i nostri peccati. Le Scritture ci esortano dicendo: "Confessate perciò i vostri peccati gli uni agli altri e pregate gli uni per gli altri" (Gc 5,16). Quanto si mostra grande la bontà del giudice indulgente riversata su di noi, dal momento che i vincoli del peccato che circondano i nostri miseri atti sono dissolti dalla preghiera reciproca! Perciò diamoci a vicenda il conforto della preghiera, affinché, pregando le une per le altre, siamo ben disposte al rimedio. Infatti, i frutti sono più abbondanti quando l'ammissione delle colpe procura la salvezza. "Affida al Signore la tua via", dice il Salmista, "ed egli agirà" (Sal 36,5). Se l'anima è nutrita dalla rivelazione dei suoi peccati, allora essi siano rivelati con un'applicazione quotidiana alla confessione; in questo modo, con questa medicina quotidiana, le ferite saranno guarite. Ma quali sono le ore giuste per lavare via queste carenze quotidiane? Noi lo chiariremo. Tutto ciò che, per debolezza, lo spirito o la carne hanno commesso dopo la compieta, durante l'oscurità della notte, dovrà essere espiato con la confessione dopo la preghiera della seconda ora. Tutto ciò che durante il giorno la tiepidezza ha fatto commettere dalla condotta, dalla vista, dall'udito, dal pensiero, dovrà essere dichiarato per essere purificato alla fine dell'ufficio di nona. Ed ogni macchia contratta dall'anima dopo l'ora nona deve essere confessata prima di compieta. La badessa, tuttavia, deve stare attenta, entrando nella sala comune dopo l'ora seconda, a non permettere a nessuna di uscire alla fine della preghiera senza essersi confessata. Si farà la stessa cosa dopo la nona e prima di compieta.

Per quanto riguarda le sorelle che sono tenute in stato di penitenza per gravi colpe, non staranno in chiesa con quelle che si comunicano, ma canteranno l'ufficio a parte in un'altra chiesa [3]; quando l'ufficio sarà finito, usciranno davanti alle porte della chiesa dove coloro che si comunicano effettuano l'ufficio e sarà loro intimato di rimanere lì; mentre la comunità esce, prostrate a terra, chiederanno che si supplichi Dio per loro, così che i loro gravi errori possano essere cancellati dalla contrizione dei loro cuori, ricordando il versetto: "Un cuore contrito e affranto tu, o Dio, non disprezzi" (Sal 50,19), e (ancora): "Nella nostra umiliazione il Signore si è ricordato di noi" (Sal 135,23). La penitente dica incessantemente nella preghiera: "Distogli lo sguardo dai miei peccati, cancella tutte le mie colpe" (Sal 50,11). Così, l'ira del giudice accusatore e pronto alla vendetta sarà placata da questa umile preghiera scaturita dalla pietà del cuore.

 

Capitolo VII. Le confessioni delle sorelle non devono essere manifeste.

Né la badessa, né la priora, né alcuna delle sorelle anziane a cui è stata affidato dalla badessa l'incarico di ricevere le confessioni delle sorelle, devono in ogni caso rendere note le colpe, grandi o piccole che siano, se non al solo giusto giudice che lava via i peccati di tutti coloro che li confessano. Poiché colei che, vergognandosi, ha confessato le sue ferite, non le ha confessate per ricevere il disprezzo, ma per ritrovare la salute, prendendo come testimone il Dio giusto dal quale ella attende la guarigione. L'anziana tenga per sé ciò che le viene detto tenendolo nascosto con la massima dignità, in tutta gravità e moderazione, in modo da non rischiare di offuscare la purezza del proprio cuore mentre cosparge il medicamento sulla ferita di un'altra. Che nessuna delle sorelle abbia la presunzione di ricevere una confessione o di dare una penitenza senza aver ricevuto l'ordine dalla badessa, in modo che il male commesso non sia nascosto alla badessa, ma che ella sia consapevole di tutto ciò che succede. Se c'è una sorella che cerca di violare questo punto della regola, sia corretta con la dura esperienza della penitenza, per aver lasciato che la badessa ignorasse un focolaio di peccato.

 

Capitolo VIII. Come si debba accorrere al segnale del Signore.

