REGOLA DI CASSIANO

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(L'elenco dei capitoli è stato tradotto dal latino dal curatore del sito)

I. L’abito e la cintura del monaco. Come avere sempre i fianchi cinti ad imitazione di Elia, Eliseo, Giovanni e Paolo.

II. Le orazioni notturne ed il numero di dodici salmi come ci è stato rivelato da un angelo.

III. Quali siano le letture (dell’ufficio) nei giorni di sabato e domenica e nei cinquanta giorni (del tempo pasquale).

IV. Nei giorni prima nominati non ci si inginocchi e non si digiuni.

V. Il modo di pregare (durante l’ufficio).

VI. Il silenzio durante la preghiera.

VII. Come dividere la lettura dei salmi in più parti.

VIII. I salmi che hanno l’alleluia nel titolo.

IX. Dopo l’ufficio ognuno ritorni al proprio compito e continui a pregare per conto suo.

X. Dopo le vigilie non si ritorni a dormire.

XI. Il monaco incaricato di chiamare i fratelli ad alzarsi per l’orazione (notturna).

XII. Terminate le vigile nessuno osi rimanere con un altro, ma ciascuno torni al lavoro comandato dedicandosi alla meditazione dei salmi. Nessuno presuma di parlare o di prendere per mano un fratello.

XIII. Come deve essere giudicato chi ha l’ardire di fare ciò che è vietato (dalla regola).

XIV. Colui che viene sospeso dalla preghiera e chi (avrà la presunzione) di pregare con lui.

XV. La misura delle preghiere e l’esempio della dottrina della (triplice) confessione, sia nelle ore dei vespri che nell’ufficio del mattutino.

XVI. Quando suona il segnale (degli uffici) bisogna accorrere in fretta.

XVII. Chi arriva tardi all’orazione.

XVIII. La consueta refezione del sabato e dei giorni di festa e la semplice preghiera (prima e dopo) la cena.

XIX. La conversione del monaco: il postulante (rimanga) alla porta del monastero per dieci giorni.

XX. Si indaghi con diligenza se (il nuovo arrivato) non riservi per sé qualcosa dei suoi beni.

XXI. Con quale cautela il monastero dovrà accettare di ricevere denaro o altro da chi si è convertito.

XXII. Nessun monaco si compiaccia dei beni lasciati o dell’età (avanzata).

XXIII. L’ordine di lavorare e l’attività manuale.

XXIV. Chi viene accolto (in monastero) deve essere spogliato (dei beni) e l’abate deve assegnargli (quelli del monastero).

XXV. Occorre conservare gli abiti del novizio.

XXVI. La disobbedienza e la mormorazione.

XXVII. In che modo chi viene accolto debba essere affidato a chi si prende cura degli ospiti.

XXVIII. La sollecitudine che i decani devono avere nei confronti di chi è stato accolto da poco tempo e come (insegnare loro) a non fare la propria volontà.

XXIX. I giovani non devono nascondere nessun pensiero all’anziano.

XXX. Senza il permesso dell’anziano a nessuno è permesso di uscire dalla cella, né per soddisfare i comuni bisogni, né per compiere dei lavori.

XXXI. L’obbedienza del monaco che non deve giudicare niente di ciò che è stato ordinato di compiere.

XXXII. Al monaco non è consentito di possedere niente di proprio.

XXXIII. Nessuno si compiaccia della propria fatica e del proprio lavoro.

XXXIV. Nessuno tenga per sé una chiave e neppure infligga (i fratelli) con ira, furore ed ingiurie a causa di una qualunque pur piccola cosa.

XXXV. Nessuno si conceda del cibo al di fuori della mensa o dell’ora dei pasti.

XXXVI. Durante i pasti si leggano delle letture sante e occorre che i fratelli stiano in silenzio e tranquilli.

XXXVII. In che modo i settimanari devono svolgere i servizi di cucina e devono lavare i piedi (ai fratelli).

XXXVIII. I settimanari risponderanno davanti al Signore della sollecitudine e della cura (degli utensili).

XXXIX. Il giudizio riguardante le varie colpe.

XL. Coloro che non si sono ancora realizzati da giovani e che desiderano essere eletti come abati.

XLI. Esortazione ad un fratello che recentemente si è convertito.

XLII. (Il novizio) deve essere istruito riguardo ai dieci gradi delle buone opere.

XLIII. A quali umiliazioni dovrà sottostare chi rimane nel cenobio.


REGOLA DI CASSIANO

estratto da: "Regola monastiche d'occidente" a cura di Enzo Bianchi

- Einaudi Editore 2001

 

I. L'abito.

1. Anzitutto iniziamo trattando, con l'aiuto di Dio, dell'abito dei monaci.

2. Per prima cosa, è sufficiente che l'abito del monaco sia tale che, coprendo il corpo, eviti la vergogna della nudità e ripari dal rigore del freddo, senza alimentare nessuna occasione di vanità. 3. Esso sia così povero da non essere ritenuto elegante dagli altri fratelli nella vita monastica per il suo colore o per la sua particolare forma. Sia privo di ogni ricercatezza, di ogni elemento superfluo e di ogni cura eccessiva, in modo tale tuttavia che nessuno sia indecoroso per una sporcizia accumulata dovuta a trascuratezza o voluta. 4. Il vestito, infine, sia così alieno dall'eleganza di questo mondo da poter essere comune ai servi di Dio di ogni forma di vita monastica. 5. Tutto ciò, infatti, che fra i servi di Dio non è portato da tutti, ma è oggetto di presunzione da parte di uno o di pochi o è superfluo o è segno di orgoglio, e perciò deve essere ritenuto dannoso, in quanto manifestazione non di virtù, ma di vanità. 6. È questo il motivo per cui i nostri padri rifiutarono assolutamente un vestito fatto di peli di capra, poiché tutti lo avrebbero visto e lo avrebbero notato. Esso, inoltre, non solo non può recare nessun giovamento allo spirito, ma fa nascere la vanità dell'orgoglio e rende il monaco pigro e costantemente impedito, come incapace, di compiere il necessario lavoro. 7. E se udiamo o vediamo che alcuni fanno uso di tale veste o di qualsivoglia altri nuovi ornamenti, non per questo dobbiamo abbandonare gli antichi insegnamenti dei padri, poiché il parere di pochi non deve essere anteposto né deve pregiudicare ciò che tutti, con un consenso, hanno stabilito. 8. Noi, infatti, dobbiamo osservare in ogni cosa, senza esitare e senza metterle in discussione, non quelle regole che sono state introdotte dalla volontà di pochi, ma quelle che sono state stabilite fin da tempi molto antichi e dalla concorde volontà di un gran numero di santi. 9. Bisogna inoltre che il monaco, quale soldato di Cristo, sempre pronto per presentarsi in battaglia, possieda una cintura e resti incessantemente con i fianchi cinti di giorno e di notte, come leggiamo che Elia ed Eliseo, Giovanni e Paolo erano sempre cinti di una cintura. 10. Il fatto di avere i fianchi cinti, infatti, indica la continenza della castità, che non permette che in sé vi sia qualcosa sciolto da vincoli.

