3. Monaci, monache, monasteri nelle Regole di Basilio


Ioan Cozma - Maria Chiara Giorda

Estratto da “Uomini e donne nei monasteri: la genesi tardo-antica di un equivoco

Articolo pubblicato su “Rivista di storia del cristianesimo” : 15, 1/2018 - Morcelliana 2018


 

Senza dubbio, una figura importante per la storia del monachesimo ortodosso è Basilio (329/330-379), riconosciuto nella Chiesa bizantina come l’organizzatore del monachesimo, colui che ha portato l’ordine nel caos delle sperimentazioni monastiche dell’Asia Minore[1]. Basilio percepì la vita monastica come «il quadro normale dello sviluppo della vita spirituale»[2]. Nella sua visione, la Chiesa è una macro-comunità, in cui un ruolo importante hanno le micro-comunità di asceti, vergini e reclusi, tutte destinate a essere il nucleo della rinascita spirituale di tutta la Chiesa[3]. In questo quadro, un ruolo rilevante occupa il monachesimo di tipo comunitario o cenobitico, visto da Basilio come il mezzo ideale per raggiungere la perfezione, l’unione con Dio[4]. Coloro che assumano questo stato devono essere governati da un’unica Regola, la Bibbia, sulla quale qualsiasi altra regola deve essere fondata[5].

Il primo monastero di Basilio era maschile e fu fondato intorno al 358 nella regione di Neocesarea (in Ponto), in una zona di montagna circondata su tre lati dal fiume Iris e situato molto vicino (circa 8 km) a quello di Annesi di sua sorella Macrina e suo fratello Pietro[6]. Questi due monasteri separati dalla cresta della montagna[7], ma adiacenti, formavano un polo monastico, diventando modelli per i monasteri regolamentati nei suoi scritti[8]. Negli anni successivi, le comunità basiliane si diffusero rapidamente per tutta la Cappadocia e il Ponto, entrando a far parte del paesaggio architettonico urbano e rurale: prossimità di villaggi, grosse borgate, periferie delle città[9].

In mancanza di descrizioni letterarie e di testimonianze archeologiche, l’unico punto di partenza nell’immaginare come fossero architettonicamente strutturati i monasteri di Basilio rimane il monastero di Macrina, descritto sommariamente da Gregorio di Nissa nella Vita di Macrina (16, 37). Si trattava di una fraternità ( δελφότης) con due comunità separate in due quartieri: quello delle vergini (το παρθεννος) retto da Macrina e quello degli uomini (το νδρνος), retto da Pietro[10]; una chiesa ( κκλησί) comune per entrambe le comunità[11]. Questa descrizione generica, insieme alle informazioni desunte dalle regole relative alle attività e al rapporto monaci - monache sia all’interno sia all’esterno dei suoi monasteri, restituiscono quello che diventerà il modello di convivenza monastica nell’Oriente bizantino ed oltre[12].

È da rilevare la totale assenza di terminologia come “monastero doppio” oppure “monastero simbiotico”, espressioni usate più tardi nella letteratura ecclesiastica e giuridica per descrivere o catalogare l’organizzazione del monachesimo cenobitico basiliano del IV secolo. Ciò non stupisce troppo perché nelle sue regole monastiche termini come “monaco”, “monaca”, “monastero” e simili - ormai tecnici specie in area egiziana[13] - sono totalmente assenti[14]. Invece, la sua preferenza per descrivere le comunità monastiche sono quello di “fraternità” al plurale (δελφότες)[15], mentre per monaci/monache Basilio utilizza frequentemente i termini “fratello” (δελφός), “sorella” (άδελφή), “asceta” (σκητός/ή).

Nella sua semantica, il termine   ha un contenuto piuttosto generico che tecnico-giuridico; da una parte, rimandava ai nessi famigliari, mentre, dall’altra, era destinato a ricordare il prototipo della vita comunitaria apostolica[16], cioè l’immagine della Chiesa primitiva di Gerusalemme, dove la comunità dei fedeli funzionava come un unico corpo, con un solo cuore e una sola anima (Atti 4,32)[17]. Rispetto all’ideale di vita apostolica, le regole monastiche basiliane, oltre una leggera nostalgia apostolica, sono tuttavia marcate da un atteggiamento segregazionista: i rapporti tra fratelli e sorelle sono attentamente monitorizzati, limitandosi al minimo il contatto tra uomini e donne pure all’interno della stessa fraternità.