Ogni volta che si sente il segnale dell'ufficio divino, alle ore del giorno o della notte, immediatamente, in tutta fretta, come se fosse l'araldo del re a dare il segnale, bisogna alzarsi lasciando tutto il lavoro che si aveva tra le mani. Così, non si anteponga nulla all'opera di Dio, ma il cuore, attento al grido dell'araldo e sollecita all'opera di Dio, si affretti ad accorrere in tutta gravità e dolcezza per far risuonare la gloria della sua maestà e rendere grazia alla sua bontà. E se qualcuna si muove con noncuranza e arriva dopo la fine del primo salmo cantato nell'ufficio, sappia che sarà fatta indietreggiare dal suo posto fino alla fine dell'ufficio e, mettendosi nell'ultimo posto, cioè nel luogo designato per le negligenti di questo tipo, stia lì in piedi ed aspetti lì, con timore e confusione; dopo la fine dell'ufficio chieda perdono con una prolungata soddisfazione di fronte alle sue sorelle durante l'uscita della comunità. Non devono essere messe in disparte al di fuori (della chiesa) affinché, vinte dal sonno, non dormano o non diano allo spirito malvagio qualche occasione di avvicinarsi a loro. Inoltre, prendendo il suo posto all'interno, (la sorella negligente) non perde completamente ciò che è iniziato e, vista da tutte, è umiliata dalla confusione e dal timore. E quando le altre escono, una volta terminato l'ufficio, rimanendo nella chiesa a causa del suo ritardo, ella canterà dodici salmi oltre a quelli dell'ufficio. Ma se ha perso l'intero ufficio, specialmente nelle ore della notte in cui nessun altro compito crea impedimenti, (la sorella) subirà una giorno di privazione (della parola) [4]. Colei che ha ricevuto l'incarico - una sorella zelante e diligente, riconosciuta capace di questo compito - deve annunciare le ore dell'ufficio secondo le disposizioni della badessa in modo che l'opera di Dio non sia ritardata. Se per qualsiasi motivo si allontana dall'esatto ordine e le ore non vengono osservate nel loro ordine, ella subirà un giorno di privazione (della parola).

 

Capitolo IX. Come si debba custodire la regola del silenzio sia durante il lavoro quotidiano, che durante il pasto, e come si debba leggere a tavola.

La regola del silenzio deve essere osservata in ogni momento e le sacre Scritture lo manifestano quando dicono al Profeta: "Onorare la giustizia darà il silenzio e la pace" (Is 32,17, variante). In effetti, è necessario astenersi da discorsi inutili, futili, scurrili, perversi e malevoli. Di questi diceva il profeta nella sua preghiera: "Poni, Signore, una guardia alla mia bocca, sorveglia la porta delle mie labbra. Non piegare il mio cuore a parole malvage" (Sal 140,3-4, Volg.). È quindi necessario astenersi da inutili chiacchiere, affinché l'anima non riceva la condanna per la negligenza di una mente incontrollata; poiché renderemo conto, secondo il comandamento del Signore, non solo di una parola impudica e ingiuriosa, ma anche di una parola oziosa (cfr. Mt 12,36). A cosa deve applicarsi una monaca, se non ad attaccarsi a Dio solo, in cui lei ha fissato una volta per tutte il suo desiderio, sia con le parole della sua bocca, sia col desiderio della sua anima? Pertanto, a tutte le ore del giorno, eccetto durante i pasti, dalla seconda ora fino a compieta, per tutto ciò che richiedono i bisogni della santa regola si parlerà con l'autorizzazione della badessa. Ma dall'ora di compieta, una volta detta la preghiera per il sonno, nessuna sorella assolutamente si permetta di parlare, a meno che non lo esiga un'assoluta necessità del monastero. Parlerà colei chi avrà ricevuto l'ordine della badessa, o anche della priora, che ha la responsabilità delle altri. A tavola, assolutamente nessuna, a parte la badessa o colei a cui la badessa l'abbia ordinato, si permetterà di parlare per qualche necessità comune; ma tutte, con animo attento, rendendo grazie al Creatore nei loro cuori, si rallegrino di aver ricevuto una buona dose di cibo e di bevanda. Per quanto riguarda la portinaia che, per giusti motivi, avrà chiesto di parlare con la badessa, le sarà permesso di parlare, perché potrebbe esserci una necessità che non può essere ritardata. Prima del pasto si legga sempre un capitolo della regola o anche di più, se piace alla badessa: così, mentre il cibo ripristina la carne, la lettura sazia l'anima. Tutto ciò deve essere fatto con serietà di spirito e con dolce moderazione, affinché il Signore si compiaccia in tutte queste cose.

Nei giorni di festa del Signore, cioè la Natività del Signore, la solennità della Pasqua, dell'Epifania e della Pentecoste, o quando si celebrino altre importanti feste del Signore o dei santi martiri, se la badessa lo permette, non proibiamo di parlare a tavola, a condizione che ciò avvenga a voce bassa e sobria, per timore che una voce risonante che prorompe in uno strepito non sia ritenuta più rivelatrice di pigrizia che di gioia. E la conversazione consiste nel parlare insieme delle Scritture, in modo da portare all'anima un guadagno, non una perdita (cfr. Mt 16,26). Coloro che hanno ricevuto una penitenza della privazione della parola devono osservarla ad ogni costo, così esse meriteranno di ricevere il frutto di un'autentica mortificazione. Ovunque si trovino, due sorelle non si permettano di parlare senza la presenza di una terza, ma parleranno del necessario stando sempre in tre.

 

Capitolo X. Con quale norma si debbano somministrare i pasti e che cosa si debba rispettare.

