REGOLA DI EUGIPPIO
[I] (Regola di Agostino)
Vv. 1—29 Ordo Monasterii; vv. 30—154 Praeceptum.
[II] Quale debba essere il cellerario.
Tit. dalla Regola del Maestro
XVI;
vv. 1—8 dalla Regola dei 4 Padri
(XII)
3,
24—31;
vv. 9—25 dalla Regola del Maestro XVI 11—14; 25—37.
[III] Quale cura degli utensili di ferro con cui operano devono avere
gli operai, o coloro che presiedono ai lavori?
Tit. Fino al v. 8 dalla Regola per i monaci di san Basilio, questione
CIII;
CIIII; CVI;
vv.
9—16 dalla Regola del Maestro
XVII 1—8.
[IIII]. Se qualcuno non è contento che ogni giorno gli venga ordinato
qualche cosa che rientra nei comandamenti di Dio, ma vuole imparare
qualche arte, di quale vizio pecca? e si deve dargli ragione?
Dalla Regola per i monaci di san Basilio,
questione
LXVII.
[V]. Chi si mostra molto attivo e pronto nell’osservare i comandi, ma
poi agisce secondo il suo volere e non secondo quanto gli viene
ordinato, quale ricompensa avrà?
Dalla Regola per i monaci di san Basilio,
questione
LXVIII.
[VI] Che dire di chi, comandato di fare un’azione, avrà fatto delle
contraddizioni, ma poi avrà compito l’ubbidienza di sua volontà?
Dalla Regola per i monaci di san Basilio,
questione
LXX. [VII] Con quale sentimento dell'animo si devono accettare il vestito e
le calzature, qualunque sia la loro specie?
Dalla Regola per i monaci di san Basilio,
questione
XCV. [VIII] È lecito a ciascuno di cedere la propria tunica vecchia o le
calzature a chi vorrà, a causa della misericordia per osservare il
comandamento della carità?
Dalla Regola per i monaci di san Basilio,
questione
XCVIIII. [VIIII] I pellegrini devono entrare fino ai luoghi in cui i fratelli
lavorano, o anche altri dello stesso monastero, abbandonati i loro
posti, possono entrare in altri luoghi?
Dalla Regola per i monaci di san Basilio,
questione CI.
[X] E' lecito a chi conosce le arti ricevere un lavoro da qualcuno senza
che lo sappia o lo permetta colui che presiede e ha la cura delle varie
opere?
Dalla Regola per i monaci di san Basilio,
questione CII. [XI] Si deve tacere con i fratelli che peccano e non occuparsene?
Dalla Regola per i monaci di san Basilio,
questione
CXXII. [XII] Come comportarci verso chi non si pente della sua colpa?
Dalla Regola per i monaci di san Basilio,
questione
XXVIII. [XIII] È conveniente che chi convive con i fratelli possieda qualche
cosa di proprio?
Dalla Regola per i monaci di san Basilio,
questione
XXVIIII. [XIIII] Chi dice male di un fratello o ascolta un maldicente, e lascia
correre, di che cosa è degno?
Dalla Regola per i monaci di san Basilio,
questione
XLIII. [XV] Come sarà da trattare colui che avrà detto male del superiore?
Dalla Regola per i monaci di san Basilio,
questione
XLIIII.
[XVI]
Non è proprio lecito ridere?
Dalla Regola per i monaci di san Basilio,
questione
LIII.
[XVII]
Quale è la materia e la causa dei nostri mali, che deve essere bruciata
nella fornace del timore di Dio? E quale è la ruggine e la sporcizia dei
nostri vizi, da cui ci deve purificare la lima della giustizia?
Dalla Regola del Maestro
V
[XVIII]
L'obbedienza dei discepoli: come deve essere.
Dalla Regola del Maestro VII tit.
—15;
20—74.
[XVIIII] Quando viene l'ora dell'ufficio divino i fratelli devono
affrettarsi immediatamente verso l'oratorio.
Dalla Regola del Maestro
LIIII.
[XX] Quanti passi deve essere lontano il fratello, perché sia tenuto ad
accorrere all'oratorio, lasciando il lavoro?
Dalla Regola del Maestro
LV tit.
—6;
8—11;
13—18.
[XXI] Dei fratelli che arrivano in ritardo all'ufficio divino.
Dalla Regola del Maestro
LXXIII. [XXII] Nessuno deve parlare dopo compieta.
Dalla Regola del Maestro
XXX tit.; 8—30. [XXIII] Il libero arbitrio dei fratelli deve essere tenuto a freno.
Dalla Regola del Maestro
LXXIIII. [XXIIII] L’atteggiamento nella recita dei salmi.
Dalla Regola del Maestro
XLVII
tit.
—22;
24.
[XXV]
Quale deve essere l'abate.
Dalla Regola del Maestro II tit.
—10;
23—25;
32—34;
37—40; 51. [XXVI] Quale deve essere il preposito.
Dalla Regola di san Pacomio
CLIX
(Praecepta
et Instituta
18).
[XXVII]
Le specie di monaci: sia il loro ordinamento che il loro modo di agire e
vivere nei cenobi.
Dalla Regola del Maestro I tit.
—15;
72—92;
Ths 40—
46. [XXVIII] Sulla formazione dei discepoli, la grazia dell'umiltà ed il
progresso verso Dio: con quali mezzi la si acquisisce e come, una volta
acquisita, la si conserva.
Dalla Regola del Maestro X tit.
—14;
16; 18—38;
40—45;
48—122.
[XXVIIII] Ancora sull'umiltà, sull'obbedienza e sulla superbia che deve
essere calpestata.
Sentenze di Novato il Cattolico.
[XXX] Sul combattere la libidine e sui gradi della castità, ovvero in
che modo si raggiunge la purezza della castità.
Dalle Conferenze di Cassiano XII 2, 1—3;
Titolo da Confer. Cap. XII 7.
[XXXI] Distinguerò in sei gradi le vette della castità, benché tra l'una
e l'altra di queste vette la differenza d'altezza sia notevole.
Dalle Conferenze di Cassiano XII 7, 2—4.
[XXXII] Chi desidera distruggere le suggestioni del nemico deve
confessare tutto al suo superiore senza vergognarsi.
Dalle Istituzioni Cenobitiche di Cassiano
IIII
9; Titolo da Istit. Cap.
IIII
9.
[XXXIII] Con quale ordine si riesce a raggiungere la perfezione, per la
quale si ascende dal timore di Dio a cui segue giustamente la carità.
Dalle Istituzioni Cenobitiche di Cassiano IIII
39, 40, 41, 42, 43; Titolo da Istit. Cap.
IIII
39.
[XXXIIII] L'osservanza e la disciplina della regola stabilita, e che
nessuno abbia la sfacciataggine di parlare o di pregare con colui che è
stato sospeso dalla preghiera (comune), affinché non venga anche a lui
attribuita la colpa.
Dalle Istituzioni Cenobitiche di Cassiano II 15—16;
Titolo da Istit. Cap.
II16.
[XXXV] Non sia consentito entrare nell'oratorio per la preghiera diurna
a chi non arriva prima della fine del primo salmo. Durante le ore della
notte sia perdonabile un ritardo fino alla fine del secondo salmo.
Dalle Istituzioni Cenobitiche di Cassiano III
7; Titolo da Istit. Cap. III 7.
[XXXVI] Quando sentono il battito (alla loro porta) non antepongano
nulla all'accorrere in fretta e con entusiasmo.
Dalle Istituzioni Cenobitiche di Cassiano IIII
12;
Titolo da Istit. Cap.
IIII12.
[XXXVII] Le diverse norme per la correzione e l'emendazione dei vizi.
Dalle Istituzioni Cenobitiche di Cassiano IIII 16;
Titolo da Istit. Cap.
IIII
16.
[XXXVIII] Quanto sia illecito il gustare del cibo o della bevanda al di
fuori della mensa comune benedetta.
Dalle Istituzioni Cenobitiche di Cassiano IIII
18; Titolo da Istit. Cap.
IIII
18.
[XXXVIIII] La scomunica per le colpe.
Dalla Regola del Maestro
XII.
[XL] Come si debba trattare il fratello scomunicato.
Dalla Regola del Maestro XIII tit.
—1;
3—5;
8—59;
63—65; 68—75. [XLI] E' opportuno che colui che si è allontanato dalla vita
comunitaria, cioè dalla congregazione, stia appartato e da solo, oppure
(è opportuno) che condivida la sua vita coi fratelli che non rivendicano
nulla di proprio, ma che hanno tutto in comune?
Dalla Regola per i monaci di san Basilio,
questione
III.
[XLII] Inoltre dimostra che il monaco non deve vivere solitario per i
molti mali che facilmente gli si avvicinano furivamente.
Dall'Episola di san Gerolamo
CXXV 9.
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[I] (Regola di Agostino)
1. Sopra ogni cosa, fratelli carissimi, si ami Dio, quindi il prossimo,
poiché questi sono i precetti che principalmente ci sono dati.
2. Descriviamo ora in che modo si debba pregare e cantare i salmi. Nel
mattutino si dicano tre salmi: il sessantaduesimo, il quinto e
l’ottantanovesimo. Nell’ora terza, si dica per prima cosa un salmo con
responsorio, quindi due antifone, una lettura, ed una preghiera
conclusiva; in modo simile all’ora sesta e nona; all’accensione delle
lucerne (Vespro) un salmo responsorio, quattro antifone, di nuovo un
salmo responsorio, quindi una lettura e una preghiera conclusiva. Al
tempo opportuno dopo le preghiere della sera, mentre tutti sono seduti,
si leggano le letture; quindi si leggano i salmi consueti prima del
sonno. Siano le orazioni notturne nel mese di novembre, dicembre,
gennaio e febbraio, dodici antifone, sei salmi, tre letture; in marzo,
aprile, settembre ed ottobre, dieci antifone, cinque salmi, tre letture;
in maggio, giugno, luglio e agosto, otto antifone, quattro salmi, due
letture.
3. I fratelli lavorino dal mattino fino all’ora sesta, e da sesta a nona
siano liberi dalle letture; all’ora nona restituiscano i libri, e dopo
la refezione lavorino nell’orto, o dovunque sia necessario, fino all’ora
delle lucerne.
4. Nessuno rivendichi alcunché come proprio, sia negli abiti, sia in
qualunque altra cosa; desideriamo infatti vivere la vita degli Apostoli.
5. Nessuno faccia alcunché mormorando, affinché non perisca del giudizio
che tocca a chi mormora.
6. Obbediscano con fedeltà, onorino il loro Padre subito dopo Dio, e
onorino il loro superiore come è giusto che facciano i santi.
7. Seduti a tavola tacciano, mentre ascoltano la lettura. Se però c’è
bisogno di qualcosa, il loro superiore se ne occupi subito. Il sabato e
la domenica, secondo quanto stabilito, quelli che lo desiderano prendano
del vino.
8. Se per qualche necessità del monastero c’è bisogno di uscire, vadano
in due. Nessuno mangi o beva fuori dal monastero se non per ordine
espresso, poiché questo è in contrasto con la disciplina del monastero.
Se per necessità del monastero dei fratelli saranno incaricati di
vendere qualcosa, stiano bene attenti a non fare nulla contro l’incarico
ricevuto, sapendo che altrimenti offendono Dio nei suoi servitori; allo
stesso modo, se compreranno qualcosa per le necessità del monastero, lo
facciano con scrupolo e sollecitudine, da servitori di Dio.
9. Non ci sia fra loro parola oziosa. Fin dal mattino attendano al loro
lavoro. Dopo le preghiere dell’ora terza tornino al lavoro. Non stiano a
far discorsi fra di loro, se non per cosa che torni utile alla loro
anima. Durante il lavoro tacciano, a meno che non intervenga qualche
necessità di parlare per l’opera a cui attendono.
10. Se qualcuno non si impegnerà a rispettare con tutte le sue forze e
con l’aiuto della misericordia divina questi comandi, ma al contrario li
disprezzerà con animo ribelle, e se, dopo essere stato ammonito una
volta ed una seconda, non si emenderà, dovrà essere sottoposto alla
disciplina del monastero. Qualora l’età lo permetta, sia anche battuto.
11. Osservando tutte queste cose fedelmente e piamente in nome di Cristo
voi progredirete e noi avremo grande gioia per la vostra salvezza. Amen. |
1. 1. Questi sono i precetti che comandiamo, affinché voi che siete
stabiliti nel monastero li osserviate.
1. 2. Per primo, poiché siete riuniti in un solo corpo, comandiamo che
abitiate concordi nella casa e abbiate una sola anima ed un solo cuore
rivolto a Dio.
1. 3. E non dite di alcuna cosa: è mio, ma tutte le cose siano fra di
voi comuni, e cibo e abiti siano distribuiti a ciascuno di voi dal
vostro superiore; ma non in modo uguale fra tutti, poiché non ugualmente
siete in salute, piuttosto a ciascuno secondo il suo bisogno. Così
infatti leggete negli Atti degli Apostoli: Tutte le cose erano fra di
loro comuni, ed a ciascuno era dato secondo il suo bisogno.
1. 4. Quelli che nella vita del mondo avevano qualcosa, dal momento in
cui sono entrati nel monastero, lo diano spontaneamente alla comunità.
1. 5. Quelli invece che non avevano nulla, non chiedano nel monastero
quello che non potevano avere neppure fuori. Purtuttavia si dia ciò che
è necessario a sostenere la loro infermità, anche se la loro povertà,
quando erano fuori, non poteva trovare neppure l’indispensabile.
Soltanto, non ritengano di essere felici per aver trovato quel cibo e
quell’abito che fuori non trovavano.
1. 6. Né montino in superbia perché ora sono uniti a coloro ai quali
fuori non osavano avvicinarsi, ma stiano di buon animo, e non chiedano
vani beni terreni, altrimenti i monasteri cominceranno a diventare utili
ai ricchi, ma non ai poveri, se i ricchi si umilierannno, mentre i
poveri si daranno arie.
1. 7. Ma d’altra parte anche quelli che credevano d’essere qualcuno nel
mondo non guardino con fastidio i loro fratelli, che giunsero a quella
santa società dalla miseria. Anzi si sforzino d’essere orgogliosi non
della gloria di genitori ricchi, ma della società con fratelli poveri.
Non si esaltino, se hanno contribuito con qualcosa delle loro ricchezze
alla vita comune, né si insuperbiscano per aver distribuito le loro
ricchezze nel monastero più di quanto farebbero se le avessero godute
nel mondo. Infatti ogni altro vizio fa sì che si compiano nuove cattive
azioni, ma la superbia corrompe anche le buone azioni fino a farle
perire; e a che giova spogliarsi dei beni e darli ai poveri e diventare
poveri, se la misera anima diventa più superba nel disprezzare le
richezze di quanto lo era nel possederle?
1. 8. Vivete dunque tutti unanimi e concordi, ed onorate in voi
reciprocamente Dio di cui siete fatti tempio.
2. 1. Dedicatevi alle preghiere nelle ore e nei tempi stabiliti.
2. 2. Nell’oratorio nessuno faccia alcunché se non ciò per cui esso è
fatto e da cui trae il nome; affinché se alcuni, non avendo altra
occupazione, volessero pregare anche al di fuori delle ore stabilite,
non vi sia loro impedimento da parte di chi avrà ritenuto di farvi altre
cose.
2. 3. Quando pregate Dio con salmi e inni, si mediti nel cuore ciò che
si dice con la voce.
2. 4. E non cantate se non ciò che è prescritto che si canti; ciò che
non è espressamente destinato al canto, non si canti.
3. 1. Domate la vostra carne con i digiuni e l’astinenza dal cibo e
dalle bevande per quanto la vostra salute lo permetta. Ma se qualcuno
non può digiunare, non prenda ugualmente cibo al di fuori dell’ora del
pranzo, a meno che non sia malato.
3. 2. Da quando vi accostate alla mensa, fin quando vi alzate, ascoltate
senza rumore e confusione ciò che vi si legge secondo la consuetudine;
affinché voi non solo con la bocca siate nutriti, ma anche le orecchie
siano affamate della parola di Dio.
3. 3. Se alcuni hanno un trattamento speciale nel vitto, poiché sono più
deboli a causa del precedente tenore di vita, ciò non deve dare fastidio
o sembrare ingiusto a coloro che per diversa abitudine sono più forti.
Questi non dovranno considerare più felici quegli altri, che ricevono
più di ciò che hanno loro, ma piuttosto si rallegrino di godere di
maggiore vigore.
3. 4. E se a coloro che sono arrivati al monastero da condizioni più
raffinate si danno alimenti, abiti, letti e coperte che non si danno
agli altri, che sono più rudi, e proprio per questo più felici, coloro
che non ricevono queste cose devono pensare quanto quegli altri siano
scesi dalle condizioni di vita secolare, pur senza aver potuto
eguagliare la frugalità di coloro che sono più forti di costituzione. Né
devono tutti volere quelle cose che pochi ricevono, non perché sono
onorati, ma perché sono tollerati, affinché non si verifichi nel
monastero quella perversione per cui i ricchi diventano quanto più
possono laboriosi, e i poveri al contrario s’infiacchiscono.
3. 5. D’altra parte poiché gli ammalati devono mangiare meno per non
aggravarsi, dopo la malattia devono essere trattati in modo tale da
riprendersi al più presto, anche se venivano da condizioni di estrema
povertà; si trovano quindi nella stessa condizione di debolezza di
coloro che erano abituati ad una vita più agiata. Ma appena abbiano
ripreso le loro forze, tornino alle loro più felici abitudini, che è
tanto più adatta ai servitori di Dio quanto meno hanno pretese. Una
volta tornati in forze, non rimangano per motivo di piacere in quelle
condizioni in cui si trovavano per causa della malattia. Si considerino
più ricchi quelli che saranno più forti nel sopportare le strettezze; è
meglio avere meno bisogni che maggiori ricchezze.
4. 1. Il vostro abito non sia appariscente, e non cercate di piacere per
gli abiti, ma per il comportamento.
4. 2. Quando uscite, rimanete insieme; quando tornate alla vostra
dimora, state da soli.
4. 3. Nel vostro modo di camminare, nella postura, in ogni vostro
movimento non ci sia nulla che possa offendere lo sguardo altrui, ma
tutto sia conforme alla vostra santità.
4. 4. I vostri occhi, anche se cadono su qualche donna, non si fissino
su nessuna. Infatti quando vi trovate fuori dal convento non vi è
proibito vedere donne, ma è un delitto desiderarle, o voler essere
desiderati da loro. Non solo attraverso il tatto e l’affezione ma anche
attraverso lo sguardo la concupiscenza delle donne desidera e si fa
desiderare. E non dite di avere l’animo pudico se avete l’occhio
impudico, poiché l’occhio impudico è segno di un cuore impudico. E
quando due cuori si rivelano l’un l’altro impudichi con sguardo
complice, anche se la lingua tace, e si dilettano di passione reciproca
secondo la concupiscenza della carne, anche se i corpi rimangono intatti
dall’immondo peccato, la castità sfugge ugualmente dai loro
comportamenti.
4. 5. E chi fissa gli occhi in una donna e ama esser fissato da lei, non
deve pensare di non essere visto da altri, mentre lo fa; è sicuramente
visto, anche da quelli da cui non pensa di essere visto. Ma anche se
riuscisse a nascondersi, e a non farsi vedere da nessuno, come se la
caverà con quell’Osservatore dall’alto, a cui nulla resta nascosto?