Tracce di questa tipologia monastica di convivenza segregata vengono desunte dalle sue cosiddette Regole[18], principalmente dalla Regola 33 delle Regole diffuse (d’ora in poi Rd  che tratta degli incontri tra i fratelli e le sorelle, compreso anche gli incontri dei fratelli/sorelle con le persone laiche[19]. Gli incontri erano permessi in luoghi determinati e soltanto se erano ben motivati. Per eliminare qualsiasi sospetto, coloro che volevano incontrarsi non dovevano essere meno di due e né più di tre da ogni parte. Se si fosse trattato di cose personali che dovevano essere dette o ascoltate, la cosa veniva risolta non direttamente, ma tramite gli intermediari delle due comunità, cioè alcuni anziani (πρεσβύτεροι) - dejà vu pacomiano - della comunità maschile - scelti in questo senso («ben valutati, avanzati in età») - incontravano le anziane (πρεσβυτέρας) dalla comunità femminile per risolvere la questione.

 

«Rd 33. (D) Quale regola osservare nelle relazioni con le sorelle?

(R) Colui che ha rinunciato per sempre al matrimonio rinuncerà molto più ancora alle inquietudini di cui si preoccupa un uomo sposato che vuole piacere a sua moglie (1Cor 7,33), e respingerà del tutto ogni preoccupazione di piacere ad una donna, poiché temerà il giudizio di Colui che ha detto: “Dio ha disperso le ossa di coloro che piacevano agli uomini” (Sal 52,6). Non avrà mai dunque un colloquio con una sorella e nemmeno con un uomo, nel solo desiderio di piacergli, ma quando la sua utilità lo richiederà andrà al colloquio in questo spirito di carità che Dio vuole che ciascuno trovi nel suo prossimo.

Questi incontri non devono dunque essere concessi né a tutti coloro che lo desiderano, né in qualunque momento, né in qualsiasi posto (οδ τόπος) [...] ci occorre scegliere e determinare con cura le persone, il momento, l’argomento ed il luogo (τόπον). [...] Che non siano mai meno di due da ogni lato, poiché ad essere soltanto uno da una parte ed uno dall’altra si fa facilmente nascere il sospetto, per non dire di più, e le parole che verranno dette avranno meno forza probante, poiché la Scrittura afferma prudentemente: “Il fatto dovrà essere stabilito sulla parola di due o di tre testimoni” (Dt 19,15; Mt 18,16). Che non siano tuttavia più di tre per non ostacolare il desiderio di zelo voluto dal nostro Signore Gesù Cristo.

Se dei fratelli devono dire o ascoltare cose personali, non si accorderà l’incontro agli interessati stessi, ma altri fratelli scelti fra gli anziani si incontreranno con delle sorelle ugualmente anziane e la questione sarà trattata tramite l’intermediazione degli anziani. Questa misura deve del resto essere osservata non soltanto dagli uomini riguardo alle donne e dalle donne riguardo agli uomini, ma anche dagli uomini e dalle donne tra di loro [...].

Altri fratelli avranno ugualmente l’incarico di vegliare sulle necessità materiali e saranno anch’essi ben valutati, avanzati in età, degni nella loro condotta e nel loro modo di vivere, affinché nessun cattivo sospetto non venga a ferire alcuna coscienza, perché: “Per quale motivo, infatti, questa mia libertà dovrebbe essere sottoposta al giudizio della coscienza altrui?” (1Cor 10,29)»[20].

 

Lo stesso atteggiamento si trova anche nella Regola 108 dalle Regole brevi (d’ora in poi Rb), dove il superiore della comunità maschile non aveva il diritto di incontrare e parlare liberamente con una sorella dalla comunità femminile in assenza della superiora di questa, anche se si trattava di cose sulla fede. Mentre nella Rb 109 sono limitati persino gli incontri tra il superiore della comunità maschile con la superiora della comunità femminile.

 

«Rb 108. (D) È conveniente che il preposito (προεσττα) parli con una qualche sorella (δελφ) di ciò che riguarda l’edificazione della fede, in assenza della sorella preposta (προεστώσης)?

(R) In questo modo non si custodisce il precetto dell’Apostolo che ha detto: “Tutto avvenga con decoro e ordine” (1Cor 14,40)[21].