Per quanto riguarda le razioni da servire e da non superare ai pasti, spetta alla sapienza della badessa valutare come regolarle con uguaglianza e sobrietà in modo che lo spirito religioso regni in tutte le cose, come si addice alle serve di Dio. Occorre quindi servire a tutte un'uguale quantità di bevande e di cibo, adattate ai tempi, che siano giorni di festa, giorni di digiuno o giorni feriali. Nei giorni feriali, decidiamo che bastano due portate, eccetto se abbiamo ricevuto in dono della frutta: (queste portate) infarcite di legumi o di olio, oppure guernite con una qualunque pasta di farina. A tutte sarà data una misura uguale, a meno che la debolezza dell'età, che rende poco resistenti, o la malattia, o la novità e l'inesperienza di un recente ingresso nel monastero, non possano sopportarla; ciò deve essere giudicato dalla badessa. Come bevanda, deve essere distribuita la solita misura di bevanda fermentata, cioè di birra; se la badessa lo decide, se il lavoro o un giorno di festa, o l'umanità per accogliere un ospite lo richiede, verrà aggiunto del vino. Se ci devono essere due pasti, si applica la stessa regola ad eccezione del vino.

Nei giorni di festa, in onore della sacra solennità, i corpi saranno ristorati con una maggior scelta di cibi, vale a dire tre o quattro portate, in modo che tuttavia, se i piatti sono più numerosi siano meno ricchi, così che i corpi vengano ristorati da sufficiente cibo, ma non subiscano il danno di un'eccessiva sazietà. Quando le sorelle sono sedute a tavola, nessuna di loro alzi lo sguardo per guardare un'altra mentre mangia o guardi il cibo o la bevanda di un'altra con sguardo malevolo. Quando il cibo è servito sul tavolo, nessuna mangi prima che il segnale della benedizione sia suonato. La badessa, da parte sua, farà attenzione a dare il segnale non appena il cibo sarà servito e tutte, quando sentiranno il segnale, chiederanno ad una sola voce la benedizione; la badessa risponda loro immediatamente, dicendo: "Il Signore si degni di dare la sua benedizione". Questo deve essere osservato per ciascuno dei piatti e quando si distribuiscono i frutti e la bevanda. Deliberiamo sopra tutto ciò: che nessuna possa dare ad un'altra parte della sua porzione, né riceverne da un'altra, con l'eccezione della badessa o della superiora a cui la badessa ha affidato la guida. Se qualcuna trasgredisce ciò che abbiamo appena stabilito, per ignoranza di novizia o per temerarietà, sia corretta secondo la disciplina della regola per la sua arrogante leggerezza.

 

Capitolo XI. A quali opportune ore in inverno ed in estate si debba pasteggiare.

Dall'inizio della santissima solennità, vale a dire dall'inizio della Santa Pasqua che celebra la risurrezione dell'Agnello immacolato, fino alla sacra solennità della Pentecoste, quando lo Spirito Santo fu diffuso sugli Apostoli, cioè nello spazio di cinquanta giorni, ci si ristorerà alla sesta ora. Si cenerà anche la sera, poiché la natura di questo tempo sacro richiede che nessuno, anche nella Chiesa, si mostri triste. Ma da Pentecoste fino all'inizio della Quaresima, a meno che un lavoro faticoso non lo richieda o che l'arrivo degli ospiti non lo obblighi, si prenderà un solo pasto alla nona ora, tranne che nei giorni di grandi solennità o se un lavoro pesante richiede che si prendano due pasti. Dall'inizio della Quaresima fino alla santissima solennità di Pasqua, tranne la domenica, il pasto si terrà la sera, in modo che il tempo della refezione termini prima dell'inizio della notte, intanto che c'è luce. Al momento del servizio, (le sorelle) si alzeranno una da ogni tavolo e si avvicineranno all'apertura della cucina con sobrietà, in modo da non causare alcun rumore di piedi o di piatti o altri rumori. (Queste sorelle) serviranno prima tutte insieme alla tavola delle anziane, poi porteranno i piatti al loro tavolo. (La sorella) preposta alla mensa organizzerà il modo in cui avrà luogo il servizio reciproco, a turno, o mediante le più giovani se ce ne sono.

 

Capitolo XII. Nei giorni feriali come ci si debba dedicare al lavoro.