2. La salmodia e le letture degli uffici.

1. Nelle varie regioni si trovano molti che, seguendo il loro arbitrio e avendo sì zelo per Dio ma non, come dice l'Apostolo, secondo la scienza, hanno stabilito per sé diversi modi e regole di preghiera. 2. Alcuni, infatti, secondo i diversi luoghi hanno stabilito una diversa misura: chi di venti salmi, chi di cinquanta, chi di più e chi di meno, e sono in vigore, in merito, tante regole quasi quanti sono i diversi monasteri e le diverse celle che sono state edificate. 3. Ci rendiamo conto che nelle varie regioni è in uso tale diversità perché senza essere prima ammaestrati dagli insegnamenti degli antichi e senza conoscere l'ordine della disciplina, [molti] si affrettano a presiedere i monasteri e, essendo prima abati che discepoli, stabiliscono che sia osservato ciò che a loro piace, pronti più a esigere l'obbedienza alle loro fantasie che a osservare la comprovata dottrina degli antichi.

4. Per questo ci è sembrato necessario esporre apertamente l'antichissima usanza dei padri, che al nostro tempo viene praticata dai servi di Dio in tutto l'Egitto e in tutta la Tebaide e che in tutti i monasteri di quelle province perdura immutata da secoli fino ad oggi. 5. Tale regola della preghiera, infatti, è stata stabilita dagli antichi non in seguito a una decisione umana, ma perché sappiamo con certezza che ciò fu insegnato ai nostri padri dal cielo per rivelazione di un angelo.

6. Nei primi tempi della fede, infatti, erano pochi, anche se sperimentatissimi, coloro che erano chiamati con il nome di monaci. Essi avevano ricevuto dall'evangelista Marco - di beata memoria -, che per primo presiedette quale vescovo la città di Alessandria, la norma di questa vita. E poiché la perfezione della chiesa primitiva, ancora di recente memoria, rimaneva incorrotta presso coloro che le erano succeduti, e la fervente fede di pochi non si era ancora intiepidita disperdendosi nella moltitudine, allora i venerabili padri, provvedendo ai posteri con grande e vigile attenzione, si riunirono per decidere quale misura di preghiera quotidiana dovesse essere fissata per tutti i servi di Dio, poiché temevano che una qualche discordanza o una qualche diversità erronea o una qualche divisione spuntata fra gli uomini religiosi potesse trasmettersi all'epoca successiva.

7. Quando dunque i santi padri si radunarono insieme, ciascuno riteneva opportuno, il suo desiderio o secondo il fervore della sua fede, che venisse stabilita una misura di preghiera tale che non sarebbe stata possibile per la moltitudine dei fratelli, moltissimi dei quali, per di più, erano deboli. Alcuni padri, infatti, gareggiavano nello stabilire chi cinquanta salmi, chi sessanta, e molti un numero di salmi enormemente più grande, e vi era fra di loro una santa diversità che, per il fervore della fede, li contrapponeva nel fissare una regola per la preghiera. Quando, poi, tutti si furono seduti insieme, uno improvvisamente si alzò in mezzo a tutti per cantare i salmi al Signore.

8. E, secondo una consuetudine che si osserva ancora oggi nelle regioni dell'Egitto, tutti, seduti, tenevano interamente fissa l'attenzione del cuore alle parole di colui che cantava i salmi. Quando ebbe cantato undici salmi su una stessa melodia, con i versetti che si succedevano di seguito e i salmi divisi gli uni dagli altri dall'intervallo delle orazioni conclusive, ed ebbe terminato il dodicesimo con il versetto dell'alleluia, egli si sottrasse improvvisamente allo sguardo di tutti, offrendo cosi una regola a conclusione della questione sorta tra le diverse parti.

9. A cominciare da tale momento i venerabili padri, comprendendo che tale venerabile regola era stata manifestata per tutti i monaci dalla rivelazione di un angelo non senza il comando del Signore, stabilirono di osservare questo numero di dodici sia negli uffici vespertini sia in quelli notturni, aggiungendovi due letture, una dall'Antico e una dal Nuovo Testamento, consapevoli però che esse erano state aggiunte da loro come qualcosa in più per quanti, applicandosi a un'assidua meditazione, desiderano la memoria delle divine Scritture.

3. Ancora sulle letture dell'ufficio.

1. Nei giorni di sabato e di domenica, però, i suddetti padri comandarono che entrambe le letture fossero dal Nuovo Testamento, una dall'Apostolo o dagli Atti degli Apostoli, e una dai vangeli. 2. Analogamente, è stato stabilito che siano dal Nuovo Testamento per tutti i cinquanta giorni [del tempo pasquale].

4. Dal sabato alla domenica non ci si inginocchi e non si digiuni.

1. Allo stesso modo, inoltre, i decreti dei padri stabilirono che dai vespri del sabato, che aprono il giorno della domenica, fino ai vespri della stessa domenica e per tutti i cinquanta giorni [del tempo pasquale] non ci si inginocchiasse e che non si osservassero le regole del digiuno.

5. Le orazioni salmiche.

1. Le suddette orazioni, poi, iniziano e finiscono nel seguente modo: terminato il salmo, non ci si precipiti subito in ginocchio per l'orazione, ma prima di inginocchiarsi si trascorra un buon lasso di tempo in piedi nella preghiera di supplica. 2. Dopo ciò, gettatisi a terra per un tempo brevissimo solo per adorare la bontà divina, si alzino con la massima rapidità. 3. Tornati di nuovo in piedi, con le mani stese nello stesso modo in cui avevano pregato in piedi all'inizio indugino un poco nelle loro preghiere. 4. Il motivo, poi, per cui ci viene comandato di pregare nel modo suddetto, è che se pregassimo per lungo tempo rimanendo a terra saremmo attaccati molto pesantemente non solo dai nostri pensieri, ma anche dal sonno. 5. Molti, infatti, che non hanno coscienza di questo, quando ancora non è del tutto finito il salmo si affrettano a prostrarsi per la preghiera, pensando più al riposo del loro corpo stanco che all'utilità della preghiera. Essi preferiscono stare prostrati che non rimanere a lungo in ginocchio. 6. Quando poi colui che guida si alza dalla preghiera, anche tutti gli altri si alzino insieme. Ugualmente, nessuno abbia la presunzione di piegarsi per la preghiera prima di lui, in modo da non dare l’impressione che venga recitata non l'orazione di colui che presiede e che raccoglie la preghiera [di tutti], ma un'orazione privata.

6. Il silenzio durante la preghiera.

1. Coloro che si radunano per la preghiera devono fare lo stesso silenzio che si fa nel momento particolare in cui si è in ginocchio per recitare l'orazione:

 

2. allora, infatti, non si frammettono, a disturbare, sputi o raschiamenti di gola, non risuonano colpi di tosse, non si fanno, a bocca aperta e spalancata, sbadigli assonnati, non si emettono sospiri che infastidiscano altri, e tutto ciò perché non si oda altra voce se non quella del presbitero che conclude la preghiera, eccetto quei [gemiti] che possono essere emessi per un incontenibile fervore di compunzione, dato da un trasporto dello spirito.

3. Se poi qualcuno che si trova in uno stato di tiepidezza di spirito prega a voce alta o fa uscire dalla bocca raschiamenti di gola, sputi o qualcun'altra delle cose che abbiamo detto sopra, e soprattutto sbadigli, pecca due volte: 4. anzitutto perché è colpevole di offrire a Dio con negligenza la propria preghiera; e in secondo luogo perché con il suo rumore indisciplinato disturba lo stato d'animo di un altro, che magari avrebbe potuto pregare con grande intensità.