Dovremo credere che non veda, solo perché è tanto più paziente nel
vedere, quanto più è sapiente? A Lui dunque l’uomo santo abbia timore di
dispiacere, così che non gli venga voglia di piacere peccaminosamente ad
una donna; e pensi che Lui vede tutto, così da non aver desiderio di
vedere pecca¬mino-sa¬mente una donna. Anche in questo si raccomanda il
timore verso di Lui, là dov’è scritto: L’uomo che fissa lo sguardo è in
abominio del Signore.
4. 6. Quando dunque siete insieme in chiesa ed in qualunque altro luogo
dove vi sono donne, custodite l’un l’altro la vostra pudicizia; Dio che
abita in mezzo a voi anche in questo modo vi custodirà da voi stessi.
4. 7. E se notate in qualcuno di voi questa petulanza degli occhi di cui
parlo, subito ammonitelo, affinché il male una volta iniziato non si
aggravi ma sia corretto subito.
4. 8. Se invece anche dopo l’ammonizione subito dopo, o in altro giorno,
lo vedrete fare lo stesso, subito chiunque se ne accorga lo soccorra
come un ferito da curare; per prima cosa lo mostri ad un altro o anche a
un terzo, affinché possa essere convinto dalle parole di due o tre e sia
corretto con adeguata severità. e non pensate di essere malevoli, quando
denunciate una cosa simile. Anzi, non sareste innocenti se lasciaste
perire col silenzio i vostri fratelli, che avreste potuto correggere
denunziando. Se infatti il tuo fratello avesse una ferita nel corpo, che
volesse nascondere, per paura della cura, non sarebbe da parte tua
crudele tacere e misericordioso parlare? Quanto più doveroso quindi è
per te parlare, affinché non imputridisca più rovinosamente nel cuore?
4. 9. Ma se colui negherà, se dopo l’ammonizione non avrà voluto
emendarsi, prima di denunziarlo ad altri, dai quali dovrebbe essere
convinto, deve essere indicato al superiore, affinché in seguito ad una
correzione più segreta possa non essere palesato ad altri. Ma se anche
allora negherà, allora si dovranno richiamare anche gli altri di fronte
al renitente, affinché di fronte a tutti possa essere accusato non da
uno, ma da due o tre; una volta che l’accusa sia provata, dovrà subire
il castigo secondo la decisione del superiore, o anche del presbitero, a
cui compete la riparazione. E se dovesse rifiutare il castigo, anche se
non vorrà andarsene spontaneamente, dovrà essere cacciato dalla vostra
comunità. Questa non è crudeltà, ma misericordia, per evitare che mandi
altri in perdizione col suo pestifero contagio.
4. 10. E ciò che ho detto dell’impudicizia degli occhi, si dovrà
osservare in modo diligente e fedele nel ricercare, proibire,
denunciare, condannare e punire tutti gli altri peccati, sempre con
amore verso gli uomini e odio verso i vizi.
4. 11. Chiunque poi fosse giunto ad un punto tale nel suo peccato da
ricevere da qualche donna lettere o doni, per quanto piccoli, se lo
confesserà spontaneamente, sia perdonato, e si preghi per lui; ma se
sarà colto sul fatto, e sarà provata la sua colpa, sia punito più
severamente secondo il giudizio del presbitero o del superiore.
5. 1. Conservate i vostri abiti nello stesso luogo, sotto la custodia di
uno o due o quanti saranno necessari a questo compito, perché non siano
rosi dalle tarme; e come avete il cibo da una stessa dispensa, così
prendete gli abiti da un unico guardaroba. E se è possibile non fate
caso a quali abiti vi vengono dati a seconda delle circostanze, né se
riceverete quello che già avevate indossato o qualcosa di indossato da
altri; purché a tutti sia dato ciò di cui ha bisogno. Se invece
dovessero nascere tra di voi attriti e mormorazioni a questo proposito,
poiché qualcuno si lamenta di aver ricevuto un abito più scadente di
quello che aveva prima, e trovasse non degno di per lui un abito che
prima era stato indossato un fratello, questo vi deve dimostrare quanto
siate in difetto nel sacro abito del cuore, se litigate per l’abito del
corpo. Tuttavia se la vostra infermità richiede che riceviate ciò che
avevate deposto, tenete ugualmente in uno stesso luogo, sotto la
custodia comune, gli abiti che deponete.
5. 2. Così nessuno lavori per sé stesso, ma tutte le vostre attività
siano in comune, con maggior diligenza e più fervida alacrità che se
ognuno si occupasse solo del suo. La carità, di cui è scritto che
nessuno ricerchi ciò che è suo, s’intende nel senso che si antepone
l’interesse comune al proprio, non il proprio interesse a quello comune.
E dunque quanto più curerete il bene comune a preferenza del vostro,
tanto più vi renderete conto di aver tratto vantaggio; affinché su tutte
le cose che dipendono da una necessità passeggera, prevalga la carità,
che è eterna.
5. 3. Di conseguenza se qualcuno porterà qualcosa ai suoi figli o ad
altri congiunti stabiliti in monastero, o una veste, o qualunque altra
cosa utile, ciò non venga ricevuto di nascosto, ma sia messo a
disposizione del superiore, affinché, posto fra i beni comuni, sia dato
a chi ne avrà bisogno.
5. 4. I vostri indumenti siano lavati secondo le disposizioni del
superiore, o da voi stessi, o da lavandai, in modo che l’anima vostra
non si insozzi per troppo amore di abiti puliti.
5. 5. Anche la pulizia del corpo, quando sia resa necessaria dalla
malattia, non si deve negare, ma si faccia senza mormorazioni su
prescrizione medica, cosicché ognuno anche se non vuole faccia ciò che
giova alla salute, secondo l’ordine del superiore. Ma se qualcuno la
desidera senza necessità, non ceda alla tentazione del piacere. Talvolta
si pensa che giovi ciò che piace, anche se in realtà fa male.
5. 6. Se poi la sofferenza fisica è nascosta, si creda fiduciosamente al
servo di Dio, che lamenta un’indisposizione; tuttavia si consulti il
medico, se non è certo che gli sia di giovamento ciò che può procurargli
un piacere.
5. 7. Non si vada ai bagni, o in qualunque altro luogo sarà necessario
andare, se non in due o tre almeno. E chi ha necessità di andare da
qualche parte, non ci vada con chi vuole, ma con chi avrà deciso il
superiore.
5. 8. La cura degli ammalati o dei convalescenti, o di coloro che
soffrono di qualche infermità, anche senza febbre, sia compito di uno
solo, il quale dovrà ritirare dalla dispensa ciò che avrà giudicato
necessario a ciascuno.
5. 9. Chi ha ricevuto l’incarico della dispensa, del guardaroba, della
biblioteca, serva i suoi fratelli senza brontolare.
5. 10. I libri si prendano all’ora stabilita giorno per giorno; se
qualcuno li chiede fuori ora, non li riceva.
5. 11. Invece abiti e calzature siano dati senza indugio da chi li ha in
custodia quando siano richiesti per bisogno.
6. 1. Non ci siano fra di voi liti, o se ci sono, cessino al più presto,
affinché l’ira non si trasformi in odio, e non faccia d’ogni paglia una
trave, e non renda l’animo omicida. Così infatti trovate scritto: Chi
odia il proprio fratello, è un omicida.
6. 2. Chiunque abbia offeso un altro con invettive, maledizioni, o anche
col rinfacciare colpe, si ricordi di riparare al più presto ciò che
fece, e colui che è stato offeso, sia pronto a perdonare senza
discutere. Se invece si offesero vicendevolmente, dovranno perdonarsi
l’un l’altro, per le vostre preghiere, che quanto più saranno frequenti
tanto più dovranno essere assennate. È migliore colui che, pur essendo
spesso tentato dall’ira, tuttavia si affretta a chiedere scusa a chi
riconosce di aver offeso, di quello che più lentamente va in collera, ma
più difficilmente si piega a chiedere perdono. Se poi uno non chiede mai
perdono, o non lo chiede con animo sincero, è inutile che stia nel
monastero, anche se non ne viene cacciato. Perciò astenetevi dalle
parole offensive; ma una volta che vi siano uscite di bocca, non abbiate
vergogna a proferire il rimedio dalla vostra stessa bocca da cui è
uscita l’offesa.
6. 3. Quando però il dovere della disciplina vi spinge a usare parole
dure nel correggere i sottoposti, se anche vi è parso di aver ecceduto
nei loro confronti, non vi si impone di chiedere loro perdono, per
evitare che un eccesso di umiltà vi porti ad incrinare l’autorità
necessaria per governare su quelli che devono essere sottoposti. Però si
deve chiedere perdono al Signore di tutti, il quale sa con quanta
benevolenza amate anche quelli che forse avete ripreso più del giusto.
L’amore fra di voi deve tuttavia essere spirituale, non carnale.
7. 1. Si obbedisca dunque al superiore come a un padre, prestandogli il
dovuto onore, per non offendere Dio in lui; e ancor di più si ubbidisca
al presbitero che ha cura di tutti voi.
7. 2. Sarà principalmente compito del superiore vegliare affinché tutte
queste cose siano osservate, e se qualcosa non verrà osservato, non si
trascuri con negligenza, ma si provveda affinché vi sia posto rimedio; e
che riferisca al presbitero, che ha su di voi maggiore autorità, ciò che
va al di là delle sue competenze o delle sue forze.
7. 3. Il vostro superiore non si consideri felice perché comanda con
autorità, ma perché serve con carità. Di fronte a voi sia innalzato su
di voi nell’onore; di fronte a Dio sia prostrato ai vostri piedi nel
timore. Si offra a tutti come esempio di buone cose, corregga gli
inquieti, conforti i deboli, sostenga gli inferni, sia paziente con
tutti. Osservi lietamente la disciplina, e imponga rispetto. E seppure
entrambe le cose siano necessarie, tuttavia preferisca essere da voi
amato che temuto, sempre pensando che dovrà rendere conto di voi a Dio.
7. 4. Perciò, se sarete più ubbidienti, mostrerete di avere misericordia
non solo verso voi stessi, ma soprattutto di lui, poiché quanto più è
elevata la sua condizione, tanto più grande è il pericolo per lui.
8. 1. Il Signore vi conceda di osservare tutte queste cose con amore,
così da essere amanti della bellezza spirituale, e emananti il buon
profumo di Cristo grazie alla vostra buona convivenza, non come servi
soggetti alla legge, ma come uomini liberi posti sotto la grazia.
8. 2. Affinché possiate specchiarvi in questo libretto, e non si
trascuri nulla per dimenticanza, esso vi sia letto una volta alla
settimana. E se troverete che state facendo le cose che vi sono scritte,
ringraziate il Signore che vi ha elargito tutti questi doni. Se invece
qualcuno di voi vedrà in sé qualche mancanza, si dolga per il passato,
si premunisca per il futuro, preghi che gli siano rimessi i debiti e che
non sia indotto in tentazione.
FINISCE LA REGOLA DI SANT'AGOSTINO, VESCOVO |
[II] Quale debba essere il cellerario
24. Deve essere eletto uno che sia tale da poter dominare in tutto le
suggestioni della gola 25. e che tema la parola di condanna rivolta a
Giuda, che dall’inizio è stato ladro. 26. Colui che viene incaricato di
tale compito deve fare in modo da poter udire [su di sé]: 27. “Colui che
avrà servito bene acquisisce per sé un buon posto”.
28. Devono anche sapere, i fratelli, che tutto ciò che in monastero
passa per le loro mani, sia riguardo al vasellame, sia riguardo agli
attrezzi e a tutte le altre cose, è santo. 29. Se qualcuno tratta con
negligenza qualcosa, 30. sappia che si trova nella stessa condizione di
quel re che insieme con le sue concubine beveva nei vasi santi della
casa di Dio, e sappia quale castigo si è meritato.
31. Questi precetti sono da custodirsi e da richiamare ogni giorno
alle orecchie dei fratelli».
11 II cellerario del monastero dunque non è altro che un
dispensatore di beni divini; 12 tanto divini che il Signore stesso
nel vangelo li promette ai suoi servi fedeli dicendo: «Non datevi
pensiero di quel che avrete da mangiare o da bere, o di che
vestirvi». 13 E insieme ammonisce che nessuno sia preoccupato del
domani, 14 ma ci dà questo avvertimento: «Cercate il regno di Dio e
la sua giustizia, e tutto ciò vi sarà fornito.
25 Dunque se ci preoccupiamo soltanto del nostro servizio «nel
cercare il suo regno e la sua giustizia» (Mt. 6,33-34), 26 stiamo
certi che il Signore ci fornirà di tutto; dato che già di sua
iniziativa egli promette di procurarci ogni cosa necessaria.
27 Orbene, se i viveri del monastero che il Signore elargisce ai
suoi operai a titolo di cibo, 28 vengono distribuiti senza criterio
e con imbrogli dal cellerario e vanno perduti, 29 sappia il suddetto
cellerario che nel giorno del giudizio egli sarà esaminato sui conti
che deve rendere a Dio, davanti al suo tribunale, 30 avendo visto il
Signore sprecato per negligenza il cibo dei suoi servi. 31 I beni
infatti che il Signore giustamente concede a chi se li merita, non
ammette che siano immeritatamente sprecati da dissipatori.
32 Questo cellerario niente deve fornire né elargire né prelevare
senza ordine dell’abate 33, quando questi è presente, non offra
nulla a un malato senza la sua autorizzazione. 34 II cellerario,
presente l’abate, faccia l’elemosina su suo ordine. 35 Quando invece
l’abate è assente, sia lecito a lui di offrire l’elemosina, se un
povero la chiede, 36 conforme al precetto del Signore che dice: «Da’
a ognuno che ti chiede» (Lc. 6,30); 37 e anche: «Da’, perché non ti
capiti che quegli a cui non hai dato, sia il Cristo in persona» (cf.
Mt. 25,35-3 6). |
[III] Quale cura degli utensili di ferro con cui operano devono avere
gli operai, o coloro che presiedono ai lavori?
2. Prima di tutto li devono usare come oggetti di Dio, o come quelli che
sono già stati consacrati a Dio. 3. E poi li devono trattare come mezzi,
senza dei quali non possono acquistare meriti per il loro sacrificio e
per il loro zelo.
1. Come ci si comporterà nel caso che qualche pezzo di quelli va perduto
per negligenza, o si rovini per il disprezzo usato?
2. Chi disprezza è da giudicare come sacrilego, e così anche chi manda
in rovina le cose incorre nella stessa colpa, 3. per il fatto che tutto
ciò che è destinato all’uso dei servi di Dio senza dubbio è consacrato a
Dio.
1. Che fare con chi rifiutasse qualche utensile o un ferro al superiore
in caso di necessità?
2. Chi ha consegnato se stesso e le sue stesse membra nelle mani di
altri per comando di Dio, come potrà rifiutare degli utensili,
soprattutto a chi ha l’incarico dei lavori del monastero?
1 Gli arnesi del monastero siano tenuti in un unico locale 2 e l’abate
affidi la cura di conservarli a un solo fratello del quale conosca la
diligenza. 3 Egli li consegni ogni giorno ai fratelli per fare il loro
lavoro, contandoli; 4 parimenti quando smettono, li riceva di ritorno
puliti e li riponga. 5 L’abate abbia di tutti un inventario. 6 II
fratello che riporta dal campo uno strumento non ripulito dalla terra, 7
accusato a refettorio dal depositario degli arnesi, 8 riceva al pasto
una fetta di meno della sua razione di pane a titolo di castigo, fino a
riparazione compiuta e a promessa di emendarsi. |
[IIII]. Se qualcuno non è contento che ogni giorno gli venga ordinato
qualche cosa che rientra nei comandamenti di Dio, ma vuole imparare
qualche arte, di quale vizio pecca? e si deve dargli ragione?
Risposta.
2. Questo tale è presuntuoso, troppo desideroso di compiacere se stesso,
e infedele, in quanto non teme la sentenza del Signore che dice: Siate
preparati; perché all’ora che non pensate verrà il Figlio dell'uomo
{Lue. 12, 40). Se uno è veramente nella quotidiana attesa del Signore, è
sollecito e premuroso di non trascorrere oziosamente la vita presente e
non si preoccupa d’altro. Se poi gli viene comandato di imparare qualche
arte, si contenti di avere una ricompensa per la sua ubbidienza, e in
questo piaccia a Dio, ma non si contenti di essere giudicato in ciò che
a lui piace.
[V]. Chi si mostra molto attivo e pronto nell’osservare i comandi, ma
poi agisce secondo il suo volere e non secondo quanto gli viene
ordinato, quale ricompensa avrà?
Risposta.
2. La sua ricompensa sarà proprio quella di piacere a se stesso; poiché
l’Apostolo dice: Ciascuno si renda gradito al prossimo per edificarlo
(Rm 15, 2). 3. E per maggiormente piegare e vincolare gli ascoltatori
aggiunge: Lo stesso Cristo non piacque a se stesso; 4. e perciò ciascuno
deve conoscere che il suo pericolo è proprio nel fatto di voler piacere
a se stesso; e così nello stesso tempo dimostra di essere disubbidiente. |
[VI] Che dire di chi, comandato di fare un’azione, avrà fatto delle
contraddizioni, ma poi avrà compito l’ubbidienza di sua volontà?
Risposta.
2. Per il fatto che ha contraddetto, è da giudicare come un
disubbidiente e come chi induce gli altri a un medesimo male. 3. E
perciò sappia che incorre in quella sentenza che dice: Ogni persona
cattiva provoca sempre contese, ma il Signore manderà contro di lui
Vangelo vendicatore (Pr 17, 11). 4. Se è certo che ubbidisce non
all'uomo, ma al Signore che afferma: Chi ascolta voi, ascolta me, e chi
disprezza voi, disprezza me (Lc 10,16); 5. E se è pentito al ricordo di
questo comandamento, prima faccia la soddisfazione, e così, se gli viene
permesso, compia quanto gli è stato comandato. |
[VII] Con quale sentimento dell'animo si devono accettare il vestito e
le calzature, qualunque sia la loro specie?
2. Se per caso fossero troppo piccoli o troppo grandi, si dovrebbero
giudicare in base alla misura della propria statura, ma con ogni umiltà
e mansuetudine. 3. Ma se ci si turba per la loro rozzezza o bassezza, o
perché non sono nuovi, sarà bene ricordare il comando del Signore: È
degno della sua ricompensa l'operaio, ma non chiunque (Lc 10, 7). 4.
Ciascuno esamini bene se stesso, se ha compiuto degnamente le opere di
Dio, ed ha osservato tutte le cose che gli sono state comandate; 5. e
allora non pretenderà altro, ma sarà premuroso di quello che gli viene,
come se ricevesse più di quanto merita. 6. Del resto quanto si è detto
del cibo, si può osservare nella stessa forma di ogni cosa che riguarda
i bisogni del corpo. |
[VIII] È lecito a ciascuno di cedere la propria tunica vecchia o le
calzature a chi vorrà, a causa della misericordia per osservare il
comandamento della carità?
Risposta.
2. Offrire qualche cosa per il detto comandamento non è compito di
tutti, ma di quelli che hanno ricevuto quest'incarico. 3. Così dunque
chi ha il compito della distribuzione dia lui stesso il vestito, nuovo o
vecchio, a chi deve essere dato, e lo riceva da chi deve essere
ricevuto.
|
[VIIII] I pellegrini devono entrare fino ai luoghi in cui i fratelli
lavorano, o anche altri dello stesso monastero, abbandonati i loro
posti, possono entrare in altri luoghi?
Risposta.
