EVAGRIUS MONACHUS

TRACTATUS

DE OCTO SPIRITIBUS MALITIAE

EVAGRIO MONACO

TRATTATO

SUGLI OTTO SPIRITI MALVAGI

Estratto da "Patrologia Greca" Vol. 79, col. 1145A-1165C, J. P. Migne 1865

Estratto da “Evagrio Pontico - Otto spiriti maligni”, a cura di Maria Bianca Graziosi, Ed. Fede e Cultura 2016

(Ndr. Ho aggiunto in parentesi quadre le colonne della Patrologia Greca ed in parentesi tonde i riferimenti biblici)

Link al testo solo italiano

456 CAPUT 1.

De gula, sive ingluvie.

Principium fructus afferendi est flos, et principium active pium activæ vitæ est temperantia: qui ventri dominatur, passiones minuit, qui autem ab eduliis vincitur, auget voluptates. Principatus gentium, Amalec, et passionum principatus gula. Materies ignis, ligna, materies autem ventris, cibi. Ligna multa magnam excitant flammam, et multitudo escarum nutrit cupiditatem. Flamma exstinguitur deficiente materia, et ciborum penuria emarcescere facit cupiditatem. Qui maxillam obtinuit, alienigenas interfecit, facileque manuum suarum disrupit vincula. Interfectio maxillæ fontem aquæ produxit, et gulæ ingluvies interempta practicam peperit contemplationem. Clavus tabernaculi invadens maxillam, hostem peremit, et continentiæ sermo passionem reddidit emortuam. Edulii cupiditas inobedientiam peperit, et suavis degustatio expulit e paradiso. Ciborum sumptuositas delectat guttur, et insomnem nutrit intemperantiæ vermem. Venter indigens præparat ad vigilandum in oratione. Porro hic repletus plurimum inducit somnum. Sensus sobrius ac vigil in siccissimo consistit 457 victu; at laxa mollisque vita in profundum demergit mentem. Jejunantis oratio, pullus est aquila sursum volans, at quæ fit ab illo, qui crapulatus est, graviter depressa præ satietate, deorsum trahitur. splendescens, sed mens cibo, vinoque se ingurgi occultatur. Nebula solares obtegit radios, et crassa escarum ministratio menti caliginem offundit.

Capitolo 1
La gola

[1145A] L'origine del frutto
è il fiore e l'origine della vita attiva è la temperanza. Chi domina il proprio stomaco fa diminuire le passioni, al contrario chi è soggiogato dai cibi accresce i piaceri. Come Amalek è l'origine dei popoli così la gola lo è delle passioni (Nm 24,20). Come la legna è alimento del fuoco così i cibi sono alimento dello stomaco. Molta legna anima una grande fiamma e un'abbondanza di cibarie nutre la cupidigia. La fiamma si estingue quando viene meno la legna e la penuria di cibo spegne la cupidigia. Colui che ha potere sulla mascella sbaraglia gli stranieri e scioglie facilmente i vincoli delle proprie mani (Gdc 15,9-20). Dalla mascella gettata via sgorga una fonte d'acqua e la liberazione dalla gola genera la pratica della contemplazione. Il palo della tenda, irrompendo, uccise la mascella nemica (Gdc 4,21) ed il lògos (la ragione) della temperanza [1145B] uccide la passione. Il desiderio di cibo genera disobbedienza e una dilettosa degustazione caccia dal paradiso (Gen 3,6-23). Saziano la gola i cibi fastosi e nutrono l'insonne verme dell'intemperanza. Un ventre indigente prepara ad una preghiera vigile, al contrario un ventre ben pieno invita ad un lungo sonno. Una mente sobria si raggiunge con una dieta molto scarna, mentre una vita piena di mollezze tuffa la mente nell'abisso. La preghiera di chi digiuna è simile ad una giovane aquila che sale in alto, mentre quella di un ubriacone scende verso il basso sotto il peso della sazietà. La nube nasconde i raggi del sole e la grassa digestione dei cibi offusca la mente. [1145C]

CAPUT II.

Speculum sordibus obsitum non exprimit distincte objectam formam, et intellectus, saturitate obtusus, ac hebetatus, non suscipit Dei cognitionem. Terra inculta parturit spinas, et mens gulæ dediti turpes germinat cogitationes. Non est possibile in cœno odoramenta invenire, nec in guloso contemplationis hene olentem odorem. Oculus ventri addicti curiose disquirit convivia, at oculus temperantis, consessus sapientum inquirit. Memorias martyrum enumerat anima gulosi, verum temperantis anima vitas imitatur ipsorum. Timidus miles horrescit ad tubam, quæ prælium annuntiat, et gulosus temperantiam prænuntiatam pertimescit.

Gulosus monachus tributo ventris est obnoxius, atque idem afflictatus quotilianum exigit, vectigal. Velox viator celeriter ad civitatem attinget, et monachus temperans, ad statum pacificum. Tardus viator in solitudine sub dio stabulabitur, et monachus, gulæ subserviens, ad domum vacuitatis passionum non perveniet. Vapor suffimenti aerem suavi replet odore, et temperantis 458 oratio divinum permulcet olfactum. Si teipsum cupiditati eduliorum tradideris, nihil sufficiet ad explendam voluptatem est quippe ignis escarum cupiditas, semper accipiens, et semper inflammata. Mensura sufficiens implevit vas; venter autem diruptus non dicit, sufficit. Manuum extensio vertit Amalec in fugam, et actiones elevatae (nempe ad Deum) carnis subigunt passiones.

Capitolo 2
Uno specchio sporco non riflette distintamente la forma che gli si pone di fronte e l'intelletto, ottuso dalla sazietà, non accoglie la conoscenza di Dio. Una terra incolta genera spine e da una mente corrotta dalla gola germogliano cattivi pensieri. Come
la melma non può emanare fragranza neppure nel goloso sentiamo il soave profumo della contemplazione. L'occhio del goloso scruta con curiosità i banchetti, mentre lo sguardo del temperante osserva i simposi dei saggi. L'anima del goloso enumera i ricordi dei martiri, mentre quella del temperante imita il loro esempio. Il soldato vigliacco rabbrividisce al suono della tromba che preannuncia la battaglia, ugualmente trema il goloso di fronte ai proclami di temperanza. Il monaco goloso, sottomesso a sferzate dal proprio stomaco, [1148A] esige il suo tributo giornaliero. Il viandante che cammina di buona lena raggiungerà presto la città e il monaco temperante arriverà presto ad uno stato di pace; il viandante lento si fermerà solo, all'aperto, ed il monaco ghiottone non raggiungerà la casa dell'apátheia (l'impassibilità). L'umido vapore del suffumigio profuma l'aria, come la preghiera del temperante delizia l'olfatto divino (Cfr. Ap 8,4). Se ti concedi al desiderio dei cibi nulla più ti basterà per soddisfare il tuo piacere: il desiderio dei cibi, infatti, è come il fuoco che sempre accoglie e sempre avvampa. Una misura sufficiente riempie il vaso mentre un ventre sfondato non dirà mai: "basta!". L'estensione delle mani mise in fuga Amalek (Es 17,11) e una vita attiva elevata (senza dubbio rivolta a Dio) sottomette le passioni carnali. [1148B]

CAPUT III.

