SAN FRUTTUOSO VESCOVO DI BRAGA

REGOLA MONASTICA COMUNE

 (Libera traduzione dal testo latino)

Link al testo latino con italiano a fronte

 

IN NOME DELLA SANTA TRINITA’

INIZIANO I CAPITOLI DELLA REGOLA DI SAN FRUTTUOSO VESCOVO

 

1. Nessuno presuma di istituire monasteri di propria iniziativa, a meno che non sia stata consultata la congregazione generale e che il vescovo l’abbia confermato, in conformità con i canoni e la Regola.

2. I presbiteri secolari non devono costruire monasteri nei loro poderi senza il permesso di un vescovo che viva secondo la regola o senza un consiglio dei santi Padri.

3. Chi dovrebbe essere eletto abate di un monastero.

4. Quali monaci sono da ricevere nel monastero.

5. In che misura i monaci debbano essere soggetti al loro abate.

6. In che modo gli uomini con le mogli ed i figli debbano vivere senza pericolo in monastero.

7. In che modo ci si debba prendere cura dei malati nel monastero.

8. In che modo gli anziani debbano essere regolamentati nel monastero.

9. In che modo debbano vivere i monaci incaricati del bestiame del monastero.

10. Cosa debbano osservare gli abati.

11. Cosa debbano osservare i prepositi nel monastero.

12. Cosa debbano osservare i decani.

13. In quali giorni i fratelli si riuniscano nel capitolo.

14. In che modo gli abati debbano prendersi cura degli scomunicati.

15. In che modo debbano essere custoditi i monasteri di uomini e donne.

16. Quali fratelli debbano abitare con le sorelle nello stesso monastero.

17. Quale debba essere la consuetudine del saluto nei monasteri di uomini e donne.

18. Siano ricevuti nel monastero solo coloro che si sono completamente spogliati di tutti i loro averi.

19. Cosa debbano osservare in monastero coloro che hanno commesso gravi crimini nel mondo.

20. Cosa si debba fare con i monaci che per vizi propri si dileguano dal proprio monastero.

Finiscono i capitoli

 

INIZIA LA REGOLA DI SAN FRUTTUOSO

 

Capitolo 1. Nessuno presuma di istituire monasteri di propria iniziativa, a meno che non sia stata consultata la congregazione generale e che il vescovo l’abbia confermato, in conformità con i canoni e la Regola.

Alcuni sono abituati, per paura della Gehenna, a fondare monasteri all'interno delle loro case ed a unirsi insieme, ai sensi di un giuramento, con le mogli, i figli, gli schiavi ed i vicini, e, come abbiamo detto, a consacrare per sé stessi chiese nei propri possedimenti col nome di martiri ed a chiamarli falsamente monasteri. Noi questi non li riteniamo monasteri, ma perdizione delle anime e sovvertimento della Chiesa. Da qui sono sorti scismi ed eresie e grandi controversie tra i monasteri. Eresia è così chiamata perché ognuno sceglie quello che preferisce fare; ciò che sceglie lo considera sacro e lo difende con parole menzognere. Quando si incontrano tali persone, si devono considerare ipocriti ed eretici, piuttosto che monaci. Noi speriamo, ardentemente imploriamo la vostra rettitudine ed ordiniamo di non conversare con costoro e di non imitarli. Perché vivono secondo le proprie regole, non vogliono essere soggetti a nessuno degli anziani e non donano nessuno dei propri beni ai poveri ma, anzi, come se fossero poveri, si affrettano ad impadronirsi delle sostanze altrui in modo che, con le loro mogli e figli, possano trarne profitto maggiore di quando erano nel mondo. Così facendo, non mostrano alcuna preoccupazione per la perdizione delle loro anime, in modo da raccogliere i vantaggi non delle loro anime, ma dei loro corpi ed ancora di più rispetto agli uomini del mondo. Essi si affliggono per i loro familiari come lupi e, di giorno in giorno, non piangono i propri peccati passati. Scandalosamente ansimano sempre con passione per il guadagno e non si preoccupano per la punizione futura, essendo troppo profondamente preoccupati per come nutrire mogli e figli. Con gravi litigi e disaccordi si separano da quei vicini a cui erano stati precedentemente legati da giuramenti e tentano, non con semplicità, ma con biasimo, di portarsi via l’un l’altro quelle proprietà che in precedenza avevano messo in comune e gestito in una fittizia carità. Se rilevano una qualche debolezza in alcuni di essi cercano l'aiuto dei parenti che hanno lasciato nel mondo e, con spade e bastoni e minacce, proprio all'inizio della loro vita religiosa trovano il modo di poterla infrangere. Dal momento che sono volgari e ignoranti, vogliono che l’abate che li governa sia come loro, in modo che, qualunque strada prendano, possano fare con la sua benedizione tutto ciò che vogliono, possano dire quello che vogliono, possano giudicare gli altri in modo impulsivo e possano lacerare i servi di Cristo come con denti di cani; tutto questo lo fanno per stare in unione con i secolari e con le idee di questo mondo, insieme col mondo amano gli amanti del mondo e, immondi come sono, periscono con il mondo. Costoro spesso invitano gli altri a vivere nella stessa maniera, causando scandalo alle loro fragili menti. Di tali persone il Signore dice nel Vangelo: "Guardatevi dai falsi profeti, che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci! Dai loro frutti li riconoscerete, perchè un albero cattivo non può produrre frutti buoni” (Mt 7,15-16:18). Dai loro frutti, che significa le loro opere; dalle loro foglie, le loro parole. Così che, per poterli conoscere dalle loro opere, potete valutare le loro parole perché, quando hanno il volto illuminato dalla torcia della cupidigia, non possono essere paragonati con i poveri di Cristo. I poveri in Cristo hanno questa consuetudine, di non desiderare di avere niente in questo mondo per poter perfettamente amare Dio ed il prossimo. Ed al fine di sfuggire ai lupi di cui sopra, hanno ascoltato la parola del Signore che dice: "Ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca" (Lc 10,3-4). Di conseguenza, il servo di Cristo, che vuole essere un vero discepolo, spogliato di tutto sale sulla croce nudo, affinché egli possa essere morto al mondo, ma vivo in Cristo crocifisso. E, dopo aver deposto il peso del suo corpo ed aver visto i nemici uccisi, allora saprà di aver conquistato il mondo e di aver raggiunto un trionfo alla pari con quello dei santi martiri.

 

Capitolo 2. I presbiteri secolari non devono costruire monasteri nei loro poderi senza il permesso di un vescovo che vive secondo la regola o senza un consiglio dei santi Padri.