Rb 109. (D) È conveniente che il preposito dialoghi frequentemente con la sorella preposta, soprattutto se qualche fratello è turbato da questo fatto?

(R) Benché l’Apostolo abbia detto: “E perché la mia libertà deve essere giudicata dalla coscienza altrui?” (1Cor 10,29), è bene imitarlo quando dice: “Ma non abbiamo usato di questa facoltà per non creare ostacolo al vangelo di Cristo” (1Cor 9,12). E bisogna fare il possibile per rendere i colloqui meno frequenti e più sbrigativi»[22].

 

Nonostante le proibizioni, la comunità femminile non era del tutto isolata da quella maschile, anzi, si potrebbe parlare di una interdipendenza delle due comunità. Nella comunità femminile la dipendenza è evidenziata soprattutto nel campo spirituale, come ad esempio l’amministrazione della confessione, affidata ad alcuni anziani appositamente destinati per servire i bisogni spirituali delle comunità femminili. Tuttavia, uno spirito di prudenza si richiedeva anche in queste situazioni; nella Rb 110 alla domanda se sia ancora necessaria la presenza della “presbitera” (l’anziana) quando la confessione di una sorella viene fatta da un anziano, la risposta è positivamente motivata: «È più decoroso e prudente che la confessione si faccia alla presenza dell’anziana, perché l’anziano può suggerire sapientemente il modo della penitenza e della correzione»[23].

Di considerevole importanza è la Rb 111, nella quale si evidenzia il fatto che il rapporto tra la “presbitera” (la superiora della comunità femminile) e il presbitero (il superiore della comunità maschile) non era di subordinazione, ma di una armoniosa cooperazione, entrambi essendo assistiti e controllati dal consiglio degli anziani. Le sorelle dovevano prestare obbedienza alla loro superiora, non essendo infatti tenute ad obbedire al superiore della comunità maschile senza il permesso della loro anziana. Quindi, tutte queste regole sopra enunciate sono anche destinate a limitare gli interventi arbitrari dei superiori delle comunità maschili nelle comunità femminili.

 

«Rb. 111. (D) Se avviene che l’anziano (το πρεσβυτέρου) ordini qualcosa alle sorelle contro il parere dell’anziana (τς πρεσβυτέρας), è giusto che l’anziana (πρεσβυτέρα) si indigni?

(R) Eccome (κα σφόδρα) [24]

 

Una attenzione particolare merita la Rb 154 che autorizza i fratelli di prestare i loro servizi presso le sorelle.

 

«Rb 154. (D) È rischioso che i fratelli, quando siano pochi e debbano prestare la loro opera a più sorelle, si separino l’uno dall’altro (διίστασθαι π λλήλων), distribuendosi a seconda dei lavori?

(R) Se la loro occupazione è in obbedienza al comandamento del Signore e la loro fatica secondo Dio, ciascuno consegue il compiacimento di Dio col proprio lavoro. Quanto alla loro unità, essa consiste nell’essere tutti unanimi, nell’aver tutti un unico sentire, adempiendo ciò che è stato detto dall’Apostolo: Anche se sono assente col corpo, con lo spirito però sono con voi (Col 2,5)» [25].

 

Il testo della regola ci permette di prospettare teoreticamente tre ipotesi:

1)Prestare servizio a più sorelle - « πλείοσιν δελφας (pluribus sororibus)» - potrebbe significare non più persone, ma piuttosto più comunità monastiche femminili, forse tutte parte della fraternità (adelphotes)  La separazione temporanea dei fratelli, riferita con l’espressione « διίστασθαι π λλήλων », viene a confermare la varietà tipologica del monachesimo basiliano; in questo caso specifico, ci permette di ipotizzare che le comunità monastiche femminili non erano tutte vicine alla fraternità. Soltanto così si potrebbe spiegare il fatto che i fratelli erano obbligati a separarsi l’uno dall’altro per andare e sovvenire alle necessità delle suore. Quindi, questi dovevano andare da qualche parte più lontano dalla fraternità siccome la regola sembra di parlare di una assenza fisica dei fratelli.

2) Prestare servizio a più sorelle significherebbe prestare opera a più sorelle della stessa comunità dentro la stessa fraternità. Purtroppo, la regola non menziona che tipo di servizi questi prestavano oltre il servizio spirituale, né come questi venivano svolti. La separazione temporanea potrebbe suggerire anche il fatto che in certi casi alcuni di loro dovevano fisicamente alloggiare oppure passare almeno passavano la gran parte del loro tempo dentro le comunità femminili[26].