7. Preghiere brevi e frequenti.

1. Per questo i nostri padri, utilmente, hanno comandato che la preghiera venga conclusa con una fine rapida: perché non accada che se noi la prolunghiamo essa sia interrotta dal rumore della tosse o di un qualsiasi altro genere di umore, e mentre la preghiera è ancora fervente venga come velocemente rapita dalle fauci del diavolo. 2. Egli, infatti, ci è sempre nemico, ma soprattutto ci è ancora più nemico quando vede che noi offriamo, contro di lui, delle preghiere al Signore; e allora si affretta a distrarre la nostra mente dall'attenzione della preghiera o con pensieri o stimolando i vari umori.

3. Per tale motivo i nostri padri hanno comandato che le preghiere siano sì brevi, ma frequenti. Brevi, perché in virtù di tale brevità possiamo evitare le insidie che il diavolo ci presenta in modo particolare proprio quando preghiamo; frequenti, poi, perché pregando Dio più sovente possiamo aderire incessantemente a lui.

4. A motivo di tale frequenza nella preghiera è utile anche che i salmi più lunghi non li diciamo fino in fondo con una recitazione ininterrotta, ma li dividiamo in due o tre parti secondo un uguale numero di versetti, separate l'una dall'altra da un'intensa preghiera, perché dobbiamo trovare il nostro piacere non nel gran numero dei versetti, ma nella comprensione profonda dello spirito, mettendo in pratica con vigore quella parola che dice: « Salmeggerò con lo spirito, salmeggerò anche con la mente». 5. Per questo è più utile cantare dieci versetti con l'attenzione della mente che non recitare un intero salmo con una mente distratta; 6. distrazione della mente che è generata dal fatto che quando pensiamo a ciò che resta ancora della quantità fissata dei salmi non ricerchiamo tanto la loro comprensione profonda con la nostra mente, né la distinzione dei vari significati, ma ci sentiamo urgentemente pressati, per il fastidio della tiepidezza, ad affrettarci verso la fine.

8. I salmi alleluiatici.

1. Vi è poi un'altra usanza a cui i padri si attengono con somma cura: che cioè quando occorre una risposta che preveda l’alleluia non si reciti nessun altro salmo se non uno di quelli che nel loro titolo hanno già l'alleluia.

9. In cella il monaco continui a pregare.

1. Una volta concluse, poi, le preghiere canoniche che si dicono normalmente, ciascuno, ritornando alla propria cella - nella quale gli si permette di abitare o da solo o con un altro al quale è unito da un medesimo lavoro o da una medesima disciplina -, 2. Non tralasci di celebrare di nuovo, con grande cura, come un sacrificio suo personale, il medesimo ufficio di preghiera.

10. Non tornare a dormire dopo le vigilie notturne.

1. Inoltre, dopo che abbiamo purificato [il nostro spirito] con le vigilie notturne, non si ritorni al riposo del sonno, nell'attesa che all'apparire della luce la meditazione notturna ceda il posto al lavoro diurno, perché non avvenga che il diavolo, invidioso, contamini attraverso l'inganno del sonno la purezza del nostro spirito acquisita mediante salmi e preghiere. 2. Se, infatti, dopo la soddisfazione per le nostre negligenze e per le nostre ignoranze che mediante la confessione abbiamo offerto a Dio, il nemico, invidioso, trova un tempo di riposo, egli si affretta a corromperci, sforzandosi di abbattere e di indebolire la nostra fiducia [in Dio] quanto più prima ci aveva visti pregare con fervore e purezza. 3. Coloro, infatti, che per tutto il tempo della notte non era riuscito a contaminare, egli cerca sovente di abbatterli mentre riposano per il brevissimo spazio di una sola ora.

11. Il segnale per le vigilie notturne.

1. Colui, poi, che ha ricevuto l'incarico di [dare il segnale] delle preghiere notturne, non pretenda di svegliare i fratelli all'ora che gli piacerà, cosi da regolare le ore della notte in base alla variabilità del proprio sonno e dell'insonnia tipica dell'età. 2. Sebbene, infatti, una consuetudine quotidiana lo induca a svegliarsi sempre alla stessa ora, tuttavia egli deve osservare attentamente e di frequente la posizione in cui si trovano le stelle, e in base ad essa invitare alla preghiera dell'ufficio tutta la comunità. 3. Egli, dunque, deve badare a non esser trovato negligente in nessuna di queste due cose: né nel lasciar passare l'ora stabilita della notte perché è oppresso dal sonno, né nell'anticiparla perché ha fretta.

12. Il silenzio.

1. Terminate le vigilie e scioltasi la comunità, nessuno pretenda di intrattenersi o di parlare con un altro, nemmeno un poco, a meno che l'urgenza di un qualsiasi lavoro che si rende necessario non costringa a decidere qualcosa in anticipo.

2. Quando poi i fratelli sono al lavoro, non vi sia assolutamente nessun discorso fra loro, ma ciascuno compia ciò che gli è stato comandato ruminando a memoria un salmo o qualche altro passo della Scrittura, senza impiegare nemmeno una parte di una sola ora non solo in cospirazioni malvagie o in cattivi consigli, ma neanche in chiacchiere oziose. 3. [Il monaco], invece, sia incessantemente impegnato nella meditazione spirituale con la lingua e con il cuore. 4. Bisogna infatti vigilare con somma cura anche che nessuno si intrattenga con un altro, soprattutto con uno più giovane, neanche per un istante, o che si isoli con lui, o che si tengano a vicenda nella mano.

13. La correzione di chi ha peccato.

1. Se qualcuno, contro ciò che stabilisce la regola, viene trovato a fare qualcosa di ciò che si è detto sopra, divenuto così colpevole, quale ribelle e trasgressore dei comandamenti, di una colpa non leggera, non potrà evitare di essere sospettato di cattiva intenzione. 2. Non gli si consenta assolutamente di pregare insieme con i fratelli, a meno che prima, radunati tutti insieme i fratelli, non avrà dato soddisfazione con una pubblica penitenza, o, se non vorrà farlo davanti a tutti, riceva almeno un'adeguata punizione per la sua trasgressione.

14. Colui che viene sospeso dalla preghiera.

1. Se qualcuno, per aver commesso una qualsiasi colpa viene sospeso dalla preghiera, nessuno abbia il permesso di pregare con lui prima che, prostratosi egli a terra per penitenza, l'abate non conceda il perdono a lui che supplica davanti a tutti i fratelli 2. Colui, infatti, che avrà la presunzione di unirsi a lui nella preghiera o in una conversazione prima che egli sia riaccolto da chi presiede, riceva un'analoga punizione, poiché si è consegnato volontariamente a Satana, al quale l'altro, secondo le parole dell’Apostolo, era stato destinato in vista della correzione del suo peccato. 3. Chi si unisce a lui pecca molto gravemente, poiché offrendogli consolazione fa sì che il suo cuore si indurisca ancora di più, e non permette che quegli rifletta sulla sua conversione e sulla [necessità di chiedere] perdono per ciò per cui è stato escluso dalla preghiera; anzi, comportandosi così egli alimenta l’eccitazione dell’orgoglio e l’ostinazione del peccatore, inducendolo a una condizione ancora peggiore.

15. Le ore della preghiera comune.

1. Nei monasteri della Palestina, della Mesopotamia e di tutto l'Oriente, eccetto che negli uffici del mattutino e dei vespri la misura delle preghiere diurne si limita ogni giorno ai tre salmi stabiliti, sul modello della triplice confessione [di fede]. Così, mentre da un lato si offre a Dio una preghiera assidua nei tempi stabiliti, dall'altro, una volta terminati secondo una giusta misura gli atti di culto di natura spirituale, non sono in alcun modo ostacolati gli inderogabili compiti del lavoro.