Extermina a te quodcunque vitia spirat, et carnis tuæ membra valide mortifica. Quemadmodum enim bellator interfectus, tibi non incutiet metum, ita corpus mortificatum, tuam non perturbabit animam. Mortuum corpus ignis non novit dolorem, nec temperans voluptatem persentit cupiditatis emortua. Si percusseris Ægyptium, in arena ipsum abscondito, et ne in devicta cupiditate pinguefacias corpus: sicut enim absconditum in terra, opima germinat, ita in corpore impinguato repullulat passio. Flanima exstincta relucet, si arida susceperit cremia; et voluptas sopita, iterum accenditur in saturitate ciborum : ne miserearis corporis conquerentis ob debilitatem, nec illud impingues C apperatu multorum ciborum. Nam, si couvaluerit, impetum in te faciet, movebitque adversum te bellum inexpiabile, usquequo animam tuam in servitutem redigat, servunque te tradat impudicitiæ passioni. Equus bene frenatus est corpus egens alimento, neque dejiciet unquam ascensorem; ille quippe cedit freno constrictus, et aurige manui paret, corpus autem 459 fame domatur, et vigilia et non resilit ab inscendente cogitatione, nec adhinnit commotum ab impetu passionibus implicito.

Capitolo 3
Stermina tutto ciò che ti ispirano i vizi e mortifica fortemente la tua carne
(Cfr. Col 3,5). In qualunque modo, infatti, sia ucciso il nemico, esso non ti incuterà più paura, così un corpo mortificato non turberà l'anima. Un cadavere non avverte il dolore del fuoco e tantomeno il temperante sente il piacere del desiderio estinto. Se percuoti un egiziano, nascondilo sotto la sabbia (Es 2,11-12), e non ingrassare il corpo per una passione vinta: come infatti nella terra grassa germina ciò che è nascosto così nel corpo grasso rivive la passione. La fiamma che illanguidisce si riaccende se viene aggiunta della legna secca e il piacere che si va attenuando rivive nella sazietà dei cibi; non compiangere il corpo che si lagna per lo sfinimento e non rimpinzarlo con pranzi sontuosi: se infatti lo rinforzerai ti si rivolterà contro muovendoti una guerra senza tregua, finché renderà schiava la tua anima e ti menerà servo della lussuria. Il corpo indigente è come un docile cavallo e mai disarcionerà il cavaliere: questo, infatti, costretto dal freno, arretra e obbedisce alla mano di chi tiene le briglie, mentre il corpo, domato dalla fame e dalle veglie, non recalcitra per un cattivo pensiero che lo cavalca né nitrisce eccitato dall'impeto delle passioni.

CAPUT IV.

De luxuria.

Continentia temperantiam parit, ingluvies autem gule mater est intemperantiæ. Oleum nutrit lucernæ lampadem, et conversatio mulierum faculam voluptatis accendit. Fluctuum violentia non subburratam agitat navim, et cogitatio luxuriæ, mentem incontinentem. Impudicitia satietatem assumet in adjutorium, dimittet enim ipsam, et stabit cum adversariis, et ad extremum una cum hostibus bellum sociabit. Invulneratus permanet ab inimici jaculis, qui diligit quietem, at, qui simul cum plebe miscetur, continua excipit vulnera. Obtutus feminæ telum est veneno imbutum, sauciavit animam, et virus infudit, et quo diutius perdurat, eo majorem causat putrefactiouem. Qui se custodit ab his telis, non ad frequentes populi conventus progreditur, nec in diebus festis circumibit inhians: melius est enim commorantem domi orationi vacare, quam, dum honorare se quis putat festas solemnitates, ad susceptum opus inimicorum accedere. Feminarum conversationem fuge, si continens esse velis, neque des ipsis fiduciam sese tibi confidentes unquam demonstrandi. In principio namque reverentiam, aut habent, aut simulant; at deinde audent omnia impudenter. Etenim in prima conversatione vultum ctiam demittunt, mansuete loquuntur; 460 et cum compassione lacrymantur, graviter honesteque componunt habitum, et amare suspirant, interrogant de castitate, ac studiose audiunt : secundo vidisti, et jam paululum caput sursum reflectunt: tertio, inverecunde etiam attendunt: leniter subrisisti tu; illæ biantes cffuse rident; dein exornantur, et tibi sese eleganter ostentant, obtutum efformant, annuntiantes affectum supercilia erigunt, et circumagunt palpebras, denudant collum, totoque corpore joculari quadam simulatione utuntur, sermones eloquuntur emollientes affectum, et concinnant voces, ad auditum mulcendum, donec animam omnino expugnent. Hæc tibi hami evadunt, decipientes ad mortem, pedicæque multiplices ad interitum trahentes; ne te in errorem ducant alloquiis benigne utentes, in his enim malignum belluarum est occultatum venenum.

Capitolo 4
La lussuria

La temperanza genera l'assennatezza, mentre la gola [1148D] è madre della sfrenatezza; l'olio alimenta il lume della lucerna e la frequentazione delle donne attizza la fiaccola del piacere. La violenza dei flutti infuria contro il mercantile mal zavorrato come il pensiero della lussuria sulla mente intemperante. La lussuria accoglierà come alleata la sazietà, la congederà, starà con gli avversari e combatterà alla fine con i nemici. Rimane invulnerabile alle frecce nemiche colui che ama la tranquillità, chi invece si mescola alla folla riceve in continuazione percosse. Vedere una femmina è come un dardo velenoso, ferisce l'anima, vi intrude il tossico e quanto più perdura, tanto più prospera l’infezione. Chi intende difendersi da queste frecce sta lontano dalle affollate riunioni pubbliche e non gironzola a bocca aperta nei giorni di festa; è infatti assai meglio starsene a casa passando il tempo a pregare piuttosto che compiere l'opera del nemico credendo di onorare le feste. Evita la dimestichezza con le donne se desideri essere saggio e non dar loro la libertà di parlare e neppure fiducia. Infatti all'inizio hanno o simulano una certa cautela, ma in seguito osano di tutto spudoratamente: al primo abboccamento tengono gli occhi bassi, pigolano dolcemente, piangono commosse, l'atteggiamento è grave, sospirano con amarezza, pongono domande sulla castità e ascoltano attentamente; le vedi una seconda volta e alzano un poco il capo; la terza volta si avvicinano senza troppo pudore; hai sorriso e quelle si sono messe a ridere sguaiatamente; in seguito si fanno belle e ti si mostrano con ostentazione, cambia il loro sguardo annunciando l'ardenza, sollevano le sopracciglia e ruotano gli occhi, denudano il collo e abbandonano l'intero corpo al languore, pronunciano frasi ammollite nella passione e ti sfoggiano una voce fascinosa ad udirsi finché non espugnano completamente l'anima. Accade che questi ami ti adeschino alla morte e queste reti intrecciate ti trascinino alla perdizione; e dunque non farti neppure ingannare da quelle che si servono di discorsi ammodo: in costoro infatti si occulta il maligno veleno dei serpenti. [1149C]

CAPUT V.