Bisogna certamente lavorare in ogni tempo, eccetto che nei giorni di festa, per avere abbastanza per provvedere alle proprie necessità e con cui poter aiutare i poveri. Tuttavia, è necessario applicarsi al lavoro manuale senza perdere il frutto della lettura, ma all'ora stabilita ci si applichi al lavoro e poi ci si dedichi alla lettura divina. Il lavoro manuale inizia alla seconda ora e finisce alla nona; dalla nona ora ci si dedichi alla lettura; se talvolta ci fosse un lavoro da fare per se stessi, come cucire o lavare i panni, o qualsiasi altra cosa, lo si faccia con il permesso della badessa o della priora. E se, a causa di un lavoro più faticoso o per il caldo dell'estate, si dovesse andare prima a lavorare, la badessa dovrà tenerne conto e decidere in modo che, se le circostanze o il peso del lavoro più faticoso lo richiedono, secondo ciò che deciderà nella sua prudenza, le sorelle si riposino dal lavoro a partire dalla sesta ora e, dopo il riposo o il pasto, riprendano il lavoro fino a sera. Anzitutto la badessa, se presente, o la priora se la sostituisce, vigili a non lasciare che una monaca si abbandoni a chiacchiere oziose oltre a ciò che è necessario chiedere. Durante lo stesso lavoro manuale si conservi il ricordo dell'opera di Dio e cioè, mentre all'esterno le mani sono occupate in opere di interesse temporale, all'interno lo spirito, accompagnando la voce, trovi gioia nel ricordare i salmi e le scritture. Se qualcuna viola questa regola dilettandosi nelle chiacchiere, costei subirà il castigo del silenzio. Le penitenti, se ce ne sono, accenderanno i fuochi nella sala comune, due a due, ogni settimana. Allo stesso modo, prepareranno tutto il necessario per lavare il capo delle sorelle ogni sabato e per i bagni nelle feste solenni. Se ci sono altri lavori di basso livello, le penitenti ne saranno incaricate in modo che, eseguendo questi compiti, con uno spirito umiliato ed un cuore contrito (Sal 50,19), nel timore di Dio, siano lavate più rapidamente dalle loro colpe dalla misericordia di Dio Onnipotente.

Quando si va al lavoro, si canti questo versetto: "Sia su di noi la dolcezza del Signore, nostro Dio: rendi salda per noi l’opera delle nostre mani, l’opera delle nostre mani rendi salda" (Sal 89,17). Alla fine del lavoro, si dica questo versetto: "Ci benedica Dio, il nostro Dio, ci benedica Dio e lo temano tutti i confini della terra" (Sal 66,7-8). Le fornaie eseguano a turno il loro lavoro comune, ma in modo che non siano meno di tre, a causa della necessità di parlare. Se fosse necessario che restassero in questo luogo, non siano meno di quattro e una di loro, un'anziana il cui spirito religioso ispira fiducia, sia messa alla loro testa ed abbia anche la facoltà di parlare. Il pane che preparano a turno, la loro anziana lo consegni alla celleraria, così che, assicurate da una perfetta sorveglianza, non debbano incorrere in alcun rimprovero. Allo stesso modo, coloro che rimarranno al birrificio per fare la birra, avranno tra di loro un'anziana che le comanda e che custodisca tutte le cose secondo la regola stabilita per la fornaia.

Le cuoche cucineranno a turni di una settimana in modo che, ogni settimana, ce ne siano tre designate per questo servizio, o più (di tre) se necessario, affinché un lavoro imposto senza discrezione non porti come frutto la mormorazione, là dove si dovrebbe guadagnare una ricompensa. Coloro che entrano in carica chiederanno all'intera comunità delle sorelle di pregare per loro e diranno durante la preghiera: "Il nostro aiuto è nel nome del Signore che ha fatto cielo e terra" (Sal 123,8) e "Aiutaci, o Dio, nostra salvezza" (Sal 78,9). Quelle che escono, laveranno i piedi a tutte le sorelle e renderanno alla priora tutte le stoviglie che hanno dovuto usare. Chiederanno nello stesso modo che si preghi per loro e diranno questo versetto durante la preghiera: "Perché tu, Signore, mi hai aiutato e consolato" (cfr. Sal 85,17). Per ciascuna delle loro negligenze le cuoche come le cellerarie ricevano, nei giorni feriali, una correzione di venticinque colpi sulla mano, per timore che, trascurando le colpe minori, siano portate a cadere in quelle più dannose.

 

Capitolo XIII. Gli utensili e le cose necessarie.

La badessa si prenda cura degli utensili del monastero e di tutto ciò che è necessario al lavoro comune. Saranno scelte nella comunità delle sorelle di grande zelo e di ben provata coscienza, a cui sarà affidato il compito di dare a ciascuna ciò che è necessario secondo le circostanze. Si prenderanno cura degli utensili e di tutto ciò che la badessa ha affidato loro con lo zelo attento ispirato dal timore, in modo da ricevere la loro ricompensa per l'incarico loro affidato e non incorrere in una sentenza di condanna, custodendo queste parole davanti agli occhi delle loro anime: "Maledetto chi compie fiaccamente l’opera del Signore" (Ger 48,10).

 

XIV Come le sorelle debbano dormire nella stanza comune.