2. Il criterio con cui sono state stabilite queste ore in cui durante l'arco di tutta la giornata si offrono atti di culto a Dio è il seguente: l'ora prima perché inizia il giorno; l'ora terza perché a tale ora sappiamo che lo Spirito santo discese per la prima volta sugli apostoli; l'ora sesta perché a tale ora il Signore nostro Gesù Cristo fu appeso alla croce come vittima senza macchia, liberando noi, che eravamo schiavi, dalle catene eterne dei peccati; l'ora nona perché a tale ora il Signore nostro, discendendo agli inferi, ha liberato di lì le anime dei santi che erano rinchiuse nelle tenebre, e le ha portate con sé nei cieli; l'ora dodicesima perché finisce il giorno, così come si canta l'ora prima al suo inizio.

3. Le ore di prima e di dodicesima, all'inizio e alla fine del giorno, sono state aggiunte in seguito dai padri; le ore di terza, invece, sesta e nona, leggiamo che erano celebrate dagli stessi apostoli. 4. All'ora terza, infatti, lo Spirito santo discese sugli apostoli riuniti per l'atto di culto della preghiera; all'ora sesta, poi, leggiamo che mentre Pietro stava pregando nella sala alta improvvisamente in un trasporto dello spirito vide quell'oggetto calato dal cielo dai quattro capi, come un lenzuolo; riguardo all'ora nona, infine, leggiamo che Pietro e Giovanni salivano al tempio per pregare all'ora nona.

5. Quanto poi agli uffici dei vespri e del mattutino non solo negli apostoli, ma anche nell'Antico Testamento leggiamo che esse furono sempre compiute nel tempio del Signore. Così anche David dice della preghiera della sera: «Salga la mia preghiera come incenso al tuo volto, si levino le mie mani come offerta della sera». Della preghiera del mattino, poi, dice: «O Dio, mio Dio, per te veglio fin dal mattino», e: «Al mattino mediterò su di te, poiché tu sei stato il mio aiuto».

16. Quando viene dato il segnale dell' ufficio.

1. Quando si ode il segnale che viene suonato per tali uffici, il monaco deve alzarsi con tanta rapidità che se avrà cominciato a fare non dico altri lavori ma anche solo un lavoro di scrittura, nell’istante in cui il suono del segnale giunge alle sue orecchie non pretenda di finire la lettera che ha iniziato.

17. I ritardi alla preghiera comune.

1. Se qualcuno arriva più tardi della fine del primo salmo non osi entrare nell'oratorio tra i fratelli che cantano i salmi, ma stando fuori della porta, rimanga lì fino a che, terminati i salmi, la comunità non si sciolga, e allora, prostratosi a terra in segno di penitenza, davanti a tutti implori il perdono dall'abate per la sua negligenza e per il suo ritardo. 2. E se si rifiuterà di dare soddisfazione non venga in nessun modo accolto tra i fratelli quando essi si ritrovano per pregare. 3. Riguardo invece alle preghiere notturne, si concede la possibilità di tardare fino al secondo salmo. Prima, tuttavia, che al termine di tale salmo i fratelli si prostrino per l'orazione, egli deve affrettarsi a prendere il proprio posto e a unirsi [ai fratelli]. 4. Se poi ritarda, poco o molto che sia, una volta concluse le vigilie non tralasci, sottomettendosi con sincera umiltà, di chiedere perdono per la sua negligenza, come abbiamo detto sopra.

18. Il pranzo e la cena del sabato, della domenica e delle feste.

1. La domenica, inoltre, il sabato e i giorni di festa, a causa della stanchezza data dall'ufficio delle vigilie si distribuiscano ai fratelli sia il pranzo che la cena. 2. E quando ci si reca a cena non si dice il salmo, come avviene invece quando si va al pranzo o quando si prende il pasto più tardi dopo il digiuno; ma semplicemente, dopo aver fatto una semplice preghiera, si va a cena; e di nuovo si fa così quando ci si alza da cena. 3. E questo perché tra i monaci questo secondo pasto è fuori dell'uso consueto, e non tutti sono costretti a venire ad esso, ma ci vengono solo i fratelli che arrivano da un viaggio, o quelli che sono malati nel corpo, o coloro che lo desiderano personalmente.

19. Se qualcuno desidera entrare in monastero.

1. Se un monaco desidera intraprendere la vita monastica non gli si permetta di entrare in monastero prima che per dieci giorni o più sia rimasto con perseveranza davanti alla porta, così da mostrare un segno della sua perseveranza, del suo desiderio, della sua umiltà e della sua pazienza. 2. Egli si prostri alle ginocchia di tutti coloro che passano, e da tutti intenzionalmente sia rigettato e disprezzato come uno che voglia entrare in monastero non per condurre vita monastica, ma per qualche bisogno. 3. Oltre a ciò, gli si rivolgano offese e rimproveri, perché dia prova della sua costanza e mostri la sua capacità di pazienza nelle prove delle offese.

20. La rinuncia ai beni.

1. Quando poi, una volta che si sarà saggiato il desiderio profondo del suo spirito, sarà stato accolto in monastero, si indaghi con estrema attenzione se mai non si sia riservato per sé qualcosa, anche solo una moneta, dei suoi beni precedenti. 2. Se infatti con consapevolezza egli nasconde una benché minima quantità di denaro, in nessun modo potrà rimanere a lungo sotto la disciplina del monastero. 3. Né sarà in grado di apprendere la virtù dell'umiltà o quella dell'obbedienza, né potrà essere contento della povertà e dell'austerità che vi sono in monastero; ma, non appena sorgerà qualche occasione di turbamento, mosso dalla fiducia in quella piccola moneta che si era riservato uscirà immediatamente, fuggendo, dal monastero.

21. Se colui che entra offre qualcosa al monastero.

1. Se poi qualcuno [di essi] offre del denaro o una qualsiasi altra cosa, in nessun modo coloro che presiedono accettino di riceverlo per i bisogni del monastero, perché non avvenga che quegli, inorgoglitosi per la fiducia che ripone in questa sua offerta, disdegni di mettersi alla pari dei fratelli più poveri. 2. E comunque, qualora lo accettino, lo conservino per un lungo tempo con molta cautela e con prudente consiglio. 3. Molte volte, infatti, si e verificato il caso che alcuni, che erano stati accolti in monastero con scarsa cautela, una volta venuto meno il fervore abbiano richiesto indietro, con spirito sacrilego e non senza fare un torto al monastero, ciò che avevano portato con sé e che era già stato destinato a opere di Dio. Fatto, questo, che è stato causa di grande oltraggio.

22. Se colui che entra in monastero era ricco o è anziano.

1. Se poi qualcuno che è ricco rinuncia a questo mondo e ai suoi beni, è necessario che desideri aderire alla disciplina della comunità in modo tale da non compiacersi in nulla di ciò che ha abbandonato o di ciò che ha portato al monastero. 2. E anche se è in un'età avanzata si prepari a obbedire a tutti, in modo da ritornare, secondo la parola del Signore, alla semplicità della primitiva infanzia in virtù dell'umiltà. 3. Egli non abbia nessuna pretesa in ragione della sua età e del gran numero dei suoi anni; anzi, ritenga tali anni vissuti nel mondo come trascorsi a vuoto e persi, e non indugi, in quella novità della vita che ha iniziato a praticare nella milizia di Cristo, a sottomettersi anche ai più giovani.