Alcuni presbiteri sono soliti simulare la santità, non per la vita eterna, ma per servire la Chiesa per amore di beni terreni; e con il pretesto di santità, di perseguire i profitti delle ricchezza. E cercano di costruire i cosiddetti monasteri, non perché siano stati suscitati dall'amore di Cristo, ma dalle lusinghe del popolo volgare, nella paura di perdere le loro decime o di perdere altro guadagni. Questo lo fanno non alla maniera degli apostoli, ma secondo quella di Anania e Safira. Di costoro il beato Girolamo dice: "Non hanno distribuito i propri beni ai poveri, né hanno vissuto una vita laboriosa nel monastero; non hanno deplorato il loro modo di vivere al fine di correggerlo grazie ad una costante meditazione. Non hanno pianto, non hanno trattato i loro corpi con la cenere e con il cilicio; non hanno predicato la penitenza ai peccatori per poter dire con Giovanni Battista: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!” (Mt 3,2); essi non hanno imitato Cristo che ha detto: “Non sono venuto per farmi servire, ma per servire” (Mt 20,28, e: “Non sono venuto per fare la mia volontà, ma quella del Padre” (Gv 6,38).   E quando questi uomini passano da un seggio ad uno più elevato - voglio dire, a causa del loro orgoglio - vogliono essere a capo dei fratelli, invece di aiutarli; e mentre conservano con apprensione i loro averi, desiderano ciò che altri hanno, proprio perché non vogliono condividerli; ed inoltre predicano ciò che loro stessi non praticano, ma praticano uno stile di vita comune con i principi mondani, con i principi della terra e con il popolo; quali discepoli dell'Anticristo, abbaiano contro la Chiesa, costruiscono arieti e con tali macchine la attaccano ma, quando vengono in mezzo a noi con la testa abbassata e con passo leggero, simulano santità. Questi sono ipocriti, che sono una cosa ma ne sembrano un’altra, in modo che gli sciocchi che li vedono li imitano. Essi sono ladri e briganti, secondo le parole del Signore, che entrano non dalla porta, che è Cristo ma, dopo aver spaccato la parete della Chiesa, entrano in fretta attraverso il muro (Gv 10,1-8); e se uno qualsiasi dei fedeli desidera vivere rettamente, gli erigeranno contro più ostacoli che possono, invece di aiutarlo. Di costoro il Signore dice: "Guai a voi, scribi e farisei, ciechi ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti alla gente; di fatto non entrate voi, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrare" (Mt 23,13). Costoro, così come sono soddisfatti dei loro guadagni, lo sono anche delle nostre perdite; creano con ogni sforzo cose false, che non hanno mai udito, contro di noi e le diffondono, ed asseriscono come giustificazione, annunciandole pubblicamente come se ci avessero sorpresi in flagranza, cose che noi sappiamo bene di non aver fatto; e quelli che hanno lasciato il monastero per i loro peccati, sono ricevuti dai medesimi con un'ovazione, vengono protetti e difesi; e poiché la maggior parte dei nostri detrattori sono disertori di monasteri, li onorano altamente e – ciò che mi vergogno di dire – sono colmati di onori. Quando li vedrete, mostrate loro avversione piuttosto che vicinanza, perché di costoro dice il Profeta: " Quanto odio, Signore, quelli che ti odiano! ... Li odio con odio implacabile, li considero miei nemici" (Sal 139 (138), 21-22).

 

Capitolo 3. Chi dovrebbe essere eletto abate di un monastero.

Prima di tutto occorre prevedere un abate fortificato dalle pratiche di una vita santa; che non sia un novizio di conversione ma che, per un lungo periodo di tempo, sia stato messo alla prova lavorando duramente in monastero sotto un abate ed in mezzo a molti fratelli e che non abbia eredità nel mondo; ma che sia un vero e proprio Levita in tutto Israele senza una quota nella terra di promessa (Gs 14,3), in modo che egli possa liberamente dire con il profeta: "Il Signore è mia parte di eredità" (Sal 15,5); a tal punto che egli bandisce completamente dal suo cuore ogni motivo di litigio e, se è possibile, non contenda con gli uomini in tribunale in nessuna circostanza; ma, se qualcuno lo incita e gli porta via la tunica per farlo competere, subito, secondo la parola del Signore, gli lasci anche il mantello (Mt 5,40). Se poi si presentasse un nemico del monastero e cercasse di portar via qualcosa da esso anche con l’uso della violenza, l'abate deve incaricare del fatto un laico, che sia un cristiano dei più fedeli, lodato per la sua buona vita e non screditato da una cattiva fama; costui deve giudicare e informarsi senza peccato sui beni del monastero e, se ci fosse bisogno di giuramento, egli agisca senza giuramento e senza vendetta; ed egli proceda in modo tale da vedere non solo l'interesse del monastero, ma al fine di rendere il persecutore umile e incline a chiedere perdono. Ma se il denunciante persevererà nella sua ostinazione e amerà più i guadagni materiali della propria anima, allora il patrocinatore della causa deve abbandonare immediatamente il caso. Un abate non deve mai provocare liti e, non covando più nessun rancore, deve vivere una vita semplice nel suo monastero con i suoi monaci e non si permetta per nessun motivo di avere contenziosi con gli uomini del mondo.

 

Capitolo 4. Quali monaci sono da ricevere nel monastero.

I monaci che chiedono di entrare in monastero col pretesto della professione religiosa devono, in primo luogo, vivere al di fuori della porta per tre giorni e tre notti e devono essere continuamente rimproverati dai monaci incaricati ogni settimana. Dopo questo tempo venga loro chiesto se sono liberi o schiavi. Se sono schiavi, non possono essere ricevuti a meno che non portino con sé la prova che la libertà è stata concessa dai loro padroni; per il resto, che siano liberi o schiavi, ricchi o poveri, sposati o celibi, sciocchi o saggi, rozzi o addestrati, giovani o vecchi, chiunque essi siano, devono essere attentamente interrogati sul fatto che la loro rinuncia sia retta o meno e se proprio hanno fatto tutto ciò che hanno sentito dalle parole di verità nel Vangelo, che dice: " Chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo" (Lc 14,33). È il caso del giovane ricco che si vantava di aver adempiuto a tutti i comandi della legge, al quale il Signore ha detto: " Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; e vieni! Seguimi!" (Mt 19,21). Ancora una volta il Signore gli dice: "Chi vuole essere perfetto? Chi come gli apostoli abbandonerà suo padre e sua madre, le sue reti e la barca " (Mt 19,39). Colui che ha detto" tutto " comandò di non riservarsi niente per uso proprio ed ha dato tutti i suoi beni, non ad una persona in particolare, ma ai poveri in Cristo; e non li diede al padre, né alla madre, né al fratello, né al suo vicino, né al congiunto, né al figlio adottivo, né alla moglie, né ai figli, né alla Chiesa, né ai principi della terra, né ai servi, ad eccezione di confermarli in libertà. A condizione che, come abbiamo prima detto, gli sia stata chiesta (la conferma) ed allora sia ammesso al rango più basso. Ma se lascerà ad uno di coloro di cui abbiamo parlato prima, secondo gli usi della pietà, per falsa rinuncia, anche solo una moneta, comandiamo che sia buttato fuori subito, poiché lo vediamo non nel numero degli apostoli, ma piuttosto un seguace di Anania e Safira. Sappiate che costui non può giungere fino alla misura di un monaco in monastero, né discendere alla povertà di Cristo, né acquisire l'umiltà, né essere obbediente, né rimanere per sempre in monastero; ma, quando gli si presenterà qualche occasione di essere rimproverato o corretto dall'abate del suo monastero per qualsiasi causa, egli si innalzerà subito con orgoglio e, gonfiato con la debolezza di spirito, fuggirà e lascerà il monastero.

 

Capitolo 5.

In che misura i monaci debbano essere soggetti a loro abate.