2. Eccetto colui che deve andare alla ricerca di coloro che lavorano,
cioè quello che è incaricato del lavoro e dell'ordinamento, 3. se
qualche altro sarà trovato a fare simili azioni, sia trattato come
perturbatore della disciplina e dell'ordine dei fratelli, venga escluso
dalla comunità conventuale, e gli siano vietati anche i movimenti
leciti. 4. Seduto in determinato luogo, stabilito dal superiore e adatto
alla correzione e alla punizione, non gli sia mai permesso di
allontanarsene, 5. ma sia stimolato al lavoro molto più del consueto, e
sorvegliato strettamente ogni giorno, finché impari a compiere quanto
dice l'Apostolo: Ognuno rimanga nell'incarico che gli è stato affidato
(1 Cor. 7, 20). |
[X] E' lecito a chi conosce le arti ricevere un lavoro da qualcuno senza
che lo sappia o lo permetta colui che presiede e ha la cura delle varie
opere?
Risposta.
2. Chi agisse in questo modo sarebbe reo di furto, o assimilato a quelli
che cooperano coi ladri |
[XI] Si deve tacere con i fratelli che peccano e non occuparsene?
2. Che non si deve è ben chiaro dai precetti del Signore, coi quali dice
nell'Antico Testamento: Rimprovera il tuo prossimo e non ti caricherai
del suo peccato (Lv 19, 17). 3. Nel Vangelo poi dice: Se un tuo fratello
avrà peccato contro di te, va e riprendilo fra te e lui solo. 4. Se ti
ascolterà avrai guadagnato un tuo fratello. 5. Se invece non ti
ascolterà, prendi ancora con te un altro o due, affinché per bocca di
due o tre testimoni si stabilisca ogni cosa. 6. Se poi non ascolterà
nemmeno loro, dillo all'assemblea. 7. Se poi non ascolterà neanche
l'assemblea, sia per te come un pagano e un pubblicano (Mt 18, 15-17).
8. La gravità di questo peccato si conosce prima di tutto dalla sentenza
del Signore, che dice: Chi non crederà nel Figlio non avrà la vita
eterna, ma su di lui rimarrà l'ira di Dio (Gv 3, 36). 9. E poi anche
nelle storie narrate nell'Antico e nel Nuovo Testamento. 10. Infatti
Acan, quel tale che aveva rubato il regolo d'oro, fece ricadere l'ira di
Dio su tutto il popolo (Gs 7,1-26). 11. Eppure il popolo non conosceva
il peccato che quello aveva commesso fino a che non fu rivelato, e
dovette sopportare con tutta la sua casa quel tremendo e notissimo
flagello. 12. E così si può affermare anche del sacerdote Eli, che, dopo
aver taciuto di fronte ai figli peccatori, che erano figli di
perdizione, 13. in seguito li ammonì spesso e li castigò, dicendo: Non
fate ciò, figlioli; non sento dire cose buone di voi (1 Sam (Vulg. 1 Re)
2, 24), ecc.; 14. egli, nonostante che rimproverasse il peccato e
ammonisse del giudizio di Dio, tuttavia, poiché non represse il male e
non si adirò contro di loro con uno zelo degno di Dio, 15. provocò tanto
l'ira di Dio, che anche tutto il popolo fu distrutto insieme ai suoi
figli, l'arca dell'alleanza fu rapita dai nemici, 16. e in fine, dopo la
rovina di tutti, anche lui fu colpito da una morte degna di compassione.
17. Se dunque tanto sdegno di Dio si accese contro il popolo ignorante
del peccato di una sola persona, e contro il padre che aveva
rimproverato i figli per il loro peccato, 18. che cosa c'è da sperare
per coloro che conoscono i delitti degli altri e li tacciono, e non
rivolgono nessuna correzione? 19. A questi converrebbe osservare quello
che dice l'Apostolo ai Corinti: Perché non avete piuttosto messo il
lutto, finché non fosse tolto di mezzo a voi chi ha commesso un tale
peccato? (1 Cor 5, 2) ecc. 20. O anche quanto segue: Ecco dunque la
vostra tristezza secondo Dio quanta premura ha prodotto in voi, anzi
quanta difesa, quanta indignazione, quanto timore, quanto zelo, quanta
emulazione, quanta severità? (2 Cor 7, 11). 21. E da ciò deriva
che devono molto temere, per non avere a subire la stessa morte degli
antichi, quelli che agiscono allo stesso modo; 22. anzi tanto più
fortemente quanto più dannoso è il disprezzare la legge di Cristo di
quella di Mosè. 23. Anche a questi tali si può applicare quanto sta
scritto: Caino è stato vendicato sette volte, e Lamec settanta volte
sette (Gen 4, 24). |
[XII] Come comportarci verso chi non si pente della sua colpa?
Risposta.
2. Come prescrive il Signore: Consideralo come un pagano e un pubblicano
(Mt 18, 17). 3. E come insegna l'Apostolo: Tenetevi lontani da ogni
fratello che agisce in maniera irrequieta, e non secondo le norme che vi
abbiamo trasmesse (2 Ts 3, 6). |
[XIII] È conveniente che chi convive con i fratelli possieda qualche
cosa di proprio?
Risposta.
2. A ciò è contraria la testimonianza degli Atti degli Apostoli dove si
parla di quelli che abbracciarono la fede nei primi tempi. 3. Ivi è
detto così: Nessuno affermava come proprio qualche parte dei suoi beni,
ma tutto era comune fra loro (At 4, 32). 4. Se quindi qualcuno afferma
come proprio qualche cosa, senza dubbio si esclude dal numero dei
chiamati da Dio e dall'amore del Signore, che con la parola insegnò e
con le azioni portò a termine il suo insegnamento, e diede la sua vita
per quelli che amava. 5. Se dunque Egli offrì la sua vita per i suoi
amici, come potremo noi rivendicare come di nostra proprietà ciò che non
appartiene alla vita? |
[XIIII] Chi dice male di un fratello o ascolta un maldicente, e lascia
correre, di che cosa è degno? 2. Si deve scomunicare. 3. È detto infatti: Perseguitavo chi diceva male del suo prossimo in segreto (Sal 101 (100), 5). 4. E altrove è detto: Non ascoltare volentieri il maldicente, affinché tu non venga sterminato (Pr 20,13; LXX). |
[XV] Come sarà da trattare colui che avrà detto male del superiore?
Risposta.
2. Anche in questo caso non è forse ben chiaro il giudizio dell'ira di
Dio, che cadde su Maria, quando disse male di Mosè, e nemmeno la
preghiera di Mosè valse a ottenere da Dio che quel peccato restasse
senza punizione? (Nm 12,1-15)
[XVI]
Non è proprio lecito ridere?
Risposta.
2. Poiché il Signore condanna quelli che ridono in questo mondo, è
chiaro che non vi è mai tempo per un'anima fedele; 3. e questo tanto più
che sono moltissimi coloro che con la trasgressione della legge non
onorano Dio, e muoiono nei loro peccati, e per loro ci si deve
rattristare e addolorare costantemente. |
[XVII]
Quale è la materia e la causa dei nostri mali, che deve essere bruciata
nella fornace del timore di Dio? E quale è la ruggine e la sporcizia dei
nostri vizi, da cui ci deve purificare la lima della giustizia? Il Signore ha risposto:
1
Ecco i vizi da cui dobbiamo guardarci: 2 in primo luogo la
superbia, poi la disobbedienza, la loquacità, 3 la falsità,
l’avarizia, la cupidigia, 4 la gelosia, l’invidia,
l’iniquità, 6 l’odio, l’inimicizia, l’ira, la rissa, la
contesa, 6 la lussuria, l’ubriachezza, l’ingordigia, 7
la mormorazione, l’empietà, l’ingiustizia, la pigrizia, il furto, 8
la maldicenza, la buffoneria, la leggerezza, l’ impurità, le parole
vane, 9 il riso molesto ed eccessivo, la derisione, 10
la cupidigia, la frode, l’ ambizione, l’ instabilità.11 Tutto
ciò non viene da Dio, ma è opera del diavolo e demerito davanti a Dio,
che riceverà nel giorno del giudizio: la gehenna del fuoco eterno. |
[XVIII]
L'obbedienza dei discepoli: come deve essere. Il Signore ha risposto:
1
Il primo grado dell’umiltà è l'obbedienza senza indugio. 2 Ma
questa forma conviene al piccolo numero dei perfetti; a quelli cioè che,
ritenendo di non avere nulla più di caro di Cristo, 8 a
motivo del servizio santo a cui si sono consacrati, o a causa del timore
dell’inferno e delle ricchezze della vita eterna, 4 non
appena intendono un comando di un superiore non possano sopportare
nessun indugio nell'eseguirlo. 5 E’ di loro che il Signore
dice: “All’udirmi, subito mi obbedivano „ (Sal 18 (17),45) 6
e dice ancora ai dottori: “Chi ascolta voi, ascolta me„ (Lc 10,16).
7 Quindi questi monaci, che si distaccano subito dalle loro
preferenze e rinunciano alla propria volontà, si liberano all'istante
dalle loro occupazioni, lasciandole a mezzo, e si precipitano ad
obbedire, in modo che alla parola del superiore seguano immediatamente i
fatti. Quasi allo stesso istante, il comando del maestro e la perfetta
esecuzione del discepolo si compiono di comune accordo con quella
velocità che è frutto del timor di Dio.
10
Ma questa forma d'obbedienza del piccolo numero dei perfetti non deve
troppo stupire e scoraggiare gli spiriti deboli e pigri, ma incitarli
piuttosto all'imitazione. 11 Considerando infatti che si
trovano fra di noi diversi vasi fragili, poiché una natura meno generosa
ha destinato in diversi individui molta pigrizia. 12 Infatti,
ve ne sono alcuni il cui udito è indebolito da una insensibilità che li
assorda, se ne vedono anche altri il cui animo si smarrisce nella
foresta dei loro pensieri che si diffondono improvvisamente. 13
Per questo motivo ammorbidiamo e mitighiamo il rigore dell'obbedienza da
parte dei responsabili affinché, ripetendo il suo ordine ai discepoli,
al maestro non rincrescerà di dovere anche ripetere un suo ordine,
14 secondo questa testimonianza del Signore che, chiamando Abramo,
ripeté il suo nome una seconda volta e disse: «Abramo, Abramo!» (Gn
22,11) 15 Questa ripetizione ci fa dunque vedere che il
Signore ha mostrato che una sola chiamata non può bastare per essere
ascoltato.
20
Senza dubbio nei comandi l'ordine del maestro viene ripetuto perché, per
quanto lenti e negligenti siano gli ascoltatori, quando ciò che è stato
detto una volta è ripetuto loro una seconda, sia cosa del tutto giusta
che l’attuazione dell'obbedienza venga a interrompere il secondo
indugio. 21 Se poi nei discepoli vi sarà un terzo indugio ad
obbedire, — Dio non voglia che succeda ciò! — sia considerato come colpa
con l'imputazione di contumacia.
22
Tuttavia, occorre anche qui sviluppare il tema delle due vie, poiché
capita a proposito ed in modo adatto: cioè la via larga che conduce alla
perdizione e la via stretta che conduce alla vita. 23 Su
queste due vie procede l'obbedienza delle diverse persone: 24
sulla via larga, l’obbedienza dei secolari e dei monaci sarabaiti e
girovaghi 25 che, vivendo soli, a due o a tre senza
superiore, su di un piano di uguaglianza e procedendo a modo loro,
26 alternandosi al comando per imporre l’uno all’altro ciò che
sembra loro bene, e rivendicando la proprietà di ciò che vogliono:
27 e poiché nessuno vuole cedere sui suoi punti di vista, non
mancano mai le liti tra di loro. 28 Poi, dopo un appassionato
litigio, essendo gente riunita in malo modo si separano e 29
se ne vanno come un gregge errante senza pastore, disperso in diverse
direzioni, irrimediabilmente destinato a cadere nelle fauci del lupo.
30 Non è Dio che procura ancora loro delle nuove celle, ma la
loro volontà e, poiché si conferiscono da soli, in base alla loro sola
autorità, il nome di abate, si vedono monasteri in più grande numero dei
monaci!
31
Si vede bene che costoro vanno nella via larga poiché, sotto il nome di
monaci, vivono nello stesso modo dei laici, da cui li separa soltanto la
tonsura che portano, e prestano obbedienza ai loro desideri piuttosto
che a Dio. 32 Secondo il loro giudizio, pensano che sia loro
permesso ciò che è male: 33 tutto ciò che vogliono lo
chiamano santo e tutto ciò che non vogliono pensano che non sia
permesso. 34 Si immaginano che Dio gradisca che si occupino
loro stessi del loro corpo, provvedendo alle sue necessità piuttosto che
a quelle dell’anima: 35 e cioè cibo, abito, scarpe, di cui
pensano di potersene meglio occupare essi stessi di quanto non lo
farebbe un altro. 36 Nella loro negligenza si sentono sicuri
di quanto la loro anima dovrà rendere conto, così come, militando sotto
il loro giudizio e senza essere provati da superiori, si immaginano di
compiere nella loro cella tutta la legge e la giustizia di Dio. 37
Se per caso alcuni anziani vengono a passare da lì, danno loro alcuni
consigli per correggersi e insegnano loro che questo modo di vivere
solitario non vale nulla, immediatamente il consiglio è considerato
sgradito, così come la persona stessa del precettore; 38 e
subito, anziché promettere di correggersi dandogli il loro consenso ed
obbedendo a lui, rispondono soltanto che devono vivere da soli. 39
Essi ignorano ciò che ha detto il profeta: «Si sono corrotti e si sono
resi abominevoli seguendo le loro volontà» (Sal 13,1 Vulg.), 40
e questo testo di Salomone che dice: «C’è una via che sembra diritta per
l’uomo, ma alla fine conduce su sentieri di morte» (Pr 14,12)
41
Questi tali camminano nella via larga poiché, dove li conduce il piede
del loro desiderio, immediatamente lo seguono con il loro consenso:
42 tutto ciò a cui ambisce la loro cupidigia, l'azione è subito
prontissima al servizio della medesima. 43 Aprendosi dei
nuovi sentieri per la loro opportunità ed il loro libero arbitro senza
maestro, dilettano la via della loro vita con diversi ed illeciti
piaceri 44 e, dovunque portino le loro attrazioni, si
permettono di andarvi senza freni e con comodità. 45 Non
vogliono mai capire che «per la creatura umana, la morte è messa alla
soglia del piacere». 46 Quanto a ciò che è stato detto per
loro: «Non seguire le tuo cupidigie e ditogliti dalle tue volontà» (Sir
18,30), passano oltre con l'orecchio sordo.
47
Ma, al contrario, coloro che sono spinti dal desiderio di andare alla
vita eterna, per questo motivo intraprendono la via stretta: 48
non vivendo a modo loro e non obbedendo ai loro desideri ed ai loro
piaceri, ma camminando al giudizio ed al comando di un altro, 49
non soltanto si trattengono da questi sopraddetti desideri e piaceri e
rifiutano di agire a modo loro, quando possono, 50 ma si
sottopongono all'ordine altrui e, rimanendo nei cenobi, desiderano avere
un abate come superiore. 51 Questi tali, certamente, imitano
la massima del Signore che dice: «Non sono venuto a fare la mia volontà,
ma quella di colui che mi ha inviato» (Gv 6,38). 52 Non
agendo a modo loro, rinunciando ad essi stessi per Cristo, seguono Dio
ovunque li conduce l'ordine dell'abate.
53
Grazie all’attenzione dell’abate nei loro confronti, non soltanto non
devono preoccuparsi delle loro necessità temporali, cioè del cibo,
dell'abito e delle calzature, ma non devono neppure preoccuparsi del
futuro rendiconto della loro anima. 64 Basta che prestino
obbedienza in tutto al loro precettore, per essere al sicuro riguardo a
tutti i loro altri interessi, sia del corpo che dell’anima, 85
poiché, sia in bene, sia in male, è al pastore che incombe la
responsabilità di ciò che si attua nelle pecore; 86 ed al
momento del giudizio è colui che ha dato gli ordini che dovrà fornire
una spiegazione, non colui che ha eseguito questi ordini, buoni o
cattivi che fossero.
87
Si ritiene vero che costoro camminino nella via stretta, poiché i loro
desideri non trovano compimento in se stessi; non fanno ciò che vogliono
68 ma, sotto il giogo del giudizio altrui, si rifiutano di
andare dove vorrebbero per seguire il loro piacere ed il maestro nega
loro di fare o compiere ciò che vogliono. 59 La loro volontà
subisce amarezze ogni giorno nel monastero, a causa del Signore, e tutto
ciò che viene loro comandato per metterli alla prova, lo sopportano con
pazienza, come dei martiri. 60 Certamente nel monastero
diranno ciò al Signore, assieme al profeta: «Per te ogni giorno siamo
messi a morte, stimati come pecore da macello (Sal 44 (43),23) » 61
e più tardi, al giudizio, diranno ancora al Signore: «O Dio, tu ci hai
messi alla prova; ci hai purificati come si purifica l’argento.62
Ci hai fatto cadere in un agguato, hai stretto i nostri fianchi in una
morsa. 68 Hai fatto cavalcare uomini sopra le nostre teste»
(Sal 66 (65), 10-12). 64 Poiché diranno: «Hai fatto cavalcare
uomini sopra le nostre teste», si capisce che devono avere sopra di loro
un superiore stabilito per rappresentare Dio e che loro temono nel
monastero. 65 E proseguendo questo testo, diranno ancora al
Signore, molto a proposito, quando saranno già nel secolo futuro: «Siamo
passati per il fuoco e per l'acqua, e ci hai fatto entrare nel riposo»,
(Sal 66 (65), 12: Vulg.) 66 in altri termini: «Siamo
passati attraverso le amarezze imposte alle nostre volontà e, servendo
nell'obbedienza, siamo giunti al riposo offerto dalla tua bontà».
67
Ma questa obbedienza sarà accetta a Dio e gradevole agli uomini, se il
comando ricevuto verrà eseguito senza tiepidezza o lentezza e tantomeno
con mormorazioni o proteste. 68 Perché l'obbedienza che si
presta agli uomini è resa a Dio. Come dice il Signore ai dottori: «Chi
ascolta voi, ascolta me». (Lc 10,16) 69 E dice altrove:
«All’udirmi, subito mi obbedivano» (Sal 18 (17),45). 70
Dunque, i discepoli devono prestare obbedienza con slancio e generosità,
poiché «Dio ama chi dona con gioia» (2 Cor 9,7). 71 Infatti
il discepolo obbedisce malvolentieri, non tanto se si lamenta con noi a
parole ma anche solo se si lamenta nel suo cuore con Dio di ciò che fa
di malanimo. 72 E nonostante egli adempia ciò che gli è stato
comandato, non compie un atto gradito a Dio, il quale scorge 1a
mormorazione nell'intimo della sua coscienza. 73 E nonostante
egli faccia ciò che gli viene ordinato, tuttavia, siccome lo fa
controvoglia, 74 il Signore non gli concederà alcuna
ricompensa per la sua azione perché Dio, che subito esplora il suo
cuore, avrà trovato in lui una disposizione triste nel compiere questa
azione. |
[XVIIII] Quando viene l'ora dell'ufficio divino i fratelli devono
affrettarsi immediatamente verso l'oratorio.
Risposta.
1
Quando il colpo dato sul segnale nell’oratorio avrà avvertito che è
venuta l’ora di Dio, chi sta lavorando si sbarazzi immediatamente del
suo lavoro, gli artigiani depongano gli arnesi, i copisti non finiscano
la lettera incominciata. 2 Ogni mano di fratello lasci quel che faceva.
E subito con gravità si affretti il piede verso l’oratorio, la mente
verso Dio, perché tutti si trovino immediatamente riuniti per la prima
orazione. 3 E come api al miele, brulichi ronzando lo sciame dei
fratelli che entrano nell’oratorio, 4 in modo
che
lo spazio del sacro oratorio che prima era silenzioso,
ben
presto si riempia del clamore dei salmi, e il silenzio del luogo santo
passi alle officine e sui lavori abbandonati.
