STATUTI E COSTITUZIONI

DELL’ORDINE EQUESTRE DEI CAVALIERI TEMPLARI


A cura di Mario Moiraghi, dal sito scriptorium.it

"Approfondimento sull'origine della Regola"

 Testo latino con italiano a fronte


Inizia il prologo della Regola dei Poveri Commilitoni di Cristo, e del Tempio di Salomone.

 

Il nostro discorso è diretto anzitutto a tutti coloro che rifiutano di seguire le proprie aspirazioni e desiderano combattere, con purezza d’animo, per il vero e sommo Re, sì che preferiscono, con intensissimo fervore, indossare la splendida armatura dell’obbedienza, e perseguono questo obiettivo con tenacia.

Vi esortiamo dunque, voi che sinora avete professato la milizia secolare, nella quale non fu Cristo la causa prima, ma l’avete scelta per solo interesse umano, perché’ vi affrettiate a raccogliervi con grande amore nell’unità di quelli che Dio scelse dalla massa dei perduti e riunì, con la grazia della sua sollecitudine, alla difesa della Santa Chiesa.

Per prima cosa poi, chiunque tu sia, o soldato di Cristo, scegliendo la tua santa compagnia, bisogna che tu assuma un impegno puro, un’attenzione ed una salda perseveranza che da Dio è riconosciuta tanto degna, santa ed elevata; in tal modo, se in maniera pura e costante si agirà fra coloro che aderiscono a questa missione, di donare le proprie anime a Cristo, meritiate di partecipare a ciò che il destino vi ha riservato. In esso infatti riprese vigore e rinacque quell’ordine militare che, disprezzato lo zelo della giustizia, non difendeva più i poveri e le chiese, compito che le era proprio: ma combatteva per rubare, depredare, uccidere. È con noi[1] che si agisce con rettitudine, noi a cui il Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo, dalla Città Santa, indirizzò i suoi amici verso i confini della Francia e della Burgundia, che per la nostra salvezza, e la propagazione della vera fede, non smettono di offrire le proprie anime come ostia gradita a Dio.

Noi quindi, con ogni gratitudine e fraterna pietà, e con le preghiere del Maestro Ugo, nel cui cuore la sopraddetta milizia ebbe inizio, mentre lo Spirito Santo ci sollecitava da diversi luoghi della provincia oltremontana, nelle feste di sant’Ilario, nell’anno 1128 dalla nascita di Cristo, nel nono anno dalla nascita della precitata milizia, a Troyes, guidati da Dio, ci radunammo in un sol luogo, e ricevemmo il dono di sentire dalla bocca del citato Maestro Ugone, la regola e le usanze, capitolo per capitolo, dell’Ordine Equestre, e compatibilmente con l’esiguità del nostro sapere, approvammo quello che ci sembrava buono e utile.

Rimettemmo al giudizio e alla discrezione del Capitolo, per decisione comune, tutto ciò che ci appariva dissonante e tutto quello che nel presente Concilio non è degno di essere affidato alla memoria e tenuto in considerazione[2], non per leggerezza, ma sulla base della preveggenza esperta e la discrezione del nostro venerabile Padre Onorio e per la feconda azione del nobile Patriarca di Gerusalemme Stefano e per necessità, non essendo all’oscuro né della religione orientale, né dei Poveri Commilitoni di Cristo.

L’enorme numero dei Padri religiosi, che si riunirono in quel Concilio per monito divino, sulla base della limpida autorevolezza del nostro intento, dispone: non dobbiamo passare oltre in silenzio[3], poiché’ loro hanno esaminato e formulato un vero giudizio ed io, Giovanni di Michele, ho meritato di essere, per grazia divina, l’umile scriba del presente testo, per ordine del Concilio e del venerabile Abate di Chiaravalle a cui tutto questo era stato affidato e dovuto[4].

Nomi dei Padri presenti nel Concilio

Fra i primi invero fu presente Matteo di Albano vescovo, legato di Santa Romana Chiesa; poi Rinaldo arcivescovo di Reims: terzo Enrico arcivescovo di Sens; poi i loro Coepiscopi Ranchedo vescovo di Chartres, Gosseno vescovo dei Soissons, il vescovo di Parigi, il vescovo di Troyes, il presule di Orleans, il vescovo di Auxerre, il vescovo di Meaux, il vescovo di Chalon, il vescovo di Laon, il vescovo di Beauvais, l’abate di Vezelay, che dopo non molto fu eletto arcivescovo di Lione e legato di S.R.E. il Abate di Citeaux, l’Abate di Pontigny, l’Abate di Trois-Fontaines, l’Abate di S. Dionigi di Reims, l’Abate di S. Stefano di Digione, l’Abate Molesmes sopra nominato, non mancò l’Abate Bernardo di Chiaravalle, alla cui opinione i sopraddetti assentivano apertamente.

Vi furono poi il Maestro Alberto Kemensis[5] e il Maestro Fulcherio e parecchi altri che sarebbe lungo elencare. Il resto in verità sembra a noi non idoneo a persone non istruite, che siano posti in mezzo come testimoni gli amanti della verità: il conte Teobaldo, il conte di Nevers, e Andrea di Baudement, con intensissima attenzione: nel Concilio presenziavano sottolineando ciò che era buono, disapprovando quello che a loro sembrava inopportuno.

Non mancò in realtà lo stesso Maestro della milizia Ugone, e portò con sé alcuni dei suoi fratelli. E cioè frate Goffredo, Fr. Rorallo, Fr. Goffredo Bisol, Fr. Pagano di Monte Desiderio, Arcibaldo di Monte Amano. Lo stesso Maestro Ugo, con questi suoi discepoli, rivendicò la nascita, le modalità e le norme dell’umile inizio del suo Ordine Militare, che ha origine da colui che dice Ego principium, qui et loquor vobis [6], rammentando i fatti ai sopra nominati padri in base alla sua memoria.[7] Piacque dunque al Concilio, che questo progetto qui diligentemente esaminato, con cura e considerazione delle Sacre Scritture, munito anche della cautela del Papa romano e del Patriarca di Gerusalemme e dell’assenso del Capitolo e dei Poveri Soldati del Tempio, che è in Gerusalemme, venisse messo per iscritto, per non cadere nell’oblio ed essere conservato indissolubilmente, affinché seguendo un retto cammino, quelli che esercitano la milizia e la vogliono esercitare meritino di arrivare degnamente al loro Creatore, la dolcezza del quale tanto supera il miele che paragonato a quello è amarissimo come l’assenzio, per tutti i secoli dei secoli.[8] Amen.

 

Regola dei Poveri Soldati del Tempio nella Città Santa.

QUALE UFFICIO DIVINO ASCOLTINO.

Capitolo I

Voi quindi, che rinunciate ai vostri piaceri (Regola di san Benedetto, RsB prol. 3), e gli altri, che con voi militano ai confini per il Sommo Re, per la salvezza delle anime, con cavalli ed armi, cercate di seguire i Mattutini ed ogni intero Ufficio Divino, in conformità alla legge canonica e alla consuetudine dei Dottori[9] regolari della Città Santa, con sentimento pio e puro.