I monaci devono obbedire ai precetti dei loro superiori come Cristo fu obbediente al Padre fino alla morte; se faranno altrimenti, sappiano che hanno perso la via che stavano cercando. Nessuno marcia verso Cristo se non per mezzo di Cristo. Di conseguenza i monaci devono adottare modi di vivere tali per cui non possano in alcun modo deviare dal retto cammino. Prima di tutto devono imparare a vincere le proprie volontà e non fare nulla secondo il proprio arbitrio, nemmeno la più piccola cosa; a non dire nulla, a meno che non vengano interpellati, a cacciare con il digiuno e la preghiera i pensieri che nascono di giorno in giorno, ed a non nascondere alcuna cosa al proprio abate. E qualunque cosa facciano la devono fare senza mormorare, per timore che con le loro lamentele, non sia mai, periscano a causa di quella sentenza per la quale perirono coloro che mormoravano nel deserto (Nm 16,41-49). Quelli nel deserto perirono mangiando la manna, mentre questi mormoratori muoiono nel monastero recitando le Scritture. Quelli sono morti pur mangiando la manna, mentre questi, pur leggendo ed ascoltando le Scritture, muoiono ogni giorno di fame spirituale. Quelli, mormorando, non entrarono nella terra promessa, mentre questi, mormorando, non entreranno nella terra promessa del Paradiso. Che terribile sventura uscire dall'Egitto, aver attraversato il mare, aver suonato il tamburello con Mosè e Maria (sorella di Aronne), dopo che il Faraone è stato sommerso (Es 15,1-20), aver mangiato la manna e tuttavia non essere entrati nella terra promessa; quanto maggiore la sfortuna di uscire dall'Egitto di questo mondo, di passare ogni giorno attraverso il mare del battesimo con l'amarezza della penitenza, di battere sul timpano, cioè crocifiggere la carne con Cristo, di mangiare la manna che è grazia celeste e tuttavia non entrare nel territorio del regno dei cieli. Occorre temere, dunque, fratelli carissimi, e pensare e meditare in anticipo quale via devono seguire coloro che desiderano andare a Cristo per mezzo di Cristo. Essi devono ascoltare serenamente ciò che devono osservare: siano obbedienti all'abate fino alla morte, a tal punto da non fare assolutamente la propria volontà, ma quella del Padre. Nulla è così caro a Dio, quanto lo spezzare la propria volontà. Perciò Pietro dice: "Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne avremo?” Non ha solo detto: "Noi abbiamo lasciato tutto: che cosa dunque ne avremo?", ma ha anche aggiunto: "Noi ti abbiamo seguito" (Mt 19,27). Molti rinunciano a tutto, ma non seguono il Signore. Perché? Perché seguono la propria volontà, non quella del Padre. Chi, dunque, vuole trovare la via stretta ed angusta, e continuare su di essa senza inciampare e percorrendola non perderla, e non perdendola giungere a Cristo, impari in primo luogo a superare la propria volontà ed a non soddisfare per nulla i desideri del proprio corpo ed a perseverare fino alla fine della vita in obbedienza al Padre. Tale è la via stretta ed angusta che conduce alla vita.

 

Capitolo 6. In che modo gli uomini con le mogli ed i figli debbano vivere senza pericolo in monastero.

Quando qualcuno giungesse con moglie o figli piccoli, minori di sette anni, piacque alla santa regola comune di stabilire che sia i genitori che i figli si consegnino all’autorità dell'abate, il quale spieghi loro, con ogni sollecitudine, quali regole devono ragionevolmente rispettare. Prima di tutto, essi non possono disporre del proprio corpo, né si preoccupino del cibo o dei vestiti: neppure presumano di mantenere in loro possesso le ricchezze od i possedimenti che hanno lasciato; vivranno invece soggetti al monastero come ospiti e pellegrini; i genitori non siano preoccupati per i loro figli, né i figli per i genitori. Essi non possono conversare insieme, se non con il consenso del priore. Per quanto riguarda i bambini più piccoli, tuttavia, che ancora si intrattengono coi giochi, per un senso di compassione si conceda che vadano dal loro padre o dalla madre quando lo desiderano, per timore che i genitori cadano nel vizio della mormorazione per causa loro; poiché spesso c’è molta mormorazione in monastero per questo motivo. Lasciate che i bambini siano allevati da entrambi i genitori fino a quando conosceranno un po’ la Regola; e siano istruiti continuamente in modo che sia i bambini che le bambine siano attratti verso il monastero dove andranno a vivere. E ora, se Dio ci concede opportunità, presentiamo una maniera semplice su come gli stessi bambini siano nutriti nel monastero. Sia scelto un cellerario che sia provato in bontà e pazienza, eletto dall'assemblea comune, esonerato da tutti i compiti di servizio del monastero e dalla cucina, in modo che possa sempre occuparsi della dispensa riservata ai bambini, agli anziani, ai malati ed agli ospiti. E se la congregazione è sufficientemente grande, un monaco più giovane può essere dato a lui per aiutarlo nel suo servizio, in modo che i bambini possano essere riuniti sotto la sua direzione e possano ricevere il loro cibo in orari opportuni. Dalla santa Pasqua fino al 24 settembre, possono mangiare quattro volte al giorno. Dal 24 settembre al 1° dicembre, per tre volte e dal 1° dicembre a santa Pasqua, lo stabilisca lo stesso cellerario. Ma i bambini devono essere istruiti affinché non mettano nulla in bocca, senza una benedizione ed il permesso; e questi stessi bambini dispongano di un decano, che li conosca meglio e che osservi la Regola nei loro confronti; da lui devono essere sempre ammoniti a non fare o dire qualcosa che non sia in conformità con la regola, affinché non siano sorpresi a mentire, rubare, od a giurare il falso. Se saranno sorpresi in una di queste mancanze, devono essere subito corretti dal loro stesso decano con una verga. Lo stesso cellerario deve lavare loro i piedi e gli abiti, ed insegni loro con tutta la dovuta attenzione come avanzare nella santità, affinché (lui stesso) riceva la piena ricompensa dal Signore ed ascolti le parole della Verità che dice: "Lasciateli, non impedite che i bambini vengano a me; a chi è come loro, infatti, appartiene il regno dei cieli" (Mt 19,14).

 

Capitolo 7. In che modo ci si debba prendere cura dei malati nel monastero.

Coloro che sono malati di una qualsiasi malattia risiedano in una camera singola e siano affidati alla cura di uno che vi sia adatto; ed essi siano assistiti in modo che non desiderino l'affetto dei loro parenti, né le lusinghe dei beni materiali, ma siano il cellerario ed il preposito a fornire tutto il necessario. I malati, tuttavia, siano ammoniti con tanta sollecitudine affinché dalle loro bocche non esca la benché minima e lieve parola di mormorazione, ma invece nella loro malattia offrano sempre grazie a Dio, di continuo, con spirito sereno, abbandonata ogni occasione di mormorazione e con sincera compunzione di cuore; ed il fratello che li serve non osi offenderli in alcun modo. Ma se qualche sospetto di mormorazione dovesse uscire dalle loro bocche, come ho già detto, devono essere rimproverati dall'abate ed avvertiti di non commettere nessuna delle cose di cui sopra, in modo tale che colui al quale questo servizio è affidato non debba accusarli.

 

Capitolo 8. In che modo gli anziani debbano essere regolamentati nel monastero.