5 Ogni volta poi che all’oratorio si dà il colpo sul segnale, subito
tutti all'udirlo,
prima di accorrere, si facciano il segno di croce sulla fronte,
rispondendo
Deo gratias. |
[XX] Quanti passi deve essere lontano il fratello, perché sia tenuto ad
accorrere all'oratorio, lasciando il lavoro?
Risposta.
1 Quando suona il segnale percosso dall’abate, il fratello che sta
lavorando, sia egli solo o siano in molti, subito, lasciato il suo
arnese, calcoli rapidamente se debba affrettarsi verso l’oratorio o no,
valutando la distanza a occhio. 2 E il criterio di scelta sia questo:
che debba affrettarsi con gravità verso l’oratorio, quando si trovi a
cinquanta passi lontano dalla soglia del monastero. 3 Se la lontananza
del luogo supera questa misura, non ci vadano, 4 ma restando sul posto,
abbandonato l’arnese che avevano in mano, dicano anch’essi per proprio
conto a bassa voce l’opera di Dio, piegando il capo tutte le volte che
si piegano le ginocchia nell’oratorio.
5 Oppure, nel caso che il fratello abbia da fare qualche lavoro urgente,
dica per proprio conto i salmi unendone tre insieme, però con i loro
Gloria, 6 perché quei Gloria che si dicono tra un salmo e l’altro
tengono il posto delle orazioni; infatti tali Gloria devono sempre
essere detti da chi salmodia a capo chino.
8 Finiti questi salmi con il versetto e l’orazione, concluda egli stesso
privatamente, e riprenda subito il lavoro cui stava attendendo.
9 Abbiamo detto che, se il luogo è distante più di cinquanta passi, il
fratello che sta lavorando non deve più avviarsi all’oratorio, 10
Bisogna infatti evitare che i fratelli, accorrendo da lontano con troppa
fretta, lo facciano non con gravità, ma in modo scomposto, andando a
gara nel correre rapidamente; 11 e poi, stanchi del lungo tragitto,
entrati in ritardo nell’oratorio, con il petto ansimante per la strada
fatta, non riescano ad aver voce per dire il salmo.
13 E allora, se è un vero spirituale, rimarrebbe
senza più speranza e con un reale smacco da parte sua; e mortificato
assai per non aver meritato di adempiere l’opera di Dio né nel campo né
nell’oratorio: 14 la lontananza si risolverebbe per lui in perdita
dell’ora regolamentare.
15 Coloro invece che sono occupati nell’interno del monastero per
necessità urgenti di utilità comune, 16
quando cessa il salmo e la comunità si prostra per l’orazione, chiedano
a voce alta, rivolti all’oratorio, che i fratelli si ricordino di loro.
17 Tuttavia sul posto stesso in cui sono occupati, assolvano a voce
bassa per proprio conto l’opera di Dio, seguendo le parole dette
nell’oratorio. 18 Inoltre ogni volta che finisce un salmo, nel luogo
stesso dove si trovano in piedi o seduti, pieghino le ginocchia per le
orazioni. |
[XXI] Dei fratelli che arrivano in ritardo all'ufficio divino.
Risposta.
1
Quando nell’ufficio notturno e mattinale e al lucernario un fratello non
arriva in tempo per la prima orazione o
il
salmo, nell’oratorio l’abate scuoterà la testa rivolto verso di lui, per
incutergli timore e poi fuori, da solo a solo, gli farà un’ammonizione,
perché si corregga,
2
Se non è arrivato in tempo per la seconda orazione e il salmo, sia
rimproverato duramente alla fine del salmo, lì nell’oratorio, alla
presenza della comunità.
3
Se poi entra dopo la terza orazione e il salmo, immediatamente egli e i
suoi prepositi siano cacciati fuori dall’oratorio, scomunicati;
4
saranno riammessi e perdonati, solo dopo che tutti egualmente abbiano
fatto umile riparazione, davanti alla soglia dell’oratorio.
5
Questo però s’intende, come abbiamo detto in un precedente capitolo, per
le distanze inferiori ai cinquanta passi.
6
Per Prima, Terza, Sesta, Nona, chi dopo l’avviso dato percotendo il
segnale, non arriverà in tempo per la prima orazione e il primo salmo,
sia duramente rimproverato nell’oratorio alla presenza della comunità.
7
Chi invece arriverà dopo la seconda orazione e il secondo salmo, sia
senz’altro scomunicato e vada fuori coi suoi prepositi.
8 Chi non si troverà presente al salmo antifonico e al versetto che
precede il pasto, prenda in disparte il cibo e la bevanda su cui non si
sia fatto segno di croce, e senza benedizione data e ricevuta;
9
non scambi parola con nessuno, fino a che si alzino da tavola.
10
Ed è giusto che faccia il suo pasto senza parola d’uomo, dal momento che
prima del pasto non ha parlato con Dio. 11 Chi poi non si trova presente
al versetto di fine mensa, per rendere grazie a Dio dopo il pasto,
riceva al pasto seguente lo stesso castigo di segregazione dato a colui
che prima del pasto non ha parlato con Dio.
12
Questi rimproveri e scomuniche sono però stabiliti soltanto per coloro
che sono in ritardo per negligenza volontaria e non perché trattenuti da
faccende riguardanti l’interesse del monastero.
13
E anche se gridano di propria voce, verso l’oratorio, che ci si deve
ricordare di loro nelle orazioni in quanto assenti, i fratelli li
tralascino,
14
e quelli si sappiano estranei alla comunità, per il fatto che non
l’interesse del monastero, ma la propria negligenza li ha tenuti
lontani. 15 Coloro invece che sono occupati per l’interesse del
monastero meritano nella loro assenza di essere ricordati dai presenti
nell’oratorio:
16
essi che pur così trattenuti, dicono tuttavia egualmente l’opera di Dio
per proprio conto sul posto.
17
Inoltre il fratello che
è
stato rimproverato nell’oratorio anche se non ha avuto l’ordine di
uscirne, non intoni tuttavia salmo né responsorio né lezione né
versetto,
18
fino a che entro l’oratorio stesso non abbia fatto riparazione per la
sua colpa, curvandosi fino all’altezza delle ginocchia, e non abbia
chiesto con voce umile di pregare per lui.
19
II fratello che è occupato per l’interesse del monastero, durante la sua
assenza sia ricordato nell’oratorio,
20
Quelli che sono trattenuti fuori per colpa della loro negligenza o
lentezza, siano tralasciati, perché è anzi una colpa che si guadagnano,
non volendo essi stessi ricordarsi di Dio nelle orazioni. |
[XXII] Nessuno deve parlare dopo compieta. Risposta.
8 L’abate allora dica a tutti: «Orsù, fratelli, fate presto, in modo
che, finito tutto, non ci sia più occasione che ci costringa a parlare.
9 Infatti
è
ormai l’ora di raccomandarci al Signore io e, terminata tutta
l’ufficiatura del giorno, inoltrandoci nella notte, chiudere tanto la
bocca per dar tregua al parlare, quanto gli occhi per un profondo
sonno». 11 Compiute dunque tutte le ultime cose, mentre ancora è
concessa facoltà di parlare e d’impartire qualche ordine, 12 si celebri
Compieta e per ultimo dicano questo versetto: «Poni, Signore, una
custodia alla mia bocca e una porta sorvegliata alle mie labbra»
(Sal.
140,3). 13 Immediatamente entrino nel silenzio e si corichino nei loro
letti. E si attengano a un silenzio tale che fino all’ufficio notturno
si possa credere che non c’è in quel luogo fratello alcuno.
14 Dopo Compieta dobbiamo tacere perché nell’ufficio notturno si possa
poi dire con ragione al Signore per prima cosa: «Signore, tu aprirai le
mie labbra e la mia bocca proclamerà la tua lode»
(Sai.
50,17), 15 vale a dire si possa chiedere al Signore di aprire ai
notturni le nostre labbra che egli a Compieta ha chiuse sotto la sua
custodia. 16
Vedi bene, tutto ciò che viene aperto, si capisce che prima debba essere
stato chiuso.
17 Nel caso che, quando è tempo di silenzio, qualche bisogno ben
giustificato spinga con urgenza un fratello a parlare e un fratello
voglia dire qualcosa a un altro, 18 se c’è la luce del piccolo lume o di
una lucerna, lo faccia con un segno della mano o un cenno del capo o un
cenno degli occhi, 19 e se manca la luce, il fratello si avvicini al
fratello di cui ha bisogno
e dica ciò che gli occorre, però all’orecchio e a voce bassa, in modo
che un terzo non lo senta,
20
Inoltre, se un fratello è costretto per una necessità a dire qualcosa
dopo il sonno, prima che incominci l’ufficio notturno,
21
innanzi tutto reciti per conto suo a bassa voce il versetto
regolamentare del notturno: «Signore, tu aprirai le mie labbra e la mia
bocca proclamerà la tua lode»,
22
e poi parli di ciò che occorre.
23
Non concediamo assolutamente a nessun fratello il permesso di mangiare
qualcosa dopo Compieta o di bere anche solo dell’acqua.
24
Se dei fratelli forestieri arriveranno al monastero dopo la fine di
Compieta, i fratelli della casa diano loro un po’ di ristoro, servendoli
però in silenzio.
25
Le risposte siano loro date a bassa voce, perché così prescrive la
regola,
26
e lavati loro i piedi, fatta poi la conclusione per conto proprio a
bassa voce, li mandino anch’essi a dormire nei letti degli ospiti. 27 I
portinai chiudano subito le porte e stendendosi essi pure sui loro
giacigli, nel silenzio di quelle ore, cerchino di trovare ancora il
sonno della notte.
28 Se un fratello sia stato sorpreso a mangiare o a bere anche
semplicemente dell’acqua dopo Compieta, subisca il castigo della
scomunica, in questi termini: 29 accusato il giorno seguente, stia
completamente a digiuno e prenda il pasto solo al terzo giorno, dato che
si è permesso cose illecite. 30 Questo castigo di scomunica resti in
vigore fino a che non abbia chiesto perdono all’abate, se è presente, o
ai suoi prepositi, facendo umile riparazione e promettendo di emendarsi.
[XXIII] Il libero arbitrio dei fratelli deve essere tenuto a freno.
Risposta.
1
II fratello che si sia proposto di fare un digiuno o di prolungarlo per
l’intera giornata o di praticare un’astinenza al di sopra delle misure
regolamentari, 2 e che senza ordine dell’abate voglia fare qualcosa ad
arbitrio della sua volontà, 3 non ne abbia, anzi, il permesso, perché
anche attraverso il bene si insinua in lui il demonio, per indurre il
fratello a fare la volontà propria, 4 mentre in monastero non è lecito a
un fratello di fare quel che vuole, seguendo la sua volontà. |
[XXIIII] L’atteggiamento nella recita dei salmi. Risposta.
1 La gravità reverente e il contegno composto nel recitare i salmi
devono essere così profondi che riesca ancor più gradito al Signore di
ascoltarli che non a noi di dirli,
2
secondo ciò che afferma la Scrittura: «Ti compiacerai all’apparire del
mattino e della sera». 3 E anche: «Salmodiate bene in suo onore, nel
giubilo, perché santa è la parola
del Signore»; e ancora: 4 «Esultate
davanti a lui con tremore»; 5 e: «Dite salmi al Signore con saggezza»
(Sal
65 (64),9; 33 (32),3-4; 2,11; 47 (46),8).
6
Se dunque la Scrittura ordina che si salmeggi
saggiamente e con rispetto, bisogna che chi salmeggia stia in piedi, con
la persona immobile e il capo chino e canti lodi al Signore in
atteggiamento modesto, 7 come colui che compie il suo servizio in
presenza della divinità, 8 secondo l’insegnamento del profeta che dice:
«Dirò salmi a te, in presenza degli angeli»
(Sal
138 (137),1).
9
Inoltre chi recita i salmi deve sempre stare attento che la sua mente
non vaghi altrove, 10 perché se la nostra mente se ne va via in altri
pensieri, il Signore non abbia a dire di noi: «Questo popolo mi onora
con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me»
(Mt
15,8); 11 e a nostro riguardo pure si affermi: «Con la bocca
benedicevano, ma con il cuore maledicevano»
(Sal
61,5).
12 Né avvenga che, lodando Dio con la sola lingua, Dio, lo
accogliamo soltanto sulla porta della nostra bocca, e dentro, nella casa
del cuore, introduciamo e stabiliamo il diavolo. 13 Chi entra dentro è
infatti considerato da chi lo introduce più importante di chi aspetta
fuori. 14 Per tale e tanto servizio il cuore dunque deve accordarsi con
la lingua nel rendere a Dio con reverenza il debito quotidiano. 15 E chi
salmodia imprima in cuor suo ad una ad una tutte le parole che dice,
perché ciascun versetto, se resta impresso, giova all’anima per la sua
salvezza; 16 in essi si trova tutto ciò che si cerca, «perché il salmo
parla di tutto quanto serve all’edificazione (1
Cor
14,3.26),
17 conforme a ciò che dice il profeta: «Salmodierò e agirò con sapienza
su una via che sarà senza macchia, quando verrai a me»
(Sal
101 (100),1-2). 18 Colui il cui nome risuona nella voce, si trovi pure
nel pensiero di chi salmodia. 19 Salmodiamo dunque con la voce e insieme
con la mente, poiché l’apostolo dice: «Salmodierò con lo spirito,
salmodierò pure con l’intelligenza»
(1 Cor
14,15). 10 Bisogna gridare a Dio non solo con la voce, ma anche col
cuore.
21
Inoltre, quando si dicono i salmi, occorre evitare i colpi di tosse
frequenti, gli sbadigli ripetuti e prolungati, il continuo sputar
saliva; 22
o
che vanga tolto il muco dalle narici.
Quando il diavolo somministrerà tutti questi ostacoli ai fratelli che
salmeggiano, senza indugio chi salmeggia si segni la bocca col sigillo
della croce
|
[XXV]
Quale deve essere l'abate? Risposta.
1
L’abate che è degno di governare il monastero, deve sempre ricordarsi di
come viene chiamato ed adempiere con le sue opere alla funzione di
superiore. 2 Si crede infatti che egli è il rappresentante di
Cristo nel monastero, poiché lo si chiama con lo stesso nome, 3
secondo la parola dell'Apostolo: «Ma avete ricevuto lo Spirito che rende
figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo» al Signore: «Abbà! Padre!»
(Rm 8,15). 4 Così un tale abate non deve insegnare, istituire
o comandare nulla che sia al di fuori del precetto del Signore, 5
affinché il suo ordine, il suo avvertimento o il suo insegnamento si
inseriscano nello spirito dei discepoli come un lievito di giustizia
divina. 6 L'abate si ricordi sempre che il suo insegnamento e
l'obbedienza dei discepoli, tutte e due le cose, saranno oggetto di un
esame nel tremendo giudizio di Dio. 7 Sappia l'abate che il
pastore porterà la responsabilità di qualsiasi insuccesso che il padre
di famiglia constaterà nelle sue pecore. 8 In compenso, se il
pastore ha messo tutto il suo zelo al servizio di un gregge turbolento e
disobbediente, se ha posto tutte le sue attenzioni alle loro azioni
malsane, 9 il loro pastore sarà assolto nel giudizio del
Signore e si accontenterà di dire al Signore con il Profeta: «Non ho
nascosto la tua giustizia dentro il mio cuore, la tua verità e la tua
salvezza ho proclamato, ma essi si sono ribellati contro di me». (Sal 40
(39),11; Is 1,2) 10 Ed allora, le pecore che avranno
disubbidito alle sue attenzioni avranno infine per punizione il trionfo
della loro stessa malattia mortale.
23
Nel suo insegnamento l'abate deve proprio sempre osservare quella norma
dell’Apostolo che dice così: «Ammonisci, rimprovera, esorta» (2 Tm 4,2),
24 e cioè che, assumendo successivamente atteggiamenti diversi,
mescolando le cortesie alle minacce, si mostrerà severo come un maestro
e tenero come un padre. 25 Ciò vuol dire che deve riprendere
gli indisciplinati ed i turbolenti ed incoraggiare gli obbedienti, i
mansueti ed i più pazienti a fare progressi; quanto ai negligenti ed
agli arroganti, lo esortiamo a rimproverarli.
32
L'abate deve sempre ricordarsi che cosa il suo nome caratterizza. Poiché
«a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più» (Lc 12,48);
33 e sappia che, quando ci si incarica di dirigere delle anime, ci
si deve preparare a renderne conto. 34 E quanti sono i
fratelli che sa di avere affidati alle sue cure, tanto esattamente, ne
sia certo, egli dovrà renderne conto al Signore per tutte queste anime
nel giorno del giudizio, senza parlare dei suoi conti personali,
naturalmente.
37
Anche il maestro deve sempre stare in guardia, 38 affinché in
tutti i suoi ordini, in tutti i suoi insegnamenti, in tutte le sue
correzioni, egli faccia vedere che siano precetti di Dio, come la
giustizia lo esige, di modo che egli non sia condannato nel giudizio
futuro. 39 Egli temerà incessantemente la futura valutazione
che il pastore subirà riguardo alle pecore che gli sono state affidate.
Poiché, mentre si preoccupa del rendiconto altrui, si faccia più attento
al proprio 40 e, procurando agli altri la correzione con i
suoi avvertimenti, lui stesso si corregga dai suoi vizi.
51
L'abate sarà dunque l'artigiano della santa arte di cui diremo. Non è a
sé stesso che attribuirà il ministero di questa arte, ma al Signore, la
cui grazia realizza in noi ogni opera da noi santamente compiuta: |
[XXVI] Quale deve essere il preposito. Risposta.
7 Non sia doppio. 5 Domini la sua carne secondo la misura dei santi (cf.
Rm 8, 13). 8 Non segua i pensieri del suo cuore, ma la legge di Dio. 9
Non resista con animo superbo alle autorità superiori (cf. Rm 13,1). 10
Non vada in collera con i fratelli più semplici. 14
Non si lasci vincere dalla passione della carne (cf. Gal 5,19). 15
Non si comporti con negligenza. 16 Non si affretti a
dire una parola inutile (cf. Mt 12,36). 17 Non metta
inciampi davanti ai piedi del cieco (cf. Lv 19,14). 18 Non insegni la
concupiscenza alla sua anima. 19 Non si abbandoni al
riso degli sciocchi e alle facezie (cf. Pr 10,23). 20
Il suo cuore non si lasci allettare da chi proferisce parole sciocche e
adulatrici (cf. Rm 16,18). 21 Non si faccia comprare
con doni (cf. Es 23,8). 22 Non si lasci sedurre dalle
parole dei bambini. 23 Non si affligga nella prova
(cf. 2 Cor 4,8). 24 Non tema la morte (cf. Mt 10,28),
ma Dio. 25 Non trasgredisca la legge per timore di un pericolo
incombente. 26 Non abbandoni la vera luce per un po’
di cibo. 27 Non sia né esitante, né instabile nelle
sue azioni. 28 Non muti parere, ma sia fermo e saldo
nei suoi giudizi; sia giusto, esamini ogni cosa e giudichi secondo
verità senza brama di gloria, sia sincero con Dio e con gli uomini
rifuggendo qualsiasi inganno. 29 Non ignori la vita
dei santi. 30 Non faccia il male ad alcuno per
orgoglio. 31 Non segua la concupiscenza dei suoi occhi
(cf. 1Gv 2,16). 32 Non lo dominino le attrattive dei
vizi (cf. Sir 5,2). 33 Non tralasci mai la verità. 34
Abbia in odio l’ingiustizia. 35 Non giudichi mai con
parzialità in cambio di doni (cf. Is 5,23). 36 Non
condanni un innocente per orgoglio. 37 Non rida tra i
ragazzi. 38 Non abbandoni la verità vinto da timore.