23. Lavorare con le proprie mani.

1. Egli, inoltre, prenda l'abitudine di ricercare l'umiltà del cuore attraverso le esigenze del lavoro e della fatica [che esso comporta], in modo che, procurandosi con le proprie mani, secondo il comando dell'Apostolo, il cibo quotidiano e il necessario per i bisogni propri e per quelli di coloro che arrivano, possa dimenticare la superbia e i piaceri della vita passata.

24. Ancora sulla rinuncia ai beni.

1. Quando poi qualcuno viene accolto in monastero, venga sempre spogliato di tutti i beni che aveva in precedenza, in modo da non permettergli di tenere neanche il vestito con il quale è venuto dal mondo; ma, condotto nel mezzo, sia spogliato dei suoi abiti ; per mano dell'abate venga rivestito di quelli del monastero. 2. Così egli prenderà coscienza di essersi spogliato non solo di tutti i suoi beni passati, ma anche di ogni superbia mondana, e di essere disceso alla povertà e alla condizione di indigenza di Cristo; e, senza preoccuparsi di nulla per l'indomani, non si vergogni di vivere alla pari con i fratelli più poveri. 3. Cristo, infatti, non si è vergognato di essere annoverato tra di loro e di essere detto loro fratello; egli, invece si glori piuttosto di essere stato reso partecipe della sorte di coloro che fanno parte della sua casa.

25. Gli abiti di colui che entra in monastero.

1. Gli abiti che ha deposto, poi, siano consegnati al preposito, e siano da lui conservati fino a quando, attraverso le diverse tentazioni e prove, non si riconosca con evidenza il progresso della sua vita. 2. Allora, se dopo molto tempo rimarrà saldo nel fervore che aveva quando è entrato, i vestiti di cui si è spogliato siano distribuiti ai poveri.

26. Colui che viene scacciato dal monastero.

1. Se, invece, sarà trovata in lui una qualche mormorazione o disobbedienza, sia spogliato degli abiti del monastero di cui era stato rivestito e, indossati quelli suoi precedenti che erano stati conservati dal preposito, sia cacciato via. Non gli è consentito, infatti, di andarsene con gli abiti del monastero che aveva ricevuto.

2. A nessuno, poi, che voglia uscire dal monastero, viene concesso di andarsene liberamente, sotto gli occhi di tutti, ma come uno schiavo che cerca le tenebre più oscure se ne andrà di notte; oppure, come abbiamo detto sopra, sia spogliato con vergogna davanti a tutti i fratelli e, deposto l'abito del monastero, sia cacciato via.

27. Il fratello che viene accolto.

1. Quando, invece, qualcuno viene accolto, dopo esser stato rivestito dell'abito del monastero non gli si permetta di unirsi subito alla comunità dei fratelli, ma sia affidato a un anziano che, abitando fuori del monastero, si prenda cura degli ospiti e dei pellegrini. 2. Se poi per un anno intero mostrerà di servire gli ospiti senza nessuna lamentela, una volta messo alla prova con tale esercizio di umiltà riceva l'abito [della professione] e venga associato alla comunità dei fratelli. 3. Dopo ciò, sia dato in consegna a un altro anziano che presieda su dieci fratelli più giovani affidatigli dall'abate perché li ammaestri e se ne prenda cura.

28. I decani.

1. La prima preoccupazione che i decani devono avere e il primo insegnamento che devono impartire a colui che hanno ricevuto in cura dall'abate è di insegnargli a vincere le proprie volontà.

2. Facendolo esercitare diligentemente in ciò, il decano gli comandi sempre, intenzionalmente, quello che percepisce che è contrario alle sue disposizioni d'animo, 3. poiché abbiamo imparare da molti eventi che un monaco non potrà mai tenere a freno le proprie passioni se prima non avrà imparato a mortificare, attraverso l'obbedienza, le proprie volontà. 4. Né colui che prima non ha imparato a vincere le proprie volontà potrà spegnere la passione dell'ira, o della tristezza, o lo spirito di fornicazione, né mantenere una salda e perpetua umiltà quando si trova insieme con i suoi fratelli, né rimanere a lungo in comunità.

29. L'apertura del cuore all'anziano.

1. Il giovane, poi, deve essere ammaestrato dal proprio anziano anzitutto a non nascondere a lui, per vergogna, assolutamente nessun pensiero cattivo che nasce [nel suo cuore], per quanto vergognoso sia. La vergogna, infatti, è pericolosa per l'anima. 2. Subito, invece, non appena i pensieri nascono, egli li manifesti ai suo anziano, e non affidi niente al proprio giudizio o al proprio discernimento, ma creda che è male o bene ciò che la parola dell'anziano definisce tale. 3. Il diavolo, infatti, non può trarre in inganno o far cadere un monaco giovane se non a condizione che lo veda, per superbia o per vergogna, nascondere i propri pensieri all'anziano. 4. I padri, infatti, hanno detto che è chiaramente un pensiero che viene dal diavolo quello che il giovane si vergogna di manifestare all'anziano.

30. L'obbedienza.

1. Il giovane, poi, deve essere penetrato di una tale obbedienza alla regola che senza che lo sappia il suo anziano o senza averne ricevuto da lui il permesso egli non osi di propria autorità non solo uscire dalla cella, ma neanche soddisfare i bisogni più comuni e naturali. 2. Non solo, ma non pretenda di fare neanche le cose più necessarie, come pulire la cella o andare ad attingere l'acqua, o qualche altra cosa di cui c'è bisogno, senza che lo sappia o che lo abbia comandato il suo anziano.

31. Ancora sull'obbedienza.

1. È vera obbedienza, infatti, quella che, sebbene le venga comandato qualcosa di difficile, si sforza di eseguire e di compiere, senza assolutamente discutere e senza nessuna esitazione del cuore, ciò che viene comandato; e per il rispetto che ha nei confronti dell'anziano non si mette a disquisire sull'impossibilità o sulla stoltezza del comando ricevuto, ma con piena fede e sottomissione accoglie tutto ciò che le viene detto come comandatole non da un uomo ma da Dio. 2. Il monaco, infatti, deve anteporre l'obbedienza a tutte le altre virtù, in modo tale da essere contento di subire qualsiasi danno piuttosto che sembrare di violare in qualcosa tale bene.

32. Non è consentito al monaco di possedere qualcosa di proprio.

1. Analogamente, anche colui che si converte deve essere ammaestrato anzitutto a non possedere niente di proprio, 2. ma sappia di essersi spogliato di tutto a tal punto da non avere nient'altro oltre alla tunica, al mantello, ai sandali e a una coperta.

3. E non osi dire che qualcosa è suo, poiché è un grave crimine che escano dalla bocca del monaco parole come «la mia tunica», «il mio libro», «le mie tavolette», «il mio stilo», ed altre simili. 4. Cosi, se per distrazione o per ignoranza sfuggirà dalla sua bocca una parola del genere, prostratosi a terra chieda perdono, compiendo così una degna soddisfazione.

33. Se un monaco guadagna più di altri.

1. Se poi qualcuno con il proprio lavoro e la propria fatica apporta al monastero un guadagno maggiore di altri, non si insuperbisca assolutamente, né si compiaccia di un così cospicuo guadagno del suo lavoro, né pretenda che gli sia dato un vitto più abbondante o più prelibato di quello che comporta la sobria misura giornaliera; ma, considerandosi come uno straniero in queste mondo, eserciti fino alla fine la virtù intrapresa dello spogliamento.