A tutte le ore del giorno e della notte, le anime religiose e consacrate a Dio tengono costantemente il loro cuore pronto per Dio in modo che, anche se le membra sono intorpidite dal sonno, l'anima rimanga sveglia, applicata con tutto il suo ardore a lodare il Creatore secondo questo detto: "Mi sono addormentata, ma veglia il mio cuore" (Ct 5,2). Tuttavia, un'attenta vigilanza è particolarmente necessaria perché, se mancasse per negligenza la sollecitudine della madre, le sorelle subordinate potrebbero subirne un danno a causa della loro debolezza. Ecco perché decidiamo che dormiranno a due a due nel loro letto, eccetto le malate e le anziane, in modo che non si parlino o si guardino in faccia a vicenda, ma dormano giacendo con le spalle girate una contro l'altra; si eviterà così che l'antico nemico, la cui avida gola cerca di ferire le anime, scagli qualche freccia ingannevole ed ecciti dei desideri mortali tramite le loro conversazioni. Ci si assicurerà che una di loro sia sempre un'anziana, il cui spirito religioso sia certo. Per quanto riguarda le più giovani, vogliamo che non dormano mai insieme, per non essere trascinate dalla passione a (commettere) qualche colpa nel combattimento della carne. Pertanto, se è possibile, una sola stanza le riunisca tutte per dormire, eccetto quelle che devono essere collocate in una stanza separata, perché la malattia o l'età avanzata lo richiedono o perché una colpa comporta questa penalità o nel caso di una nuova arrivata non ancora messa alla prova. Tutte dormiranno vestite e con la cintura. Una lampada rimanga accesa tutta la notte nella stanza in cui si dorme. Alzandosi in fretta per l'ufficio, le sorelle si faranno sulla fronte il segno della croce e diranno nello stesso tempo silenziosamente: "O Dio, vieni a salvarmi, Signore, vieni presto in mio aiuto" (Sal 69,2).

 

XV Come ci deve occupare delle sorelle malate?

Quale debba essere la cura prestata a coloro che sono colpite da malattie, anche le parole del Maestro lo manifestano quando dice: "Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro" (Mt 7,2). Benché sia ​​un dovere per tutti, questo comandamento deve tuttavia essere applicato prima di tutto alla cura degli ammalati, perché il Signore ha detto: "Ero malato e mi avete visitato" (Mt 25,36). Dobbiamo quindi sforzarci di prenderci cura delle sorelle ammalate come se credessimo di servire Cristo in persona. Perché colei che si prende cura delle malate per Cristo, in verità serve Cristo nelle malate. Tuttavia, la badessa si assicuri che le malate abbiano una cella separata con tutto il necessario, in modo che colei che sopporta la sofferenza nella sua debole carne (cfr. Mt 26,41) non debba subire alcuna pena esteriore. E se il tempo - ad esempio il tempo della Quaresima - richiede alle altre sorelle di modificare il loro regime di vita, alle malate verrà sempre accordata una razione più abbondante di bevande e di cibo. Ci si impegnerà assiduamente affinché possano utilizzare i bagni e le cure mediche. Alle (sorelle) sane, specialmente le più giovani, i bagni verranno concessi più raramente. La badessa deve trattare le malate come lei spera di essere trattata dal Signore, in modo che le malate non siano trascurate né dalla celleraria, né dalla sorella che le serve. Per quanto riguarda quelle che sono debilitate dalla vecchiaia, si abbia cura che non vengano trascurate in alcun modo ma tutto ciò che è stato ritenuto necessario a ciascuna, secondo il giudizio della badessa, dovrà essere accordato alla loro debolezza con amorevole rispetto. Non possono, infatti, essere assoggettate alle disposizioni della regola, ma piuttosto occorre comportarsi con loro con affettuosa bontà.

 

Capitolo XVI. Gli eventi che accadono per negligenza o dovuti al caso.

La badessa nel suo giudizio dovrà tener conto della gravità della negligenza che in molte occasioni è all'origine di molte colpe. Vale a dire se nel refettorio, nella cucina, nel dormitorio o in qualsiasi attività, qualcosa è stato rotto, perso o danneggiato per negligenza, tutte le cose devono essere apprezzate nella loro misura e corrette tenendo conto dell'età delle sorelle, sia giovani, sia anziane, sia sorelle nel pieno della forza. Perché se il vizio della negligenza non è corretto in cose di poca importanza, il cuore viziato dalle piccole colpe cadrà in trasgressioni più grandi. Se la sorella, caduta in uno di questi casi, fa subito una confessione sincera alla badessa o alla priora, e se è provato che l'incidente si è verificato suo malgrado, basterà che non neghi - se è possibile - il male che ha fatto e commesso e che ripari scusandosi e chiedendo perdono. Se, al contrario, la cosa viene saputa non per la sua confessione, ma per la denuncia di un'altra, sarà sottoposta a una penitenza proporzionata alla gravità della colpa, perché non ha manifestato questa colpa con una confessione sincera. Ma se una sorella ha commesso una di quelle gravi colpe che causano maggiori danni all'anima, ella la manifesterà alla badessa in segreto, mediante una sincera confessione e di sua spontanea volontà, per timore che, mentre non osa rivelare a tempo debito la colpa della sua anima, nasconda dentro di sé, oltre all'accusa della sua colpa, anche il volto del diavolo.

 

Capitolo XVII. Nel monastero nessuna monaca deve rivendicare qualcosa come proprio.