40 Non desideri la terra altrui. 42
Non disprezzi chi ha bisogno di misericordia (cf. Sal 9,13; Pr 11,12).
43 Non dica falsa testimonianza sedotto da un guadagno
(cf. Es 20,16; Ger 5,2). 45 Non combatta la verità per
la superbia del suo cuore. 47 Non lasci che la sua
anima si perda per rispetto umano (cf. Sir 20,24). Non desideri vestiti
eleganti. Esamini sempre le sue riflessioni. 52 Quando
giudica, segua i precetti degli anziani e la legge di Dio predicata nel
mondo intero. Non parli male di nessuno. Non odii nessuno. Non mormori. Nel (fare il) bene sia un modello per i fratelli. Si esamini sempre e non smetta di pregare. Non renda male per male a nessuno. |
[XXVII]
Le specie di monaci: sia il loro ordinamento che il loro modo di agire e
vivere nei cenobi. Risposta.
1 E’ chiaro che esistono quattro specie di monaci. 2
La prima è quella dei cenobiti, quelli cioè che vivono nei
monasteri; essi militano sotto una regola ed un abate.
3
In seguito la seconda specie è quella degli anacoreti, cioè degli
eremiti. Non è nel recente fervore della conversione ma nella prova
prolungata in un monastero 4 che hanno appreso a combattere
il diavolo, ormai istruiti grazie all'aiuto di molti, 5 e ben
formati nelle linee di combattimento dei loro fratelli alla solitaria
sfida del deserto. Essi sono ormai capaci di sostenere con sicurezza il
combattimento contro i vizi della carne e dei pensieri, senza l'aiuto di
altri, con la loro sola mano ed il loro solo braccio, con Dio ed il loro
spirito.
6
La terza e ripugnante specie di monaci è quella dei sarabaiti. Farei
meglio a chiamarli ancora laici, se la tonsura dello stato religioso
(che portano) non me lo impedisse! Costoro non sono stati messi alla
prova da nessuna regola, così come si prova l'oro nel crogiuolo, né da
questo maestro che è l'esperienza, ma sono diventati molli come piombo.
7 Con i loro atti, restano ancora fedeli al secolo, e li
vediamo mentire a Dio con la loro tonsura. 8 A due o tre,
oppure soli, senza pastore, chiusi non negli ovili del Signore, ma nei
loro, hanno per legge la volontà dei loro desideri. 9 Tutto
ciò che pensano e decidono, lo dichiarano santo: ciò che non vogliono,
pensano che sia vietato. 10 E quando cercano di avere a loro
disposizione personale cellette, cofanetti e misere cosette, ignorano
che così perdono le loro povere piccole anime.
11
A costoro aggiungete i convertiti di fresca data, dallo sfrenato
fervore. Essi pensano che il deserto sia un luogo di riposo 12
e, senza pensare che il diavolo li spii e voglia far loro del male,
tanto sicuri quanto inesperti, impegnano con lui un combattimento
singolare. Senza nessun dubbio cadranno nelle fauci dell’esperto lupo.
13
La quarta specie di monaci, — non si dovrebbe neppure nominarla ed io
farei meglio a passarla sotto silenzio piuttosto che parlare di gente
simile, — 14 la si chiama la specie dei girovaghi. Tutta la
loro vita, vagando nelle varie province, si fanno accogliere tre o
quattro giorni nelle celle e nei monasteri dei vari monaci. 15
Così, pur volendo essere ricevuti ogni giorno di nuovo da gente diversa,
come si addice all'arrivo di un ospite,
72
Ogni giorno entrano nuovamente in celle diverse, come umili ospiti che
però inclinano soltanto la testa e che, in seguito, con superbia e come
degli ingrati, scapperanno dopo due giorni. 73 Come gente a
cui non piace il modo di vivere ed agire di questi vari ospiti e la
disciplina di tutti i monasteri (in cui vengono accolti), preferiscono
vagabondare piuttosto che fissarsi in un posto. 74 Errando
incessantemente in vari luoghi, ignorano dove affrontare le loro
malattie e, per colmo, non sanno dove verrà stabilita la loro sepoltura.
75
Dunque, poiché teniamo nel massimo conto la prima specie, quella dei
cenobiti, il cui servizio e la cui conferma è la volontà di Dio, ora
ritorniamo alla loro regola.
76
Fratelli, il Signore ci grida ogni giorno: «Tornate a me ed io tornerò a
voi (Zc 1,3) ». 77 Il nostro volgersi verso Dio, fratelli,
non è dunque altro che distoglierci dal male, poiché dice la Scrittura:
«Sta’ lontano dal male e fa’ il bene (Sal 34 (33), 15) ». 78
Quando ci allontaniamo da questi mali noi guardiamo al Signore 79
e subito, illuminandoci col suo viso e dandoci il suo aiuto, egli
accorda immediatamente la sua grazia a chi la chiede, mostra a chi
cerca, apre a chi bussa. 80 Questi tre doni sono concessi
insieme dal Signore a coloro che vogliono fare la volontà di Dio, non lo
loro, poiché altro è ciò che il Signore ci comanda nello spirito, altro
è ciò che la carne ci costringe nell’anima, 81 e «L’uomo
infatti è schiavo di ciò che lo domina (2 Pt 2,19) ».
82
Ma il Signore ha stabilito nella sua Chiesa, conformemente alla Trinità,
tre gradi d'insegnamento: al primo i profeti, gli apostoli al secondo, i
dottori al terzo, 83 per disciplinare con il loro ordine ed
il loro insegnamento le Chiese e le scuole di Cristo. 84
Così, come pastori, chiudono ed educano le divine pecore nei santi
ovili, poiché dice il Signore da parte del profeta Isaia: «Vi darò
pastori secondo il mio cuore, che vi guideranno con scienza e
intelligenza (Ger 3,15) » 85 ed il Signore dice egli stesso a
Pietro: « Simone, figlio di Giovanni, pasci le mie pecore (Gv 21,17),
86 insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed
ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo (Mt
28,20)».
87
Pertanto, tutti coloro che hanno ancora per madre l’insipienza hanno
interesse ad essere sotto l'autorità di un superiore, al fine di
camminare in arbitrio di un dottore e di apprendere ad ignorare la
strada della loro propria volontà. 88 Tramite il dottore,
infatti, è il Signore che ci comanda, poiché, come ha detto prima, egli
è con i questi medici in per sempre, «tutti i giorni, fino alla fine del
mondo (Mt 28,20)», 89 non avendo ovviamente altro scopo che
di edificarli con la loro mediazione, come il Signore stesso ha detto ai
suoi discepoli, che sono i nostri dottori: «Chi ascolta voi ascolta me,
chi disprezza voi disprezza me (Lc 10,16)». 90 Di
conseguenza, se facciamo ciò che sentiamo dire da parte dei questi
dottori, non compiamo più ciò che vogliamo. 91 In modo che
nel giorno del giudizio il diavolo non abbia nulla in noi da poter
rivendicare per prenderlo con sé nella gehenna, 92 poiché il
Signore ha sempre realizzato in noi azioni che aveva giudicate degne di
gloria.
40 Dobbiamo dunque disporre cuore e corpo a militare sotto
l'obbedienza santa ai precetti. 41 E per ciò che manca alle
possibilità della nostra natura, preghiamo il Signore che ci faccia
portar soccorso dalla sua grazia. 42 Se, fuggendo il castigo
dell’inferno vogliamo giungere alla vita eterna, 43 fintanto che
c’è ancora tempo e viviamo nei corpo e c’è agio di compiere tutte queste
cose durante questa vita di luce, 44 dobbiamo correre, e operare
adesso quel che possa giovarci in eterno 45 Abbiamo dunque da
istituire una scuola del servizio del Signore, 46 affinché non
dipartendoci mai dal suo insegnamento e perseverando in monastero
nella sua dottrina fino alla morte, meritiamo di aver parte, attraverso
le sofferenze sopportate, alla passione di Cristo, sì che anche del
suo regno ci faccia eredi con lui il Signore. Amen. |
[XXVIII] Sulla formazione dei discepoli, la grazia dell'umiltà ed il
progresso verso Dio: con quali mezzi la si acquisisce e come, una volta
acquisita, la si conserva. Risposta.
1
La divina Scrittura, fratelli, ci lancia questo grido: «chiunque si
esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato» (Lc 14,11). 2
Parlando così, ci mostra che ogni innalzamento è una forma di superbia.
8 Il profeta rivela che se ne guarda quando dice: «Signore,
non si esalta il mio cuore né i miei occhi guardano in alto» (Sal 131
(130),1). E di nuovo riprende: «Non vado cercando cose grandi né
meraviglie più alte di me». 4 Ma perché? «Se io ho esaltato
la mia anima e i miei sentimenti non sono stati umili come quelli di un
bambino svezzato verso sua madre, in ugual misura sarà la ricompensa
della mia anima» (Sal 131 (130),3-4: Volg.).
5
Dunque, fratelli, se vogliamo raggiungere il vertice della somma umiltà
e se vogliamo pervenire rapidamente a quell’elevazione celeste, alla
quale si sale con l'umiltà della vita presente, 6 ci occorre,
con le nostre azioni di progresso spirituale, innalzare questa scala che
apparve in sogno a Giacobbe, elevata verso il cielo e sulla quale egli
vedeva gli angeli scendere e salire. 7 Questa discesa e
questa salita indubbiamente non hanno un altro significato, secondo noi,
che di mostrare che con la superbia si scende e con l'umiltà si sale.
8 Quanto alla scala elevata, è la nostra vita nel mondo;
quando essa ha umiliato il suo cuore e la sua testa nel tempo presente,
allora erigerà fino al cielo il suo termine esaltato dal Signore, la
morte. 9 D'altra parte, i lati di questa scala, lo crediamo
molto fermamente, sono il nostro corpo e la nostra anima. In questi lati
la divina chiamata ha inserito vari gradini d'umiltà e di regole di vita
da ascendere.
10
Il discepolo sale dunque il primo gradino d'umiltà sulla scala del cielo
se, mettendo sempre davanti ai suoi occhi il timore di Dio, fugge la
dimenticanza in ogni momento 11 e si ricorda sempre di tutto
ciò che Dio ha prescritto, rievocando sempre nel suo animo come la
gehenna bruci coloro che disprezzano il Signore a causa dei loro peccati
e ciò che la vita eterna riserva a coloro che temono Dio. 12
Stando in guardia ad ogni ora dai peccati e dai vizi, cioè quelli dei
pensieri, della lingua, delle mani, dei piedi e della volontà propria,
come pure dai desideri della carne, 13 il discepolo consideri
che Dio lo osserva sempre dalla cima dei cieli ad ogni istante, che lo
sguardo della divinità vede le sue azioni ovunque e che gli angeli le
riferiscono tutte ogni giorno.
14
E’ ciò che il profeta ci dimostra, quando rivela che Dio in questo modo
è sempre presente ai nostri pensieri, dicendo: “Dio scruta i cuori e le
reni„ (Sal 7,10: Volg.).
16
E dice ancora: “Tu intendi da lontano i miei pensieri„ (Sal 139
(138),2).
18
e “il cuore del re è nella mano di Dio„ (Pr 21,1). 19 D'altra
parte, per essere sollecito nel combattere i pensieri perversi del suo
cuore, il fratello virtuoso dica sempre nel suo cuore: “Sarò senza
macchia davanti a lui soltanto se mi guarderò dalla mia iniquità„ (Sal
18 (17),24: Volg.).
20
Riguardo alle parole della lingua, constatiamo che Dio ci è sempre
presente, quando la voce del Signore dice tramite il profeta: “Chi dice
menzogne non starà alla mia presenza„ (Sal 101 (100),7) 21 e
l'Apostolo dice ancora: “Di ogni parola vana, ne dovranno rendere conto„
(Mt 12,36), 22 poiché “Morte e vita sono in potere della
lingua„ (Pr 18,21).
23
Nel lavoro delle nostre mani constatiamo che Dio è presente quando il
profeta dice: «I tuoi occhi hanno visto la mia opera incompiuta» (Sal
139 (138),16: Volg.).
24
Persino nell’andatura dei nostri piedi constatiamo che Dio è sempre
presente, quando il profeta dice: «Senza iniquità, io ho corso ed andavo
diritto. 28 Svegliati, vienimi incontro e guarda» (Sal 59
(58),5-6: Volg.) 26 e dice ancora: «Dove andare lontano dal
tuo spirito? Dove fuggire dalla tua presenza? 27 Se salgo in
cielo, là tu sei; se scendo negli inferi, eccoti. 28 Se
prendo le ali dell’aurora per abitare all’estremità del mare, 29
anche là mi guida la tua mano e mi afferra la tua destra» (Sal 139
(138),7-10).
30 Quanto alla volontà propria, ci viene proibito di farla
in presenza del Signore, quando la Scrittura ci dice: “poni un freno ai
tuoi desideri„ (Sir 18,30). 31 E noi chiediamo anche al
Signore, nell’orazione domenicale, che la sua volontà sia fatta in noi.
32 Con ragione ci insegnano di non fare la nostra volontà,
quando stiamo attenti a ciò che dice la santa Scrittura: “C’è una via
che sembra diritta per l’uomo, ma alla fine conduce su sentieri di
morte„ (Pr 14,12; 16,25). 33 Ed anche quando temiamo ciò che
è stato detto dei negligenti: “Si sono corrotti e si sono resi
abominevoli nelle loro volontà„ (Sal 14 (13),1; Volg.).
34
Persino nei desideri della carne noi crediamo che Dio ci sia sempre
presente, quando il profeta dice: “Signore, è davanti a te ogni mio
desiderio„ (Sal 38 (37),10). 35 D'altra parte, occorre
guardarsi da ogni desiderio cattivo, poiché “la morte è posta sulla
soglia del piacere„ (Passio Sebastiani 14). 36 Perciò la
Scrittura ci ha dato questo precetto dicendo: “Non seguire le tue
passioni„ (Sir 18,30).
37
Se dunque “gli occhi del Signore scrutano i buoni ed i malvagi„ (Pr
15,3), 38 se “Il Signore dal cielo si china sui figli
dell’uomo per vedere se c’è un uomo saggio, uno che cerchi Dio„ (Sal 14
(13),2), 39 e se gli angeli a noi attribuiti riferiscono al
Signore ogni giorno, giorno e notte, gli atti che compiamo, 40
dobbiamo dunque stare vigili ad ogni istante, fratelli, per paura che,
come dice il profeta al salmo XIII, il Signore non ci veda in qualche
momento “deviati verso il male e diventati inutili„ (Sal 14 (13),3;
Volg.). 41 E dopo che ci ha salvati nel tempo presente,
perché è buono e che attende che ci convertiamo ad una vita migliore,
non ci dica nel giudizio futuro: “Hai fatto ciò ed io ho taciuto„ (Sal
50 (49),21; Volg.).
42
In seguito, il discepolo sale il secondo gradino dell'umiltà sulla scala
celeste se, non amando la sua propria volontà, non si compiace nel
compiere i suoi desideri, 43 ma imita nella sua condotta
questa parola del Signore: “Non sono venuto a fare la mia volontà, ma la
volontà di colui che mi ha mandato„ (Gv 6,38). 44 E la
Scrittura dice ancora: “La volontà propria procura la pena, mentre la
sottomissione conquista il premio„ (Passio Anastasiae 17).
45
In seguito il discepolo sale il terzo gradino d'umiltà sulla scala del
cielo se, non avendo in precedenza agito secondo il suo giudizio
personale, in seguito non prende decisioni che non gli siano di
giovamento, 46 secondo la parola della Scrittura: “Ci
sono vie che sembrano diritte per l’uomo, ma alla fine conducono su
sentieri di morte„ (Pr 16,25). 47 E dice anche Davide:
“Si sono corrotti e si sono resi abominevoli nelle loro volontà„ (Sal 14
(13),1: Volg.).48 Dice anche l'apostolo: “«Tutto mi è lecito!
Sì, ma non tutto giova. Tutto mi è lecito!». Sì, ma non mi lascerò
dominare da nulla„ (1 Cor 6,12). 49 Dunque, non soltanto il
discepolo si guarderà da ciò, ma si sottoporrà inoltre al superiore in
qualsiasi obbedienza, imitando il Signore, di cui dice l’apostolo: “Si è
fatto obbediente fino alla morte„ (Fil 2,8). 50 A sua volta,
la voce del Signore loda per questa obbedienza il popolo dei pagani,
dicendo: “All’udirmi, subito mi obbedivano„ (Sal 18 (17),45). 51
Ed il Signore mostra che è a lui che obbediamo sotto gli ordini
dell'abate, quando dice ai nostri dottori: “Chi ascolta voi ascolta me,
chi disprezza voi disprezza me„ (Lc 10,16).
52
In seguito, il discepolo sale il quarto gradino dell'umiltà sulla scala
celeste, se, nell’esercizio stesso dell'obbedienza, quando gli impongono
cose dure e contrarianti, o ingiustizie di qualsiasi tipo, egli
abbraccia silenziosamente la tenacia della pazienza 53 e se,
tenendo duro, non si scoraggia né arretra, secondo la parola della
Scrittura: “Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato„ (Mt
10,22). 54 Ed il profeta ci esorta anche su questo punto
dicendo: “Si rinsaldi il tuo cuore e spera nel Signore„ (Sal 27
(26),14). 55 E volendo mostrare che il fedele deve anche
sopportare per il Signore tutte le contrarietà, il profeta dice, tramite
le persone che soffrono: “Per te ogni giorno siamo messi a morte,
stimati come pecore da macello„ (Sal 44 (43),22). 56 E sicuri
nella speranza della divina ricompensa, proseguono dicendo con gioia:
“Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che
ci ha amati„ (Rm 8,37). 57 Ed altrove, la Scrittura dice di
nuovo, tramite questi stessi: “O Dio, tu ci hai messi alla prova; ci hai
purificati come si purifica l’argento. Ci hai fatto cadere in un
agguato, hai stretto i nostri fianchi in una morsa„ (Sal 66 (65),10-11).
58 E, per mostrare che dobbiamo stare sotto un superiore,
prosegue in questi termini: “Hai fatto cavalcare uomini sopra le nostre
teste„ (Sal 66 (65),12). 59 Inoltre, essi compiono il
precetto del Signore con la pazienza nelle avversità e nelle
ingiustizie: colpiti su una guancia, presentano l'altra; se si toglie
loro la tunica, lasciano anche il mantello; costretti per una miglio, ne
fanno due (Cfr. Mt 5,39-41); 60 con l'apostolo Paolo,
sopportano i falsi fratelli, sopportano la persecuzione e, quando li
maledicono, benedicono maggiormente (Cfr. 2 Cor 11,26; 1 Cor 4,12).
61
In seguito, il discepolo sale il quinto gradino dell'umiltà sulla scala
del cielo se, con l’umile confessione della sua lingua, non nasconde al
suo abate alcuno dei pensieri cattivi che si presentano al suo cuore e
neanche le cattive azioni che egli ha commesso in segreto. 62
La Scrittura ci esorta di ciò dicendo: “Affida al Signore la tua via,
confida in lui„ (Sal 37 (36),5) 63 e dice anche: “Rendete
grazie al Signore, perché è buono, perché il suo amore è per sempre„
(Sal 106 (105),1) 64 ed il profeta dice anche al signore: “Ti
ho fatto conoscere il mio peccato, non ho coperto la mia colpa. 65
Ho detto: «Confesserò al Signore le mie iniquità»” e subito “tu
hai tolto la mia colpa e il mio peccato„ (Sal 31 (31),5).