3) La norma si riferisce al fatto che in certi casi i fratelli dovevano andare fuori dalla fraternità per lavorare e provvedere anche ai bisogni delle comunità femminili più numerose dentro la stessa fraternità.

Lowther Clarke, uno dei commentatori di questa regola, suggerisce che la norma, in questo caso, debba essere interpretata nel senso di una interdipendenza economica, oltre che una necessità spirituale (la celebrazione della liturgia) e sembra riferirsi alla divisione del lavoro dentro la stessa fraternità[27]. Quest’ultima interpretazione trova come supporto la Rd 39  in cui ai fratelli è permesso di uscire fuori dalla fraternità per andare e vendere i loro prodotti nelle città vicine. In tali situazioni, questo compito doveva essere svolto da più fratelli insieme e non era permessa la separazione l’uno dall’altro per tutta la durata del viaggio e del soggiorno.

Il numero forse più grande delle sorelle nelle comunità monastiche basiliane rispetto ai fratelli, implicitamente suggerito dalla regola in questione, potrebbe avere anche un’altra spiegazione. Si deve prendere in considerazione che nei tempi di Basilio la vocazione ascetica femminile era abbastanza diffusa, con la possibilità di praticarla in un quadro organizzato, all’interno delle comunità monastiche, oppure dentro la propria famiglia (sia che si trattasse della famiglia naturale, sia di quella spirituale - matrimonio spirituale)[28]. Quest’ultima forma era conosciuta anche come l’“ordine delle vergini” (xàypa xròv nap0évrav) e nei tempi di Basilio ci fu una tendenza verso la loro incorporazione dentro le comunità monastiche[29], viste come il quadro ideale per praticare la verginità[30]. In una delle risposte al vescovo Anfilochio di Iconio (Ep. 199) si osserva la diligente preoccupazione di Basilio per regolamentare il tagma delle vergini, diventato più numeroso nei suoi tempi. In questa risposta, che nelle collezioni canoniche bizantine rappresenta il canone 18 di Basilio, il vescovo cappadoce stabiliva l’età per la professione delle vergini e le penitenze sia per quelle che avrebbero trascurato la loro promessa solenne al celibato nonché per gli uomini che avrebbero commesso adultero o avrebbero tentato di sposare una vergine[31].

Comunque, la Rb 154, intesa ad litteram, viene a delimitare esplicitamente la forma della convivenza in quartieri separati. Un contributo verso la segregazione era già stato dato dal sinodo locale di Ancira del 314: con il canone 19 proibiva alle vergini di convivere con uomini come se fossero fratelli e sorelle[32]. Il problema della convivenza mista fu ripresa poi dal concilio di Nicea del 325 nel suo canone 3, che estese la proibizione delle coabitazione dei chierici celibi con le donne, «a meno che non si trattasse della propria madre, di una sorella, di una zia, o di una persona che sia al di sopra di ogni sospetto»[33]. Nel testo greco la parola usata è   (συνείσακτος) che in quei tempi designava soprattutto la convivenza spirituale di una vergine o di una vedova con un uomo[34]. Ovviamente, oltre questa categoria di donne, il testo   si riferisce a qualsiasi donna accolta da un chierico nella sua casa con lo scopo di abitare lì[35]. Questo tipo di convivenza dei chierici celibi con vergini o vedove fu inoltre disapprovato anche da Basilio nella lettera indirizzata a Paregorius, un prete che viveva con una donna in una sorte di unione spirituale. Nel rimproverare il comportamento di Paregorius, Basilio rimanda alle disposizioni del concilio niceno, usando lo stesso termine   e dispone che la donna sia allontanata e messa in un monastero; ma se invece avesse continuato nella sua convivenza il prete sarebbe stato ammonito con l’anatema, insieme a tutti quelli che lo avrebbero accolto  55;   88)[36].