Appropinqua potius igni ardenti, quam juniori feminæ, cum et ipse sis adolescens; nam ad ignem quidem accedens, doloremque sentiens, celeriter resilies, muliebribus autem verbis delinitus, haud ita facile recedes. Floret herba propre aquam sita, et passio intemperantiæ in consortio feminæ; qui ventrem implet, simulque temperantem se gerere profitetur, persimilis est asserenti, se frenare ignis effectum in stipula; nam sicut ignis devergentiam in stipula cursitantem haud sistere possumus, sic impetum intemperantem in satietate inflammatumi retinere est impossibile. Columna basi innititur, et luxuriæ passio in securitate conquiescit. Navis tenpestate afflicta, ad portum festino gradu contendit, et anima 461 pudici requirit solitudinem: fugit illa quidem maris undas, periculum comminantes; ista vero feminarum formas exitium cum dolore parientes. Forma exornata, decoreque exculta pejus quovis fluctu in profundum demergit gurgitem ; et hunc quidem contingit ut quis, præe desiderio vitæ, natando pertranseat; species autem mulieris decipiendo, ipsam quoque vitam contemnere persuadet. Solitarius rubus flammam ignis sine noxa effugit, et pudicus a feminis separatus, non inflammatus est intemperantiæ passione; quemadmodum enim memoria ignis intellectum non exurit, sic neque valet passio, cum materia non adsit.

Capitolo 5
Accostati al fuoco ardente piuttosto che ad una giovane donna, soprattutto se sei giovane anche tu: quando infatti ti avvicini alla fiamma e senti un bel bruciore, ti puoi allontanare rapidamente, mentre quando sei lusingato dalle ciarle
femminili, difficilmente riesci a darti alla fuga. L'erba cresce quand'è vicina all'acqua, come germina l'intemperanza bazzicando le femmine. Colui che si riempie il ventre e fa professione di saggezza è simile a chi afferma di frenare la forza del fuoco nella paglia. Come infatti è impossibile contrastare il mutevole guizzare del fuoco nella paglia, così è impossibile colmare nella sazietà l'impeto infiammato dell'intemperanza. Una colonna poggia sulla base e la passione della lussuria ha le fondamenta nella sazietà. La nave preda delle tempeste si affretta a raggiungere il porto e l'anima del casto cerca la solitudine: l'una fugge le minacciose onde del mare, l'altra le forme femminili che portano dolore e rovina. Una fattezza abbellita di donna affonda più di un maroso: ma l'uno ti dà la possibilità di nuotare se vuoi salva la vita, invece la bellezza muliebre, dopo l'inganno, ti persuade a disprezzare financo la vita stessa. Il rovo solitario si sottrae intatto alla fiamma e il saggio che sa tenersi lontano dalle donne non si accende d'intemperanza: come infatti il ricordo del fuoco non brucia la mente, così neppure la passione ha vigore se manca la materia.

CAPUT VI.

Si miserearis bellatoris, erit tibi hostis, sique passioni peperceris, adversum te iusurget. Intemperantem ad voluptatem irritat aspectus feminæ, pudicum vero excitat ad Deum glorificandum; si passio in conversationibus mulicrum conquiescat, ne credas ipsi affectuum vacuitatem promittenti. Canis namque caudam movet adblandiens, eo quod populi multitudine sit inferior, foras vero procedens propriam demonstrat malitiam. Quando feminæ recordatio passionibus percita non erit, tunc puta, te ad pudicitie terminos pervenisse. Quando vero ipsius effigies te ad spectationen excitet, ejusque jacula tuam comprehendant animam tunc censeas, te csse extra virtutem. Verum neque sic hujuscemodi cogitationibus immoreris, nec diutus cum forma mulieris mente colloquaris; est enim reverti solita passio, et prope habet periculum. Quemadmodum namque moderata conflatura 462 ignis argentum expurgat, quæ vero diutino tempore manserit, facile quoque disperdit, ita pudicum habitum corrumpit insidens diutino tempore imaginatio mulieris : nec diutius cum apparenti vultu converseris, ne in te flammam accendat libidinis, animæque tuæ comburat aream ; quia sicut scintilla immorans in paleis flammam suscitat, sic mulieris permanens recordatio incendit cupiditatem.

Capitolo 6
Se avrai pietà per il nemico esso ti sarà nemico, e se farai grazia alla passione essa ti si ribellerà contro. La vista delle donne eccita l'intemperante, mentre spinge il saggio [1152A] a glorificare Dio; se in mezzo alle donne la passione sta tranquilla non prestare fede a chi ti annuncia che hai raggiunto l'ap
átheia (l’impassibilità). E infatti il cane scodinzola quando è lasciato in mezzo alla folla, mentre, quando se ne allontana, mostra la propria malvagità. Solo quando il ricordo della donna affiorerà in te privo di passione, allora ritieniti giunto ai confini della castità. Quando invece la sua immagine ti spinge a vederla e i suoi strali accerchiano la tua anima, allora ritieniti fuori dalla virtù. Ma non devi perdurare così in tali pensieri né la tua mente deve per molto familiarizzare con le forme femminili, la passione è infatti recidiva e ha accanto il pericolo. Come infatti accade che un'appropriata fusione purifichi l'argento, ma, se prolungata, facilmente lo distrugga, così [1152B] una insistente fantasia di donne distrugge la pudicizia acquisita: non avere infatti familiarità a lungo con un volto immaginato affinché non ti si appicchino le fiamme del piacere e non bruci l'alone che circonda la tua anima: come infatti la scintilla, rimanendo in mezzo alla paglia, sprigiona le fiamme, così il ricordo della donna, persistendo, incendia il desiderio.

CAPUT VII.

De avaritia.

Avaritia, malorum omnium radix est, nutritque tanquam malignos ramos reliquas passiones, neque exsiccari sinet, quæ floruerunt ex ipsa. Qui vult passiones exscindere, radicem exscindat; nam permanente avaritia si ramos amputet, nihil juvat, quamvis enim abscindantur, statim reflorescent. Monachus, qui multa possidet, navigium est multis gravatum oneribus, et in undarum tempestate facile submergitur; sicut enim navis, cujus exundat sentina, a quolibet perluitur fluctu, sic qui multa possidet, sollicitudinibus submergitur. Monachus alisque possessione, viator est expeditus, inque omni loco diversorium invenit. Monachus, qui nihil possidet, est aquila ad sublimia pervolans, qui tunc sese volatu ad alimentum demittit, quando necessitas coegerit. Hic talis omni est excelsior tentatione, deridet præsentia, et sublimis attollitur, recedit a terrenis, et cum supernis, seu cœtestibus conversatur, levem quippe gestat alam 463 curisque minime prægravatam; tribulatio supervenit, cessit ipse loco absque morore: mors adventavit ; et æquo secedit animo, quia nulli terreno vinculo animam alligavit. Qui vero multa possidet, sollicitudinibus, quasi compedibus astrictus est, et velut canis devincitur catena, sique emigrare cogatur, possessionum memorias, grave onus inutilemque circumfert tristitiam; dolore pungitur inque mente vehementer angitur: opes dimisit, et flageliatur moerore. Sique mors supervenerit, miserabiliter dimittit præsentia, reddit animam, et oculum non avertit a negotiis; invitus trahitur, ut fugitivum mancipium, dividitur a corpore, et a rebus non separatur; magis eum detinente passioac, quam detinere soleant, qui attrahunt.