66
In seguito, il discepolo sale il sesto gradino dell'umiltà sulla scala
del cielo, se si accontenta di ciò che è più misero e più abietto e se,
come un cattivo operaio, si giudica anche indegno di tutto ciò che gli
viene offerto, 67 dicendosi con il Profeta: “Mi sono
annichilito senza sapere perché. Stavo davanti a te come una bestia, ma
io ero sempre con te„ (Sal 73 (72),22-23: Volg.).
68
In seguito, il discepolo sale il settimo gradino dell’umiltà sulla scala
del cielo se, non contento di dichiarare con la sua lingua di essere
l'ultimo ed il più spregevole di tutti, lo crede inoltre nell’intimo
sentimento del suo cuore, 69 umiliandosi e dicendo: «Ma io
sono un verme e non un uomo, rifiuto degli uomini, disprezzato dalla
gente» (Sal 22 (21),7). 70 «Sono stato esaltato, quindi
umiliato e confuso» (Sal 88 (87),16: Volg.). 71 Ed il
fratello così disposto dirà anche sempre al Signore: “Bene per me se
sono stato umiliato, perché impari i tuoi decreti„ (Sal 119 (118),71).
72
In seguito, il discepolo sale l'ottavo gradino dell'umiltà sulla scala
del cielo se non fa nulla che non sia consigliato dalla regola comune
del monastero e dagli esempi dei superiori 73 dicendo con la
Scrittura: “Poiché la tua legge è oggetto della mia riflessione„
(Sal 119 (118),77: Volg.), 74 e “Interroga tuo padre e te lo
racconterà, i tuoi vecchi e te lo diranno„ (Dt 32,7). Ovvero, l'abate
con il suo insegnamento.
75
In seguito, il discepolo sale il nono gradino dell'umiltà sulla scala
del cielo se proibisce alla sua lingua di parlare e se, conservando il
silenzio, aspetta per parlare finché non lo si abbia interrogato.
78 Infatti, la Scrittura ci comunica che “Nel molto parlare non
manca la colpa„ (Pr 10,19), 77 e che “l'uomo loquace non avrà
prosperità sopra la terra„ (Sal 140 (139),12: Volg.).
78
In seguito, il discepolo sale il decimo gradino dell’umiltà sulla scala
del cielo, se non è propenso e pronto a ridere, poiché sta scritto: “Lo
stolto alza la sua voce quando ride„ (Sir 21,20), 79 E “quale
il crepitio dei pruni sotto la pentola tale è il riso degli stolti„ (Qo
7,6).
80
In seguito, il discepolo sale l'undicesimo gradino dell’umiltà sulla
scala del cielo se, quando parla, lo fa dolcemente e senza ridere,
umilmente e con gravità, dicendo soltanto poche e sante parole e senza
gridare con la voce. 81 Sta scritto: “Il saggio si riconosce
dalla brevità del suo linguaggio„ (Sesto Sentenze 145)
82
In seguito, il discepolo sale il dodicesimo gradino dell'umiltà sulla
scala del cielo se, non vivendola solo nel cuore, manifesta
incessantemente la sua umiltà anche nello stesso corpo a coloro che lo
vedono; 83 e cioè, se durante l'Opera di Dio, nell'oratorio,
nel monastero, nell’orto, in viaggio, nei campi, ovunque, che sia
seduto, in cammino o che sia in piedi, conserva sempre la testa
inclinata e lo sguardo fisso a terra. 84 Pensando di essere
ad ogni istante colpevole dei suoi peccati, egli crede già di comparire
al terribile giudizio, 86 dicendosi incessantemente nel suo
cuore questa parola che il pubblicano diceva, stando davanti al tempio
con gli occhi fissi a terra: “Signore, non sono degno, io peccatore, di
alzare gli occhi verso il cielo„ (Cfr. Lc 18,13). 86 Ed un
discepolo che ha tali sentimenti dirà anche con il profeta: “Sono
abbattuto ed umiliato fino all’estremo„ (Sal 38 (37),9; Sal 119
(118),107: Volg.).
87
Se dunque il discepolo è salito su tutti questi gradini dell'umiltà nel
timore di Dio, egli ha serenamente percorso la scala di questa vita,
88 ed allora si arriva a questo amore del Signore che è
perfetto e che manda via il timore. 89 Grazie ad esso, tutto
ciò che si osservava prima non senza timore, si comincerà a custodirlo
senza alcuno sforzo, come naturalmente, per abitudine, 90 non
più per timore della gehenna, ma per l'amore di questa buona abitudine e
per il gusto delle virtù. 91 Sono questi i frutti che, per
opera dello Spirito Santo, il Signore si degnerà di rendere manifesti
nel suo servo, purificato ormai dai vizi e dai peccati.
92
Non c’è dubbio che tale anima, una volta che avrà finito di scalare
questi gradini, dopo la sua uscita dalla vita, entrerà in quella
ricompensa del Signore che descrive l’apostolo, dicendo: “le sofferenze
del tempo presente non siano paragonabili alla gloria futura che sarà
rivelata in noi„ (Rm 8,18). 93 Tali anime riceveranno quella
vita eterna che rimane nell'esultanza di una gioia senza fine e che non
conosce più fine. 84 Là vi sono «i fiori purpurei di rose che
non appassiscono mai. 98 Là i boschetti in fiore in una
perpetuità di verde primaverile. 96 Vi sono prati sempre
freschi irrigati da ruscelli di miele, 97 erbe ai fiori di
zafferano che profumano ed i campi esalano gli squisiti odori di cui
sono riempiti. 98 Qui dei soffi portatori di vita eterna
spirano nelle narici. 99 Qui la luce è senza ombra, il tempo
sereno senza nuvola, e gli occhi fruiscono di un giorno perenne senza le
oscurità della notte. 100 Qui nessun turbamento impedisce le
gioie. 101 Assolutamente nessuna preoccupazione qui disturba
la serenità. 102 Muggiti, urla, gemiti, lamentazioni e pianti
non si sentono mai e neanche se ne parla. 103 Qui non si vede
assolutamente nulla che sia brutto, deforme, spaventoso, nero, orribile
o sporco. 104 La grazia regna nella serenità dei boschetti,
lo splendore nella piacevole atmosfera; gli occhi incessantemente aperti
si riempiono di bellezza e d'eleganza, 105 e le orecchie non
ricevono assolutamente nulla che possa turbare lo spirito. 106
Infatti, in questo stesso posto risuonano costantemente gli strumenti
che accompagnano gli inni, che gli angeli e gli arcangeli cantano a lode
del Re. 107 Amarezza ed asprezza di fiele non hanno qui
posto. 108 Qui non si sono mai uditi tuoni; fulmini e lampi
non sono mai apparsi. 109 Questi rovi producono la cannella e
gli arbusti scaturiscono il balsamo. 110 Il profumo dell'aria
diffonde felicità in tutte le membra. 111 Gli alimenti non
producono qui alcun escremento. 112 Allo stesso modo,
infatti, che le orecchie si alimentano di buone notizie, le narici di
buoni odori, gli occhi di buoni spettacoli, così il pasto stesso non può
dar luogo alla digestione», 113 poiché il nutrimento
dell'amore non consiste in cibo e bevanda, ma in vista, odorato ed
udito, 114 «allo stesso modo qui, il pasto che entra nella
bocca, dolce da gustare come miele, acquista nella bocca di ciascuno il
sapore che gli è più piacevole. 115 Infine, non appena
l’anima desidera qualcosa, un effetto immediato risponde al suo
desiderio» (Passio Sebastiani 13-14). 116 In questi piaceri,
per di più, ed in questa gioia, l'età non deve più temere la vecchiaia,
né la vita il suo fine, né simili piaceri il presentimento della morte.
117 E neppure, in questa gioia di ricchezze immortali, chi le
possiede scompare e nessun erede gli succede, poiché non conoscono più
la morte coloro che, morendo una volta, hanno acquistato la vita eterna
al prezzo di buone azioni.
118
Tale è la patria celeste dei santi. 119 Beati coloro che
potranno alzarsi fino a questa regione immortale
grazie alla scala dell’osservanza nel tempo presente, salendo i gradini
dell'umiltà, 120 per rallegrarsi con Dio in questa esultanza
perpetua, che Dio ha preparato per coloro che lo amano, 121
che osservano i suoi comandamenti 122 e che hanno il cuore
puro. |
[XXVIIII] Ancora sull'umiltà, sull'obbedienza e sulla superbia che deve
essere calpestata.
Risposta. 1 Nella
Chiesa parliamo ai secolari in un modo, ma dobbiamo parlare a voi in un
altro modo. 2 A quelli talvolta riferiamo ciò che fa rumore e
non ha valore. 3 Poiché essi, come persone di nessun rilievo,
si dilettano del rumore delle parole, non delle qualità di Dio 4
Al contrario voi, nel nome di Cristo, non vi rallegrate di ciò, ma
desiderate ascoltare il verbo della salvezza 5 nel quale
siete stati chiamati e, rivestiti nel mondo di lugubri vesti, aspettate
quelle migliori (quando starete) con Dio. 6 L'avete già
imparato e lo sapete. Ora qui avete molto tempo per lottare contro
7 l'avversario che non è fuori da voi, ma è dentro le vostre
viscere: 8 noi abbiamo il nemico nelle nostre stesse membra.
9 In effetti, "La carne infatti ha desideri contrari allo
Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; ... sicché voi non
fate quello che vorreste" (Gal 5,17); 10 vedete che questo
avversario è dentro. 11 Invece
l'avversario è vinto solo con l'umiltà e la carità, 12 poiché
anche lo stesso Signore Gesù Cristo non vinse il diavolo se non dopo che
si fosse umiliato, 13 umiliato inoltre non per necessità, ma
per carità. 14 Se infatti non ci avesse amato, non si sarebbe
fatto umile. 15 Si è fatto umile per l'amore verso di noi.
16 Se, dunque, colui "che ha fatto il cielo e la terra, il
mare e quanto contiene" (Sal 146 (145),6), Signore di tutti gli angeli,
che creò tutte le cose, si è fatto umile per noi, 17 per
quale motivo noi rifiutiamo l'umiltà a favore di noi stessi. 18
Pertanto, la prima via della salvezza è per noi l'umiltà. 19
Quando inizierai a cercare l'umiltà ed a sostenerla a causa di Dio e
della stessa comunità …. e 20 benché siate uguali nella
stessa comunità, ognuno deve considerare l'altro superiore a se stesso,
quantunque non sia più importante: 21 e (riuscirà a) fare ciò
solo chi possiede l'umiltà. 22 Ai servi di Dio non è
necessario altro al di fuori dell'umiltà, 23 poiché l'umiltà,
quando entra nell'uomo, lo rende obbediente; 24 in verità chi
diventa obbediente, o chi desidera l'obbedienza, non obbedisce agli
uomini ma a Dio. 25 Così infatti dice il Signore: "Chi
ascolta voi ascolta me", e chi mi ascolta, ascolta "colui che mi ha
mandato" (Lc 10,16). 26 L'abate
è il Padre, i fratelli che seguono sono i patriarchi. 27 E
chiunque è diverso tra di voi, chi forse ha una vita buona, una migliore
continenza, delle veglie migliori, un migliore controllo del corpo,
costui è padre per imitazione. 28 Perciò
agite tra di voi innanzitutto conservando l'umiltà, non per essere visti
umili dagli uomini, ma da Dio. 29 Questa è la vera umiltà che
deve essere dimostrata a Dio, non agli uomini. 30 Infatti,
l'umiltà che viene dimostrata agli uomini è un inganno, non umiltà, e
deve essere del tutto estranea ai servi di Dio. 31 Certamente
non giudico ciò perché vi sono tali servi tra di voi, ma (vi) esorto
affinché questo morbo non vi conquisti con astuzia. 32 Poiché
siamo uomini e parliamo a degli uomini. 33 Perciò
innanzitutto dovete dimostrare umiltà ai vostri fratelli perché (la
possano) imitare, affinché la stessa umiltà sia fondata nel cuore
secondo Dio. 34 Quando, infatti, l'umiltà sarà fondata nel
tuo cuore per Dio, allora Dio la donerà ad un tale, cioè a tuo fratello,
affinché comprenda ed imiti la tua umiltà. 35 Infatti, se la
(tua) umiltà non fosse fondata nel tuo cuore, Dio mostrerebbe al tuo
fratello che la tua umiltà è falsa. 36
Pertanto la prima via della salvezza è questa: mantenere una sincera
umiltà per Dio, non per l'uomo, 37 da ciò (consegue) di non
essere graditi agli uomini, ma di essere graditi a Dio. 38
L'obbedienza segua l'umiltà – poiché non si può essere obbedienti se non
si è umili – 39 e obbedirete a voi stessi come le membra si
obbediscono tra di loro. 40 Forse che le membra si
obbediscono con una decisione e non per naturale carità? 41
Se il piede si fa male, vi rimedia la mano, affinché tutto il corpo non
soffra e cada, 42 come dice l'Apostolo: "Se un membro soffre,
tutte le membra soffrono insieme" (1 Cor 12,26). 43 Da dove
viene ciò se non dalla carità? 44 Pertanto, se vi amerete a
vicenda, nulla vi sconvolgerà. 45 Nessuno cadrà nel peccato:
né per il cibo, né per le bevande, né per l'abito, né per le veglie, né
per i lavori, né per la cucina, né per gli incarichi. 46
Allora, se vi amate a vicenda e se qualcuno farà ciò che non dovrebbe
fare, quella stessa carità non permetterà che vi offendiate. 47 Perciò,
fratelli, rivestitevi di umiltà ed obbedienza, a cui consegue la pace,
affinché possiate essere figli della pace 48 "Perché la
carità", come dice l'Apostolo, "è il vincolo della perfezione" (Col
3,14: Vulg.) 49 Quando ci si riveste di umiltà si imita
Cristo che "umiliò se stesso" per noi 50 Quando ci si riveste
di obbedienza si imita Cristo che "si fece obbediente fino alla morte "
(Fil 2,8). 51. Quando ci si riveste di carità si imita
Cristo, "perché Dio è amore" (1 Gv 4,8). 52 Ma
prima cercate di vincere i vostri vizi dentro (voi stessi). 53
In primo luogo vi sia la pace dell'anima e del cuore, secondo il
precetto di Dio, in modo che ci siano due vincitori contro il modo di
vivere del corpo e la corruttibilità: il precetto di Dio ed il tuo
consenso, 54 Poiché la circostanza è questa: il medico,
l'ammalato, la malattia. 55 Se questo malato si arrende alla
malattia il medico sarà sconfitto, si uniranno in due contro uno ed il
medico sarà vinto. 56 Se invece il malato confida nel medico,
la malattia sarà vinta. 57 Il medico è Cristo, i malati siamo
noi, il morbo dell'infermità è la consuetudine del peccato. 58
Certamente, chi in parte ha rinunciato al mondo, sebbene viva nel mondo,
è badi a ciò a cui dovrebbe restare unito: o alla malattia o al medico.
59 Se rimane unito al medico, come ho detto, sconfigge la
malattia. Se rimane unito alla malattia, il medico ne soffre. 60 È per
questa ragione che il Vangelo ci chiama nel mondo e dice: "Mettiti
presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui"
(Mt 5,25). 61 Non ci insegna che dobbiamo corrispondere
all'avversario diavolo, ma che dobbiamo corrispondere all'avversario
precetto divino, 62 che contrasta i nostri mali e si oppone
alle nostre abitudini, affrontando le nostre iniquità. 63
Allorché acconsentiamo al nostro avversario, cioè al precetto divino, la
malattia è sconfitta. 64 Se acconsentiamo, ci facciamo
concordi con il precetto di Dio e lo accettiamo quasi come giogo di Dio,
65 Per merito di ciò che dice il Signore: "Venite a me, voi
tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il
mio giogo ...Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero" (Mt
11,28-30). 67 Ecco
cos'è talmente leggero? 68, Inoltre, considera quanto temono
di essere depredati coloro che hanno qualcosa in questo mondo. 69
Quanto temono di perdere ciò che hanno comprato. 70 In quanti
modi sono afflitti, come se fossero affannati sotto un pesantissimo
carico. 71 Voi invece non dovete preoccuparvi d'altro, se non
di fare ciò che l'abate comanda. 72 Voi siete già sotto il
giogo: non pensare di cosa vivrai, perché non ci devi proprio pensare.
73 C'è chi ti guida, c'è chi si preoccupa di te. 74
Non dovete assolutamente avere neanche il pensiero del cibo o
dell'abito. 75 Ciò l'abate ti darà, consideralo come se
l'abbia dato Dio: poiché questa è vera umiltà. 76 Se per
caso uno ha di più e l'altro di meno, ritenete anche ciò come compiuto
da Dio. 77 Se uno è seduto ad un tavolo e l'altro ad un altro
tavolo, se l'abate ordina ed approva così, ritenete anche ciò come
ordinato da Dio. 78 Di conseguenza non voglio che tu accusi
(qualcuno) e dica: "Domani mi siederò qui". 79 Non voglio che
tu prenda l'abitudine di farti dare qualcosa da Dio come fosse un
bisogno urgente. 80 Nel
caso che non ci sia niente da dare, oppure non si percepisce che sia
stato dato, considera o che non c'è niente da dare o che è stato
giudicato vantaggioso non darlo. 81 Se, fratelli, serberete
ciò, avrete senz'altro la vita eterna. 82 Non
permettetevi di discutere con parole malvage. 83 Nel caso che
qualcuno soccombesse al vizio del parlare in modo perverso,
impediteglielo subito e dite immediatamente: "Non farlo, fratello,
(così) commetti peccato!" 84 Dovete comportarvi così perché
state insieme ed avete un solo abate. Inoltre dovete essere abati l'uno
dell'altro. 83 Perché, dunque, solo uno? L'abate ha due occhi
e due orecchie. 86 Egli non può sentire tutti o vedere tutti.
Oppure, non ha bisogno di andare da qualche parte per provvedere a
qualcosa? 87 Siete abati l'uno dell'altro e, così come temete
l'abate se è presente, altrettanto quando è assente, perché Dio è
(sempre) presente. 88 Senza dubbio temi ciò, abbi paura di
ciò, perché Dio è sempre presente. 89 E se uno si prende cura
di molti, tanto più voi tutti dovete prendervi cura (dei fratelli),
90 in modo che nessuno escogiti qualcosa di cui arrabbiarsi, di
cui soffra, di cui si offenda, di cui si lamenti e che lo faccia pensare
che il suo impegno di lunga durata sia andato perso. 91 Poiché
allora tutte queste cose ci possono essere utili se avremo umiltà,
obbedienza e carità. 92 Non c'è altra via per andare a Dio se
non l'umiltà, l'obbedienza e la carità. 93 Questa è la via,
la verità e la vita. 94 Perché mortificarsi, digiunare due,
tre, quattro giorni e spesso settimane, diventa un'origine di orgoglio
per i fratelli che pensano che ciò che essi fanno, altri non riescono a
farlo. 95 Pensano che sia qualcosa di smisurato ciò che un
altro non riesce a fare. 96 Altrimenti cammina a piedi nudi e
ritiene che solo lui riesce a farlo: oppure forse non beve nemmeno
l'acqua mista (col vino). 97 Questa prova è temporanea perché
non può sempre fare ciò. 98, (Il fratello) piuttosto
consideri di più l'umiltà, consideri (di più) la pietà, la carità,
l'obbedienza. 99 Deve, dunque, applicarsi con ardore a queste
cose quasi come un buon atleta per spezzare le forze del corpo, per
domare il sangue e la carne, ma non se ne vanti, per non perdere ciò che
fa. 101
(Consideriamo) per esempio quel fariseo che salì al tempio a pregare:
erano forse poche le sue opere che elencava? 102 Erano
immense: digiunare due volte alla settimana, dare ai poveri le decime di
tutto ciò che possiede, non commettere frodi, non commettere adulterio:
ciò è incalcolabile. 103 Ma poiché si vantava con superbia,
tutto ciò che aveva fatto era (solo) superbia (Cfr. Lc 18,9-14).