34. Non avere chiavi e non rivendicare niente come proprio.

1. Il monaco che vive sotto un priore deve guardarsi con il massimo timore anche dal tenere una chiave sua personale per mettere da parte qualcosa, per quanto di poco valore sia. 2. Si trova a un livello di vita estremamente vile e vano colui che rivendica una qualsiasi cosa, benché di infimo valore, come sua, tanto da non sopportare che essa sia toccata da un altro con un dito, ma si infiamma contro di lui con una tale ira che a stento può trattenere il furore del suo cuore dall'emettere grida e ingiurie.

35. Non mangiare al di fuori delle ore dei pasti.

1. [Il monaco], poi, deve assolutamente guardarsi anche dal pretendere di mangiare alcunché, per quanto poco sia, al di fuori dalla mensa, prima o dopo l'ora in cui tutti i fratelli consumano il pasto. 2. Cosi, sia sacrilegio non solo assaggiare, ma anche solo toccare i frutti che nella loro stagione giacciono sotto gli alberi, tranne quelli che vengono mangiati al [pasto] comune.

36. I pasti.

1. Mentre i fratelli consumano il pasto si leggano a tavola delle letture sante, a motivo delle chiacchiere superflue e oziose, e soprattutto delle liti, che sovente son solite sorgere quando si è a tavola; e nessuno osi parlare, neanche a bassa voce, se non colui che presiede alla decanìa. 2. Se poi è necessario portare qualcosa in tavola o portare via qualcosa, il decano indichi ciò con un suono o con un qualsiasi altro segno piuttosto che con la voce. 3. Nessuno, inoltre, con occhi che girano qua e là, stia a guardare l'altro per vedere quanto mangia, ma ciascuno guardi davanti a sé.

37. I servitori settimanali.

1. I servizi quotidiani che i fratelli si rendono in cucina o nei diversi incarichi si svolgano nella seguente maniera: i fratelli si succedano alternativamente nello svolgere tali compiti secondo il loro ordine, e in modo che secondo il numero dei membri della comunità si assegni un numero più grande o più ristretto di servitori. 2. Coloro che nell'ordine accolgono tale incarico lo svolgeranno tutta la settimana, fino alla domenica. Dopo la cena [di tale giorno], quando tutti i fratelli si radunano per cantare gli inni con cui si affidano [al Signore] poiché vanno a dormire, lavino i piedi a tutti i fratelli, secondo l'ordine, 3. chiedendo loro nella fede la benedizione e la ricompensa per la fatica dell'intera settimana. E mentre essi mettono in pratica il comando del Signore, tutti gli altri fratelli proseguano insieme nella preghiera, con la quale raccomandano come fervente sacrificio a Dio i servizi da essi compiuti, e allo stesso tempo intercedono per loro con suppliche qualora per ignoranza o per umana fragilità abbiano commesso qualche peccato.

38. I servitori settimanali abbiano cura degli utensili.

1. Trascorsa la domenica, quando il lunedì, succedendosi agli altri, [i fratelli] entrano nei vari servizi, coloro che escono consegnino gli utensili e gli oggetti con cui hanno compiuto il loro servizio. 2. E li custodiscano con tanta sollecitudine e cura che nessuno di essi subisca dei danni o vada perduto, credendo con fede che, se per negligenza qualcosa viene rotto o perso, renderanno conto non solo a un uomo, ma anche al Signore di ogni pur piccolo oggetto come per qualcosa di grande e di santo. 3. L'incaricato della settimana, dunque, compia il suo servizio con fedeltà, in modo da non tollerare che neanche un grano di legumi, per negligenza, vada perduto dalle sue mani, 4. poiché i nostri padri hanno comandato di trattare tutto ciò che entra in monastero con il massimo rispetto, come cose santissime e ormai consacrate al Signore. 5. Il monaco, perciò, deve fare ogni cosa con fede, cosi da avere piena fiducia che anche per le cose di minor valore e più piccole, come ad esempio rimettere al suo posto qualcosa che si trova fuori posto o togliere una piccola pagliuzza dalla cella, riceverà dal Signore la ricompensa.

39. La correzione delle colpe.

1. Se poi qualcuno rompe o perde qualcosa non potrà cancellare la sua negligenza se non prostrandosi a terra e supplicando Dio davanti a tutti i fratelli, fino a quando una preghiera dell'abate non lo faccia rialzare. 2. Analogamente faccia anche colui che arriva tardi alla preghiera e che risponde al suo superiore con parole insulse, o duramente o in maniera oltraggiosa, oppure colui che compie con negligenza o con ritardo il servizio affidatogli, oppure se avrà mormorato, pur lievemente, o avrà anteposto la lettura al lavoro o all'obbedienza.  3. Allo stesso modo faccia colui che, terminate le vigilie, si intrattiene anche solo un poco con qualcuno per un qualsiasi motivo, o colui che si isola con qualcuno anche solo per un istante, che tiene la mano di un altro, che prega con colui che è stato sospeso dalla preghiera, che senza il permesso del suo anziano incontra o rimane a parlare con qualche parente o amico del mondo, o che senza il permesso del proprio abate riceve una lettera di qualcuno o cerca egli stesso di scriverla: in tutti questi casi di penitenza e in quelli ad essi simili non si neghi il perdono a colui che lo implora davanti a tutti. 4. A colui che trasgredisce tali [precetti] e che ritiene vane tutte queste cose, si infligga assolutamente una punizione spirituale.

5. Per tutte le altre [trasgressioni] che dai superiori sono ritenute più gravi, cioè insulti aperti, disprezzi palesi, contestazioni orgogliose, un arbitrario e irrefrenato vagare fuori del monastero, familiarità con donne, ire, risse, proprietà privata o di cose superflue che gli altri non hanno, presunzione, assunzione di cibo fuori regola e in maniera furtiva, ed altre cose simili a queste, esse vengano corrette non con l'ammonimento o il castigo spirituale di cui si è detto, ma con le verghe, oppure si proceda a una purificazione da esse ricorrendo all'espulsione.

40. Chi può presiedere una comunità.

1. Se qualcuno non viene ammaestrato in tutte queste consuetudini sotto un anziano, in nessun modo potrà un giorno presiedere la comunità dei fratelli, 2. poiché non ha imparato, attraverso l'obbedienza, che cosa bisogna comandare ai più giovani che devono obbedire; né attraverso la formazione ricevuta dagli anziani ha prima appreso cosa deve trasmettere ai più giovani. 3. In nessun caso, infatti, può offrire comandi salutari ai discepoli che ascoltano colui che prima non è stato ammaestrato in tutte le discipline delle virtù. 4. I nostri padri, infatti, hanno detto con estrema verità che governare bene gli altri è il più grande dei doni e una grazia dello Spirito santo.

 

 

41. Esortazione a un fratello che viene accolto.

1. Intendo, adesso, inserire in tale opuscolo l'esortazione che fece l'abate Pinufio a un fratello che egli accolse nel cenobio in nostra presenza, poiché penso che da essa possa venirne un utile insegnamento.

2. «Tu hai visto - disse - per quanti giorni sei rimasto fuori dalla porta prima di essere oggi accolto. E anzitutto devi conoscere la ragione di tale difficoltà [che ti è stata fatta]. Ciò, infatti, ti può essere di grande utilità per questa vita che desideri ardentemente intraprendere, se, una volta conosciutala, ti muoverai per servire Cristo in maniera ad essa conseguente e come si conviene.