La convivenza delle persone consacrate fu esplicitamente condannata sia dal fratello di Basilio, Gregorio di Nissa, sia anche dall’amico Gregorio di Nazianzo. Il primo considerava che la coabitazione mista non faceva altro che portare alla diffamazione di una pratica pura di vita ascetica (καθαρν πιτήδευμα βλασφημεται παρ τν ξωθεν), perciò un tale luogo in nessun caso poteva essere chiamato   (κα δελφότητα τν τοιαύτην συμβίωσιν νομάζοντες)[37]. Gregorio di Nazianzo invece usa il termine   (γαπηταί) per indicare sia la pratica della convivenza mista sia i conviventi, soprattutto le vergini, ma il termine viene spesso usato anche nella sua forma maschile, cioè   (γαπητοί)[38]. La sua posizione è intransigente: questo tipo di vita comune deve cessare e gli uomini e le donne che hanno fatto la promessa di celibato devono vivere separatamente[39]. Ugualmente, i monaci erano ammoniti a fare la vita dei monaci e a stare lontano da qualsiasi donna, anche qualora si trattasse di vergini:

 

«Come è difficile sfuggire al turbamento per la vicinanza dei corpi.

Perciò, monaci, [state]mi lontano dalle donne [...].

Monaci, fate la vita dei monaci.

Se vivete con le agapete, non [siete] monaci. La coppia [vi sia] estranea.

L’unicità è l’immagine della gloria angelica. Se con le agapete

vi dilettate, siete amanti della coppia [che è cosa] mortale.

Sono persuaso, tu vivi da casto con una casta, ma è una donna»[40].

 

D’altra parte, non è la stessa intransigenza nei riguardi dei monasteri con convivenza segregata per i quali Gregorio sembra avere una posizione meno critica: si pensi alla lettera di condoglianze per Leucadius, il superiore di un monastero con comunità maschile e femminile a Sannabadae (Cappadocia), come anche al suo ritiro di quasi quattro anni nel monastero della vergine Tecla in Seleucia, descritto da Egeria nel suo Diario di viaggio (23,4) come una congregazione con comunità “doppia” di uomini e donne[41].

In conclusione, dalle regole di Basilio si desume che all’interno delle fraternità vivevano monaci (fratelli) e monache (sorelle) subordinati alla stessa regola, sia dal punto di vista spirituale, sia da quello economico-amministrativo; tuttavia non risulta chiaramente come fosse organizzata - spazialmente - la separazione né di quale forma di convivenza si trattasse.

Nel quarto secolo, la vita monastica comunitaria dell’Asia Minore conosceva una varietà di tipologie di prossimità tra monaci e monache che difficilmente è possibile subordinare a una terminologia fissa; negli scritti di Basilio e Gregorio si trovano alcune modalità differenti: 1) la convivenza ascetica mista di una vergine o di una vedova con un chierico, indicata con la parola syneisaktos; 2) la convivenza ascetica mista di una donna con un uomo, individuata dalla parola agapetes; 3) la convivenza ascetica di uomini e donne all’interno dello stesso monastero[42]. Quest’ultima forma non trova alcuna delimitazione terminologica o definizione, ma sono soltanto delle descrizioni e dei tentativi di regolamentazione.

 


[1] Cfr. Susanna Elm, Virgins of God: the Making of Ascetism in Late Antiquity, Oxford University Press, New York 1994, p. 61.

[2] Dimitrios Salachas, Il diritto canonico delle Chiese orientali nel primo millennio, Edizioni Dehoniane, Roma-Bologna 1997, p. 164.

[3] Hilarion Alfeyev, Orthodox Christianity: The History and Canonical Structure of the Orthodox Church, I, St. Vladimir’s Seminary Press, Yonkers 2011, p. 83.

[4] La preferenza di Basilio per la vita monastica in comune viene evidenziata nella regola 7 in Regole diffuse (PG 31, coll. 927-933).

[5] Cfr. Ernest F. Morison, St. Basil and his Rule: A Study in Early Monasticism, Oxford University Press, London 1912, p. 20.

[6] Oggi la città Uluköy in Turchia. La descrizione geografica e la localizzazione del monastero di Basilio fu fatta nel 2006 da Anna M. Silvas e Carmel Silvas. Si veda Anna M. Silvas, In Quest of Basil’s Retreat: An Expedition to Ancient Pontus, in «Antichthon» 41 (2007), pp. 73-95.