Capitolo 7
L'avarizia

L'avarizia
è la radice di tutti i mali (1 Tm 6,10) e nutre come maligni ramoscelli le rimanenti passioni e non permette che inaridiscano quelle fiorite da essa. Chi vuole recidere le passioni ne estirpi la radice; se infatti poti per bene i rami e l'avarizia permane, non ti gioverà a nulla, perché essi, nonostante siano stati recisi, subito fioriscono [1152C]. Il ricco monaco è come una nave troppo carica che viene sommersa dall'impeto di una tempesta: come infatti una nave che imbarca acqua è messa alla prova da ogni onda, così il ricco è sommerso dalle preoccupazioni. Il monaco che nulla possiede è invece un agile viaggiatore e trova dimora ovunque. Egli è come l'aquila che vola in alto e scende giù a cercare cibo quando vi è costretta. È superiore ad ogni prova, se la ride del presente e si leva in alto allontanandosi dalle cose terrene e accompagnandosi a quelle celesti: infatti ha ali leggere mai appesantite dalle preoccupazioni. Sopraggiunge l'oppressione ed egli lascia il luogo senza dolore; la morte arriva e quegli se ne va con animo sereno: infatti l'anima non è stata legata da vincolo terreno di sorta. Chi invece molto possiede soggiace alle preoccupazioni e, come il cane, è legato alla catena, e, se viene costretto ad andarsene, si porta dietro, come un grave peso e un'inutile afflizione, i ricordi delle sue ricchezze, è punto dalla tristezza e, quando ci pensa, soffre molto, ha perso le ricchezze e si tormenta nello scoramento. E se arriva la morte abbandona miseramente i suoi averi, rende l'anima, mentre l'occhio non tralascia gli affari; a malincuore viene trascinato via come uno schiavo fuggiasco, si separa dal corpo e non si separa dai suoi interessi: poiché la passione (della proprietà) lo trattiene più di ciò che lo trascina via [1153A].

CAPUT VIII.

Mare nequaquam impletur, fluminum suscipiens multitudinem, et avari cupiditas pecuniis non expletur. Duplicavit divitias, easque reduplicare de. nuo concupiscit, nec a tali unquam cessat reduplicatione, donec mors inane ac vanum hoc desinere facial studium. Prudens monachus corporis necessitati attendet, et indigentiam ventris pane explebit et aqua, non adulalitur locupletibus ob ventris voluptatem ; neque multis dominis mentem liberam adiget servam; sufficientes enim sunt maHus ad ministrandum corpori, et naturalem necessitatem continuo adimplendam. Monachus, qui nihil possidet, pugil est, qui per medium apprehendi 464 nequit, levisque est cursor celeriter ad bravium supernæ vocationis perveniens. Monachus, qui multa possidet, multis gaudet proventibus; qui vero nihil possidet, coronis bene gestorum facinorum perlætatur. Avarus monachus valde laborat, sed qui pauper est, orationibus vacat, et lectionibus. Monachus pecuniæ avidus, auro replet penetralia : at pauper thesaurizat in calo. “Maledictus qui facit idolum, et ponit in abscondito” (Dt 27,15), similiter et qui avaritiæ passione tenetur; ille quidem adorat non bene expurgatum inutileque metallum, iste vero divitiarum imaginationem, quasi simulacrum, circumfert.

Capitolo 8
Il mare non si riempie mai del tutto pur ricevendo la gran massa d'acqua dei fiumi (Qo 1,7), allo stesso modo il desiderio di ricchezze dell'avaro non è mai sazio, egli le raddoppia e subito desidera quadruplicarle e non cessa mai questo raddoppio, finché la morte non mette fine a tale interminabile premura. Il monaco assennato baderà alle necessità del corpo e sopperirà con pane e acqua allo stomaco indigente, non adulerà i ricchi per il piacere del ventre, né asservirà la sua libera mente a molti padroni: infatti le mani sono sempre sufficienti a servire il corpo e soddisfare le necessità naturali. Il monaco che non possiede nulla è un pugile che non può essere colpito in pieno e un corridore veloce che raggiunge rapidamente il premio dell'invito celeste (Fil 3,14). Il monaco ricco gioisce per i molti proventi, mentre quello che non ha nulla gode per i premi che gli vengono dalle cose ben riuscite. Il monaco avaro lavora duramente mentre quello che non possiede nulla usa il tempo per la preghiera e la lettura. Il monaco avaro riempie d'oro i suoi recessi, mentre quello che nulla possiede tesoreggia in cielo (Cfr. Mt 6,20). Che sia maledetto colui che foggia l'idolo e lo nasconde (Dt 27,15), simile a colui che è affetto da avarizia: l'uno infatti si prostra di fronte al falso e all'inutile, l'altro porta in sé l'immagine della ricchezza, come un simulacro [1153C].

CAPUT IX.

De iracundia.

Iracundia passio est furibunda, eosque, qui pollent scientia, facile mente alienat, efferat animant, omnemque congressum declinare facit. Ventus vehemens non commovebit turrim, et ira non corripiet animam mansuetam. Aqua movetur a ventorum violentia, et iracundus turbatur a cogitationibus imprudentibus. Monachus iracundus, aper est silvestris et solitarius; vidit aliquem, tunc dentes exacuit. Nebula diffusio crassiorem aerem reddit, et motus iræ mentem iracundi. Solem obfuscavit subiens nebula, et mentem cogitatio injuriarum memor. Leo, qui est in vivario continuo movet cardines ostiorum, et iracundus in cella, iræ cogitationes. Visio est delectabilis, mare tranquillatum, sed non est delectabilior pacifico animi statu : Delphines etenim 465 sereno enalant in mari, et in animi pacato statu cogitationes innatant Deo gratæ. Longanimus monachus, fons est quietus, et suavem omnibus præbens potum; intellectus autem iracundi assidue perturbatus est neque porriget sitienti aquam, sive dabit, illitam cœno, et inutilem proferet. Oculi iracundi turbidi sunt, et subcruenti, cordisque perturbali nuntii ; facies vero longanimi composita est; oculique benigni recta intuentes.

Capitolo 9
L'ira
L'ira
è una passione furente e con facilità fa uscire di senno quelli che hanno la conoscenza, imbestialisce l'anima e degrada l'intero consorzio umano. Un vento impetuoso non piegherà la torre e l'animosità non trascina via l'anima mansueta. L'acqua è mossa dalla violenza dei venti e l'iracondo è agitato dai pensieri dissennati. Il monaco iracondo, come un cinghiale selvatico e solitario, vede qualcuno e arrota i denti. La diffusione della nebbia condensa l'aria e il moto dell'ira annebbia la mente dell'iracondo. La nube procedendo offusca il sole e così il pensiero rancoroso ottunde la mente. Il leone in gabbia scuote continuamente i cardini come l’iracondo nella cella (quando è assalito) dal pensiero dell'ira. È deliziosa la vista di un mare tranquillo, ma non è certo più dilettosa di uno stato di pace: infatti i delfini nuotano nel mare in bonaccia e i pensieri volti a Dio si immergono in uno stato di serenità. [1153D] Il monaco magnanimo è una fonte tranquilla, gradevole bevanda offerta a tutti, mentre la mente dell'iracondo è continuamente agitata ed egli non darà l'acqua all'assetato e, se gliela darà, sarà intorbidata e nociva; gli occhi dell'animoso sono sconvolti e iniettati di sangue e annunziano un cuore in tumulto. Il volto del magnanimo mostra assennatezza e gli occhi benigni sono rivolti verso il basso.

CAPUT X.