Ciò compete soprattutto a voi, o venerabili fratelli, anche perché, disprezzata la luce della presente vita e dileggiato il tormento dei vostri corpi, avete promesso per amore di Dio di disprezzare in eterno il mondo impazzito. Ripieni e saziati di cibo divino, eruditi e rinsaldati dagli insegnamenti di Dio, dopo la consumazione del mistero divino nessuno tema di fronte alla battaglia, ma sia pronto per la corona del martirio.

CHE COSA DIRANNO SE NON AVRANNO POTUTO ASCOLTARE LE PREGHIERE DOMENICALI.

Capitolo II

Del resto, se qualche fratello è per caso lontano, in attività nella Cristianità Orientale, il che non dubitiamo che si verifichi assai spesso, e per tale lontananza non avrà ascoltato il Servizio Divino, lo esortiamo a dire al posto del mattutino tredici Preghiere Domenicali[10], e per le singole ore sette, ma per i Vespri nove, e lo affermiamo unanimemente con voce chiara. Costoro infatti, così occupati in una attività benefica, non possono accorrere all’Ufficio Divino nell’ora convenuta (RsB 50, 1), ma, anche se Ciò accade, non devono trascurare le ore canoniche (RsB 50, 4), considerato l’impegno assunto (RsB, 8 e succ.).

Che cosa si deve fare per i padri defunti.

Capitolo III

Quando su uno dei fratelli professi incombe la morte (che non risparmia nessuno), cosa che è impossibile evitare: comandiamo ai Cappellani e ai Chierici che a termine servono con voi con carità il Sommo Sacerdote, di offrire a Cristo l’Ufficio dovuto e una Messa solenne per la sua anima.

I fratelli presenti poi e quelli che vegliano nella notte in preghiere per la salvezza del fratello defunto, recitino cento Orazioni Domenicali, sino al settimo giorno, per il fratello defunto: da quel giorno in cui sarà annunziata la scomparsa della morte ai loro fratelli sino al giorno detto in precedenza, il numero cento abbia con fraterna attenzione il totale compimento.

Preghiamo dunque con divina e misericordiosissima carità e comandiamo con autorità pastorale, che ogni giorno venga dato ad un povero quello che è necessario al sostentamento alla sua vita in cibo e in bevanda, nella misura in cui era dato al fratello e che ciò sia protratto sino al quarantesimo giorno.

Proibiamo assolutamente tutte le altre offerte, che in morte dei fratelli o nella solennità della Pasqua e nelle altre solennità la povertà spontanea dei Poveri Commilitoni di Cristo soleva rendere liberamente al Signore.

I Cappellani abbiano solo il vitto e l’abito.

Capitolo IV.

Ordiniamo di dare, con vigile attenzione, al comune Capitolo nel suo insieme tutte le altre oblazioni e tutti i generi di elemosine che, in qualsiasi modo, vengano fatte ai Cappellani, o ad altri che restano a tempo. I servitori della Chiesa abbiano pertanto il vitto e l’abito secondo l’autorità, e non presumano di avere di più, se i Maestri non li avranno dati spontaneamente e per carità.

In caso di morte dei Militi che servono a termine.

Capitolo V.

Nella casa di Dio e del tempio di Salomone vi sono infatti Militi [11] che stanno misericordiosamente con noi a tempo determinato. Vi preghiamo, vi scongiuriamo e alla fine vi ordiniamo dunque con somma pietà, che, se l’Infinita Potenza avrà condotto uno di loro all’ultimo giorno, per il bene della sua anima, un povero abbia sostentamento per sette giorni, con amore divino e fraterna pietà.

Che nessun fratello professo faccia offerta.

Capitolo VI.

Stabiliamo, come è stato detto in precedenza, che nessuno dei fratelli professi presuma di fare altra offerta, ma di giorno e di notte con cuore puro resti saldo nella sua professione: per cercar di gareggiare in questo col più sapiente dei profeti. Calicem salutaris accipiam, et in morte mea mortem Domini imitabor (Sal 116, 13) [12]. Perché come Cristo dono per me l’anima sua, così anche io sono pronto a donare la mia per i fratelli: ecco l’offerta giusta; ecco la vittima vivente e gradita a Dio.

CIRCA LO STARE TROPPO IN PIEDI.

Capitolo VII.

Ciò che in verità ai nostri orecchi un sicurissimo testimone rivelò, che voi ascoltate l’Ufficio Divino stando in piedi troppo e rimanendovi senza limite, non ve lo abbiamo insegnato e anzi lo disapproviamo: ma, terminato il Salmo, al Venite exultemus Domino ecc. e all’Invitatorio, e all’Inno noi ordiniamo che tutti sediate (RsB 9,5), tanto i forti quanto i deboli, per evitare esempi sbagliati.

Invero, a voi che siete seduti, ordiniamo di stare in piedi una volta terminato un qualsiasi salmo, nella recita del Gloria Patri ecc. inchinandovi verso l’altare per rispetto alla Santa Trinità (RsB 9,7) e così anche nella lettura del Vangelo e al Te Deum laudamus (RsB 11,9) e per tutte le Lodi, fino al compimento del Benedicamus Domino e di rispettare le stesse regole nella recita del Mattutino della Santa Maria.

CIRCA LA REFEZIONE DEL CONVENTO.

Capitolo VIII.

Decidiamo che voi riceviate il cibo in comunità, in un certo unico edificio, meglio definito Refettorio, e quando avrete bisogno di qualcosa, se non conoscete il linguaggio dei segni, chiediate con garbo e con riservatezza. Se in ogni caso si devono chiedere le cose che vi sono necessarie (RsB 38,6), fatelo con ogni delicatezza e con il rispetto (RsB 6,7) dovuto alla mensa, come dice l’Apostolo: Panem tuum cum silentio manduca [13] (2 Tess 3,12) e il Salmista vi deve incoraggiare dicendo: Posui ore meo custodiam [14]; (Sal 39, 2; RsB 6,1), cioè apud me deliberavi, ut non derelinquerem [15] e, cioè con la lingua (RsB 6,1),, cioè custodivi os meum, ne male loquerer. [16].

LA LETTURA.

Capitolo IX.

Durante il pranzo e la cena sempre venga letta una santa Lettura (RsB 38,1). Se amiamo il Signore dobbiamo desiderare intensamente le sue parole salutari e i suoi insegnamenti. Il lettore poi delle Letture vi inviti al silenzio.

DELL’USO DELLA CARNE.

Capitolo X.

Ogni settimana, se non quando verrà il giorno di Natale o Pasqua o la festa della Santa Maria o quella di Ognissanti, vi basti l’uso della carne tre volte (RsB 36 e 9, 4), perché l’uso giornaliero di carne è inteso come una grave corruzione dei corpi. Se invero tale digiuno avverrà nel giorno di martedì [17], che l’uso delle carni sia proibito, nel giorno successivo ve ne sia data in abbondanza. Poi nel giorno di Domenica, sembra giusto e adatto senza dubbio che si distribuiscano due piatti di carne in onore della Risurrezione a tutti i Militi professi, ed anche ai Cappellani,: Gli altri armati in verità, e i clienti, si accontentino contenti di uno solo e rendano grazie.

Come debbano mangiare i Militi.

Capitolo XI.

Generalmente è opportuno che mangino a due a due perché l’uno possa aiutare l’altro; affinché la durezza della vita o la casuale astinenza non si insinui in ogni pranzo. Indichiamo anche giustamente, che ciascun soldato o fratello abbia una misura uguale ed equivalente di vino per sé.