[7] Nella sua descrizione geografica Anna Silvas argomenta il fatto che i due monasteri non erano separati dal fiume Iris. Ella nota: «Il ritiro è sul "lato opposto" dalla villa di Emmelia (π τς ντιπέραν κώμης: Basilio, Lettera 223). È in grado di raggiungerli con rifornimenti (Greg. Naz., Lettera 4.5-6). «Villaggio sul lato opposto» non può significare una villa dall'altra parte del fiume, sia per Basilio e Gregorio Nazianzeno sottolineano che il fiume qui è "impraticabile". Da ciò si deduce che la villa si trova sul lato opposto del crinale della montagna, cioè con il ritiro ascetico sul lato nord e l'Annisa sul lato sud. C'è solo un punto di accesso a questa pianura ed a questo ritiro (Basilio, Lettera 14,5), cioè per mezzo di un sentiero scosceso sopra la cresta che cade su entrambi i lati (Greg. Naz., Lettera 4.5-6)». Ibi, p. 82. È importante citare alcuni autori che hanno sostenuto la separazione dei due monasteri dal fiume Iris: «Basilio stesso fissa la sua residenza sulla riva opposta del fiume» (E.F. Morison, St. Basil and his rule, p. 9); «Ci viene in mente il monastero di Basilio su di un lato dell'Iris e quello di Macrina sull'altro lato» (W.K. Lowther Clarke, St. Basil the Great: A Study in Monasticism, University Press, Cambridge 1913, p. 39, nota 3); «Annesi, dove sua madre e sua sorella vivevano, era sulla riva opposta del fiume» (ibi, p. 47); «Basilio e Macrina dirigevano uomini e donne asceti sulle sponde opposte dell'Iris formando un modello per i successivi sviluppi» (ibi, p. 104); «Le comunità, come quelle di Pacomio, erano sulle rive opposte di un fiume - in questo caso, l'Iris» (C. Stoney, Early Double Monasteries, p. 5).

[8] Cfr. E.F. Morison, St. Basil and his Rule, pp. 98-99.

[9] Cfr. Lisa Cremaschi, La vita comune secondo Basilio, in Sebastian Brock et alii (eds.), Basilio tra oriente e occidente, Edizioni Qiqajon, Comunità di Bose 2001, p. 98.

[10] Dalle testimonianze di Gregorio risulta che ogni quartiere era composto di più case. Ad esempio si parla della casa della grande donna Macrina (16; PG 46, col. 976), poi della casa vicina alla casa di Macrina (24; PG 46, col. 983).

[11] S. Gregorii Nysseni, Vita S. Macrinae Virginis, in PG 46, coll. 976, 996.

[12] Per quanto riguarda l’influenza di Basilio sull’organizzazione del monachesimo occidentale si veda Adalbert de Vogüé, L’influenza di Basilio sul monachesimo occidentale, in Sebastian Brock et alii (eds.), Basilio tra oriente e occidente, pp. 209-224.

[13] Cfr. Mario Girardi, δελφότης basiliana e «Scola» benedettina. Due scelte monastiche complementari? in «Nicolaus» 9 (1981), p. 11.

[14] Si veda François-F. Morard, Monachos, Moine: Histoire du terme grec jusqu’au 4e siècle. Influences bibliques et gnostiques, in «Freiburger Zeitschrift für Philosophie und Theologie» 20 (1973), pp. 401-403.

[15] Sulla statistica dell’uso del termine nelle regole di Basilio (45 volte nelle Regole diffuse e 20 volte nelle Regole brevi) si veda M. Girardi, δελφότης basiliana, pp. 15-17. Si deve inoltre precisare che il termine adelphotes non è il monopolio di Basilio. Nello stesso periodo infatti il termine viene usato con lo stesso significato anche nella lettera di Atanasio di Alessandria ad Orsiesi (il superiore della comunità pacomiana), nelle omelie dello Pseudo-Macario (Macario il Grande) e di Simeone di Mesopotamia. Cfr. L. Cremaschi, La vita comune, p. 100.

[16] II termine è usato dall’apostolo Pietro nella sua prima epistola con il senso di comunità dei fedeli: τν δελφότητα γαπτε (1Pt 2,17).

[17] M. Girardi, δελφότης basiliana, p. 21; Federico Fatti, Coscienza politica e sapienza segreta. Appunti sulla direzione spirituale nelle Regole di Basilio il Grande, in Giovanni Filoramo (ed.), Storia della direzione spirituale, L’età antica, Morcelliana, Brescia 2006, I, pp. 304-305.