Alcuni anziani novizi vengono regolarmente al monastero e sappiamo che molti di loro promettono l’osservanza del patto costretti dal bisogno della loro debolezza e non per professare la vita religiosa. Quando si scoprono alcuni così, devono essere rimproverati molto aspramente e, tra gli altri mezzi di correzione, non parlino se non interrogati. Costoro, infatti, hanno l’abitudine di non abbandonare mai i loro costumi precedenti e divagare in vane chiacchiere, come erano abituati in precedenza. Quando vengono eventualmente corretti da qualche fratello spirituale, hanno immediatamente scoppi di rabbia e, per lungo tempo sono tormentati dal morbo della tristezza e non cessano mai del tutto di covare rancore e malanimo. E poiché cadono in tali difetti così spesso ed in modo così prolungato, qualora la tristezza li lascia essi perdono, come d’abitudine, la loro moderazione nelle chiacchiere e nel ridere. Di conseguenza, essi devono essere ammessi nel monastero con tale precauzione, che non divaghino giorno e notte nel raccontare sciocchezze, ma si dedichino a singhiozzi e lacrime, nella cenere e nel cilicio, e con il cuore palpitante facciano penitenza per i loro peccati passati e, pentendosi, non ne commettano più. E se, quando peccarono, ebbero nel loro cuore perverso una cattiva intenzione, ora esprimano ancora più con gemiti una piena devozione. Dal momento che per settanta e più anni hanno profusamente peccato, è giusto che essi siano corretti da una severa penitenza, proprio come un medico incide più profondamente in una ferita quando più vede la carne putrida. Questi tali sono da correggere con una vera penitenza in modo tale che, se non la accettassero, siano puniti immediatamente con la scomunica. Se sono stati ammoniti quattordici volte e non si sono emendati da questo vizio, essi devono essere condotti all’assemblea degli anziani e là devono essere di nuovo esaminati. Se non permetteranno di farsi correggere, devono essere mandati via. D'altra parte, noi possiamo trattarli con compassione come si fa coi bambini e possiamo onorarli come genitori, se si comportano in modo tranquillo, semplice, umile, obbediente, se si dedicano alla preghiera deplorando i propri peccati tanto quanto quelli degli altri e se, sentendosi ogni giorno in pericolo di vita, mantengono sempre Cristo sulle labbra; se non stanno inattivi avendone la forza e se si fanno guidare dai superiori, piuttosto che dalla loro volontà; se rinunciano completamente agli affetti familiari, dando tutto quello che hanno ai poveri di Cristo, piuttosto che ai loro parenti, non tenendo nulla per sé; se conservano con tutto lo spirito e con tutta la forza l’amore di Dio e del prossimo e meditano, giorno e notte, sulla legge del Signore. Essi possono essere esentati dal lavoro al mulino, dai turni di cucina e, stando tranquilli, siano esentati dal lavoro nei campi e da lavori pesanti; si assegnino loro solo alcuni dei compiti più leggeri, per timore che la loro stanca età si interrompa prima del tempo. Il cibo di cui si nutrono sia appositamente cucinato morbido e tenero da parte degli addetti settimanali e si offra loro, a causa della loro debolezza, una moderata quantità di carne e vino. Tutti si riuniscano a mangiare in un unico tavolo e tutti si ristorino con lo stesso cibo e con la stessa bevanda. Siano offerti loro indumenti e scarpe in modo tale che siano protetti dalla rigidità del freddo anche senza l'uso del fuoco.

 

Capitolo 9. Come devono vivere coloro a cui sono state assegnate le greggi del monastero.

Coloro che accettano l'incarico di assistere le greggi del monastero devono essere molto attenti, in modo da evitare che esse danneggino le colture di qualcuno e le osservino con tanta cura ed accortezza affinché non siano divorate dalle belve. Inoltre le greggi devono essere tenute lontane da abissi, da montagne rocciose e da impervie valli, in modo che non scivolino in un precipizio. Ma, se accadesse una qualsiasi delle negligenze sopracitate a causa della disattenzione o della pigrizia da parte dei pastori, essi immediatamente si gettino ai piedi dei loro anziani e, come se deplorassero grandi peccati, subiscano per un tempo considerevole la penitenza degna di una tale colpa, dopo la quale ritornino e chiedano umilmente perdono; oppure, se sono dei ragazzi, subiscano la loro correzione e punizione con la verga. Le greggi devono essere date in carica ad un monaco ben esperto, che è stato addestrato per questo tipo di lavoro mentre era nel mondo. Egli deve desiderare di custodire le greggi con tanta buona intenzione, da non pronunciare mai la minima mormorazione. A questo monaco siano affidati dei giovani, in varie occasioni, con i quali possa condividere il suo lavoro. A tal fine siano dati loro vestiti e calzature sufficienti. Un solo monaco, come abbiamo detto, è responsabile per questo servizio, in modo tale da non disturbare tutti i monaci del monastero. Alcuni di coloro che custodiscono le greggi sono abituati a lamentarsi ed a pensare che non hanno alcun compenso per tale servizio, non facendosi vedere a pregare e lavorare nella comunità. Costoro ascoltino ciò che dicono le regole dei Padri e nel silenzio riflettano su di loro e smentiscano se stessi, riconoscendo gli esempi dei Padri antichi. Poiché i patriarchi (biblici) pascolarono le greggi, Pietro svolgeva le funzioni di un pescatore, Giuseppe il Giusto, a cui era promessa sposa la Vergine Maria, era un artigiano del legno. Di conseguenza, costoro non devono disprezzare le pecore che sono state loro assegnate, perché essi raccoglieranno poi non uno ma molti premi. Grazie a loro i giovani sono ristorati, i vecchi sono nutriti, i prigionieri sono redenti, gli ospiti ed i pellegrini sono accolti. Inoltre, la maggior parte dei monasteri non avrebbe abbastanza cibo per tre mesi, se esistesse solo il pane quotidiano in questa provincia che richiede più lavoro sul suolo di qualsiasi altra terra. Pertanto, colui al quale viene assegnato questo compito dovrebbe obbedire felicemente e dovrebbe credere fermamente che la sua obbedienza lo libera da ogni pericolo e prepara per lui una grande ricompensa davanti a Dio, proprio come il disobbediente soffre la perdita della sua anima.

 

Capitolo 10. Cosa debbano osservare gli abati.

Prima di tutto, gli abati devono osservare le ore canoniche, cioè Prima, quando gli operai vengono inviati alla vigna; Terza, quando lo Spirito Santo discese sugli apostoli; Sesta, quando il Signore salì sulla croce; Nona, quando emise lo Spirito; Vespri, quando Davide cantò: "Le mie mani stiano alzate come sacrificio della sera" (Sal 140,2); la Mezzanotte, perché a quell'ora si alzò un grido: "Ecco lo sposo! Andategli incontro!" (Mt 25,6), affinché nell'ora in cui (il Signore) verrà per il giudizio possa trovarci non dormienti, ma vigilanti; il Canto del gallo, l'Alba, quando Cristo risuscitò dai morti. Queste ore canoniche la Chiesa cattolica o universale celebra incessantemente dall'Oriente all'Occidente. Di conseguenza, gli abati devono celebrarle in ogni monastero con piena attenzione della mente, con pianto e contrizione del cuore, eliminando ogni necessità di lavoro o di viaggio, insieme con l'intera congregazione di monaci. Quando sarà loro assolutamente necessario viaggiare e si renderanno conto che i tempi di queste ore sono arrivati, immediatamente si prostreranno a terra e cercheranno umilmente l'indulgenza dal Signore. Non esitino a pregare nelle loro ore particolari, cioè seconda, quarta, quinta, settima, ottava, decima e undicesima, in quanto sette e otto sono in armonia con le parole di Salomone: "Fanne sette o otto parti" (Qo 11,2), in modo che possano essere in grado di arrampicarsi attraverso la settiforme grazia dello Spirito e le otto beatitudini nel giorno della risurrezione, con passo senza ostacoli sulla scala di Giacobbe con i suoi quindici gradini verso la regione del paradiso, dove Cristo risplende dall'alto. In secondo luogo, all'inizio di ogni mese, gli abati di un distretto si riuniscano in un unico luogo e celebrino solennemente le litanie mensili e implorino l'aiuto del Signore a favore delle anime a loro affidate, nella speranza di rendere conto di se stessi a Dio in quel tremendo giudizio (che avverrà) con estesa verifica. Terzo, essi stabiliranno delle regole per la condotta della loro vita quotidiana e torneranno alle loro celle umiliati, come se fossero stati rimproverati dai loro giudici.

In quarto luogo riflettano sugli eventi passati dei Padri consultando i loro scritti, in modo da sapere da essi cosa debbano fare e abbiano la mente piena di occhi dentro e fuori, davanti e dietro (Cfr. Ap 4,6-8), in modo che, ciò che non accada, non cadano in qualche eresia e periscano. Per questo, dunque, in occasione della riunione generale dei fratelli, si comportino sempre con equa bilancia, così come nella distribuzione dei compiti, in modo che, ricordando il passato, prevedendo il futuro ed esaminando il presente, non subiscano gli stimoli delle eresie.