CHE GLI ALTRI GIORNI BASTINO DUE O TRE PORTATE DI LEGUMI.

Capitolo XII.

Negli altri giorni, invero il lunedì, il giovedì e anche di sabato, noi pensiamo siano sufficiente per tutti due o tre portate di legumi o di altro cibo, e per così dire, una minestra cotta, e ordiniamo che così si faccia, perché’ se qualcuno non si sarà cibato dell’uno possa rifarsi con l’altro. (RsB 39, 1-2)

QUALE CIBO SIA NECESSARIO PREDISPORRE PER IL VENERDÌ’.

Capitolo XIII.

Raccomandiamo in ogni occasione collettiva di pranzo, per il venerdì (RsB 41), un cibo quaresimale, per rispetto della Passione, escluso per debolezza gli infermi, una volta sola al giorno, dalla festa di Tutti i Santi sino a Pasqua (escluso il giorno del Natale del Signore, o la festa di Maria o degli apostoli), In ogni altro tempo in verità, se non sarà avvenuto un digiuno generale, si pranzi due volte al giorno.

Dopo il pasto sempre si rendano grazie.

Capitolo XIV.

Dopo il pranzo, o la cena, sempre in Chiesa, se è vicina o se così non è nel luogo stesso, prescriviamo di ringraziare con animo umile il nostro Dispensatore che è Cristo, rigorosamente secondo le convenienze. Ai servi e ai poveri devono distribuire i pezzi di pane avanzati (quelli interi andranno conservati) con fraterna carità e si ordina loro di farlo.

Perché una decima del pane sia sempre data all’Elemosiniere.

Capitolo XV.

È lecito che il premio della povertà, che è il regno dei Cieli, sia concesso senza alcun dubbio ai poveri, a voi tuttavia chiediamo di dare ogni giorno la decima di tutto il pane all’Elemosiniere.

PERCHÉ LA CENA SIA A DISCREZIONE DEL MAESTRO

Capitolo XVI

Quando il sole lascia la regione orientale e scende verso le regioni del freddo, sentito il segnale, come è consuetudine di ciascuna regione, bisogna che voi vi avviate a Compieta, ma prima preferiamo che ci sia una colazione. Lasciamo questa all’arbitrio e alla decisione del Maestro, sì che quando vorrà, dell’acqua, e, quando comanderà più misericordiosamente, si riceva vino diluito. Bisogna che questo però non conduca ad una eccessiva sazietà, ma sia fatto con parsimonia, quia vinum facit apostatare sapientes [18] (Eccl. 19, 2; RsB 40, 6-7)

PERCHÉ TERMINATA COMPIETA SI FACCIA SILENZIO.

Capitolo XVII.

E così, terminata Compieta, è opportuno andare a letto. A quelli che escono da Compieta non sia data nessuna licenza di parlare in pubblico (RsB 42, 8), se non per un’urgenza assoluta: se deve parlare col proprio scudiero lo faccia a voce bassa. Può capitare che, a voi che uscite da compieta in tale intervallo, insieme a una certa parte dei fratelli occorra parlare, col Maestro, o con chi regge la casa dopo il Maestro, quando vi incalzi un’assoluta necessità, intorno ad un impegno militare, o circa la situazione della vostra casa, perché il giorno non vi sembra bastare per questo: vi ordiniamo che questo avvenga così e poiché’ è stato scritto Mors et vita in manibus lingua  [19] (Prov 18, 21)., nel colloquio assolutamente proibiamo ogni scurrilità e le parole inutili e quelle che muovono al riso (RsB 6, 8); e a voi che andate ai vostri giacigli, se qualcuno ha detto qualche cosa di sciocco, ordiniamo di recitare con umiltà e devozione sincera la Preghiera del Signore.

PERCHÉ QUELLI STANCHI NON SI ALZINO PER IL MATTUTINO.

Capitolo XVIII.

Non vogliamo che i Militi affaticati si alzino come è richiesto a voi per il Mattutino, ma, con il consenso del Maestro o di colui a cui fu dato incarico dal Maestro, che riposino e così cantino le tredici orazioni stabilite, affinché il pensiero si accordi alla loro voce (RsB, 19, 7), come dice il profeta: Psallite Domino sapienter [20]   (Sal 47, 8); e quello: In conspectu Angelorumpsallam tibi [21] (Sal 138, 1; RsB 19, 4-5): noi tutti approviamo. Questo poi deve sempre essere a discrezione del Maestro.

PERCHÉ VI SIA COMUNITÀ DI VITTO FRA I FRATELLI.

Capitolo XIX.

Si legge nella pagina divina: Dividebatur singulis, prout cuique opus erat [22] (At 4, 35) : non lo diciamo per l’accettazione delle persone ma per il dovere di tenere in considerazione le debolezze. Perché invero chi meno ha bisogno ringrazi Dio e non sia rattristato chi invero umilmente ha bisogno per malattia, non sia oggetto di compassione, e così tutti i membri saranno in pace. (RsB 34, 1-5) Questo poi proibiamo: a nessuno sia lecito seguire una astinenza smodata, ma tutti mantengano decisamente un tenore di vita comune.

DEL TIPO E DELLA QUALITÀ DELL’ABITO.

Capitolo XX.

Disponiamo che gli abiti siano sempre di uno stesso colore, ovvero che siano bianchi o neri, o come si dice, di bigello. A tutti i Militi professi concediamo abiti bianchi in inverno, e anche d’estate se è possibile, perché coloro che hanno rinunciato ad una vita oscura, attraverso il colore chiaro e bianco riconoscano di essersi riconciliati col loro creatore. Perché bianco, se non per pura castità?. La castità è fermezza della mente, salute del corpo: se infatti ciascun Milite non si sarà mantenuto puro, non potrà raggiungere la pace eterna, né vedere Dio, come testimonia l’apostolo Paolo: Pacem sectamini cum omnibus, et castimoniam, sine qua nemo videbit Dominum [23] (Ebr. 12, 14). Ma perché l’abito deve mancare di ogni arroganza e di ogni elemento superfluo, ordiniamo a tutti di possedere solo ciò che serve per potere, in modo semplice, vestirsi e svestirsi e mettersi i calzari e toglierseli.

L’addetto a questo compito eviti con grande attenzione di dare ai fratelli una tonaca troppo lunga, o troppo corta, ma sia proporzionata a quelli che la portano (RsB 55,8), secondo la dimensione di ciascuno. Coloro che ricevono indumenti nuovi sempre restituiscano subito quelli vecchi, da riporre in una camera, o dove il fratello responsabile ha stabilito, a favore degli scudieri, dei collaboratori e talvolta per i poveri. (RsB 55,9)

Che i servi non abbiano abiti bianchi cioè le tonache.

Capitolo XXI.