104 Perciò Davide dice: "Non mi raggiunga il piede dei superbi e
non mi scacci la mano dei malvagi. 105 Ecco, sono caduti i
malfattori" (Sal 36 (35),12-13). 106, Dove sono caduti?
Nell'errore della superbia. 107 Per questo motivo, infatti,
cadde il diavolo: è caduto nell'errore a causa della superbia.
108
Pertanto, la superbia non sia assolutamente permessa ai servi di Dio.
109 Colui che vive già così in modo diverso, chi ha costruito
meglio la propria vita, non sia come quel fariseo. 110 Al
contrario, quel pubblicano umiliato non osa nemmeno alzare gli occhi al
cielo 111 ed è lodato dalla sentenza del Signore, ritornando
alla sua casa più giustificato di quel fariseo. 112
Certamente sappiamo per esperienza, sia dalle stesse Sacre Scritture che
dai nostri fratelli, che chiunque osserva la via dell'umiltà progredisce
e non perisce. |
[XXX] Sul combattere la libidine e sui gradi della castità, ovvero in
che modo si raggiunge la purezza della castità.
Risposta.
Ecco come l’Apostolo descrive le membra di questo corpo: « Mortificate
le vostre membra terrene, cioè la fornicazione, l’impurità, la libidine,
la prava concupiscenza e l’avarizia che è un’idolatria » (Col 3,5).
Ha messo al primo posto la fornicazione, che consiste in una unione
carnale. Nomina come secondo membro del corpo di peccato l’impurità, che
a volte, nello stato di sonno o di veglia, al di fuori di ogni unione
sessuale, sorprende l’anima che non è vigilante. La legge condannava e
proibiva l’impurità in quanto, oltre ad allontanare chi se n’e-ra
macchiato dalla partecipazione ad ogni banchetto sacro, ordinava pure di
segregarlo dall’accampamento in cui stava raccolto il popolo. Ecco la
testimonianza della sacra Scrittura: « Chi, essendo immondo, avrà
mangiato delle carni dell’ostia pacifica che è stata offerta al Signore,
perirà davanti al Signore » (Lv 7,20 (LXX)); e «Tutto ciò che toccherà
un immondo diventerà immondo » (Nm 19,22).
Nel Deuteronomio si legge: « Se ci sarà tra voi qualcuno che sia
divenuto immondo la notte nel sonno, esca dagli alloggiamenti, e non vi
ritorni prima di essersi lavato con acqua, la sera; tramontato il sole
rientrerà nel campo »(Dt 23, 10-11). |
[XXXI] Distinguerò in sei gradi le vette della castità, benché tra l'una
e l'altra di queste vette la differenza d'altezza sia notevole.
Risposta.
Il primo grado di castità è che il monaco non soccomba, durante la
veglia, agli assalti della carne.
Il secondo è che la sua mente non s’indugi sui pensieri impuri.
Il terzo, che la vista di una donna non gli risvegli nep-pur debolmente
dei sentimenti di concupiscenza.
Il quarto, che mentre è sveglio non provi nella sua carne il movimento
più leggero e innocente.
Il quinto, che quando il tema di una conferenza o l’argomento di una
lettura fanno menzione della generazione umana, la mente non si lasci
sfiorare dal più leggero assenso all’atto voluttuoso.
Il sesto grado è che il monaco non sia turbato da fantasmi che
rappresentano donne, neppure durante il sonno. È vero che noi riteniamo
immune da colpa questa illusione notturna, tuttavia è segno di una
concupiscenza che si nasconde nelle profondità del nostro essere.
È poi certo che l’illusione di cui trattiamo si produce in diversi modi. |
[XXXII] Chi desidera distruggere le suggestioni del nemico deve
confessare tutto al suo superiore senza vergognarsi.
Risposta.
È una vita molto adatta per arrivare a ben distinguere se essi sono
fondati sulle basi di una umiltà vera, oppure falsa e immaginaria. Ora,
per giungere facilmente a un tale risultato, vengono naturalmente
convinti a non tener nascosto in nessun modo, per falso pudore, alcun
pensiero che s’annidi con lusinga nel loro cuore, e sono indotti invece
a manifestarli immediatamente al loro superiore, non appena se li vedono
sorgere. Vengono invitati a diffidare del loro proprio giudizio intorno
a quei pensieri; e a ritenerli buoni o cattivi così come, dopo attento
esame, li avrà ritenuti e giudicati lo stesso padre anziano. Ne risulta
che l’astuzia del demonio non potrà in nessun modo assalire il giovane,
approfittando della sua inesperienza e della sua ignoranza, e tanto meno
potrà circuirlo con le sue frodi, vedendolo difeso dal discernimento del
più anziano, e non chiuso nell’esperienza sua propria. Così il nemico
non riuscirà a indurre il giovane a nascondere al padre anziano le sue
suggestioni che, come frecce di fuoco, il demonio avrà cercato di
lanciare in direzione del suo cuore. Il nemico, nonostante tutta la sua
astuzia, non riuscirà a ingannare e far cadere il giovane in altro modo,
se non col convincerlo a nascondere al padre anziano i suoi pensieri per
orgoglio o per vergogna. I nostri padri indicano come un segno generale,
evidente e dimostrativo della condotta diabolica, quando noi ci
asteniamo per vergogna di manifestarla al padre anziano. |
[XXXIII] Con quale ordine si riesce a raggiungere la perfezione, per la
quale si ascende dal timore di Dio a cui segue giustamente la carità.
Risposta.
1. «Il principio della nostra salvezza e la sua difesa
è il timore di Dio (cf. Pr 9, 10). Grazie al timore di Dio coloro che
s’avviano per il cammino della perfezione conquistano il principio della
conversione, la purificazione dai vizi e il possesso sicuro delle virtù.
E quando quel timore si è ben compenetrato nello spirito dell’uomo,
produce il disprezzo di tutti i beni della terra, la dimenticanza dei
parenti e la ripugnanza nei confronti del mondo stesso. Poi, da questo
disprezzo e dalla rinuncia ad ogni propria facoltà nasce l’umiltà.
2. L’umiltà viene comprovata da questi indizi: se essa
mantiene mortificata ogni sua volontà; se essa non terrà celato, non
solo alcuno dei suoi atti, ma nessuno dei suoi pensieri al proprio
superiore; se nulla sarà riservato al proprio discernimento, ma tutto
verrà rimesso al suo giudizio e verranno ascoltati avidamente e
volentieri i suoi consigli; se in tutto egli sarà pronto ad obbedire e
conserverà la costanza della pazienza; se non soltanto non sarà lui a
recare ingiuria ad altri, ma non si lamenterà e non si rattristerà per
quelle recate a lui da altri; se nulla egli farà che non sia suggerito
dalla regola o dall’esempio dei padri anziani; se egli si accontenterà
anche delle posizioni più umili e se considererà se stesso come un
pessimo operaio, immeritevole di tutto quello che gli viene offerto; se
considererà se stesso inferiore a tutti gli altri in modo da non
ammetterlo soltanto a parole, a fior di labbro, ma nell’intimo del
proprio cuore; se saprà dominare la propria lingua, senza mai alzare
troppo la voce; se non sarà troppo facile e pronto ad abbandonarsi al
riso.
3. A tali indizi e con segni simili a questi si può riconoscere la vera
umiltà. E quando essa sarà da te realmente posseduta, ben presto essa ti
farà risalire a un grado superiore, a quella carità cioè che esclude il
timore (cf. 1 Gv 4, 18), e sarà per suo merito che tu comincerai a
compiere spontaneamente e senza alcuna fatica quello che prima tu non
adempivi senza pena e timore. Il tuo comportamento non sarà dettato
dalla visione e dalla paura di una condanna, ma dall’amore del bene per
se stesso e dalla gioia prodotta dalla virtù».
«E perché tu possa raggiungere questa meta nel tuo dover vivere in
comunità, ti occorrerà prendere esempi da imitare, in vista di una vita
perfetta, da parte di un numero molto ristretto, fosse pure di uno o di
due, e non certo di molti.
1. «E allora, perché tu possa giungere a questo fine
preciso e perseverare fino in fondo nell’osservanza di queste norme
spirituali dovrai necessariamente attenerti, entro il monastero, a
queste tre condizioni: ecco anzitutto le parole del salmista: “Io, come
un sordo, non prestavo ascolto e stavo come un muto senza aprire la mia
bocca. Ed ero divenuto come un uomo incapace di udire, senza possibilità
di rispondere” (Sal 37 [38], 14-15). Anche tu comportati come un sordo,
un muto e un cieco. All’infuori di colui che ti sei proposto come un
modello da imitare in vista della sua vita esemplare, procura, come
fossi un cieco, di non vedere quanto ti si offre di meno edificante, in
modo da evitare di essere indotto, per l’autorità e la condotta stessa
di coloro che così si comportano, a compiere e fare quello che tu stesso
prima avevi condannato.
2. Se t’avverrà di sentir dire che qualcuno non è
obbediente, è ribelle e maldicente, o comunque è tale da tenere una
condotta diversa da quella che ti era stata insegnata, non lasciarti
turbare, e tanto meno non indurti, per tali esempi, ad imitarlo. Come se
tu fossi sordo, trascura tutti questi discorsi inutili, come se tu mai
avessi dovuto ascoltarli. E se a te o a qualunque altro saranno rivolte
ingiurie o fatte offese, conservati insensibile e ascolta gli insulti
come si comporta il muto che non risponde per averne vendetta. Tieni
presente nel tuo cuore, fino a ricantarne le parole, questo versetto del
salmista: “Ho detto: Veglierò sulla mia condotta per non peccare con la
mia lingua. Porrò un freno alla mia bocca, mentre l’empio sta dinanzi a
me. Sono rimasto in silenzio, mi sono umiliato e mi sono perfino
astenuto dal dire cose buone” (Sal 38 [39], 2-3).
3. Ma, ancora più degli altri suggerimenti, procura di
mettere in atto questo consiglio, destinato a coronare e a completare i
tre precetti dettati in precedenza: cerca di comportarti da stolto in
questo mondo, secondo il suggerimento dell’Apostolo (cf. 1 Cor 3, 18),
proprio per essere sapiente. Perciò non metterti a disapprovare e a
giudicare quello che ti verrà comandato, ma procura di praticare sempre
l’obbedienza con semplicità e con fede, ritenendo santo, utile e saggio
unicamente tutto quello che la legge di Dio o il criterio del superiore
ti avrà comandato. Una volta posti i tuoi fondamenti su questo sistema
di vita, tu riuscirai a perseverare per sempre in tale disciplina, e
così nessuna tentazione del nemico e nessuna deviazione t’indurrà ad
abbandonare il monastero».
«Non devi sperare che la tua pazienza derivi dalla virtù degli altri,
nel senso che tu riesca a possederla soltanto quando non venga provato
da altri. Infatti, impedire che questo avvenga non è affatto in tuo
potere. Invece essa si formerà grazie alla tua umiltà e alla tua
generosità, e perciò essa dipende dal tuo libero arbitrio».
«E perché tutti questi suggerimenti, disseminati fin qui in un discorso
abbastanza ampio, restino fissati più facilmente nel tuo animo e
aderiscano tenacemente nei tuoi sensi, io ne trarrò un breve riassunto
affinché tu possa, proprio nella brevità e nel compendio di tutti questi
precetti, mantenerne il ricordo nella loro complessità. Ascoltane dunque
tutta la serie ordinatamente in modo che tu possa, senza troppe
difficoltà, salire fino alla sommità della perfezione.
Il principio della nostra salvezza e della nostra saggezza è dunque il
timore del Signore (cf. Pr 9, 10). Dal timore del Signore deriva una
compunzione salutare. Dalla compunzione del cuore scaturisce la
rinuncia, vale a dire, la privazione volontaria e il disprezzo di tutti
i beni. Da questa privazione di tutto nasce l’umiltà. Dall’umiltà si
genera la mortificazione di ogni volontà propria. Per effetto della
mortificazione della volontà vengono estirpati tutti i vizi. Con
l’eliminazione dei vizi sorgono, fruttificano e crescono le virtù. Con
lo sbocciare delle virtù si acquista la purezza del cuore. Con la
purezza del cuore si raggiunge il possesso della perfezione, tutta
propria della carità apostolica». |
[XXXIIII] L'osservanza e la disciplina della regola stabilita, e che
nessuno abbia la sfacciataggine di parlare o di pregare con colui che è
stato sospeso dalla preghiera (comune), affinché non venga anche a lui
attribuita la colpa.
Risposta.
1. Una volta dunque posto fine alla recita dei Salmi, allorché, come in
precedenza si è rilevato, è giunta al suo termine la riunione del
giorno, ognuno dei monaci si guarderebbe bene dal trattenersi, fosse
pure per poco, o mettersi a parlare con qualche altro; al contrario,
nessuno, durante tutto il corso della giornata, presume di lasciare la
propria cella o di abbandonare il lavoro, a cui è solito attendere, a
meno che non sia chiamato per l’esigenza di qualche ufficio necessario.
Una volta usciti dalla cella, essi eseguono quell’ufficio senza che tra
loro si tenga una conversazione di qualsiasi genere; ognuno esegue il
compito che gli è stato assegnato, e intanto, richiamando alla memoria
qualche Salmo o qualche passo della Scrittura, esclude ogni via e tempo
non soltanto per intese dannose o per consigli nocivi, ma anche per
conversazioni inutili. In questa forma l’attività della bocca e del
cuore resta continuamente impegnata nella riflessione dello spirito.
2. Con grande rigore si cerca di evitare
che qualcuno si trattenga, specialmente se giovani, assieme ad altri
anche per poco tempo, o che si ritirino in disparte, o che siano
sorpresi con le mani l’uno in quelle dell’altro. Se poi alcuni, contro
le disposizioni di questo regolamento, vengono ritenuti colpevoli di
qualche simile infrazione, una volta indicati come ribelli e
responsabili di colpa non certo leggera, non potranno esimersi dal
sospetto di intrighi e di intenzioni perverse. E per questa colpa,
finché essi non l’avranno espiata con penitenza pubblica davanti a tutti
i fratelli raccolti insieme, non sarà concesso a nessuno di unirsi alla
preghiera della comunità.
Quando qualcuno, per aver commesso qualche colpa, è stato escluso dalla
preghiera comune, nessuno ha il permesso di pregare insieme a lui prima
che, dopo essersi prostrato fino a terra in segno di penitenza, gli sia
stata concessa pubblicamente da parte dell’abate e in presenza di tutti
i fratelli la riconciliazione e il perdono della colpa commessa. Del
resto anche gli altri monaci, per l’istanza d’una tale disciplina, si
guardano bene dall’accomunarsi alla preghiera del colpevole, poiché
ritengono che colui, il quale viene privato della partecizione alla
preghiera della comunità, sia dato, secondo l’indicazione dell’Apostolo
(cf. 1 Cor 5, 5), in balia di Satana: così, chiunque, indotto da un
senso di inconsiderata commiserazione, presumerà di comunicare con lui
prima che egli sia stato riaccolto dal superiore, si renderà complice
della stessa dannazione, e si sarà consegnato perciò egli stesso
volontariamente a Satana, a cui era stato abbandonato queiraltro, perché
si emendasse dalla sua colpa. Infatti, con tale comportamento, egli
incorre in un reato più grave in quanto, trattenendosi a conversare con
lui e mettendosi a pregare assieme a lui, suscita in quel tale maggiori
incentivi di arroganza, e ingenera in lui peggiori motivi di ribellione.
In effetti, procurandogli un tale dannoso conforto, farà in modo che
s’indurisca sempre di più per il suo errore, e così gli impedirà di
sentirsi umiliato per la sua segregazione dalla comunità. Per questo
egli non terrà in nessun conto i rimproveri del superiore oppure penserà
solo a dissimulare pentimento e perdono. |
[XXXV] Non sia consentito entrare nell'oratorio per la preghiera diurna
a chi non arriva prima della fine del primo salmo. Durante le ore della
notte sia perdonabile un ritardo fino alla fine del secondo salmo.
Risposta.
1. Colui che durante la recitazione
dell’ora Terza, Sesta e Nona non giungerà alla preghiera prima che abbia
termine il Salmo già iniziato, non oserà introdursi nell’oratorio e
neppure associarsi a coloro che già stanno salmeggiando, ma, restando in
piedi davanti alla porta dell’ingresso, attenderà la fine della
celebrazione. Dopo l’uscita di tutti i fratelli, egli, inginocchiato
fino a terra per penitenza, chiederà perdono per la sua negligenza e per
il suo ritardo, persuaso di non poter in altra forma espiare la colpa
della sua pigrizia e ben sapendo, per di più, che egli non potrà essere
ammesso alla celebrazione seguente, dopo trascorse le altre ore, se non
si affretterà immediatamente a dar soddisfazione, per la sua presente
negligenza, con atto di vera umiltà.
2. Invece, nelle riunioni della notte,
viene concessa al ritardatario una dilazione fino alla recita del
secondo Salmo, con questa riserva: prima che i fratelli, al termine del
Salmo suddetto, si prostrino in ginocchio per l’orazione, egli potrà
ancora affrettarsi per inserirsi nel gruppo e associarsi a tutti.
Tuttavia, e fuori d’o-gni dubbio, egli dovrà subire lo stesso biasimo e
la stessa penitenza, da noi descritta in precedenza, se egli sarà giunto
con un ritardo superiore anche di poco al momento prima fissato. |
[XXXVI] Quando sentono il battito (alla loro porta) non antepongano
nulla all'accorrere in fretta e con entusiasmo.
Risposta.
Pertanto, quando essi stanno chiusi nello loro celle, interamente dediti
al lavoro o alla meditazione, non appena odono il battito alla loro
porta da parte dell’incaricato che con quel segnale, recato alle diverse
celle, invita alla preghiera o all’esecuzione di qualche lavoro, ognuno
d’essi, a gara, lascia il proprio posto al punto che uno, addetto
all’esercizio di scrivano, non oserebbe condurre fino al termine la
lettera appena iniziata: allorché giunge al suo orecchio il segnale di
chi ha battuto alla porta, si alza con tutta rapidità senza interporre
alcuna dilazione, neppure per quanta ne occorrerebbe per completare la
figura di un’apice già cominciata; al contrario, lasciando incomplete le
prime linee della lettera già iniziata, egli non si preoccupa tanto del
compenso lucrativo del suo lavoro, quanto di eseguire a puntino gli
ordini dell’obbedienza con tutta la prontezza dell’animo e col pensiero
del buon esempio. E tale obbedienza essi l’apprezzano al di sopra del
lavoro manuale, della lettura e dello stesso silenzio e quiete della
cella, come pure di tutte le altre virtù, al punto di tutto posporre ad
essa, contenti di tollerare qualunque danno pur di non sembrare d’avere
trascurato, anche in minima parte, questo vantaggio.
[XXXVII] Le diverse norme per la correzione e l'emendazione dei vizi.