Mansuetudo viri apud Deum est in memoria, et anima ira carens templum fit Spiritus sancti. Christus reclinat caput in longanini spiritu ; et intellectus pacatus sanctæ Trinitatis est mansio. Vulpes habitant in anima ultrice, et bestia delitescunt in corde turbato. Vir honestus turpe diversorium effugit, et Deus cor injuriæ reminiscens. Lapis illapsus aquam turbavit, et cor hominis malus sermo. Cogitationes iracundiæ ab anima tua expelle, nec ira tuo stabuletur in corde, et in tempore orationis minime turbaberis ; sicut namque fumus palearum offendit perturbans oculos, ita in orationis tempore mentem injuriarum memoria. Cogitationes iracundi viperæ genimina sunt, corque, quod ea parturit, exedunt. Furibundi oratio, suffimentum est detestandum; et psalmorum decantatio viri succeusi animo, sonus est insuavis. Donum injuriarum memoris, hostia est verrucis infestata, et non appropinquabit altaribus, ubi lustralis aqua circumaspergitur, 466 iracundus somnia videt perturbata, et incursus imaginatur bestiarum. Vir longanimis congressus sanctorum angelorum aspicit in visione : et vir injuriarum immemor spirituales exercet scrmones, el noctu mysteriorum capit solutiones.

Capitolo 10
La mansuetudine dell'uomo
è ricordata da Dio (Cfr. Sal 131(130),1) e l'anima mite diviene il tempio dello Spirito Santo. [1156A] Cristo reclina il capo su uno spirito mite (Cfr. Mt 8,20) e solo la mente pacifica diviene dimora della Santa Trinità. Le volpi prosperano nell'anima rancorosa e le fiere si appiattano nel cuore sconvolto. Fugge l'uomo onesto l'alloggio malfamato, e Dio un cuore rancoroso. Una pietra che cade in acqua la agita, come un cattivo discorso il cuore dell'uomo. Allontana dalla tua anima i pensieri dell'ira e non bivacchi l'animosità nel recinto del tuo cuore e non lo turbi nel momento della preghiera: infatti come il fumo della paglia offusca la vista così la mente è turbata dal livore durante la preghiera. I pensieri dell'animoso sono prole di vipera (Cfr. Mt 3,7) e divorano il cuore che li ha generati. La sua preghiera è un incenso abominevole (Cfr. Is 1,13) ed il salmodiare di un uomo adirato dà un suono sgradevole. Il dono del rancoroso è come un'offerta colma di piaghe (Cfr. Lv 22,22) e di certo non si avvicinerà agli altari aspersi di acqua lustrale. L'animoso avrà sogni turbati e l'iracondo si immaginerà assalti di belve. L'uomo magnanimo ha la visione di consessi di santi angeli e colui che non porta rancore si esercita con discorsi spirituali e nella notte riceve la soluzione dei misteri.

CAPUT XI.

De tristitia.

Monachus tristitiæ deditus non novit spiritualem voluptatem. Tristitia vero est animæ remissio, et constat e cogitationibus iracundiæ. Est quippe ira, vindictae cupiditas, frustratio vero vindicte sumendæ, tristitiam generat; porro tristitia est os leonis, facileque devorat contristatum; tristitia est vermis cordis, et parientem matrem exedit. Mater, quæ parit tilium, dolorem habet ; si peperit, a dolore liberatur. Tristitia vero, dum generatur, multum excitat dolorem, postque cruciatus permanens non parvo torquet dolore. Monachus tristitiæ addictus lætitiam non novit spiritualem, eo prorsus modo, quo nec mellis gustum, qui vehementi laborat febri, persentit. Monachus tristatus non movebit mentem ad contemplationem, nec orationem effundit puram. Tristitia quippe obstaculum est omnis Doni. Vinculum pedum, cursus est impedimentum, et tristitia, meditationis obstaculum. Captivus, a barbaris ligatur ferreis catenis, et tristitia captiva a passionibus abducta vincitur. Tristitia nullam vim habet, cum aliæe non 467 adsint passiones, sicut neque vinculum, cum absint qui vinciant. Qui ligatus est a tristitia, superatus est a passionibus, taleque circumfert vinculum, suæ cladis argumentum. Tristitia namque constituitur, ex eo quod carnali quis frustratus fuerit cupiditate, cupiditas autem omni conjuncta est passioni. Qui vicit cupiditatem, passiones devicit, qui autem passiones evicit, non superabitur a tristitia. Temperans non contristabitur super defectu escarum, neque continens, quod impudicam nequeat assequi delectationem, neque mansuetus, quod ab ultione exciderit, neque humilis, quod humano fuerit orbatus honore, neque qui longe ab aviditate est pecuniæ, si in detrimentum aliquod inciderit, multum enim evitarunt harum rerum cupiditatem, quia sicut thorace indutus nequaquam jaculum admittit, sic qui passionum est expers, non vulueratur a tristitia.


Capitolo 11
La tristezza
Il monaco affetto dalla tristezza non conosce il piacere spirituale: la tristezza
è un abbattimento dell'anima e si forma dai pensieri dell'ira. Il desiderio di vendetta, infatti, è proprio dell'ira, [1156C] l'insuccesso della vendetta genera la tristezza; la tristezza è la bocca del leone e facilmente divora colui che si rattrista. La tristezza è un verme del cuore e mangia la madre che l'ha generato. Soffre la madre quando partorisce il figlio, ma, una volta sgravata, è libera dal dolore (Cfr. Gv 16,21); la tristezza, invece, mentre è generata, provoca lunghe doglie e, sopravvivendo, dopo i travagli, non porta minori sofferenze. Il monaco triste non conosce la letizia spirituale, come colui che ha una forte febbre non avverte il sapore del miele. Il monaco triste non saprà muovere la mente verso la contemplazione né sgorga da lui una preghiera pura: la tristezza è un impedimento per ogni bene. Avere i piedi legati è un impedimento per la corsa, così la tristezza è un ostacolo per la contemplazione. Il prigioniero dei barbari è legato con catene e la tristezza lega colui che è prigioniero delle passioni. In assenza di altre passioni la tristezza non ha forza [1156D] come non ne ha un legame se manca chi lega. Colui che è avvinto dalla tristezza è vinto dalle passioni e come prova della sconfitta porta le catene (della tristezza). Infatti la tristezza deriva dall'insuccesso del desiderio carnale poiché il desiderio è congiunto a tutte le passioni. Chi vincerà il desiderio vincerà le passioni e il vincitore delle passioni non sarà sottomesso dalla tristezza. Il temperante non è rattristato dalla penuria di cibo, né il casto quando raggiunge una folle dissolutezza, né il mansueto che tralascia la vendetta, né l'umile se è privato dell'onore degli uomini, né il generoso quando incorre in una perdita finanziaria: essi evitarono con forza, infatti, il desiderio di queste cose: come infatti colui che è ben corazzato respinge i colpi, così l'uomo privo di passioni non è ferito dalla tristezza.

CAPUT XII.