Siamo molto contrari a ciò che avveniva un tempo nella casa di Dio e dei suoi Militi del Tempio, senza discrezione e controllo del capitolo generale, e prescriviamo che sia eliminato radicalmente come se fosse un vizio peculiare. Un tempo infatti i servi e gli scudieri avevano degli abiti bianchi e da questo derivavano danni gravi. Sorsero infatti, nelle regioni ultramontane, degli pseudo fratelli, anche coniugati, e altri che affermavano di essere templari, pur essendo del mondo. Questi fecero tante offese e arrecarono tanti danni all’ordine militare e, perdendo ogni ritegno, causarono moltissimi scandali anche gli altri collaboratori professi. Usino quindi abiti neri, ma se non si possono trovarne di tale colore, usino quelli che si possono reperire nella zona di residenza, o, comunque ciò che di più umile può essere equiparato a un solo colore, ovvero il bigello (RsB 55,7).

Che solo i Militi professi abbiano abiti bianchi.

Capitolo XXII.

A nessuno quindi è stato concesso di portare le clamidi bianche o i pallii bianchi, se non ai nominati Militi di Cristo.

Che si usino le pelli degli agnelli.

Capitolo XXIII.

Stabiliamo di comune accordo che nessun fratello professo abbia pelli, durante l’inverno, o pellicce o qualsiasi cosa serva all’uso del corpo, anche come coperte, se non di agnello o di ariete.

Siano divisi fra gli scudieri gli indumenti vecchi.

Capitolo XXIV.

Il Procuratore o il distributore di indumenti, con ogni attenzione, distribuisca sempre quelli vecchi, con lealtà e giustizia, agli scudieri e ai collaboratori ed eventualmente ai poveri.

Chi vuole le cose migliori ottenga le peggiori.

Capitolo XXV.

Se qualche fratello professo, perché lo reputa doveroso o per superbia, avrà desiderato possedere le cose belle e di ottima qualità, per tale presunzione, senza dubbio meriterà le più vili.

Quale quantità o qualità di abiti serva.

Capitolo XXVI.

Occorre rispettare la quantità e la larghezza degli abiti, secondo la grandezza dei corpi: il dispensatore di abiti sia attento in questo.

IL DISTRIBUTORE DI INDUMENTI OSSERVI IN PRIMO LUOGO LA GIUSTIZIA.

Capitolo XXVII.

Il procuratore consideri con pari attenzione fraterna la lunghezza, come è stato detto prima, perché l’occhio dei pettegoli o dei critici non si permetta di fare osservazioni, e mediti umilmente su quanto Dio retribuirà tutti i soprannominati. (RsB 55, 21-22).

Sull’inutilità dei capelli

Capitolo XXVIII.

È necessario che tutti i fratelli professi abbiano i capelli tagliati davanti e dietro così regolarmente da potersi definire ordinati; e sia la medesima regola osservata con rigore nella barba e nei baffi, perché’ non si manifesti trascuratezza o motivo di ridicolo.

Delle punte e dei lacci.

Capitolo XXIX.

Per quanto riguarda punte[24] e lacci la situazione è chiara e semplice: e, dal momento che tutti riconoscono che questa è cosa deprecabile, la proibiamo. Non vogliamo affermare che non li si usi, ma proprio che non li si possieda. Non permettiamo neppure agli altri sergenti a tempo che abbiano punte, lacci e ogni eccesso di capigliatura ed una lunghezza smisurata delle vesti, ma lo proibiamo decisamente. A coloro infatti che servono il sommo Creatore si addice, all’interno, la purezza e, all’esterno, lo stretto necessario, come testimonia colui che dice: Estote mundi, Is. 1, 16), quia ego mundus sum. (Gb 33, 9).[25].

Il numero dei cavalli e degli scudieri.

Capitolo XXX.

A ciascuno dei vostri Militi sia lecito avere tre cavalli, perché la casa di Dio e l’estrema povertà del Tempio di Salomone non permette di averne in maggior numero, se non col permesso del Maestro.

NESSUNO DEGLI SCUDIERI ABBIA UN SERVO GRATIS.

Capitolo XXXI.

Per la stessa ragione concediamo un solo scudiero a ciascun milite, ma poiché quell’scudiero, a qualche milite, è concesso per grazia e per benevolenza, non gli sia lecito frustarlo o percuoterlo per una qualunque colpa. (RsB 70).

Quali cose siano concesse a coloro che prestano servizio temporaneamente.

Capitolo XXXII.

Per tutti i Militi che, con sincera disposizione, desiderano servire Gesù Cristo temporaneamente, comandiamo di comprare cavalli adatti a tale uso quotidiano ed armi e tutto quello che sarà necessario. Inoltre, in verità, da entrambe le parti si abbia cura nel conservare tali beni e giudichiamo anche utile che ai cavalli sia attribuito un valore in denaro. Si registri quindi un prezzo per scritto, perché non cada nell’oblio. E tutto quello che è proprio del soldato e dei cavalli o sarà necessario allo scudiero, agli accessori e ai ferri dei cavalli, secondo la ricchezza della casa [26], sia comprato dalla casa stessa, con fraterna carità. Se poi nel frattempo un milite, per qualche evento particolare, avrà perduto i suoi cavalli nel corso del suo servizio militare, il Maestro e la autonomia della casa esigono che se ne comprino degli altri. Arrivato il tempo del rimpatrio, lo stesso soldato conceda per amore divino la metà del prezzo e riceva l’altra metà, se gli è gradito, della comunità dei fratelli.

CHE NESSUNO AGISCA SECONDO LA PROPRIA VOLONTÀ.

Capitolo XXXIII.

Ciò conviene ai Militi, che non hanno nulla più a cuore di Cristo, che mantengano incessantemente l’obbedienza al Maestro, per coerenza con il servizio al quale hanno fatto professione, come promisero, sia per la gloria della somma beatitudine, che per timore dell’inferno. Devono mantenerla in modo tale che, non appena qualcosa sia stata ordinata loro dal Maestro, o da quello a cui il Maestro ha dato mandato, non conoscano indugio nell’eseguirlo, senza esitazioni, e come se fosse ordinato da Dio. In merito a Ciò si dice in verità: Ob auditu auris obediuit mihi [27] (Sal 18, 45; RsB 5, 2-5)

Se è lecito andare per la città senza ordine del Maestro.

Capitolo XXXIV.

Ordiniamo dunque con fermezza ai Militi che hanno abbandonato il proprio volere e agli altri che servono a termine che non ardiscano di andare nella città senza il permesso del Maestro, o di colui a cui sia stato affidato questo potere, salvo che durante la notte al Sepolcro e alle stazioni di guardia che sono contenute entro le mura della Città Santa.

Se è lecito passeggiare in solitudine.

Capitolo XXXV.

Coloro che si spostano non devono mettersi in cammino senza un custode, ovvero un milite o un fratello professo, né di giorno né di notte. Una volta che essi si sia stati accolti nell’esercito, nessun soldato o scudiero o servo si rechi negli alloggi di altri Militi, per vedere o parlare con qualcuno, senza ordine, come è stato detto prima. Sosteniamo, a ragione, che in una casa come la nostra, regolata da Dio, nessuno può agire o riposare secondo il proprio volere, ma si muova secondo l’ordine del Maestro: per imitare il detto divino, ove si afferma: Non veni facere voluntatem meam, sed eius qui me misit [28] (Lc 2, 49)

Che nessuno chieda espressamente ciò che gli sarà necessario.

Capitolo XXXVI.