3. Come, infatti, è promessa per il futuro una gloria immensa a coloro che servono Dio fedelmente e che aderiscono a lui secondo ciò che è stabilito in questa regola, così sono preparate delle pene gravissime per coloro che compiono tali [opere] in maniera tiepida e negligente, e che trascurano di mostrare dei frutti che si addicano a una santità che corrisponda a quanto avevano promesso o a ciò che gli uomini credono che essi siano. 4. E meglio, infatti, secondo la parola della Scrittura, non fare voti piuttosto che farli e non mantenerli; e maledetto chiunque compie l'opera del Signore con negligenza.

5. Questo è il motivo per cui cosi a lungo ti abbiamo tenuto lontano: non perché non desideriamo con tutto il cuore fare nostra la tua salvezza e quella di tutti, né perché non vogliamo anidare incontro a coloro che desiderano convertirsi a Cristo, anche [venendo] di lontano, ma perché, accogliendoti senza esitazione non ci rendiamo noi colpevoli di leggerezza davanti a Dio, e non rendiamo te reo 6. di un assai grave peccato qualora, dopo esser stato accolto con facilità al presente senza che tu avessi compreso la serietà di questa vita di cui fai professione, tu l'abbandoni o cada nella tiepidezza. 7. Per tale motivo devi anzitutto conoscere le ragioni della tua rinuncia, in modo che, una volta che le avrai esaminate, in forza di esse tu possa con chiarezza essere ammaestrato su cosa è bene che tu faccia.

8. La rinuncia non è nient'altro che un segno della croce e della mortificazione. Perciò oggi stesso devi renderti conto che sei morto al mondo e alle sue opere e desideri e che, secondo ciò che dice l'Apostolo, tu sei crocifisso per questo mondo e il mondo è crocifisso per te. 9. Considera, dunque, la condizione della croce, sotto il cui segno bisogna che tu da questo momento viva la tua esistenza, poiché non sei tu che vivi, ma vive in te Colui che per te è stato crocifisso. 10. E’ perciò necessario che noi trascorriamo questa vita secondo l'atteggiamento e il modello che egli ci ha offerto quando fu appeso al patibolo per noi; cioè, come dice David, trafiggendo la nostra carne con il timore del Signore, tutte le nostre brame e i nostri desideri non siano più a servizio della nostra concupiscenza, ma siano come affissi alla mortificazione di essa.

11. Così, infatti, adempiremo al comando del Signore che dice: "Chi non prende la sua croce e non mi segue non è degno di me". Ma forse dici: "Come può un uomo portare incessantemente la sua croce, o come può un uomo essere contemporaneamente vivente e crocifisso?" Ascolta questa breve spiegazione: 12. la nostra croce è il timore del Signore. Come dunque un uomo crocifisso non ha la possibilità di muovere e di volgere le sue membra secondo il proprio desiderio, cosi anche noi dobbiamo volgere le nostre volontà e i nostri desideri non secondo ciò che per noi è dolce e che al presente ci procura piacere, ma secondo la legge del Signore, là dove essa ci vincolerà. 13. E come colui che è appeso al patibolo della croce non fissa più il suo sguardo sulle cose presenti, né si preoccupa [di soddisfare] le proprie passioni, né ha più cura e inquietudine per il domani, non è mosso da nessuna brama di possedere, da nessuna forma di superbia, da nessuno spirito di contesa, né arde di nessun tipo di gelosia, 14. non si affligge per le offese che riceve nel presente, non si ricordi di quelle passate, e sebbene sia ancora in vita nel corpo si consideri morto a tutti gli elementi del mondo, volgendo lo sguardo del suo cuore là dove non dubita di migrare, 15. così bisogna che anche noi, crocifissi al timore del Signore, siamo morti a tutte queste cose, vale a dire non solo ai vizi carnali, ma anche agli stessi elementi del mondo, tenendo gli occhi della nostra anima fissi là dove ogni momento dobbiamo avere la speranza di andare. In questo modo infatti, potremo vincere, dopo averle mortificate, tutte le concupiscenze e le passioni carnali.

16. Guardati, dunque, dal riprendere qualcosa di ciò che con la tua rinuncia hai abbandonato, e, contro il divieto del Signore, dall'essere scoperto nell'atto di rivestirti, una volta tornato indietro dal campo dell'evangelo ove lavori, della tunica di cui ti eri spogliato. Non ritornare alle basse e terrene brame e preoccupazioni di questo mondo; e, contro il comandamento di Cristo, non pretendere, scendendo dal tetto della perfezione, di riprendere qualcosa di ciò che con la tua rinuncia ti sei lasciato alle spalle. 17. Guardati dal ritornare con la memoria ai genitori o a coloro che un tempo amavi, perché non avvenga che, secondo le parole del Salvatore, ritornando alle preoccupazioni e agli affanni di questo mondo, ponendo mano all'aratro e guardando indietro tu non possa essere adatto al regno dei cieli.

18. Guardati, quando inizierai ad assaporare una qualche conoscenza dei salmi e della vita di cui fai professione, dal lasciar rinascere in te, inorgogliendoti anche solo un po', quella superbia che nell'ardore della fede e in piena umiltà hai calpestato quando hai intrapreso questa vita. Secondo le parole dell'Apostolo, infatti, se riedifichi di nuovo quello che hai demolito fai di te stesso un trasgressore. Persevera, piuttosto, fino alla fine in quello spogliamento di cui davanti a Dio e agli angeli hai fatto professione, e rimani, anzi, avanza e cresci in quella umiltà e pazienza per le quali quando sei rimasto dieci giorni davanti alla porta hai implorato con abbondanti lacrime di essere accolto in monastero.

19. È cosa ben miserevole infatti che, mentre partendo dai tuoi primi rudimenti e dal punto in cui hai iniziato devi compiere progressi e tendere alla perfezione, da lì invece tu cada ancora più in basso. Non colui che dà inizio a queste cose, infatti, ma colui che persevera in esse fino alla fine sarà salvato.

20. L'astuto serpente, infatti, osserva sempre le nostre calcagna, cioè ci tende insidie per la nostra rovina, e fino al termine della nostra vita cerca di farci cadere. Per tale motivo non giova a nulla aver cominciato bene, né aver intrapreso bene, con pieno fervore, la via della rinuncia, se ciò non è poi confermato da una conclusione e da un compimento corrispondenti all'inizio, e se tu non custodisci fino al termine della vita, allo stesso modo in cui hai iniziato, l'umiltà e la povertà di Cristo, delle quali adesso hai fatto professione davanti a lui.

21. E perché tu possa compiere ciò, osserva sempre la testa di tale serpente, cioè l'inizio dei tuoi pensieri, riferendoli subito all'anziano. Così, infatti, imparerai a calpestare i loro perniciosi inizi, se non ti vergognerai di rivelarli interamente all'anziano.

22. Perciò, secondo la parola della Scrittura, tu che ti impegni a servire il Signore rimani nel timore di Dio e prepara la tua anima non al riposo, non alla sicurezza, non ai piaceri, ma alla tentazione e alle difficoltà; è necessario, infatti, che entriamo nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni, poiché stretta è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e pochi sono quelli che la trovano.