Militi securitas est clypeus, et urbi murus : nonacho vero passionum vacuitas, ambobus est securior; et enim sæpe quidem sagitta valido vibrata brachio permeat clypeum, et bellatorum multitudo murum effodit, tristitia vero non prævalebit vacuitati passionum. Qui dominatur passionibus, donimatus est tristitiæ, devictus autem a voluptate, illius non effugiet vincula: qui tristatur assidue, seque liberum a passionibus fictione profitetur, similis est ægrotanti, qui simulat sanitatem ; sicut enim qui morbo laborat, a colore manifestatur, ita qui passionibus subest, arguitur e tristitia. Qui diligit mundum valde tristis mcerebit, sed qui despicit ea, quæ in ipso sunt, semper gaudebit. Avarus, si damno fuerit affectus, amare contristabitur, at qui contemnit pecunias, absque tristitia 468 vivet. Qui avidus est gloriæ, superveniente infamia, incidet in tristitiam ; verum qui humiliter sapit, eam, veluti sodalem excipiet. Fornax conflatoria non probatum expurgat argentum, et tristitia secundum Deum, cor, quod est in peccatis : continua conflatura plumbum imminuit, et mundi tristitia diminuit intellectum. Aciem oculorum perspicacem caligo obfuscat, et mentem addictam contemplationi hebetat tristitia. Aquæ profunditatem non pervadit solis fulgor, et cor affectum tristitia contemplatio luminis non illustrat : solis ortus, dulce quid hominibus est; at anima, quæ tristitia affligitur, in eo quoque sibi displicet. Morbus arquatus sensum aufert gustus, et tristitia tollit animæ sensum. At qui mundi voluptates contemnit, a cogitationibus tristitiæ non turbabitur.

Capitolo 12
Lo scudo
è la sicurezza del soldato e le mura lo sono della città: più sicura di entrambi è per il monaco l'apátheia (l’impassibilità). E infatti spesso una freccia scagliata da un forte braccio trapassa lo scudo e la moltitudine dei nemici abbatte le mura mentre la tristezza non può prevalere sull'apátheia. Colui che domina le passioni signoreggerà sulla tristezza, mentre chi è vinto dal piacere non sfuggirà ai suoi legami. Colui che si rattrista facilmente e simula un'assenza di passioni è come l'ammalato che finge di essere sano; come la malattia si rivela dal colore della carnagione, la presenza di una passione è dimostrata dalla tristezza. Colui che ama il mondo (Cfr. 1 Gv 2,15) sarà molto afflitto mentre colui che disprezza ciò che vi è in esso sarà allietato per sempre. L'avaro, ricevuto un danno, sarà atrocemente rattristato, mentre colui che disprezza le ricchezze sarà sempre indenne dalla tristezza. Chi brama la gloria, al sopraggiungere del disonore, sarà addolorato, mentre l'umile lo accoglierà come un compagno. La fornace purifica l'argento di bassa lega e la tristezza di fronte a Dio (Cfr. 2 Cor 7,10) purifica il cuore preda dell'errore; la continua fusione impoverisce il piombo e la tristezza per le cose del mondo sminuisce l'intelletto. La caligine indebolisce la forza degli occhi [1157C] e la tristezza inebetisce la mente dedita alla contemplazione; la luce del sole non raggiunge gli abissi marini e la visione della luce non rischiara un cuore rattristato; dolce è per tutti gli uomini il sorgere del sole, ma anche di questo si dispiace l'anima triste; la bile toglie il senso del gusto, così come la tristezza sottrae all'anima la capacità di percepire. Ma colui che disprezza i piaceri del mondo non sarà turbato dai cattivi pensieri della tristezza.

CAPUT XIII.

De acedia, seu desidia.

Acedia est animæ languor, animæ vero infirnitas, cum non habeat, quod est secundum naturam, nec adversus tentationes generose persistit. Quod enim in corpore bene valenti operatur alimentum, hoc idem tentatio in anima efficit generosa. Boreas ventus nutrit germina, et tentationes, animæ constantiam firmant. Nubes aqua carens a vento dispellitur, et mens, patientiam non habens, a spiritu desidiæ. Ros vernus auget fructum agri, et sermo spiritualis statum animæ in sublime extollit. Fluctus desidiæ monachum expellit e domo sua, qui vero tolerat habetque patientiam, quictam semper transigit vitam. Infirmorum visitationes prætexit 469 negligens, proprio vero genio, et scopo satisfacit. Monachus piger ad ministerium est velox, puiatque præceptum esse sui ipsius satisfactionem. Aura tenuis infirmam quassat, inflectitque plantam, et peregrinationis imaginatio trahit desidem. Bene altcque defixam arborem ventorum non concutit violentia, et desidia firmiter hærentem animam non inflectit. Circuitor monachus aridum virgultum est solitudinis ; paululum conquiescit, rursusque fertur invitus. Planta trauslata fructum non affert, et monachus circumforaneus fructum non dabit virtutis. Infirmo ac debili non unum satisfacit alimentum, et pro desidioso monacho non sat est unum opus. Volupatis cupido una non sufficit femina, et monacho desidi non satis erit una cella.

Capitolo 13
L'accidia
L'ac
cidia è una debolezza dell'anima che insorge quando non si vive [1157D] secondo natura né si fronteggia nobilmente la tentazione. Infatti la tentazione è per un'anima nobile ciò che è il cibo per un corpo vigoroso. Il vento del nord nutre i germogli e le tentazioni consolidano la fermezza dell'anima. La nube povera d'acqua è allontanata dal vento come la mente che non ha perseveranza dallo spirito dell'accidia. La rugiada primaverile accresce il frutto del campo e la parola spirituale esalta la fermezza dell'anima. Il flusso dell'accidia caccia il monaco dalla propria dimora, mentre colui che è perseverante se ne sta sempre tranquillo. L'accidioso adduce quale pretesto la visita degli ammalati, cosa che garantisce il proprio scopo. Il monaco accidioso è rapido a svolgere il suo ufficio e considera un precetto la propria soddisfazione; la pianta debole è piegata da una lieve brezza e immaginare la partenza distrae l'accidioso. Un albero ben piantato non è scosso dalla violenza dei venti [1160A] e l'accidia non piega l'anima ben puntellata. Il monaco girovago, secco fuscello della solitudine, sta poco tranquillo e, senza volerlo, è sospinto qua e là di volta in volta. Un albero trapiantato non fruttifica e il monaco vagabondo non dà frutti di virtù. L'ammalato non è soddisfatto da un solo cibo e il monaco accidioso non lo è da una sola occupazione. Non basta una sola femmina a soddisfare il voluttuoso e non è abbastanza una sola cella per l'accidioso.

CAPUT XIV.

Oculus segnis assidue fenestris intente aspicit, ejusdemque intellectus visitantes imaginatur: janua stridorem edidit, exsiliit ille, vocem audiit, jamque per fenestram inclinatus respexit, nec inde discedit, usquequo sedens, obstupescat. Deses, legendo sæpe oscitat, et ad somnum facile devolvitur, confricat vultum, distenditque manus, et avertens oculos a libro, in paeiete ipsos defigit : iterum reversus parumper legit, replicansque verborum fines, laborat inaniter, folia enumerat, et quaterniones calculatur, seripturam et ornatum vituperat, ac demum complicans supponit capiti librum, edormitque somnum non valde profundum, fames enim deinceps ipsius excitat animam, ac 470 proprias gerit curas. Segnis monachus, piger est ad orationem, et verba orationis non eloquetur unquam: quemadmodum enim, qui agrotat, grave non portat onus, ita et desidiosus, opus Dei nequaquam faciet accurate : nam, destituitur quidem ille viribus corporis, iste vero anima nervis ac laboribus est dissolutus. Desidiam sanat patientia ; omniaque cum multa et assidua facere attentione, et Dei timore. lu omni opere modum ordina tibi ipsi, neve prius desistas, quam illud perfeceris, ac simul intelligenter, omnibusque viribus ora, tuncque a te spiritus aufugiet pigritiæ.