Comandiamo che si introduca, in modo particolare, anche questa consuetudine e che la si tenga in somma considerazione, a causa del vizio di continuare a chiedere. Nessun fratello professo, dunque deve richiedere espressamente e in modo specifico un cavallo o di cavalcare o le armi. Perché, se in verità il suo stato di malessere o la debolezza dei suoi cavalli, o la pesantezza delle sue armi è riconosciuta tale da essere, nell’avanzare, un danno per tutti, venga di fronte al Maestro o a colui che ne ha l’incarico dopo il Maestro, e gli dimostri la ragione con limpida e autentica sincerità. In questo modo, infatti, la cosa sarà affidata alla valutazione del Maestro, o dopo di lui, del Procuratore.

Briglie e speroni.

Capitolo XXXVII.

Non vogliamo assolutamente che oro e argento, che sono manifestazione di ricchezza, appaiano nelle briglie e nei pettorali, né negli speroni o nella selleria., né sia lecito acquistarli ad alcun fratello professo. Se poi queste attrezzature saranno state donate usate, per generosità, si tratti l’oro o l’argento in modo tale che il colore brillante o la decorazione agli altri non appaia come superbia. Se saranno donati nuovi il Maestro faccia di tali oggetti ciò che avrà voluto.

Non sia posta una copertura sulle aste e sugli scudi.

Capitolo XXXVIII.

Non si tenga poi copertura sugli scudi e sulle aste e i foderi sulle lance, perché questo non è utile, anzi a tutti noi appare come un danno.

La libertà del Maestro.

Capitolo XXXIX.

È lecito al Maestro dare cavalli o armi a qualcuno o qualsivoglia cosa a chiunque.

La borsa e il sacco.

Capitolo XL.

Non siano concessi sacco e borsa con chiusura[29]: devono essere accessibili, in modo tale da non contenere cose non concesse dal Maestro, o a colui al quale sono affidati, dopo di lui, gli affari della casa. In questo presente capitolo non sono compresi i Procuratori e coloro che si trovano nelle diverse Province, nè si ravvisa lo stesso Maestro.

LA TRASMISSIONE DELLE LETTERE.

Capitolo XLI.

Non è lecito a nessuno (RsB 54, 1) dei fratelli ricevere o dare scritti di propri parenti né di qualsiasi persona, né fra confratelli, senza il consenso del Maestro o del Procuratore. Dopo che il fratello avrà avuto il permesso, siano lette, se egli lo riterrà, in presenza del Maestro. Se poi qualcosa gli sia stato indirizzato dai genitori, non presuma di prenderlo (RsB 54,2) prima che gli sia stata data indicazione dal Maestro. In questo capitolo non sono contemplati il Maestro né i Procuratori della casa.

LA CONFESSIONE DELLE PROPRIE COLPE.

Capitolo XLII.

Poiché si sa che ogni parola superflua genera peccato (Mt 12, 36), come dovranno esprimersi quelli che rivelano le proprie colpe davanti al giudice designato? Lo rivela con sicurezza il profeta[30]. Se talvolta si deve astenersi dalle buone espressioni per il silenzio in sé, quanto più ci si deve tenere lontani dalle cattive parole, per l’espiazione del peccato[31] (Br 6,2). Vietiamo e ci esprimiamo con forza dunque contro il fatto che qualche fratello professo, abbia il coraggio di far esplicita menzione con un confratello, o con qualche altro, delle stoltezze, per essere chiari, che ha compiuto in modo grave nel mondo, durante il periodo della milizia, anche per il diletto della carne di donne disgraziate, o su simile argomento. Se per caso qualcuno abbia udito qualcuno che riferisce tali cose, lo faccia tacere, o quanto prima[32] potrà se ne vada con il piede veloce dell’obbedienza (RsB 5,8) e non offra l’orecchio del cuore ad un venditore di favole.

La questua e la raccolta.

Capitolo XLIII.

Se qualche cosa, in verità, sarà stata data a qualche fratello gratis, non richiesta, la dia al Maestro o al Vivandiere. Se poi l’altro suo amico o parente non avrà voluto dare, se non per il suo uso personale, non lo prenda, se non ha il permesso dal suo Maestro. E non si rammarichi, quello a cui era stata destinata la cosa, se viene data ad un altro: anzi sappia per certo che se per questo si lascia prendere dall’ira agisce contro Dio. Nella predetta regola non sono contemplati gli Amministratori, ai quali è concesso in modo particolare questo compito e ai quali sono concessi borsa e sacco [chiusi].

Delle sacche per il cibo dei cavalli.

Capitolo XLIV.

È importante per tutti questo precetto, da noi stabilito, al quale non si consente di fare eccezione. Nessun fratello pensi di fare sacche per il cibo dei cavalli fatte principalmente di lino o di lana; non se ne deve possedere alcuna, se non di tela di sacco.

Nessuno osi cambiare o richiedere.

Capitolo XLV.

Occorre ancora che nessuno cerchi di cambiare le sue cose, fratello con fratello, senza il permesso del suo Maestro, o pretendere qualcosa, se non da fratello a fratello, ma sia una cosa piccola, di poco conto, non importante.

Che nessuno catturi un uccello con un altro uccello e non stia con QUALCUNO CHE LO FA.

Capitolo XLVI.

Riteniamo giusto che nessuno catturi un uccello con un uccello: non conviene infatti alla condotta religiosa partecipare a divertimenti mondani, (RsB 4,55-57) ma ascoltare con gioia i precetti del Signore, dedicarsi frequentemente alla preghiera, confessare ogni giorno a Dio i propri peccati con lacrime o gemiti. Nessun fratello professo creda di poter andare, a questo scopo, con chi fa tali cose, con uno sparviero, o con un altro uccello.

Nessuno colpisca con l’arco e la balestra.

Capitolo XLVII.

Poiché conviene alla vita religiosa andare in semplicità ed umiltà, senza risate, e non pronunziare molte parole, ma solo ragionevoli e specialmente non con voce urlata, (RsB 7,60), ordiniamo e imponiamo ad ogni fratello professo di non avere l’audacia di tirare d’arco o di balestra nella selva, né che stia con chi agisce così, se non per proteggerlo da un pagano malintenzionato: né osi urlare con un cane o schiamazzare, né pungolare il suo cavallo per il desiderio di catturare la fiera.

Il leone sia sempre colpito.

Capitolo XLVIII.

È certo infatti come a voi è stato sempre raccomandato) ed è doveroso, che mettiate la vostra anima al servizio dei vostri fratelli e cancelliate dalla terra gli infedeli che minacciano sempre il Figlio della Vergine. Questo ve lo raccomandiamo per quanto riguarda Leone, perché esso si aggira cercando qualcuno da divorare [33] (1 Pt 5,8), e il suo artiglio è contro tutti, ma le mani di tutti devono essere contro di lui [34] (Gen 16,12).

Ascoltate il giudizio relativo ad ogni cosa chiesta su di voi.

Capitolo XLIX.

Sappiamo che i persecutori della Santa Chiesa sono moltissimi e si affannano a tormentare crudelmente quelli che non amano la lite. Questa è l’opinione del Concilio, che si dedichi sempre serena attenzione, in modo tale che, se qualcuno nelle zone sante dell’Oriente o in qualsiasi altro luogo avrà fatto un’inchiesta su di voi, vi prescriviamo, per amore della fede e della verità, che ascoltiate chi giudica e vi ordiniamo di fare senza esitazione quello che sarà ritenuto giusto.