 Nel monastero non si deve avere nulla di proprio, ma piuttosto disprezzare tutto per il nome del Signore. Che cosa potrebbe, infatti, rivendicare come suo, tra i beni di questo mondo, l'anima fedele per la quale il mondo è crocifisso ed essa per il mondo" (cfr. Gal 6,14)? Dato che essa è morta per il mondo una volta per tutte, perché dovrebbe ricominciare a vivere per il mondo con l'avidità dei beni temporali o con qualche tormentato desiderio, lei che, avendo disprezzato il mondo, aveva iniziato a vivere per Dio (cfr. Rm 6,10)? È quindi necessario, in ogni monaca, sradicare questa vizio alla radice, in modo che non rivendichi o dica suo alcun oggetto, né vestiti, né calzature o qualsiasi altra cosa, se non ciò che le è stato comandato di custodire per ordine della badessa, come se essa fosse custode del bene altrui e non padrona di un bene che le appartenesse. E di tutto ciò che le è stato affidato dalla badessa per i suoi bisogni materiali, che si tratti di vestiti o di qualsiasi altra cosa, ella non si permetterà di dare o prestare qualcosa a nessuna, a meno che la badessa non lo ordini. Che cosa potrebbe, infatti, dare ad un'altra sorella dei beni di questo mondo dato che, a causa di Cristo, essa ha abbandonato tutte le sue volontà in potere della badessa? Di conseguenza tutto ciò che è nel monastero sia comune a tutti, come leggiamo negli Atti degli Apostoli: "Fra loro tutto era comune" (Atti 4,32). Tuttavia, considerando queste cose come un bene comune, nessuna si permetterà di dare o ricevere nulla senza l'ordine della badessa, per paura che, cadendo nella trappola pericolosa della cupidigia o della temerarietà, ella condivida il destino di Giuda il traditore, l'unico tra gli Apostoli che si dice avesse la borsa, dove teneva i fondi provenienti da scambi o da vendite (cfr. Gv 12,61; 13,29). Se una sorella viene sorpresa a compiacersi in questo vizio e se dopo una prima, una seconda e una terza correzione, rifiuta di fare ammenda, sarà sottoposta alla disciplina regolare.

 

Capitolo XVIII. La scomunica per le colpe.

Se una sorella, su istigazione del diavolo, è apparsa ostinata, arrogante o disobbedienti o mormoratrice o se, caduta in qualche colpa, cerca di violare i precetti delle anziane o la norma della santa regola, secondo il precetto di Signore sarà ripresa in segreto dalle anziane una o due volte. Se non fa ammenda, sia biasimata da tutta la comunità. E se in seguito non vuole emendarsi, allora, secondo ciò che richiede l'importanza della sua colpa, sarà giudicata secondo la regola, cioè sarà sottoposta alla scomunica, se ne ha già una comprensione sufficiente. Ma se persevera nell'ostinazione di un cuore indurito e persiste nel suo peccato e nella sua malignità, allora sarà soggetta a punizioni corporali.

 

Capitolo XIX. Come debba essere la scomunica.

La gravità della colpa chiarisce quale debba essere la misura della scomunica a coloro che sanno ponderare con un giusto giudizio. Infatti, alle colpe lievi è necessario applicare una leggera correzione ed alle più gravi una punizione più intensa. Questo è il motivo per cui la valutazione spetta alla badessa. Se una sorella è colpevole di reati minori, sarà privata del posto a tavola fino all'ora stabilita. Ma per le colpe più gravi, si determinerà una durata di giorni, settimane o mesi per una correzione prolungata. Tuttavia, si applichi questa regola: se la scomunica si estende per più di sette giorni, fino a quando lo stato di penitenza rimane in vigore, la sorella non sarà priva solo del suo posto a tavola, ma anche tenuta in disparte nella chiesa. Vale a dire che non canterà salmi nel posto che prima era il suo, né manterrà il suo turno finché, con un'umile soddisfazione fatta con la contrizione del cuore, essa si meriti il perdono della badessa e delle anziane. Per quanto riguarda la sorella scomunicata che, per colpe più gravi, è rinchiusa in una cella o esclusa dalla vita della comunità, essa non avrà alcun diritto di avere colloqui o visite, se non di colei alla quale la badessa lo avrà ingiunto. Se qualcuna trasgredisce questa regola, sarà soggetta a regolare penitenza.

 

Capitolo XX. A proposito delle sorelle che, pur essendo state spesso corrette con solleciti rimproveri, non vogliono emendarsi.