23. Considera, dunque, che sei stato reso parte di questo numero di pochi ed eletti, e non raffreddarti per l'esempio e la tiepidezza dei molti, ma vivi come fanno i pochi, perché insieme ai pochi tu meriti di entrare nel regno di Dio. Molti, infatti, sono i chiamati, ma pochi gli eletti, e piccolo è il gregge a cui il Padre si è compiaciuto di dare la sua eredità.

24. Sappi perciò che non è un peccato leggero quello di cercare di nuovo le realtà imperfette una volta che si è fatta professione di perfezione. E a tale stato di perfezione si giunge attraverso i seguenti gradi e nel seguente ordine».

42. Prosegue l'esortazione a un fratello che viene accolto : i gradi dell'umiltà.

1. L'inizio della nostra salvezza e la salvaguardia di essa è, come ho detto, il timore del Signore. Attraverso di esso, infatti, coloro che intraprendono la via della perfezione danno inizio alla loro conversione, si purificano dai vizi e custodiscono le virtù 2. Quando esso penetra lo spirito di un uomo produce in lui il distacco da tutte le cose e genera l'oblio dei parenti e l'orrore dello stesso mondo; con il distacco, inoltre, e la privazione di ogni ricchezza si acquisisce l'umiltà.

3. L'umiltà, poi, è comprovata dai seguenti segni:

I. Primo, se tutte le volontà [del monaco] sono mortificate.

II. Secondo, se egli non nasconde al suo anziano nulla non solo delle sue azioni, ma anche dei suoi pensieri.

III. Terzo, se non rimette nulla al proprio discernimento, ma affida tutto al discernimento del proprio anziano se è assetato dei suoi insegnamenti e se li ascolta volentieri.

IV. Quarto, se compie tutto con la mitezza dell'obbedienza e con la perseveranza della pazienza.

V. Quinto, se non solo non reca offesa a nessuno, ma se non si affligge e non si rattrista per le offese che gli sono inflitte da un altro.

VI. Sesto, se non fa nulla e non pretende nulla di ciò a cui non esortano la regola comune e l'esempio degli anziani.

VII. Settimo, se quando si trova in una situazione di poca stima è contento, e se nei confronti di tutto ciò che gli viene comandato si ritiene un operaio cattivo e indegno.

VIII. Ottavo, se non solo dice superficialmente, con le labbra, ma crede con sentimento nel profondo del suo cuore di essere inferiore a tutti.

IX. Nono, se trattiene la lingua e se non parla ad alta voce.

X. Decimo, se non è facile e pronto al riso.

4. L'umiltà vera, infatti, si riconosce da tali e simili segni. Quando essa sarà da te realmente posseduta, subito ti condurrà a un grado superiore, cioè a quella carità che non prova timore, grazie alla quale tutto ciò che prima osservavi non senza la paura del castigo comincerai a compierlo senza alcuna fatica e come naturalmente, non più perché vedi davanti a te una punizione o qual cosa che ti spaventa, ma per amore dello stesso bene e per il piacere delle virtù.

5. Perché tu possa giungere più facilmente a ciò, devi cercare, continuando a vivere in comunità, degli esempi di vita perfetta da imitare, ma che siano veramente pochi, solo uno o due, non molti. A parte, infatti, che una vita provata e passata attraverso il fuoco fino ad essere purificata è rinvenibile solo in pochi, è vero inoltre che da ciò si trae anche il vantaggio che alla perfezione di questa forma di vita, vale a dire della vita cenobitica, si viene educati e consolidati con maggiore accuratezza dall'esempio di una sola persona».

43. Prosegue l'esortazione a un fratello che viene accolto.

« 1. Perché tu possa giungere a questo fine e perseverare incessantemente sotto questa regola spirituale, è necessario che all'interno della comunità tu osservi tre cose, secondo la parola dei salmo che dice: "Io come un sordo non ascoltavo, e come un muto non aprivo la bocca. Sono diventato come un uomo che non sente e che nel suo cuore non ha nessuna obiezione da fare". Anche tu comportati come un sordo, un muto e un cieco, in modo che al di fuori dello sguardo su colui che a motivo della sua perfezione avrai scelto di imitare tutto ciò che vedi di minor edificazione fa’ come se non lo vedessi, come se fossi cieco, perché non avvenga che, spinto dall'autorità o dall'esempio di coloro che si comportano diversamente, tu non sia trascinato a fare ciò che è peggio e che prima avevi rigettato.

2. Se senti che qualcuno è disobbediente, ribelle, calunniatore, o se si comporta diversamente da come ti è stato insegnato, non turbarti, per non essere indotto a imitarne l'esempio, ma passa attraverso tutte queste cose come un sordo, come se non sentissi assolutamente nulla.

3. Se a te o a qualcuno vengono inferti oltraggi ingiuriosi, rimani saldo e ascolta come un muto le parole di chi nutre sentimenti di vendetta, recitando sempre nel tuo cuore questo versetto del salmista: "Ho detto: custodirò le mie vie per non peccare con la lingua; ho posto una custodia alla mia bocca finché il peccatore è davanti a me; sono rimasto muto e umiliato, e ho taciuto anche riguardo a cose buone".

4. Ma, ancora più di ciò che si è detto, osserva anche questo quarto consiglio: che quelle tre cose che abbiamo detto sopra adornino e rendano affidabile la tua vita, vale a dire che, come comanda l'Apostolo, tu ti faccia stolto in questo mondo per essere sapiente, senza cioè voler discernere nulla, senza voler giudicare nulla di ciò che ti viene ordinato, ma in tutta semplicità e fedeltà mostra sempre obbedienza, ritenendo cosa santa, utile e saggia solo ciò che ti avranno indicato la legge di Dio o la riflessione dell'anziano.

5. Se porrai i tuoi fondamenti su tale genere di vita potrai perseverare in questa disciplina per sempre, e non sarai sradicato dal cenobio da nessuna tentazione del nemico, da nessuna macchinazione.

6. Tu, dunque, non devi attenderti la pazienza dalla virtù degli altri, come se la possedessi solo a condizione di non essere irritato da nessuno, cosa che tu non puoi decidere che non avvenga. La tua pazienza, piuttosto, dipende dalla tua umiltà e dalla tua capacità di sopportazione, cose che sono in tuo potere.

7. E perché tutti questi consigli, esposti fin qui in un discorso abbastanza ampio, penetrino più agevolmente nel tuo cuore e possano aderire con grande vigore al tuo pensiero, ne farò come una breve sintesi, grazie alla quale tu possa, in virtù di tale concisione e del riassunto di tali comandamenti, tenerli tutti quanti a memoria. 8. Ascolta, dunque, in poche [parole], l'ordine secondo cui tu puoi salire alla massima perfezione senza nessuna fatica e difficoltà: 9. inizio della nostra salvezza e della sapienza, secondo le Scritture, è il timore del Signore. Dal timore del Signore nasce un pentimento salutare. Dal pentimento del cuore ha origine la rinuncia, cioè lo spogliamento e il distacco da tutti i beni. Dallo spogliamento procede l'umiltà. Dall'umiltà viene generata la mortificazione dei piaceri. Dalla mortificazione dei piaceri vengono estirpati e fatti imputridire tutti i vizi. A partire dalla cacciata dei vizi fruttificano e crescono le virtù. Grazie a questa fecondità delle virtù si acquisisce la purezza del cuore. Attraverso la purezza del cuore si entra in possesso dell'origine della carità apostolica».



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11 maggio 2017        a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net