[18] Si tratta di una collezione di questioni e risposte raggruppate in due corpora: 55 Regole diffuse (ροι κατ πλτος; / Regulae fusius tractatae) e 318 Regole brevi (ροι κατ᾽ἐπιτομήν / Regulae brevius tractatae), le quali costituiscono il Grande asceticon di Basilio. Si veda: Jean Gribomont, Histoire du texte des Ascétiques de S. Basile, Publications Universitaires, Louvain 1953; Anna M. Silvas, The Rule of St. Basil in Latin and English. A Revised Critical Edition, Liturgical Press, Collegeville 2013. Per la traduzione in italiano abbiamo usato Basilio, Opere ascetiche, a cura di Umberto Neri, UTET, Torino 1980; e Basilio di Cesarea, Regole, a cura di Lisa Cremaschi, Qiqajon, Bose 1993.

[19] La norma fu ripresa anche nella Rb 220 (PG 31, col. 1227).

[20] PG 31, coll. 997-1000.

[21] Ibi, col. 1156.

[22] Ibidem.

[23] Ibi, col. 1157.

[24] Ibidem.

[25] Ibi, col. 1184.

[26] Cfr. S. Elm, Virgins of God, p. 73.

[27] « Le visite dei sacerdoti alla sorellanza erano ovviamente necessarie per celebrare l'Eucaristia; ma una regola che è stata presa come riferimento a questa evenienza è di significato dubbio, e può essere meglio interpretata come interdipendenza economica. [...] La risposta è che, se sono unanimi nel cuore, possono essere presenti spiritualmente, anche se non nel corpo. Domanda e risposta sono ugualmente oscure, ma sembrano riferirsi a una divisione del lavoro. Gli uomini si occupavano dei lavori nei campi e fornivano il cibo alle donne, mentre queste ultime confezionavano i vestiti degli uomini [dove si parla di lana, n. 3]. Se il numero dei monaci fosse stato inferiore al normale, per provvedere ai bisogni della sorellanza, essi dovevano essere sparsi a distanza l'uno dall'altro mentre lavoravano e le ore di preghiera non potevano essere osservate correttamente. Questo è contrario all'ideale della vita comune; tuttavia, dice Basilio, non deve rompere l'unità spirituale dei monaci. ». W.K. Lowther Clarke, St. Basil the Great, p. 105.

[28] Si veda S. Elm, Virgins of God, pp. 34-39, 47-49, 137-183; e anche Maria Chiara Giorda, I ruoli delle donne nella famiglia monastica in Egitto nella Tarda Antichità: mogli, madri, sorelle e figlie, in «Annali di studi religiosi» 9 (2008), pp. 245-250.

[29] Si veda E. Morison, St. Basil and his Rule, p. 97.

[30] Il termine parthenos (vergine) si riferisce a uno stile vita, a uno stato di purezza spirituale, non a una condizione fisica di una persona che non ha mai avuto rapporti sessuali completi. Perciò, spesso le sorelle delle comunità monastiche, soprattutto quelle dal monastero di Macrina, vengono chiamate vergini. Susanna Elm nota: «Entrando nella comunità di Macrina le donne scelsero un nuovo stile di vita: non più vedove, mogli e madri, ora erano "vergini". L'appellativo di Parthenos conferiva un nuovo status sociale che trascendeva non solo la mera condizione fisica di integrità, ma anche le nozioni di funzione biologica e di predeterminazione espresse dalla procreazione e dalla maternità». S. Elm, Virgins of God, pp. 94-95.

[31] Basilio, canone 18: «μο δ δοκε, πειδ τ το Θεο χάριτι προιοσα κκλησία κραταιοτέρα γίνεται κα πληθύνεται νν τ τάγμα τν παρθένων [...]». Périclès-Pierre Joannou, Fonti. Fascicolo IX, Discipline générale antique (IVe-IXes.), t. II: Les canons des Pères Grecs, Tipografia Italo-Orientale «S. Nilo», Grottaferrata-Roma 1962, p. 118; e anche Epistola cxcix, in PG 32, col. 717.