Capitolo 14
L'occhio dell'accidioso fissa le finestre continuamente e la sua mente immagina che arrivino visite [1160B]: la porta cigola e quello balza fuori, ode una voce e si sporge dalla finestra e non se ne va da lì finché, sedutosi, non si intorpidisce. Quando legge, l'accidioso sbadiglia molto, si lascia andare facilmente al sonno, si stropiccia gli occhi, si stiracchia e, distogliendo lo sguardo dal libro, fissa la parete e, di nuovo, rimessosi a leggere un po', ripetendo la fine delle parole, si affatica inutilmente, conta i fogli, calcola i quaternioni, disprezza le lettere e gli ornamenti e infine, piegato il libro, lo pone sotto la testa e cade in un sonno non molto profondo, e infatti, di lì a poco, la fame gli risveglia l'anima con le sue preoccupazioni. Il monaco accidioso è pigro alla preghiera e di certo non pronuncerà mai le parole dell'orazione; come infatti l'ammalato non riesce a sollevare un peso eccessivo così anche l'accidioso di sicuro non si occuperà con diligenza dei doveri verso Dio: all'uno infatti difetta la forza fisica, all'altro viene meno il vigore dell'anima. La pazienza, il far tutto con molta assiduità e il timor di Dio curano l'accidia. Disponi per te stesso una giusta misura in ogni attività e non desistere prima di averla conclusa, e prega assennatamente e con forza e lo spirito dell'accidia fuggirà da te.

CAPUT XV.

De vana gloria.

Vana gloria est passio irrationalis, facileque omui virtutis operi implicatur. Linea in aqua efformata confunditur, et in anima vanæ gloriæ cupida labor virtutis. Manus fit candida in sinu abscondita, et actio occultata luce clarius effulget. Arborem hedera circumplectitur, et quando sursum pervenerit radicem exsiccat, et vana gloria virtutibus adnascitur, easque non deserit, donec vires exciderit. Botrus in humum attractus facile putrefit, et virtus deperit vanæ gloriæ inuærens. Monachus, qui vana gloria percellitur, operarius est absque mercede, laborem subiit, et nullam accepit mercedem. Crumena perforata non conser. vat, quod iminittitur, et vana gloria virtutum mercedes 471 disperdit. Continentia vanæ gloriæ cupidi, fumus est camini, inque aerem utraque dissolventur. Ventus delet vestigium viri, et vana gloria percitus, eleemosynam. Jactus lapidis non pertingit cœlum, et oratio ejus, qui hominibus placere studet, non ascendet ad Deum.

Capitolo 15
La vanagloria
La vanagloria è una passione irragionevole e facilmente s'intreccia con tutte le opere di virtù. [1160D] Un disegno tracciato nell'acqua si confonde, come la fatica della virtù nell'anima vanagloriosa. Diviene candida la mano nascosta in seno e l'azione che rimane celata risplende di una luce più smagliante. L'edera s'avvinghia all'albero e, quando giunge in alto, ne dissecca la radice, così la vanagloria si origina dalle virtù e non si allontana finché non avrà reciso la loro forza. Il grappolo d'uva, buttato a terra, marcisce facilmente e la virtù, se si appoggia alla vanagloria, perisce. Il monaco vanaglorioso è un lavoratore senza salario: si impegna nel lavoro e non riceve alcuna paga; la borsa bucata non custodisce ciò che vi è riposto e la vanagloria distrugge i compensi delle virtù. La continenza del vanaglorioso è come il fumo del camino, entrambi si disperderanno nell'aria. Il vento cancella l'orma dell'uomo come l'elemosina del vanaglorioso. La pietra lanciata [1161A] non raggiunge il cielo e la preghiera di chi desidera piacere agli uomini non salirà fino a Dio.

CAPUT XVI.

Vana gloria scopulus est sub aqua latens; si alliseris, onus perdidisti. Vir prudens abscondit thesaurum, et monachus sapiens, labores virtutis. In plateis orare vana gloria consulit; at qui eam oppugnat, orat in suo penetrali. Vir insipiens suas publicat divitias, multosque provocat, ut adversus se ipsum parent insidias. Tu vero tua occulta; in itinere namque latronum es, donec in urbem pacis perveneris, tuncque tuis rebus secure uteris. Virtus ejus, qui vana laborat gloria, obtritum est sacrificium, neque ad Dei offeretur altare. Desidia, vires, ac robur animæ exsolvit, et vana gloria mertem, quæ a Deo excidit, eademque ægrotantem reddit sanum, et senem juvene robustiorem, modo adsint multi testes earum, quæ fiunt, rerum; tunc autem vanum erit jejunium, et vigilia, et oratio ; laus quippe multorum promptam animi excitat alacritatem. Ne humanis celebritatibus divendas labores, neque futuram prodas gloriam, propter vilem laudis acclamationem: etenim humana gloria humi quiescit, ipsiusque laus in terra exstinguitur, virtutis autem gloria manet in sæculum.

Capitolo 16
La vanagloria è
uno scoglio sommerso: se vi urti contro rischi di perdere il carico. Nasconde il suo tesoro l'uomo prudente quanto il saggio monaco le fatiche della sua virtù. La vanagloria consiglia di pregare nelle piazze, colui che invece vi si oppone prega nella sua stanzetta (Cfr. Mt 6,5-6). L'uomo poco assennato rende nota la propria ricchezza e spinge molti a tendergli insidie. Nascondi invece le tue cose: durante il cammino ti imbatterai in lestofanti finché non arriverai alla città della pace (Cfr. Eb 7,2) e potrai usare i tuoi beni tranquillamente. La virtù del vanaglorioso è un sacrificio consunto (Cfr. Lv 22,22) e non è certo offerto [1161B] all'altare di Dio. L'accidia dissolve il vigore dell'anima, mentre la vanagloria fortifica la mente che dimentica Dio, rende robusto l'astenico e il vecchio più forte del giovane, solo finché sono molti i testimoni che assistono a tutto questo: allora saranno inutili il digiuno, la veglia e la preghiera, è infatti la pubblica approvazione che eccita lo zelo. Né metterai in vendita le tue fatiche per la fama, né rinuncerai alla gloria futura per essere acclamato. Infatti l'umana gloria si accampa in terra (Cfr. Sal 7,6) e sulla terra la sua fama si estingue, mentre la gloria della virtù rimane in eterno. [1161C]

CAPUT XVII.

De superbia.

Superbia tumor est animæ sanie plenus; si nataruerit, erumpet, multumque redolebit fetorem. Fulguris splendor sonum prænuntiat tonitrus, et præsentia vanæ gloriæ annuntiat superbiam. Superbi anima ad magnam ascendit altitudinem, indeque ipsum dejicit in profundum. Superbia laborat, qui seipsum a Deo dissociat, propriisque viribus facinora recte patrata ascribit. Quemadmodum autem, qui super araneam inscendit, decidens, fertur deorsum, ita concidit, qui propriæ confidit virtuti. Copiosus fructus arboris inflectit ramos, et virtutum copia sensum humiliat viri. Fructus putridus inutilis est agricolæ, et virtus superbi Deo non est accepta. Palus, seu pedamentum, ramum sustentat onustum fructibus, et timor Dei animam virtute præditi. Sicuti fructus pondus ramum disrumpit, ita superbia virtute conspicuam demittit animam. Ne superbiæ tuum dedas animum, quia sic tetricis carebis imaginationibus superbi etenim anima derelinquitur a Deo, fitque dæmonibus materia gaudii. Nocte, bestiarum invadentium imaginatur multitudinem, dieque a cogitationibus timoris turbatur. Si dormit, exsilit assidue, et si vigilet, ad umbram avis perterrefit. Folii rumor superbum exterruit, et aquæ sonus ejus diffregit animam. Etenim qui paulo ante se ipsum Deo opponit, illiusque denegat auxilium, postremo a vilibus spectris perterretur.