Se una sorella, spesso rimproverata, si rifiuta di fare ammenda, sarà punita con la scomunica in base al suo grado di colpa. Se anche allora la correzione di colei che la riprende non ha alcun effetto, sarò sottoposta alla punizione delle verghe. Se poi si rifiuta di fare ammenda e, al contrario, gonfiata dal fermento dell'orgoglio, difende la condotta e gli atti per cui è punita, allora la badessa, secondo la sua esperta gestione, infliggerà una punizione, perché sta scritto: "È infelice chi rifiuta la disciplina" (Sap 3,11). Guidata dalla sua esperienza, (la badessa) applicherà la sua cura per guarire l'ascesso. Se questa ferita mortale non guarisce né con il rimedio della punizione, né con l'unguento della bontà e della dolcezza, sarà necessario reciderla con un'incisione. E se anche allora l'apertura dell'ascesso non ha eliminato il tumore, la sorella incorrerà nella sentenza della scomunica o nella punizione con un castigo corporale. E se non si sottomette, né con la paura della scomunica, né con la punizione della flagellazione, si aumenti ulteriormente il fuoco della carità, Allora tutta la comunità riunita implorerà per lei il Signore di tutti attraverso la preghiera, affinché la sorella imprigionata nelle reti del diavolo sia assistita dalla misericordia e dalla bontà del Signore. Se anche così non vuole correggersi, rimanga separata da tutte, eccetto dalle sue guardiane, nel recinto del monastero, nella condizione di penitente e sia castigata con varie punizioni fino a che non darà a tutte delle indubbie prove della sua umiltà. Perché spesso la salvezza è accordata anche a coloro che l'hanno rifiutata. Deve essere separata dalla comunità in modo che non contamini le innocenti con il suo vizio. Una sorella di tenera età, che non conosce la gravità della scomunica, non dovrà essere corretta mediante la scomunica, ma con il flagello.

 

Capitolo XXI. L'accettazione delle sorelle (fuggite dal monastero).

Se mai - ciò che non è consentito nello stato religioso cristiano - una sorella lascia il recinto del monastero per fuggire all'esterno, ma poi, ricordando il suo precedente stato religioso e colta dal timore di un giudizio eterno ritorna, dovrà prima promettere al monastero un emendamento totale; in seguito, se il suo pentimento è riconosciuto accettabile, solo allora sia ricevuta entro le mura del monastero. E se ripeterà ciò due o tre volte, sarà circondata dalla stessa bontà; tuttavia, accolta nell'ultima fila tra le penitenti, verrà messa alla prova per qualche tempo fino a quando la sua condotta sarà trovata accettabile. Ma se, dopo essere stata così ricevuta per la terza volta, si macchia della colpa della fuga, sappia che d'ora in poi le sarà impedita ogni via di ritorno.

 

Capitolo XXII. Come le sorelle siano reciprocamente umili e osservino il loro posto. Come debbano osservare i precetti anche nelle azioni insignificanti.

Con quale affetto e quale prestazione di carità devono amarsi le anime che vivono nel monastero, le istituzioni dei santi Padri l'hanno insegnato: ma con quali atti e quali servizi questo deve manifestarsi, spetta a noi specificarlo. Inoltre, il gran numero delle virtù forma un cerchio molto ampio e l'anima che se ne circonda conquista facilmente la vittoria sul nemico. Ci sono, infatti, molti dettagli che appaiono in effetti molto piccoli e che, tuttavia, mostrano, a seconda che li si osservi o li si trascuri, la tiepidezza o il fervore del cuore; così, il fatto di inclinare la testa o di salutarsi con parole affabili rivela se le disposizioni sono quelle di un cuore duro o di un cuore abitato dallo spirito di concordia o da un'autentica bontà. I servi e le serve di Cristo devono quindi fare attenzione a mantenere nei loro cuori ciò che non separa dalla vera umiltà e carità, nelle quali consiste la totalità delle virtù. Poiché senza vera umiltà non c'è vera carità, né senza vera carità c'è vera umiltà. Cerchiamo quindi di gettare le fondamenta per raggiungere la vetta delle virtù. Innanzitutto bisogna manifestare l'umiltà negli atti e nei sentimenti, affinché su di essa si edifichi una grande carità. Quando (le sorelle) si incontrano nel loro andirivieni o in qualsiasi luogo, si inchinino in tutta umiltà e si chiedano l'un l'altra la benedizione. Se una di loro è più anziana, la più giovane chiederà per prima la benedizione, poi l'anziana farà lo stesso. All'ufficio manterranno il loro posto, come ha stabilito la badessa, sia per cantare un salmo, o per recitare le letture, o alla comunione, per non cadere nel vizio dell'ambizione o dell'arroganza andando oltre il luogo loro assegnato. La badessa, però, deve garantire che il loro posto corrisponda all'ordine di entrata in monastero, a meno che una vita più religiosa faccia meritare a qualcuna di essere promossa ad un rango superiore o se, a causa di una grave colpa, sia costretta a retrocedere dal suo posto. Ma se una sorella cerca di prendere il posto di una più anziana, venga respinta con un'umiliante penitenza, per aver cercato l'onore di un posto che non le era dovuto e per aver agito in uno spirito non di religione ma di ambizione, nel tentativo di impadronirsi di questo onore che non le era dovuto. Quando le sorelle sono riunite insieme, se arriva un'altra sorella le più giovani di grado si alzino e lascino il posto a una più anziana. Le più giovani non dovranno mai contraddire orgogliosamente una più anziana, ma risponderanno con perfetta umiltà a chi le interroga o le rimprovera. Se una giovane vede un'anziana cadere in una qualche mancanza non le farà un rimprovero, ma se ne rattristerà e la manderà dalla badessa o dalla priora a confessarsi: un'anziana farà lo stesso per una giovane. Chi viene alla confessione si prostrerà per terra, dichiarandosi colpevole: quando avrà ricevuto l'ordine di alzarsi, farà la sua confessione. Quando si chiede il permesso di fare un lavoro prima si chieda perdono, poi si chieda il permesso di eseguire il lavoro in questione. Quando si viene dalla badessa, ci si avvicini umilmente chiedendo il permesso; allo stesso modo, chiedendo il permesso di andarsene, le sarà chiesto di dare la benedizione. Nessuna monaca parlerà lei stessa alla badessa di ciò di cui ha bisogno, ma tutte faranno attenzione a far sapere alla badessa attraverso la priora ciò che è loro necessario. Se arriva un prete o un religioso e, con l'autorizzazione della badessa, si deve andare ad incontrarlo, (le sorelle), stando a distanza e piegando umilmente il ginocchio, chiedano a bassa voce la benedizione. E se una sorella riceve l'ordine della badessa di conversare con loro, essa parlerà con tutta l'umiltà, la modestia e la sobrietà possibili: si manifesti in tutto la virtù dell'umiltà e della sobrietà.