In quinto luogo, quando arrivano dei fratelli, degli ospiti e dei pellegrini stiano con loro in una sola tavola, poiché il Signore disse di loro: "Ero ospite e voi mi avete accolto" (Cfr. Mt 25,35).

In sesto luogo, gli abati devono avere questa abitudine: tenere radicalmente lontane la cupidigia e l'avidità. Se queste non fossero dei mali, l'Apostolo non avrebbe detto che sono un servire gli idoli (Cfr. Gal 4,9) e noi sappiamo come da questo veleno l'anima del monaco si infetti. E colui che sarà schiavo delle catene di una tale consuetudine non sarà assolutamente libero da nessun vizio e non sarà mai fermo nell'amore di Dio e del prossimo, poiché ciò che desideriamo di ciò che è nel mondo, senza dubbio lo invidiamo anche agli altri. Per questo motivo anche i santi Padri, pieni di Spirito Santo, al fine di amare perfettamente il Signore ed il prossimo, fecero in modo di non possedere nulla in questo mondo. E poiché non possiamo stare senza nulla, dobbiamo avere solo ciò che, se necessario, non ci dispiacerebbe restituire al prossimo che ne ha bisogno, senza mai permettere all'anima di raffreddarsi nell'amore di Dio e nel bene del prossimo; infatti, la vera voce della santa Chiesa elogia la potenza di questo amore quando, con le parole del Cantico dei Cantici, dice: "Forte come la morte è l'amore" (Ct 8,6). Infatti, l'amore viene paragonato alla forza della morte, poiché senza dubbio uccide completamente l'animo una volta sedotto dal piacere del mondo. Pertanto, gli abati devono essere tali da poter amare il Signore ed il prossimo in modo perfetto ed avere gli occhi liberi dalla cattiva concupiscenza di questo mondo, come li ebbe Adamo in paradiso prima della trasgressione.

 

11. Cosa debbano osservare i prepositi nel monastero.

I prepositi abbiano autorità su tutte le regole del monastero. Siano eletti come prepositi quelli con qualità tali per cui gli stessi abati riconoscono che con il loro aiuto possono essere sollevati dai pesi del loro incarico. Inoltre, gli abati considerino come proprio, riguardo al cibo ed all'abbigliamento, solo ciò che hanno ricevuto da coloro che li ripartiscono; eccetto il caso dell'arrivo di fratelli o per un bisogno legato ad una malattia, gli abati non osino mangiare cibi più delicati, se non quelli che mangiano i fratelli. Tutti i beni del monastero sono affidati ai prepositi per amministrarli; e se accade che uno dei servi chieda all'abate qualche alimento o, nel caso di qualsiasi altra necessità, provveda a ciò lo stesso preposito, in modo che l'abate non abbia nessun impegno, eccetto quelli sopra menzionati che lui deve adempiere con tutta l'attenzione (necessaria). Tuttavia, degli scomunicati se ne facciano carico sia l'abate che il preposito.

All'inizio di ogni mese (il preposito) faccia un resoconto all'abate di ciò che è stato speso il mese precedente e lo faccia con apprensione e semplicità e con vera umiltà di cuore, come se ne dovesse rendere conto a Dio. Ciò che fa lo sottoponga sempre alla decisione dell'abate; non presuma di fare nulla per proprio capriccio perché non gli capiti, non sia mai, di cadere nella malattia della vanità. Nella famiglia di Cristo, si presenti come un amministratore non prodigo ma discreto, come un organizzatore benevolo e molto onesto, mettendo in pratica la testimonianza evangelica del Signore che dice: "Chi è dunque il servo fidato e prudente, che il padrone ha messo a capo dei suoi domestici per dare loro il cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così! Davvero io vi dico: lo metterà a capo di tutti i suoi beni" (Mt 24,45-47).

 

12. Quali norme debbano osservare i decani.

I decani stabiliti sulle decanie si prendano così tanta cura dei fratelli che sono stati loro affidati e non facciano nulla di propria volontà. Non parlino se non interrogati, non facciano nulla a loro piacimento se non ne hanno ricevuto l'ordine: non vadano da nessuna parte se non hanno ricevuto il comando; rispettino gli anziani come se fossero i loro signori; li amino come i loro genitori e facciano ciò che chiedono loro. Siano persuasi che tutto ciò che essi comandano è vantaggioso per loro, se lo faranno senza mormorare, ma lietamente e silenziosamente, come disse Mosè: "Fa’ silenzio e ascolta, Israele!" (Dt 27,9). "Portate i pesi gli uni degli altri" (Gal 6,2), (disse l'Apostolo). E nessuno giudichi nessuno, nessuno calunni nessuno, perché sta scritto: "Tutti i calunniatori saranno sradicati". Nessuno riceva da un altro ciò che non ha, ed imparino gli uni dagli altri l'umiltà, la carità, la pazienza, il silenzio, la dolcezza. Mangino senza lamentele tutto ciò che verrà offerto loro e vestano ciò che hanno ricevuto. I fratelli non nascondano ai loro decani i pensieri avuti ogni giorno. I decani siano per loro proprio come delle guide e dei custodi, come se dovessero rendere conto di loro a Dio. Prevengano le negligenze di tutti ed abbiano la facoltà di correggere; e ciò che non saranno in grado di correggere, non esitino a comunicarlo al preposito. Con i prepositi facciano ciò con severità e ragionevolezza, in modo che non osino disturbare in alcun modo l'abate se non in ciò che non sono stati in grado di risolvere in fretta. Nel fare ciò ognuno abbia tanta umiltà nei confronti dell'altro da non offendersi l'un l'altro; ma piuttosto ognuno si senta responsabile dell'altro, cioè i più giovani verso i decani, i decani verso i prepositi, i prepositi verso gli abati, sostenendosi gli uni gli altri come fanno le pietre squadrate in un muro, come già prima testimonia l'Apostolo: "Portate i pesi gli uni degli altri; così adempirete la legge di Cristo" (Gal 6,2).

 

13. I giorni in cui i fratelli si raduneranno per l'assemblea.

Tutti i decani siano esortati dai loro prepositi affinché tutti i fratelli, dal più piccolo al più grande, la domenica si riuniscano in monastero nello stesso luogo. Così, prima della solenne celebrazione della messa, l'abate si informi con attenzione se qualcuno provi odio verso un altro, o se è ferito dal dardo della malizia, in tal modo che, prima o poi, faccia esplodere apertamente un morbo interiore sulla superficie della pelle e l'amarezza della mirra appaia con i frutti delle palme (Cfr. Sal 92 (91),13). Quindi, prima di tutto, gli abati con i loro prepositi e decani sottopongano ad esame se stessi ed esortino ugualmente i più giovani che sono loro sottomessi; in questi giorni rimuovano radicalmente dal loro cuore ogni lievito di malizia.