Che questa regola sia mantenuta in tutte le situazioni.

Capitolo L.

Vi ordiniamo con fermezza questa stessa regola sia ragionevolmente conservata anche quando vi è stato tolto ingiustamente tutto.

È lecito ai Militi professi avere terra e uomini.

Capitolo LI.

Questo nuovo tipo di pratica religiosa ha preso inizio da voi, nei luoghi santi, per opera della divina Provvidenza, così almeno crediamo, per unire la milizia alla religione e perché così la religione proceda armata attraverso la milizia e ferisca il nemico senza colpa[35]. A buon diritto riteniamo giusto dunque, quando siete chiamati Militi templari, che voi stessi per un insigne merito e in uno speciale dono di bontà abbiate la terra e gli uomini e possediate contadini e giustamente pretendiate da loro e che debba essere versato a voi particolarmente il debito stabilito.[36]

PERCHÉ QUELLI CHE STANNO MALE RICEVANO UN’ATTENZIONE MOLTO ACCURATA.

Capitolo LII.

Si deve avere una cura attenta, oltre ogni limite, per i fratelli che stanno male (RsB 36,1) e si deve accudirli come se fossero Cristo, come riconobbe quel passo evangelico Infirmus fui, et visitasti me [37] (Mt 25,36)).

Essi infatti devono essere sopportati con attenzione e pazienza perché su di loro si acquisisca una sicura ricompensa eterna.

 

Si diano ai malati le cose necessarie.

Capitolo LIII.

Prescriviamo a coloro che curano i malati che diano loro, con ogni attenzione e cura, tutte le cose che sono necessarie a sostenere i diversi stati di malattia, con cura e diligenza, in base alle possibilità della Casa: intendiamo parlare di carne, volatili e tutte le altre cose, fino a che saranno riportati in salute.

Perché non ci si provochi vicendevolmente all’ira.

Capitolo LIV.

Occorre avere non poca attenzione a non provocarsi reciprocamente all’ira, perché l’altissima dolcezza della vita comune e della divina fratellanza ha messo insieme tanto i poveri quanto i potenti.

Come devono essere considerati i fratelli sposati.

Capitolo LV.

Permettiamo di tenere con voi i fratelli sposati con questo criterio: poiché chiedano il beneficio e la partecipazione alla vostra fraternità, dopo la loro morte concedano sia la propria ricchezza, che Ciò di cui si sono ulteriormente arricchiti, ai beni del capitolo e frattanto vivano una vita austera, cercando di far bene ai fratelli, ma non indossino la veste candida e la clamide bianca[38]. Se poi il marito morirà prima, lasci la sua parte ai confratelli e la sposa abbia il sostentamento dell’altra metà. Consideriamo infatti ingiusto che quelli in questa condizione vivano in un’unica casa, coi fratelli che hanno promesso castità a Dio.

Che le sorelle non vivano più con i maschi.

Capitolo LVI.

È pericoloso che le sorelle vivano ancora nello stesso ambiente, perché da sempre l’antico nemico allontana molti dal retto cammino del Paradiso con la frequentazione femminile. E così carissimi fratelli, perché il fiore della purezza appaia sempre fra voi, non è lecito, d’ora in poi, mettere in pratica questa consuetudine.[39]

CHE I FRATELLI TEMPLARI NON FREQUENTINO UNO SCOMUNICATO.

Capitolo LVII.

Da questo devono guardarsi e questo devono temere i fratelli: nessuno creda di potersi unire con chi è notoriamente scomunicato (RsB 26,1) e di frequentarlo pubblicamente, in qualsiasi modo, o di impadronirsi dei suoi beni; per non incorrere in un’analoga scomunica!

Se poi è stato solo interdetto, non sarà illecito ricevere la sua roba per carità.

COME VENGONO ACCOLTI I MILITI SECOLARI.

Capitolo LVIII.

Se qualche milite dalla massa della perdizione (RsB 60,1) o qualche altro uomo del secolo, volendo rinunciare al mondo, vuole scegliere la vostra comunità e la vostra vita, non si dia immediato consenso: ma come è detto in Paolo Probate spiritus, si ex Deo sunt (1 Gv 4,1), si conceda l’ingresso in questa forma (RsB 58,1-3). Si legga la Regola in sua presenza (RsB 58,9) e se avrà ottemperato con cura ai precetti della Regola esposta, allora, se piacerà al Maestro e ai suoi fratelli accoglierlo, convocati i fratelli, riveli a tutti il suo desiderio ed esponga la sua richiesta a tutti con pienezza di spirito. In seguito, il termine dell’approvazione dipenda totalmente dalla decisione e dalla valutazione del Maestro, in base all’onestà della vita del richiedente.

 

COME NON TUTTI I FRATELLI DEVONO ESSERE CHIAMATI AL CONCILIO SEGRETO.

Capitolo LIX.

Non dobbiamo convocare sempre tutti i fratelli al Concilio (RsB 3,3), ma solo quelli che il Maestro, con saggezza, riconoscere come idonei ed adatti. Quando poi vorrà trattare di cose di maggiore importanza, come cedere una terra della comunità, o discutere dell’Ordine stesso o accogliere un fratello, allora il Maestro, se a lui piace, può convocare tutta la congregazione (RsB 3,1): sentita la decisione del capitolo comune, si faccia quello che il Maestro avrà ritenuto più valido e utile (RsB 3,2).

PERCHÉ DEBBANO PREGARE IN SILENZIO.

Capitolo LX.

Per decisione comune esortiamo tutti i fratelli a pregare, secondo quanto richiede il desiderio dell’animo o del corpo, stando in piedi o seduti, ma con la massima devozione (RsB 52,4), semplicemente, ed in silenzio, perché l’uno non disturbi l’altro.

Come ricevere la professione di fede dei sergenti.

Capitolo LXI.

Abbiamo infatti saputo che numerosi sergenti e scudieri, da diverse province, con cuore infiammato per la salvezza delle anime, hanno deciso di rimanere nella vostra dimora per un tempo determinato. È utile allora che consideriate la loro lealtà: perché non capiti per caso che l’antico nemico faccia loro compiere qualcosa di nascosto o immorale, o li distolga violentemente dal loro buon proposito, durante il sevizio Divino.

PERCHÉ I FANCIULLI, FINCHÈ SONO PICCOLI, NON VENGANO ACCOLTI FRA I FRATELLI DEL TEMPIO.

Capitolo LXII.

Sebbene la regola dei Santi Padri permetta di avere dei fanciulli nella congregazione (RsB 32), noi vi esortiamo a non farvi carico di ciò.

Chi avrà deciso di introdurre un figlio o un parente nell’Ordine militare, in modo corretto, lo nutra sino agli anni nei quali la sua mano armata possa virilmente cancellare i nemici di Cristo dalla Terra Santa. Poi, secondo la regola, il padre o i genitori lo portino in mezzo ai fratelli o rendano nota a tutti la sua richiesta (RsB 59,1): è meglio non consacrarlo da fanciullo piuttosto che, fatto uomo, allontanarlo in modo clamoroso.

I VECCHI SIANO SEMPRE VENERATI.

Capitolo LXIII.