 

Capitolo XXIII. Nessuna (sorella) difenda un'altra sorella o una parente nel monastero.

Stabiliamo che non è permesso in alcun modo nel monastero di difendere una sorella o una parente. Perché dovrebbe difendere un'altra, colei che ormai non vive più per se stessa (cfr. Gal 2,20) ma per Cristo, rimanendo crocifissa per imitarlo (cfr. Rm 14,7-8; Gal 6,14)? colei che ha perso la propria vita (cfr. Mc 8,35) per darle più abbondantemente la salvezza? E colei che ha perso le proprie volontà per la volontà di Cristo da adempiersi in lei, perché dovrebbe diventare l'avvocato dei peccati degli altri, lei ha inchiodato i suoi alla croce (cfr. Gal 5,24)? E se ha davvero inchiodato (i suoi peccati) alla croce e non vive più per il mondo, ma per Cristo, perché dovrebbe difendere in nome di un legame di familiarità quelle che ricadono nel mondo per le loro colpe? Quindi lei abbia un amore uguale verso una parente e verso un'altra sorella a cui non è congiunta con legami del sangue. Di conseguenza in tutte l'amore rimanga racchiuso nel cuore e nessuna cerchi di proteggere una sorella soggetta alla disciplina regolare, in modo che questo vizio di difendersi non si comunichi alle altre. Spetterà quindi a colei che è responsabile della correzione di sottoporre alla disciplina quelle che corregge con lo zelo dell'amore, non per soddisfare la propria volontà, ma per correggere i vizi.

 

Capitolo XXIV. La formazione delle bambine (nel monastero).

Abbiamo appreso da molti esempi con quale con cura e fermezza dobbiamo educare le bambine nel monastero. Devono essere assistite con tutto l'affetto della bontà e l'impiego della disciplina, affinché nella loro tenera età non siano contaminate dal vizio dell'ozio o della leggerezza, da cui poi non possano più esserne corrette se non molto difficilmente. Si abbia così tanta cura verso di loro che non rimangano mai senza un'anziana che impedisca loro di deviare da una parte o dall'altra della retta via ma, sempre moderate dalla sua fermezza e formate dall'insegnamento del timore e dell'amore di Dio, siano addestrate all'osservanza della vita religiosa. Si esercitino alla lettura in modo da poter imparare nella loro giovane età ciò che sarà loro utile quando saranno adulte. Nel refettorio abbiano la loro propria tavola, vicino alla tavola delle anziane. Tuttavia, due o più anziane, il cui spirito religioso sia sicuro, stiano a tavola con loro affinché, avendo sempre il timore davanti ai loro occhi, siano educate temendo le anziane. Spetterà al giudizio della badessa decidere a che ora prendano i loro pasti ed il loro sonno, così che in tutte le cose sia osservata la discrezione, che è la tutela delle virtù.

 


[1] Le preposite, ovvero le sorelle responsabili della disciplina, sono indicate col termine latino al plurale "praepositae". Lo stesso termine al singolare "praeposita" indica la priora.

[2] Secondo la Vita di san Colombano nel monastero di Éboriac vi erano tre porte d'ingresso.

[3] Molto probabilmente vi erano due chiese all'interno del monastero.

[4] Nella Patrologia Latina del Migne si trova il termine "suppositio", mentre in altri manoscritti si trova, più correttamente, "superpositio". Secondo A. de Vogüé, "Histoire littéraire du mouvement monastique dans l'antiquité: Première partie: Le monachisme latin", Editions du Cerf, 2006, il termine "superpositio", menzionato ben 22 volte nella Regola Cenobiale di Colombano, sembra significare una privazione della parola, o forse talvolta del nutrimento, per un giorno. Al capitolo 6 della Regola Cenobiale si trova anche il termine specifico "superpositio silentii" per indicare la privazione della parola.

 


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27 maggio 2018        a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net