Alcuni sono soliti, per desiderio di dedizione, preoccuparsi delle loro mogli e figli, o anche di qualsiasi altro parente. Molti altri, tuttavia, che non si trovano in tali situazioni, sono inquieti per il cibo. Altri sono persino logorati dal morbo interiore della tristezza e divorati nell'intimo delle loro anime dall'avidità, come un vestito è divorato dalla tignola; costoro, per la debolezza causata dal loro stesso rancore, sprofondano nella disperazione. Altri, poi, sono infiammati spietatamente dallo spirito di fornicazione, e spesso, eccitati da questo stimolo della carne ed accecati nel loro occhio interiore, sono trascinati come prigionieri, legati dal vincolo della perdizione. Altri, ripieni dello spirito dell'acedia, desiderano dedicarsi all'ozio ed al sonno, inquietandosi con chiacchiere inutili e, ciò che è peggio, si propongono di lasciare il loro monastero. Altri sono trafitti in varie parti dalla freccia dell'orgoglio e della vanità; altri, difendendo altre cose e magnificando la loro situazione, non volendo assomigliare ai poveri di Cristo, cadono in questi pensieri vani e, come se non avessero ricevuto nulla da Dio, sono orgogliosi delle proprie forze e, non trovando chi li loda, precipitano se stessi nelle loro lodi. Uno afferma di essere superiore per la sua genealogia e discendenza, un altro per i suoi genitori, un altro per i suoi fratelli, un altro per i suoi parenti, un altro per i suoi cugini, per i suoi consanguinei e per i luoghi opportuni di provenienza, un altro per la sua ricchezza, un altro per l'aspetto della sua giovinezza, un altro per la sua forza guerresca, un altro per i suoi viaggi in diversi paesi, un altro per i suoi mestieri, un altro per la suoi saggezza, un altro per la sua efficace eloquenza, un altro per il suo silenzio, un altro per la sua umiltà, un altro per la sua carità, un altro per la sua generosità nel dare, un altro per la sua castità, un altro per la sua verginità , un altro per la sua povertà, un altro per la sua ascesi, un altro per la sua costanza nella preghiera, un altro per la sua vigilanza, un altro per la sua obbedienza, un altro per la sua rinuncia alla proprietà, un altro per la sua capacità di leggere, un altro per la sua capacità di scrivere, un altro per l'armonia della voce.

Tutte queste cose sopra menzionate, ogni volta che qualcuno le dichiara senza aver ricevuto l'ordine e senza moderazione, altrettante volte cadono nell'orgoglio della vanagloria e, per quella stessa malattia, mentre si sforzano di attribuirsi ciò che affermano, precipitano nell'orgoglio. Per questo motivo, siamo comandati ad essere di continuo presenti alle assemblee dei fratelli, di non lasciare passare più di sette giorni (tra l'una e l'altra assemblea) e di correggerci ogni domenica dai comportamenti e dai vizi del passato. E se qualcuno fosse scoperto in uno di loro, deve combattere contro lo stesso vizio contro cui riconosce di dover combattere. E se per caso fosse ripreso dagli altri, deve ammettere ciò che sta soffrendo senza vergognarsi.

E se non farà assolutamente ciò, non ritenga di essere sfuggito al diavolo e neppure si consideri vincitore, ma vinto. Se lo manifesterà (agli altri) e si correggerà facendo penitenza e subendo le punizioni, all'istante farà cadere il nemico nella fossa e lo abbatterà.

 

14. Come gli abati devono prendersi cura degli scomunicati.

Quando qualcuno viene scomunicato per qualche colpa, venga mandato da solo in una cella buia ed alimentato solo di pane ed acqua, così che, la sera, dopo la cena dei fratelli, riceva mezza pagnotta e dell'acqua, ma non a sazietà, sui quali l'abate soffierà, ma non pronuncerà la benedizione. (Il fratello scomunicato) sieda senza alcun conforto e senza parlare, se non con chi l'autorità dell'abate o del preposito avrà ordinato di parlare con lui.

Colui che è stato scomunicato esegua il lavoro del monastero vestito con un abito raso o di cilicio, seminudo e scalzo. Se la sua scomunica è di due o tre giorni, il superiore che lo ha scomunicato invii uno degli anziani, che sia ritenuto affidabile, che lo rimproveri con parole oltraggiose, dicendogli che non è venuto per l'opportunità di condurre la vita religiosa, né per amore di Cristo, né per paura dell'inferno, ma per disturbare i fratelli più semplici. Se sopporterà pazientemente queste cose e se nessuna parola di rabbia o di mormorazione uscirà dalla sua bocca, allora la semplicità della sua anima e la sua umiltà saranno chiare; e chi lo biasimava, senza cambiare discorso con lui, riferisca all'abate (il cambiamento) che prima aveva visto in lui. L'abate, tuttavia, consideri con attenzione e con prudenza se mai quegli ha una vera o falsa pazienza, in virtù della quale possa essere riconciliato con la carità dei fratelli. Quindi, di nuovo, gli invii un fratello anziano provato in virtù per rimproverarlo; costui non creda facilmente a ciò che sente all'inizio. E quando si farà così per la terza volta, e colui che è stato scomunicato e rimproverato con una simile ingiuria, persevererà nella pazienza che aveva prima promesso, l'abate valuti ciò con tre testimoni e, dopo di ciò, ordini che venga portato fuori e, postolo davanti a sé, lo rimproveri davanti all'assemblea dei fratelli. Dopo che sarà stato messo alla prova per la quarta volta, sarà provato nell'umiltà e sarà stato trovato forte come il ferro, lo si lasci entrare in chiesa e, tenendo la cintura con le mani, si prostri con le lacrime ai piedi dell'abate e dei fratelli. E, affrettandosi a mettersi in ginocchio con singhiozzi e gemiti, meriterà di ricevere il perdono di tutti, e sarà ammonito a non compiere più atti di cui si debba pentire; dopo di ciò, riceva il bacio dall'abate e venga di nuovo accolto nel suo ruolo.

Se, come abbiamo prima detto, qualcuno che è stato scomunicato si dimostra pieno di lamentele e mormorazioni quando viene interrogato per la prima volta e difende con orgoglio e in modo inopportuno le sue dichiarazioni, se il superiore si rende chiaramente conto di ciò, quegli sia scomunicato per altri tre giorni e nessuno parli con lui. Se il terzo giorno viene interrogato ed è ancora trovato superbo come abbiamo detto, stia rinchiuso in prigione finché non rinnegherà tutta l'arroganza della sua superbia. E se continuerà a perseverare ostinatamente nell'errore e non vorrà fare penitenza di propria volontà ma, ripetutamente e palesemente, si comporterà da arrogante e da mormoratore davanti al superiore ed ai suoi fratelli, e proverà a difendersi con l'aiuto dei suoi parenti, sia condotto all'assemblea (dei fratelli) e, spogliato degli abiti del monastero, indossi quelli del mondo che un tempo aveva portato con sé e, con tale marchio di vergogna, sia espulso dal monastero in modo che tutti gli altri si correggano; è sperabile che solo questo fratello che ha peccato sia corretto da questa punizione.

 

15. In che modo debbano essere custoditi i monasteri di uomini e donne.

La santa regola comune stabilì che i monaci non ardiscano vivere nello stesso monastero con le loro sorelle, né esigano di avere un oratorio comune, e neanche una singola stanza od un unico tetto, sebbene possano vivere insieme per una grave necessità, una volta eliminati tutti i pretesti di giustificazione (di un tale fatto).

I monaci osservino questa regola, vale a dire che non è loro permesso mangiare nello stesso posto o nello stesso refettorio con le sorelle che devono proteggere. Neppure facciano insieme il lavoro di cui sono stati incaricati ma, se si trovassero in uno stesso campo, mantengano i confini separati ed entrambi, come buoni guardiani, facciano ciò in un tale silenzio che nessuna delle parti parli con l'altra, eccetto solo per la recitazione e la modulazione del canto, ma ognuna delle due parti emetta gemiti e sospiri per conto suo. Essi devono avere tanta astuzia quanto il ladro notturno che è pronto ad uccidere Cristo nel nostro cuore e desidera annientare non i nostri corpi, ma le nostre anime.