Occorre sostenere e onorare con sollecitudine i vecchi, in considerazione della debolezza delle loro forze: e nondimeno siano considerati con attenzione in quelle cose che sono necessarie al corpo, fatta sempre salva l’autorità della regola (RsB 37).

DEI FRATELLI CHE PARTONO PER LE VARIE PROVINCE.

Capitolo LXIV.

I fratelli che si dirigono nelle varie Province (RsB 1,10) cerchino di osservare la Regola, per quanto le forze lo permettano, nel cibo e nelle bevande, e per le altre cose, e vivano in maniera irreprensibile, sì che ab his, qui foris sunt, bonum testimonium habeant (1 Tim 3,7) . Non tradiscano la loro professione religiosa né con parole né con azioni, ma offrano, a tutti coloro con cui si accompagnano, un esempio di saggezza e di comportamento corretto e di amabilità. Goda di un’ottima fama colui presso il quale hanno deciso di essere ospitati, e se è possibile che la casa dell’ospite in quella notte [non] sia priva di luce, bisogna evitare che un nemico nascosto compia un attacco approfittando della situazione. Non appena avranno sentito che Militi non scomunicati si radunano in un certo luogo là si rechino, lo diciamo non tanto in considerazione del vantaggio fisico, quanto per la salvezza delle loro anime. Per quanto riguarda quei fratelli che si sono diretti oltremare per condividere il viaggio, disponiamo che essi possano essere accolti nell’Ordine, nel caso in cui avessero deciso di unirsi alla nostra missione, a queste condizioni: ci si presenti congiuntamente al Vescovo di quella determinata provincia e il presule ascolti la volontà del richiedente. Sentita la richiesta, il fratello mandi il richiedente dal Maestro e dai fratelli che sono nel tempio che si trova in Gerusalemme. E se la vita di costui è onesta e degna di partecipare, sia accolto con misericordia, se Ciò sembra bene al Maestro e ai fratelli. E nel frattempo, se gli eventi lo richiedessero, si condividano con lui la grazia e la fraternità dei Poveri Compagni di Cristo, nel lavoro e nella fatica, come se si fosse già uno dei fratelli.

Il vitto sia distribuito in maniera uguale per tutti.

Capitolo LXV.

Stabiliamo anche che sia fatto e ragionevolmente assicurato quanto segue: che a tutti i fratelli professi il vitto sia distribuito in modo uguale, secondo la disponibilità locale; non tanto in base dei principi di accoglienza, quanto in considerazione dello stato di debolezza.

I templari abbiano le decime.

Capitolo LXVI.

A parte le altre fonti di ricchezza, riteniamo che voi siate soggetti ad una povertà liberamente scelta, per cui abbiamo dimostrato che, come comunità, vi spettano giustamente le decime [40]. Se il Vescovo a cui per diritto è concessa la decima, la avrà voluta concedere a voi per amore di carità, con l’assenso del capitolo, vi dovrà dare quelle decime che spettano alla Chiesa. Se poi un laico trattiene illecitamente la decima del suo patrimonio e, colto da rimorso, deciderà di darle a voi, lo può fare col solo consenso di chi se ne sta occupando, senza il consenso del capitolo.

COLPE LIEVI E GRAVI.

Capitolo LXVII.

Se qualche fratello parlando o combattendo o in altre occasioni avrà commesso un lieve peccato, riveli al Maestro, dando spontanea soddisfazione al suo errore. Circa i peccati lievi, se non sono abituali, riceva una penitenza leggera. Se poi, in assenza di una sua confessione, una colpa venga conosciuta attraverso un’altra persona, sia sottoposto a un provvedimento e ad una penitenza più grande e più evidente (RsB 46,1-4). Se il delitto sarà grave (RsB 44), sia separato dai fratelli, non sieda a mensa con loro, ma mangi solo e si sottoponga in tutto al giudizio e alle decisioni del Maestro, perché sia salvo il giorno del giudizio.

PER QUALE COLPA UN FRATELLO NON SIA PIÙ RACCOLTO NELLA COMUNITÀ.

Capitolo LXVIII.

Bisogna assicurare anzitutto che nessun fratello, influente o umile, forte o debole, volendosi esaltare ed insuperbire, e difendere la sua colpa, rifiuti la disciplina; ma se non avrà voluto correggersi, gli sia dia una punizione più rigida (RsB 28, 1-2). Se poi, attraverso pie esortazioni e avendo pregato per lui (RsB Cap. 27) non avrà voluto correggersi ma si sarà insuperbito sempre di più, allora secondo l’Apostolo sia allontanato dal gregge dei buoni. Auferte malum ex vobis (1 Cor 5,13), poiché è necessario che dalla società dei fratelli fedeli ogni pecora moribonda sia allontanata. Del resto è il Maestro che deve tenere in mano un bastone e una verga. Il bastone con cui sostenere le forze fiacche degli altri, la verga poi con cui colpire con zelo di rettitudine i vizi di quelli che peccano; cerchi di fare Ciò con il consiglio del Patriarca e la considerazione spirituale, come dice il beato Massimo, aut solutior lenitas cohibentiam peccantis, aut immoderata severitas à lapsu non revocet delinquentem [41].

Come dalla solennità di Pasqua sino alla festa di tutti i Santi

si debba prendere una camicia di lino soltanto.

Capitolo LXIX.

Frattanto, poiché giudichiamo con misericordia l’eccessiva calura della regione orientale, dalla festa di Pasqua sino a quella di Tutti i Santi, sia concessa, a chi la vuole usare, una sola camicia di lino, non perché dovuta, ma per pura generosità. In altri periodi poi abbia genericamente tutte camicie di lana.

QUANTI E QUALI PANNI SIANO NECESSARI NEL LETTO.

Capitolo LXX.

Disponiamo, con comune decisione, che il dormitorio abbia singoli letti, se non per una estrema necessità o un evento straordinario. Ciascuno riceva la biancheria da letto, distribuita dal Maestro con moderazione.

(RsB 22, 1-2; 55) Crediamo che un materasso, un guanciale e una coperta siano sufficienti per ciascuno. In mancanza di ciò potrà avere una stuoia e, in ogni tempo, gli sarà lecito usufruire di una copertura di lino o tessuto felpato. Per quanto riguarda gli indumenti dormano sempre con le camicie e sempre con la cintura. (RsB 22, 5). E così, ai fratelli che dormono sino al mattino non manchi mai la luce (RsB 22, 4) [42].

SI DEVE EVITARE LA MALDICENZA.

Capitolo LXXI.

Vi esortiamo ad evitare, per ammonizione divina, le rivalità invidiose, il rancore, il pettegolezzo, la maldicenza, le denigrazioni e di metterle in fuga come una pestilenza. Ciascuno si dia dunque da fare con animo attento, di non incolpare o di riprendere pubblicamente il proprio fratello, ma rifletta dentro di sè secondo la volontà dell’Apostolo [43], ne sis criminator, ne susurro in populo [44]. (Lev 19, 16). Quando poi avrà saputo con chiarezza che un fratello ha commesso qualche peccato, lo rimproveri da solo in segreto, con serenità e fraterna pietà, secondo l’insegnamento divino (RsB 23,2). E se non presterà ascolto, subentri un altro fratello: ma se avrà disprezzato le parole di entrambi, allora sia portato in pubblico, davanti a tutti (RsB 23,3). Sono infatti persone di grande cecità quelle che si sottraggono agli altri e sono molto infelici quelli che non si astengono dal rancore, poiché saranno travolti dall’antica malvagità del perverso Nemico.