[32] Ancira, can. 19: «...τς μέντοι συνερχομένας παρθένους τισν ς δελφς κωλύσαμεν». P.-P. Joannou, Fonti. Fascicolo IX, Discipline générale antique (IVe-IXes.), t. I,2: Les canons des Synodes Particuliers, p. 70. Ancira (314), can. 19: «Coloro che hanno emesso il voto di verginità e hanno violato la loro promessa devono fare la penitenza stabilita per i bigami. Proibiamo ugualmente che le vergini convivano con uomini come se fossero fratelli e sorelle» (trad. nostra).

[33] Nicea I, can. 3: «πυγόρευσε καθόλου μεγάλη σύνοδος μήτε πρεσβύτερον μήτε διάκονον μήτε λως τν ν τ κλήρ τινί ξεναι συνείσακτον χειν, πλν ε μ ρα μητέρα δελφν θείαν μόνα πρόσωπα ποψίαν διαπέφευγεν». P.-P. Joannou, Fonti, Fascicolo IX, Discipline générale antique (IVe-IXes.), t. I.1: Les canons des conciles oecuméniques (IIe-IXe), p. 26.

[34] Cfr. Peter L’Huillier, The Church of the Ancient Councils: The Disciplinary Work of the First Four Ecumenical Councils, St. Vladimir’s Seminary Press, Crestwood 1996, p. 34.

[35] Cfr. Charles Joseph Hefele, A History of the Councils of the Church, I, The Ages Digital Library, Albany, or usa 1997, p. 313.

[36] Epistola LV, in PG 32, coll. 401-404. Basilio, can. 88: «Ho letto le tue lettere con grande pazienza e mi chiedo come, avendo la possibilità di discolparti con i fatti, hai scelto invece di persistere in quelle di cui sei accusato e con lunghe parole provi di guarire le cose che non possono essere guarite. Non siamo noi i primi e gli unici, oh Paregorius, i quali abbiamo legiferato che le donne non debbano vivere con gli uomini; leggi infatti il canone emanato dai nostri santi padri nel concilio di Nicea, il quale chiaramente ha vietato la coabitazione delle donne con i chierici (φανερς πηγόρευσε συνεισάκτοθς μ εναι) [...]. Perciò, seguendo le disposizioni dei santi padri, abbiamo deciso che devi separarti dalla donna [...]. Mandala fuori dalla tua casa e mettila in un monastero [...]. Se eserciterai il tuo sacerdozio senza correggerti, sarai anatema per tutto il popolo e quelli che riceveranno te saranno respinti da tutta la Chiesa». P.-P. Joannou, Fonti, II, pp. 169-172.

[37] Gregorius Nyssenus, De virginitate, 23, in PG 46, col. 409.

[38] «(12) Οδ γυνακα / Παρθένον, μοναχ, κτσθαι μωρόφιον / ρσενα, κα θήλειαν χώρισεν λπς μείνων [...]. (13) Τος γαπητος κηρύσσω τάδε, τας τ γαπητας˙/ ρρετε, Χριστιανν δηλήμονες˙ ρρετε, λύσσης / Κλέπται τς φυσικς˙ κα μματα πόρνον χει τι »: Gregorius Theol., Epigrammata, 12-13, in PG 38, col. 89. Su questi termini si veda: E. Magnin, «Agapètes», Dictionnaire de Droit Canonique, t. 1, coll. 311-315; Antoine Guillaumont, Le nom des «Agapetes», in «Vigiliae Christianae» XXIII, 1(1969), pp. 30-37.

[39] Gregorius, Epigrammata, 10-15, in PG 38, coll. 86-90.

[40] Gregorio di Nazianzo, Epitaffi. Epigrammi, trad. L. Coco, Città Nuova, Roma 2013, p. 67. « (19) ς χαλεπν σάρκεσσι φυγεν κλόνον γγς ούσαις! / Τονεκά μοι, μοναχο, τλ᾽ἀπ θηλυτέρων. [...] /(20) Ο μοναχο, μοναχν βίον λκετε. Ε δ᾽ἀγαπητας / Συζτ, ο μοναχοί. δυς λλοτρίη. / γγελικς δόξης εκν μονάς. Ε δ᾽ἀγαπητας / Τέρπεσθε, θνητς στε φίλοι δυάδος. / Πείθομαι, ς γν συζς γνς, λλά γυναικί»: Gregorius, Epigrammata, 1920, PG 38, coll. 92-94.

[41] Cfr. S. Elm, Virgins of God, pp. 186-187.

[42] Ibi, pp. 187-188.


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1 novembre 2023        a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net