Per cui, stabiliamo con prudenza questa regola, ovvero che nessun (fratello) parli da solo con una (sorella): se facessero ciò, sappiano di aver trasgredito le regole dei Padri e di aver piantato una freccia mortale nel loro cuore, indispensabile alla vita. A causa di ciò la vita del paradiso è persa e si ottiene la rovina con il tormento dell'inferno. Credetemi, non può rimanere con tutto il suo cuore con il Signore colui che sta spesso in compagnia di donne, dal momento che è attraverso una donna che il serpente, cioè il diavolo, ha vinto il nostro progenitore. E poiché non fu obbediente a Dio, ma al diavolo, sentì subito dopo la vendetta della carne. Ecco perché anche noi, che ne siamo i figli, proviamo questa passione, a causa della quale sappiamo che i nostri antenati sono stati privati delle gioie del paradiso. Dobbiamo quindi guardarci intorno, pregare costantemente e fuggire con tutte le nostre forze, in modo che i nostri sensi non siano catturati da questa trappola. Un fratello, dunque, non parli da solo con una sorella, anche se si incontrassero per strada; nessuna sorella venga inviata per un viaggio da sola, ma sia accompagnata da un'altra. E se qualcuno viene sorpreso a conversare da solo con una sorella nei casi sopra citati, sia esposto pubblicamente e percosso con cento colpi di verga. E colui che avesse in mente di fare queste cose sia ammonito con cautela, e se si comporterà impropriamente contro i precetti dei monaci e commetterà nuovamente questa colpa venga percosso con la verga una seconda volta e sia consegnato alla prigione; e se non vorrà fare penitenza, sia gettato fuori.

 

16. Quali fratelli debbano abitare con le sorelle nello stesso monastero.

Nel monastero delle sorelle ordiniamo che i monaci vivano lontani dalle celle: quelli che vi sono stati destinati siano pochi ed eccellenti, in modo che siano scelti i più affidabili tra molti e che, avendo trascorso lungo tempo nel monastero, vi sono invecchiati; costoro siano considerati affidabili per la loro vita di castità e non abbiano imperdonabili colpe che li facciano rimanere fuori dalla Chiesa come scomunicati. Sono tali monaci che devono vivere nel monastero delle sorelle, affinché possano eseguire il loro incarico di carpentiere, preparare le stanze di accoglienza per i fratelli che arrivano e diventare una specie di guardiani di giovani uomini e donne. Le sorelle non abbiano nessuna licenza di uscire e, senza la benedizione dell'abate, non cerchino assolutamente alcuna occasione per dare il bacio (della pace) o di parlare con degli uomini; se faranno diversamente, siano sottoposte alla disciplina regolare.

 

17. Quale debba essere la consuetudine del saluto nei monasteri di uomini e donne.

Quando si presenterà l'occasione che, dai monasteri di uomini, qualcuno degli abati o dei monaci si rechino al monastero delle donne, noi suggeriamo che, come consuetudine, costoro non le salutino individualmente, ma siano per prima la badessa e poi tutta la comunità che vadano loro incontro per salutarli; diciamo questo per i monaci che vengono da lontano, non per quelli che vivono nelle regioni limitrofe. E quando arriverà il momento di tornare alle proprie celle, gli stessi monaci vengano ugualmente a salutare come prima, comunitariamente, la badessa con le sue sorelle. Ordiniamo che sia concesso il permesso di salutare queste due volte, entrando ed uscendo, ma non permettiamo che si faccia di più; e si faccia ciò con molto ritegno e prudenza, come se fosse presente fisicamente, come giudice, Cristo, Signore di entrambi e sposo delle sorelle. Geloso è Cristo e non vuole che la sua casa diventi "un mercato" (Cfr. Gv 2,16).

Del resto, ordiniamo in particolare di osservare questa usanza: se i fratelli e le sorelle si dovessero riunire nella stessa assemblea per ascoltare una buona parola, le sorelle non osino sedere accanto agli uomini, ma le persone dei due sessi siedano in cori separati. Inoltre, nessuno degli abati né dei fratelli ed in nessun luogo pretendano di offrire il bacio (della pace) ad un anziano (oppure "ad una sorella" secondo altri manoscritti. Ndt.) senza il permesso degli anziani e neanche volgere lo sguardo di proposito verso il petto delle sorelle; e neppure una sorella pretenda di mettere le mani sulla testa di un monaco o sulla sua veste per stirarla.

Se un monaco, proveniente da lontano o dal suo stesso monastero, si ammala, non pretenda di rimanere nel monastero delle sorelle, affinché non si ammali nell'anima quando il corpo guarirà. Come dice il Beato Girolamo, " È un serva pericolosa, se guardi sempre ciò che indossa (oppure "il suo volto". Ndt.)". Per questo motivo ordiniamo che tutti i monaci malati rimangano nel monastero maschile e che gli uomini non siano serviti né da madre o sorella o moglie o figlia o vicina di casa o estranea o serva o qualsiasi altra donna durante la loro malattia. Ma se poi accade che qualcuna delle donne sopra menzionate fosse inviata dalla badessa con delle bevande, essa non osi visitare il malato e neppure rimanere con lui, a meno che vi sia presente il fratello incaricato degli ammalati. Ordiniamo la stessa cosa per gli uomini (che visitano le donne ammalate). Nessuno confidi nella sua precedente castità, perché non potrà essere più santo di Davide o più saggio di Salomone, i cuori dei quali si depravarono a causa delle donne. Ed affinché nessuno presuma di potersi fidare della sua castità a causa della vicinanza di parentela, si ricordi che Tamar fu violentata dal fratello Amnon che simulava di essere malato (2 Sam 13,1-22).

Pertanto, i fratelli e le sorelle devono vivere così castamente in modo da poter offrire buona testimonianza non solo davanti a Dio, ma anche davanti agli uomini, e affinché diano un esempio di santità a tutti gli altri discepoli.

 

18. Siano ricevuti nel monastero solo coloro che si sono completamente spogliati di tutti i loro averi.

Abbiamo appreso che, in alcuni monasteri meno osservanti, sono entrati uomini che hanno portato con sé il loro capitale e più tardi, perdendo il loro fervore religioso, con grandi rimproveri l'hanno richiesto indietro e sono tornati al mondo come un cane al suo vomito: con l'aiuto dei loro parenti hanno estorto ciò che avevano portato con sé al monastero, hanno cercato il sostegno di giudici secolari e, con l'aiuto di magistrati, hanno distrutto i monasteri, in modo che vediamo molti uomini innocenti rovinati da un solo negligente. Pertanto, devono essere prese precauzioni estreme in anticipo ed ogni livello di discernimento deve essere impiegato per impedire che persone così vengano accolte, poiché vengono non per l'amore di Cristo ma spaventati dall'avvicinarsi della morte e costretti dal disagio dell'infermità fisica; non ispirati dal desiderio per il paradiso, ma semplicemente spaventati dalla punizione dell'inferno. Di costoro l'Apostolo dice: " Nell’amore non c’è timore, al contrario l’amore perfetto scaccia il timore, perché il timore suppone un castigo e chi teme non è perfetto nell’amore" (1 Gv 4,18). Essi non sono discepoli di Cristo e non devono essere ricercati nella Chiesa, ma devono essere considerati come membra dell'Anticristo: non sono abitanti nella terra di buone promesse "né veri Israeliti" (Gv 1,47), ma proseliti e stranieri venuti da lontano, non sono fedeli ai fratelli, né forti in battaglia. Nel Levitico, apprendiamo che il Signore li detestò e proibì loro di andare in guerra, dicendo: "C’è qualcuno che abbia paura e a cui venga meno il coraggio? Vada, torni a casa, perché il coraggio dei suoi fratelli non venga a mancare come il suo" (Dt 20,8). Di costoro la Verità dice nel Vangelo: "Difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli" (Mt 19,23). Egli non dovrà ricevere nulla dei suoi beni precedenti, nemmeno la più piccola moneta, nel monastero in cui cerca di entrare, ma dovrà, con le sue stesse mani, assegnare tutti i suoi beni ai poveri. E poi, una volta messo alla prova, egli sarà ricevuto nel monastero sotto la Regola e per un anno intero sarà appositamente messo alla prova dalle provocazioni di tutti i fratelli. E quando si sarà mostrato obbediente in tutte le cose, non molle di natura come il piombo, ma duro come l'acciaio nel perseverare, allora potrà togliersi le sue vesti mondane ed essere rivestito con i semplici indumenti del monastero; sia allora arruolato nel patto con i fratelli e viva tra i monaci, lui stesso un monaco che ha superato la prova.