Capitolo 17
La superbia
La superbia
è un tumore dell'anima pieno di sangue. Se matura scoppierà, emanando un orribile fetore. Il bagliore del lampo annuncia il fragore del tuono e la presenza della vanagloria annuncia la superbia. L'anima del superbo raggiunge grandi altezze e da lì cade nell'abisso. Si ammala di superbia l'apostata di Dio ascrivendo alle proprie capacità le cose ben riuscite. Come colui che sale su una tela di ragno precipita, così cade colui che si appoggia alle proprie capacità. Un'abbondanza di frutti piega i rami dell'albero e un'abbondanza di virtù umilia la mente dell'uomo. Il frutto marcio è inutile al contadino e la virtù del superbo non è accetta a Dio. Il palo sostiene il ramo carico di frutti e il timore di Dio l'anima virtuosa. Come il peso dei frutti spezza [1161D] il ramo così la superbia abbatte l'anima virtuosa. Non consegnare la tua anima alla superbia e non avrai terribili fantasie. L'anima del superbo è abbandonata da Dio e diviene oggetto di gioia maligna per i demoni. Di notte egli si immagina branchi di belve che l'assalgono e di giorno è sconvolto da pensieri di viltà. Quando dorme facilmente sussulta e quando veglia lo spaventa l'ombra di un uccello. Lo stormire delle fronde atterrisce il superbo e il suono dell'acqua spezza la sua anima. Colui che infatti poco prima si è opposto a Dio respingendo il suo soccorso, viene poi spaventato da volgari fantasmi. [1164A]

473 CAPUT XVIII.

Superbia e cœlis projecit archangelum, fecitque, ut ille quasi fulgur ad terram decideret. At humilitas hominem extollit ad cœlum, efficitque ut cum angelis tripudiet! O homo, quid in sublime tolleris, cum natura sis lutum et putredo? Ecquid et supra nubes attolleris? tuam inspice naturam, quod sis pulvis, et cinis, postque parum temporis y pulverem resolveris. Modo fastuosus, et post parum temporis vermis; quid cervicem attollis, quæ paulo past emarcescet? Homo, qui a Deo auxilium assequitur, est magnum quid; derelictus est, imbecillitatemque agnovit naturæ; nihil habes, quod a Deo non accepisti, quid igitur in alieno, tanquam in tuo hebetaris? quid gratia Dei, veluti propria re gloriaris? Agnosce largitorem, neve multum efferaris; creatura es Dei, ne Creatorem asperneris; a Deo adjuvaris, ne renuas benefactorem; ad sublimitatem instituti ascendisti, sed ille te deduxit; recta virtutis opera patrasti, verum ille operatus est; ipsum confitere, qui te exaltavit, ut firmus in altitudine permaneas; agnosce contribulem, quia ejusdem est naturæ, ne per jactantiam recuses cognationem.

Capitolo 18
La superbia precipitò l'arcangelo dal cielo e come un fulmine lo fece piombare sulla terra
(Cfr. Is 14,12; Lc 10,18). L'umiltà invece conduce l'uomo verso il cielo e lo prepara a far parte del coro degli angeli. Di che ti inorgoglisci, o uomo, quando per natura sei melma e putredine (Cfr. Gb 4,19; 25,6), e perché ti sollevi sopra le nuvole? Guarda alla tua natura poiché sei terra e cenere (Cfr. Gen 18,27) e fra un po' tornerai alla polvere, ora superbo e tra poco verme (Cfr. Sal 21,7). A che pro sollevi il capo che tra non molto marcirà? Grande è l'uomo soccorso da Dio; una volta abbandonato egli riconobbe la debolezza della natura. Nulla possiedi che tu non abbia ricevuto da Dio (Cfr. 1 Cor 4,7). Perché dunque ti scoraggi per ciò che appartiene ad altri come se fosse tuo? Perché ti vanti di quel che viene dalla grazia di Dio come se fosse una tua personale proprietà? Riconosci colui che dona e non ti inorgoglire tanto: [1164B] sei creatura di Dio, non disprezzare perciò il creatore. Dio ti soccorre, non respingere il beneficatore. Sei giunto alla sommità della tua condizione, ma lui ti ha guidato; hai agito rettamente secondo virtù ed egli ti ha condotto. Glorifica chi ti ha innalzato per rimanere al sicuro nelle altezze; riconosci colui che ha le tue stesse origini perché la sostanza è la medesima e non rifiutare per arroganza questa parentela.

CAPUT XIX.

Humilis est ille, atque modice temperatus; at idem conditor utrumque creavit. Ne humilem contemnas, te namque securior est : incedit ille super humum, et non cadit celeriter; qui autem excelsus esi, si ceciderit, conteretur. Superbus monachus 474 arbor est absque radice, nec venti perferet impetum. Mens absque tumore, civitas est manibus cincta, et qui eam incolit, inviolabilis erit. Aura venti siccam extollit festucam, et superbum insultus effert dementiæ. Bulla fracta evanescet, et memoria superbi peribit. Humilis sermo ad emolliendam est animam, at superbi verbum est arrogantia refertum. Oratio viri humilis Deum inflectit, Deum vero exasperat superbi supplicatio. Corona domus est humilitas, tuteque custodit introeuntem. Cum ad apicem virtutum ascenderis, tunc multa opus est tibi tutela; nam, qui cadit e pavimento ocius surgit, qui autem ab alto conciaii, ad mortem periclitatur. Lapidem pretiosum muniri auro decet, et viri humilitas multis resplendet virtutibus.

Capitolo 19
Umile e moderato
è colui che riconosce questa parentela; ma il demiurgo plasmò sia lui sia il superbo. Non disprezzare l'umile: infatti egli è più al sicuro di te: cammina sulla terra e non precipita; ma colui che sale più in alto, [1164C] se cade, si sfracellerà. Il monaco superbo è come un albero senza radici e non sopporta l'impeto del vento. Una mente senza boria è come una cittadella ben munita e chi vi abita sarà imprendibile. Un soffio di vento solleva la paglia e l'insulto porta il superbo alla follia. Una bolla scoppiata svanisce e la memoria del superbo perisce. La parola dell'umile addolcisce l'anima, mentre quella del superbo è ripiena di millanteria. Dio si piega alla preghiera dell'umile, è invece esasperato dalla supplica del superbo. L'umiltà è la corona della casa e tiene al sicuro chi vi entra (Dt 22,8). Quando salirai al sommo delle virtù allora avrai molto bisogno di sicurezza. Infatti colui che cade sul pavimento rapidamente si rialza, ma chi precipita da grandi altezze, rischia la morte. La pietra preziosa si addice al bracciale d'oro e l'umiltà umana risplende di molte virtù.


Ritorno alla pagina iniziale "Le regole di Evagrio Pontico"


| Ora, lege et labora | San Benedetto | Santa Regola | Attualità di San Benedetto |

| Storia del Monachesimo | A Diogneto | Imitazione di Cristo | Sacra Bibbia |


19 aprile 2021           a cura di Alberto "da Cormano"      Grazie dei suggerimenti      alberto@ora-et-labora.net