Si fuggano i baci di tutte le donne.

Capitolo LXXII.

Crediamo che sia pericoloso per ogni religioso, essere troppo attratti dal volto delle donne e perciò un frate non si azzardi a baciare né una vedova, né una vergine, né la madre, la sorella, un’amica o qualsiasi altra donna. La milizia di Cristo fugga quindi i baci femminili per i quali gli uomini spesso sogliono correre pericoli, perché con un animo puro ed una vita salda possa perennemente presentarsi al cospetto di Dio.

FINE [45]

Si conclude così la regola degli antichi cavalieri templari, dei quali considera le nostre origini equestri, rese note in latino e in gallico.

 


[1] La frase tende a convincere gli uditori dell’opportunità che si offre ai Templari, nel lasciarsi attrarre dall’ambito franco.

[2] Qualcosa fu dunque nascosto e taciuto, per non rivelare con chiarezza problemi e situazioni di crisi dell’Ordine.

[3] L’Ordine è ormai cosa nota e non può restare nell’umile ombra del servizio al prossimo.

[4] Si ribadisce, al di là delle perplessità ufficiali di alcuni storici, il ruolo determinante di san Bernardo.

[5] Probabile inesattezza grafica: leggasi Remensis.

[6] Variante Ego principium, qui eloquor vobis Gv 8,25.

[7] Risulta difficoltosa la traduzione del passo, Iste vero Magister Hugo cum istis discipulis modum, et observantiam exiguae inchoationis sui Militaris Ordinis, qui ab illo, qui dicit : EGO PRINCIPIUM, QUI ET LOQUOR VOBIS, sumpsit exordium: iuxta memoriae suae notitiam supra nominatis Patribus intimans dove l’accusativo di modum et observantiam non risulta retto da un verbo, se non il sumpsit, peraltro connesso ad exordium.

[8] Si veda l’analoga considerazione al punto precedente.

[9] Il testo si attiene ad un duplice riferimento: la Regola di san Benedetto, che può essere considerata la regola monastica madre di tutte le altre, e, in modo più specifico, alle regole praticate negli ambiti monastici della Città Santa in quei tempi.

[10] Varie traduzioni interpretano le Orationes Dominicae come Paternoster. In realtà l’espressione “Orationes Dominicae” viene usata sia nel titolo che nel testo. Sembra improbabile che nel titolo abbia significato di Ufficio Divino complessivo e poi, nel testo, assuma quello di “Padre Nostro”. Uso perciò l’espressione Preghiere Domenicali senza altri chiarimenti, lasciando ad altra sede una migliore definizione, suggerendo invece di confrontare con la Regola di san Benedetto, capo VIII e successivi, con i relativi termini utilizzati.

[11] II testo latino chiama Milites, Militi, gli appartenenti all’apparato militare. Le varie traduzioni disponibili usano la parola cavaliere o soldato. In realtà cavaliere contiene un significato diverso e soldato lascia trasparire la sua etimologia (assoldato) e la sua valenza guerresca. Per questo motivo si userà la parola italiana milite.

[12] “Io riceverò il calice della salvezza e imiterò la morte di Dio nella mia morte”.

[13]Mangia il tuo pane in silenzio”.

[14]Ho posto una sentinella alla mia bocca”.

[15]Ho deciso di non peccar”.

[16]Tenni la mia bocca chiusa per non parlare male”.

[17] In die martis: forse in un giorno di combattimento?

[18] Il detto è attribuito a Salomone: “il vino conduce all’apostasia anche i sapienti”.

[19] “La morte e la vita sono nelle mani della lingua”.

[20] “Cantate con sapienza al Signore”.

[21] “Al cospetto degli angeli io ti suonerò la cetra”.

[22] “Si divideva fra tutti secondo la necessità di ciascuno”.

[23] “Cercate la pace con tutti e la castità, senza la quale nessuno vedrà Dio”.

[24] Si intende, probabilmente, scarpe appuntite o, più generalmente, borchie.

[25] “Siate puri, perché io sono puro”.

[26] Intendesi la residenza o mansione o altro insediamento a cui è assegnato il milite temporaneo.

[27] “Mi ubbidiscono come le loro orecchie ascoltano”.

[28] “Non sono venuto per fare la mia volontà, ma quella di colui che mi ha mandato”.

[29] II termine mala non è usato in latino classico. Le traduzioni correnti (vedere J. V. Molle - I Templari: la Regola e li Statuti dell’Ordine - Ed. Ecig - 1994) usano termini affini a baule. Si rammenti che la parola latina richiama il concetto di mascella, ovvero, probabilmente, di ciò che si chiude con snodo a cerniera.

[30] Obmutui et silui a bonis" (Sal 39, 3).

[31] Il testo latino, al quale si fa riferimento, è errato: scrive peccato anziché’ peccati.

[32] Il testo latino riporta un improbabile quantocius.

[33] ipse circuit quarens quem devoret”.

[34] manus eius contra omnes omniumque manus contra eum”.

[35] E’ chiara la connessione con il De laude novae Militiae.

[36] Difficile conciliare questa affermazione, che appare posteriore, con il voto di povertà. È solo possibile supporre che il diritto di possedere terre e uomini si riferisca all’Ordine nel suo complesso, anche in presenza di un’espressione, vos ipsos, che sembra riferirsi alla singola persona.

[37] “Sono stato ammalato e mi avete assistito”.

[38] Questa norma provoca una certa sorpresa ed appare difficilmente conciliabile con la precedente norma Cap. XX e successivi sul colore delle vesti, che parlava di castità, virtù non necessariamente connessa con il celibato né con l’astinenza dai rapporti sessuali leciti. Il Capitolo presente rivela la sua introduzione successiva.

[39] Era dunque consuetudine.

[40] La duplice possibilità’ di essere esentati dal pagare le decime all’autorità ecclesiastica e, anzi, di riceverle sarà definita dalle due bolle, Milites Templi, del 1144 e Militia Dei, del 1145, che consentono formalmente Ciò che, in questa regola, era lasciato alla discrezione delle autorità religiose locali.

[41] “O la leggerezza più lieve non tolga la saldezza di colui che pecca o la smoderata severità non distolga dall’errore chi pecca” (S. Maximi ep. Taurinensis Homil. 107).

[42]Candela iugiter in eadem cella ardeat usque ad mane” (RsB 22, 4).

[43] In realtà si riferisce a Mosè.

[44] “Perché non vi sia chi vi accusi, neppure con un sussurro fra la gente”.

[45] Fine, secondo la versione Mennenio, ma con postilla, qui di seguito riportata, secondo la versione della Sacrorum Conciliorum Collectio.

 

 


Ritorno alla pagina iniziale "I Templari e san Bernardo"

Ritorno alla pagina sulle "Regole monastiche e varie"


| Ora, lege et labora | San Benedetto | Santa Regola | Attualità di San Benedetto |

| Storia del Monachesimo | A Diogneto | Imitazione di Cristo | Sacra Bibbia |


6 novembre 2021                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net