 

Capitolo 19. Cosa debbano osservare in monastero coloro che hanno commesso gravi crimini nel mondo.

Prima di tutto, noi desideriamo che coloro che hanno commesso errori e peccati più gravi diventino sottomessi alla Regola sotto la responsabilità di un abate ben collaudato, lavorino con fatica nel monastero e rivelino tutti i loro peccati precedenti ad un anziano spirituale, proprio come fanno i malati ad un dottore e, dal momento che hanno peccato pubblicamente, si pentano pubblicamente e non commettano di nuovo atti di cui debbano pentirsi; mostrino il timore della punizione, l'amore per il Regno e sperino nella misericordia; e non disperino mai, perché è solo alla fine della vita che si compirà la giustificazione o la condanna. Perché sta scritto: "Il Signore giudicherà le estremità della terra" (1 Sam (1 Re) 2,10). Il Signore giustifica o condanna ogni uomo alla fine e considera l'esito di tutte le cose, così che nemmeno il peccatore, se geme fortemente (per i suoi peccati), debba disperare del perdono, e neppure il giusto possa confidare nella propria santità. Non serve a nulla essere trascinato giù dal trono, essere privato del potere reale, essere legato ai ferri e buttato in prigione oggi stesso; allo stesso modo non è di impedimento il fatto che uno venga rilasciato dal carcere e poi gli vengano concessi gli onori reali. Nessuno lo incolpa per lo squallore della sua prigione, ma lo elogia per le sue ammirevoli qualità. E così, non è di alcun vantaggio per l'uomo giusto vivere bene e porre fine alla sua vita male; ed allo stesso modo è un grande bene per un peccatore pentirsi, avendo vissuto male una volta, e finir bene, senza che nessuno lo accusi dei peccati di un tempo. Siamo sicuri che un giudice premi o condanni un uomo in base a come lo troverà alla fine. Anche se i suoi peccati sono grandi, per questo motivo non deve perdere la speranza della misericordia di Dio. Sappiamo con certezza che pubblicani e peccatori che non avevano precedenti meriti e che erano destinati alla dannazione secondo la Legge, sono stati redenti dalla gratuita misericordia di Dio dopo una breve penitenza. Nel loro caso, tuttavia, non è tanto il tempo quanto l'estensione del loro pentimento.

Di conseguenza, ognuno compia una penitenza degna della gravità dei suoi peccati, così che se un uomo sa di essere colpevole di un crimine è necessario, prima di tutto, giudicare quel crimine secondo il diritto canonico. Nella legge (civile) sta scritto che ogni colpevole che ha inferto un danno ad un altro o commesso un omicidio o ha causato una vendetta può avere la sua ammenda ridotta dal giudice, a discrezione del quale tale ammenda può essere ridotta rispetto all'originale grossa somma di denaro, per timore che qualche persona potente condanni colui che è oppresso e, chi è stato obbligato a pagare cento monete, abbia l'importo ridotto ad un terzo, come è previsto per i figli. Certamente, quando eravamo schiavi del peccato Dio ha avuto pietà di noi e siamo stati liberati dalla sua giustizia, sebbene non possedessimo nessun precedente merito; il debito del nostro peccato dipenderà dal giudizio del giudice molto misericordioso in proporzione agli innumerevoli nostri peccati. Noi sappiamo che Dio, di fronte al peso di cento peccati, contrappose un amministratore disonesto che ridusse il debito: di cento barili d'olio ne chiese ottanta, da cento misure di frumento ne chiese cinquanta e costui si accorse subito di essere lodato dal suo stesso padrone. (Cfr. Lc 16,1-8)

Ci sono diversi che entrano nel monastero e che, secondo i sacri canoni, sarebbero obbligati a fare penitenza fuori dalla Chiesa e ricevere la comunione solo alla fine della loro vita a causa dei loro innumerevoli peccati; noi, tuttavia, che abbiamo conosciuto la misericordia del Signore e, sebbene deboli, siamo stati consolati, riduciamo i molti anni (previsti per la penitenza) ad un breve numero, perché non periscano nella disperazione, oppressi da un'eccessiva tristezza, e concediamo la riconciliazione tanto più in fretta quanto più vediamo che sono profondamente immersi nella penitenza e nell'umiltà. Persino un medico permette al paziente di evitare un'operazione se pensa che costui possa essere curato con la medicina. Comandiamo che si offra loro del cibo che non ispiri un maggiore appetito, né abbatta troppo il corpo. Noi vietiamo che si dia loro della carne, della birra o del vino; ma se uno di questi alimenti sembra essere necessario a causa della debolezza o della vecchiaia avanzata, lasciamo la decisione al potere ed all'autorità dei superiori. Ordiniamo che si fornisca loro un indumenti di sacco da indossare, in modo che i peli ruvidi delle capre ricordino loro costantemente che stanno alla sinistra di Dio per essere giudicati per i loro peccati (Cfr. Mt 25,31-46). Ordiniamo che si allestisca il loro letto con una pelle o con una stuoia, che in latino si chiama storea, oppure, se non si possiede niente di ciò, con della paglia sottile, tranne che per coloro che sono deboli, per malattia o per età, in modo che gli abati possano decidere per il loro conforto. Le cose che abbiamo prima messo in evidenza vi servano a discernere quando qualcuno arriva alla vera salute morale con degna penitenza e non con finta umiltà. Amen.

 

Capitolo 20. Cosa si debba fare con i monaci che per vizi propri si dileguano dal proprio monastero.

Quando un monaco fugge per vizio proprio da un monastero, non deve essere accolto in un'altra comunità, né gli si mostri alcuna gentilezza o gli si conceda il bacio di pace, ma sia immediatamente riportato al proprio abate con le mani legate dietro la schiena. Se costui tornasse nel mondo e, con l'aiuto dei suoi parenti, montasse in superbia minacciando il monastero, allora, sia lui che loro siano espulsi pubblicamente dalle riunioni dei laici e siano scomunicati da ogni assembla di Cristiani. Se anche gli stessi (fedeli) laici lo accoglieranno nella loro comunione e con lui si infiammeranno d'odio contro il monastero, siano tutti cacciati dalla Chiesa per la vergogna e non abbiano nessun legame di amicizia con noi, fino a quando riconosceranno la verità, si metteranno dalla nostra parte e ripareranno le offese fatte alla Chiesa con una devozione uguale al loro odio precedente.

 Se gli apostati, scacciati da tutti, vagano qua e là inquieti e costantemente in movimento, e per assoluta necessità desiderano ritornare al loro monastero, siano portati in un'assemblea di anziani e messi alla prova come vasi da vasaio nella fornace; una volta provati, siano riportati al loro monastero, ma siedano nel grado più basso, non nel più alto.

Finisce la regola.

Finisce la regola di san Fruttuoso vescovo.


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7 ottobre 2018                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net