1. Se ad alcuno avverrà di rompere, in qualche caso, un vassoio di
terracotta, quello che essi chiamano baucalide, egli non compenserà
quella sua negligenza in altro modo, se non con una pubblica penitenza:
allorché si saranno adunati tutti i fratelli per la sinassi, egli
implorerà il perdono prostrato a terra per tutto il il tempo necessario
per arrivare al termine dell’orazione, e soltanto allora egli otterrà il
perdono, quando, per ordine dell’abate, gli sarà ordinato di rialzarsi
in piedi.
Nello stesso modo dovrà dare soddisfazione chiunque, chiamato a compiere
qualche lavoro o alla riunione consueta, arriverà con ritardo oppure,
nel cantare un Salmo, commetterà qualche errore, fosse pur lieve.
2. Egualmente sarà soggetto a simile penitenza, se avrà dato risposte
inutili oppure con durezza o anche con arroganza; se avrà compiuto con
negligenza quanto gli era stato ordinato; se avrà mormorato, anche per
poco; se, preferendo la lettura al lavoro e all’obbedienza, avrà
compiuto gli uffici impostigli in modo trasandato; se, al termine della
sinassi, non si sarà raccolto sollecitamente nella propria cella; se si
sarà trattenuto, anche per poco, a parlare con qualche altro o si sarà
ritirato in disparte con lui per qualche tempo; se avrà tenuto la sua
mano in quelle dell’altro; se si sarà indugiato a parlare per qualche
tempo con uno che non è il suo compagno di cella; se si sarà messo a
pregare con chi è stato escluso dalla preghiera comunitaria; se avrà
veduto o avrà tenuto qualche conversazione, in assenza del superiore,
con qualche parente o con qualche amico secolare; se avrà tentato di
ricevere una lettera o avrà cercato di rispondervi, senza il permesso
dell’abate.
Per queste inadempienze e altre simili si procede a un’ammenda
spirituale.
3. Vi sono poi altre mancanze che, presso di noi, non sono ammesse con
nessuna diversità e che, anche da noi, sono considerate con maggiore
riprensione. Si tratta delle colpe seguenti: insulti aperti; disprezzi
manifesti; reazioni impulsive; comportamento libero e incontrollato;
familiarità con donne; collera, risse, rivalità e litigi; pretese di un
lavoro particolare; segni d’avarizia; attaccamento e possesso di cose
superflue, non possedute da altri fratelli; nutrirsi fuori tempo e di
nascosto di qualche cibo; altre colpe simili.
Tali mancanze non sono punite con un’ammenda di natura spirituale, come
quelle accennate in precedenza, ma sono sottoposte alla pena della
battiture oppure alla decisione dell’espulsione dal monastero. |
[XXXVIII] Quanto sia illecito il gustare del cibo o della bevanda al di
fuori della mensa comune benedetta.
Risposta.
Prima e dopo la refezione regolare e comune si osserva con cura
straordinaria che nessuno, fuori della mensa, osi concedere qualche cibo
alle proprie labbra. Se essi camminano per i giardini e per i frutteti,
allorché i frutti pendono dolcemente dai rami degli alberi qua e là, e
non solo si offrono spontaneamente al desiderio di chi vi passa vicino,
ma talvolta, caduti per terra, restano come tra i piedi, pronti, anche
solo a vederli, per essere raccolti e così accontentare la voglia del
desiderio, ebbene, anche allora, quando l’opportunità e l’abbondanza
suggerirebbero di soddisfare la gola perfino ai più osservanti e ai più
astinenti, essi ritengono di commettere un sacrilegio, non soltanto
nell’assaggiare qualcuno di quei frutti, ma perfino nel toccarlo con la
mano, salvo il caso in cui lo si porti per la refezione comune e venga
offerto pubblicamente, con il permesso dell’economo, come un servizio
reso ai fratelli. |
[XXXVIIII] La scomunica per le colpe. Il Signore ha risposto:
1 Se un fratello si mostra frequentemente ribelle o superbo o mormoratore o
disobbediente ai suoi prepositi circa tutto ciò che abbiamo più sopra esposto 2
e se avvertito e rimproverato per qualsiasi colpa una, due o tre volte, conforme
al precetto del Signore (cf. Mt 18,15-16), non si sarà corretto, 3 la cosa sia
riferita all’abate dai prepositi. 4 Chi è a capo valuti attentamente il caso
secondo il genere e il grado della colpa 5 e condanni il fratello a una
scomunica tale da fargli capire che disprezza Iddio, 6 come merita di essere
giudicato per il disprezzo mostrato al suo superiore, dato che il Signore stesso
dice ai nostri dottori: «Chi ascolta voi, ascolta me, chi disprezza voi,
disprezza me» (Lc 10,16).
7 Questa scomunica comporti siffatto tenore. |
[XL] Come si debba trattare il fratello scomunicato. Il Signore ha risposto:
1 Quando i prepositi abbiano
riferito all’abate il comportamento del fratello disobbediente - 2 ormai
non lo si deve più chiamare fratello, ma eretico [di fronte alla legge],
3 non lo si deve più chiamare figlio di Dio, ma operaio del demonio; 4
egli che, scostandosi dall’agire dei santi, è diventato una specie di
scabbia, scoppiata in seno al gregge - 5 l’abate lo convochi, alla
presenza dei suoi prepositi e con tutto il resto della comunità intorno
riunita. 6 E sia chiesto dall’abate ai suoi prepositi qual è il suo
peccato e quante volte sia stato ammonito di tale colpa senza emendarsi.
7 Essi devono rispondere manifestando il fatto di cui l’accusano. 8
Udita la colpa, egli ascolterà la voce dell’abate dire così contro di
lui:
9 «O misera anima, quale risposta darai a Dio che ogni giorno vai
irritando con la tua disobbedienza, quando ti avvicinerai, per
prostrarti davanti a lui? 10 Perché tu che hai per signore Iddio, servi
invece Marnmna? (Mt. 6,24). 11 Perché menti a Cristo come un secondo
Giuda? 12 Quel primo Giuda vendette la Giustizia stessa per il denaro di
una iniquità (Atti 1,18) e tu con le tue malefatte laceri il nome
cristiano. 13 Quel Giuda con un falso bacio di pace scatenò la violenza
contro il Signore, e tu, sotto l’apparenza di un servizio santo, ti
drizzi al contrario come un ribelle davanti a Dio. 14 Quel Giuda,
discepolo, ma falso, tradì il maestro; tu sotto un nome santo, mentre ti
dici cristiano, segui in realtà il diavolo.
15 «Sì, nel giudizio, si leverà di fronte a te il nostro ammonimento e
anche il tuo spirito, a cui hai resistito, mettendoti dalla parte della
carne mediante la tua volontà propria. E davanti al tribunale di quel
giudizio tremendo dirà: 16 ‘Signore, non ha voluto capire e agir bene.
17 Ha tramato l’iniquità, si è messo in ogni via non buona, non ha
odiato il male, 18 anzi se ne è gloriato. Fu un prepotente nella sua
malizia’» (Sai. 35,4^5; 51,3).
19 «Dopo essere stato accusato così in giudizio, ti toccherà udire, dopo
la nostra, anche la voce del giudice tremendo che ti dirà lui stesso:
2.0 ‘Ecco chi ha avuto in orrore la disciplina e ha gettato dietro le
spalle le mie parole. zi Se vedevi un ladro correvi con lui, e ti
mettevi con gli adulteri, zz La tua bocca fu piena di malizia e la tua
lingua ordiva inganni. 23 Ti sedevi e parlavi male del tuo fratello e
gli creavi inciampo. 24 Tutto il giorno la tua lingua ha tramato
l’ingiustizia. Come un rasoio affilato hai architettato l’inganno. 25
Hai amato il male più del bene, il parlare iniquo a preferenze del
giusto. 26 Hai amato tutte le parole di rovina che possono essere su una
lingua ingannatrice. 27 Tutto questo hai fatto e io ho taciuto. 28 Hai
pensato una cosa ingiusta: che io fossi come te. Ti confonderò e te la
getterò in faccia, questa tua ingiustizia, 29 sì che Dio ti distruggerà
per sempre, ti strapperà e ti caccerà dalla tua tenda, e spianterà la
tua radice dalla terra dei viventi’» (Sai. 49,17-21; 51,4-7).
30 «Allora anche tutti i giusti dalla loro gloria ti vedranno così
condannato in giudizio, 31 quando te ne starai relegato lontano da loro,
a sinistra, in mezzo ai capri (cf. Mt. 25-33); 32 e anch’essi rideranno
di te, dicendoti: 33 'Ecco l’uomo che non ha posto in Dio il suo aiuto,
ma ha contato troppo sulle sue vane forze. 34 E non ci fu timor di Dio
davanti al suoi occhi, poiché ha agito con inganno in presenza di lui 33
e ha detto come lo stolto nel suo cuore: 36 Dio non chiederà conto, 37
volta la sua faccia per non vedere mai e poi mai. 38 E non ha capito che
per i nemici che mentiscono a Dio, tempo verrà di una pena eterna’ (Sai
51,8-9; 35,1-3; 52.,1; 9,34 e 32; 80,16).
39 Davanti a queste parole che cosa potrai dire tu a Dio? 40 Che scusa
avrai da portargli, o infelice, per i tuoi peccati, quando le tue
malefatte per prime ti assaliranno accusandoti e ti aspetterà l’inferno
per bruciarti?».
41 Dopo questo discorso di rimprovero dell’abate alla presenza della
comunità, subito sia dato ordine di farlo uscire dall’oratorio, 42 sia
considerato estraneo alla mensa comune 43 e poiché ha il marchio di
nemico di Dio, da quel momento non deve essere più un amico per i
fratelli. 44 Perciò da questo momento della scomunica, messolo in
disparte e riservato per lui qualche lavoro, il suo preposito glielo
assegni, perché non stia in ozio. 45 In tale lavoro nessun fratello gli
si unisca per aiuto e non sia confortato da alcuno che gli rivolga la
parola. 46 Tutti gli passino accanto guardandolo in silenzio. Quando
dice Benedicite, nessuno gli risponda «Dio». 47 Su tutto ciò che gli si
porge, nessuno tracci il segno di croce. 48 Qualunque cosa faccia, oltre
il lavoro a lui assegnato, per proprio conto e di sua volontà, sia fatto
a pezzi o buttato via. 49 Resti solo dappertutto e la sua colpa soltanto
gli sia compagna.
50 Se poi, considerata la (relativa) lievità della colpa, l’abate non
intenda imporgli un completo digiuno, 51 se i fratelli mangiano a sesta,
a lui per misericordia venga dato a nona dal suo preposito un solo
piatto, e un pezzo di pane molto grossolano e dell’acqua. 52 Se i
fratelli che non hanno colpe da espiare mangiano a nona, per lui il
pasto sopra descritto sia protratto fino a sera, 53 in modo che senta
quali mali gli ha procurato la sua colpa e che beni ha perduto per la
sua negligenza.
54 Se qualche fratello gli avrà parlato o si sarà accompagnato a lui
apertamente o di nascosto, subisca subito uguale castigo di scomunica,
55 ed egli stesso sia considerato come colpevole a tutti gli effetti.
Anche egli sia messo dal suo preposito a fare un lavoro diverso, in
disparte; 56 separato lui pure tanto da qual primo colpevole come da
tutti, isolato ed escluso anch’egli immediatamente dal parlare con tutti
gli altri. 57 Inoltre neppure lui potrà aspirare al perdono del
superiore, se non venga fatta da ambedue del pari una eguale riparazione
penitenziale: 58 dall’uno perché si mostrò disobbediente ostinandosi nel
suo difetto e nella sua colpa, 59 dall’altro perché offrì all’artefice
di un male la mercede della sua consolazione.
60 II fratello che sia colpevole di una colpa leggera e dopo una prima,
una seconda, una terza ammonizione non si sia corretto di un difetto
qualsiasi, sia scomunicato dalla mensa, ma non dall’oratorio. 61 Questa
sco-munica resti in vigore fino a che il reo, facendo umile riparazione
col capo abbassato fino alle ginocchia, non abbia promesso di
correggersi per l’avvenire.
62 II fratello invece che abbia commesso una colpa grave, sia
scomunicato da ambedue, cioè dall’oratorio e dalla mensa 63 e neppure
lui giunga al perdono del superiore fino a che prostrato alla soglia
dell’oratorio, con voce di pianto, nell’intervallo fra un salmo e
l’altro delle ore canoniche, offra riparazione a Dio e a tutti,
promettendo di emendarsi. 64 Questo però a condizione che l’abate, visto
l’enorme peso che egli sente della sua colpa, voglia consentire più
rapidamente al perdono. 65 La pagina seguente esporrà tutto il rito,
conforme a quanto vorrà dettarci il Signore.
66 Quel fratello poi che sia stato scomunicato dalla mensa, ma non
dall’oratorio, non intoni antifona né versetto né dica lezione, 67 fino
a che non abbia dato riparazione di tale colpa con promessa di
emendarsi, curvandosi alle ginocchia o dell’abate lì presente o dei suoi
prepositi.
68 I fratelli scomunicati, qualora si dimostrino così superbi che
ostinandosi nell’orgoglio del loro cuore, al terzo giorno, all’ora nona,
non abbiano ancora voluto dar riparazione all’abate, 69 messi in
prigione siano battuti a vergate fino al sangue, 70 e se parrà bene
all’abate siano espulsi dal monastero; 71 perché una vita come la
nostra, non ha bisogno di presenze puramente fisiche, né la comunità dei
fratelli, di coloro che già la morte possiede nella loro anima superba.
72 È giusto dunque che questi tali debbano essere presi a vergate ed
espulsi, perché non meritano di stare col Cristo, Signore di umiltà; 73
ma siano esclusi dalle eterne promesse di Dio, insieme al diavolo, loro
istigatore, che fu gettato giù dal regno dei cieli per la sua superbia.
74 Ed ora proseguiamo il tema di scomuniche e riparazione, come avevamo
iniziato più sopra. 75 Crediamo dunque che a Dio e all’abate possa
riuscire accetto il seguente modo di fare atto di pentimento e dare
riparazione. |
[XLI] E' opportuno che colui che si è allontanato dalla vita
comunitaria, cioè dalla congregazione, stia appartato e da solo, oppure
(è opportuno) che condivida la sua vita coi fratelli che non rivendicano
nulla di proprio, ma che hanno tutto in comune? Risposta.
3. In molti casi credo che è utile condurre una vita in comune con
quelli che hanno la stessa volontà e il medesimo proposito.
4. Prima di tutto perché anche per le stesse necessità materiali e per
il servizio del cibo, ognuno di noi non basta a se stesso da solo; 5. e
veramente dunque, per quanto è necessario al funzionamento della nostra
vita, abbiamo bisogno del nostro reciproco aiuto. 6. Come infatti il
piede dell'uomo in una cosa si serve delle proprie forze, in un'altra ha
bisogno di quelle estrinseche, e senza aiuto delle altre membra non può
né adempiere al suo compito, né bastare con le sue forze, 7. così anche
la vita solitaria mi sembra essere vittima del fatto che non possa
essere utile quanto in essa si trova, né che si possa ricevere da
qualcuno quanto le manca. 8. Oltre a ciò neppure l'ordine della carità
permette che ognuno ricerchi ciò che gli è comodo, poiché l'Apostolo
dice: la carità non ricerca il proprio interesse (1 Cor 13, 5).
9. Poi, neanche le proprie colpe e i propri vizi ciascuno può
riconoscere facilmente, poiché manca chi li faccia notare; 10. e
facilmente avviene a chi si trova in queste condizioni quanto è scritto:
Guai a chi è solo, poiché se cadrà, non vi sarà nessun altro che lo
rialzi (Eccl 4, 10).
11. Ma anche i comandamenti possono essere osservati con maggiore
facilità da più persone; se uno invece da solo crede di osservarne uno,
non ha la possibilità di metterne in pratica un altro. 12. Per esempio,
come un solitario potrà visitare un infermo?, 13. o come accoglierà un
pellegrino? 14. Ma se tutti siamo un solo corpo in Cristo, e ognuno
membro dell'altro, ci dobbiamo adattare con armonia ed essere insieme
ben uniti come nell'organismo di un solo corpo. 15. Che se ognuno di noi
scegliesse la vita solitaria, e cioè non per una determinata causa e
ragione che sia gradita a Dio, o che comprenda tutti in una vera e
comune generosità, 16. ma sia di soddisfazione ai propri voleri e alle
proprie passioni, come potremmo, così separati e divisi, compiere e
donare a tutti i membri una perfetta e reciproca concordia? 17. Chi si
comporta in tal modo non gode con quelli che godono né piange con quelli
che piangono, poiché, lontano e diviso da tutti gli altri, non potrà
nemmeno conoscere i bisogni del prossimo.
18. E in fine uno non può bastare da solo a ricevere tutti i doni dello
Spirito Santo, perché la distribuzione dei doni spirituali si compie
secondo il grado di fede di ciascuno. 19. Cosicché ciò che è distribuito
ad ognuno in porzioni, di nuovo si riunisca e cooperi come le varie
membra alla formazione di un unico corpo. 20. A uno infatti è concessa
la parola della sapienza, a un altro quella della scienza, a un altro la
fede, a un altro la profezia, a un altro il carisma delle guarigioni (1
Cor. 12, 8-9), ecc.; tutti doni che ognuno riceve dallo Spirito Santo
non tanto per sé quanto per gli altri. 21. È quindi necessario che la
grazia di ciascuno, ricevuta dallo Spirito Divino, sia di giovamento a
tutta la comunità. 22. Accade dunque che chi vive lontano e segregato,
riceverà pure qualche grazia, ma la renderà inutile, poiché non compirà
nulla per mezzo di essa; la seppellisce infatti in se stesso. 23. Di
quanto pericolo sia tutto ciò, lo sapete tutti voi che leggete il
Vangelo. 24. Se invece comunica la grazia a tutti gli altri, lui stesso
gode precisamente di quella ricevuta, che anzi si moltiplica in lui
mentre viene trasmessa agli altri, e lui stesso trae beneficio dalla
grazia degli altri.
25. Ancora altri numerosi vantaggi presenta questa vita comune di
persone venerabili, che non è possibile enumerare completamente ora. 26.
Come già detto dunque, per conservare i doni dello Spirito Santo è più
adatta la convivenza di molti, più che la vita trascorsa nella
solitudine. 27. Ed anche contro le insidie del demonio, che vengono
dall'esterno, è più sicura e più utile la compagnia di molti, in modo
che più facilmente si svegli dal sonno chi per caso avesse ad
addormentarsi in quel sonno che porta alla morte. 28. Anche a chi cade
apparirà più chiaro il suo delitto, poiché viene accusato e notato da
più persone, conforme a quanto dice l'Apostolo: Per chi ha un tale
carattere basta la correzione fatta da più persone (2 Cor 2, 6).
29. Inoltre anche nell'orazione non poco profitto proviene da più
individui che pregano nella concordia e nell'umanità, cosicché si
rendano grazie a Dio da molte persone, in virtù della grazia che è in
noi. 30. Ma qualche volta la vita solitaria è esposta a pericolo
prossimo. Prima di tutto uno è soggetto al pericolo, certamente
gravissimo, di trovare compiacenza in se stesso, e non avendo nessun
grado di giudicare il suo operato, gli sembrerà di aver raggiunto la
massima perfezione. 31. Allora vivendo senza alcun esercizio non può
accorgersi in quale difetto cada di più né in che cosa manchi alla
virtù. 32. Non potrà nemmeno possedere un equo giudizio del valore delle
sue opere per il fatto stesso che gli viene meno ogni occasione di
operare. 33. E come metterà alla prova la sua umiltà non avendo nessuno
col quale si debba mostrare umile? 34. Come dimostrerà la sua
misericordia dal momento che è estraneo ad ogni compagnia e convivenza?
35. Come si eserciterà alla pazienza se non vi è nessuno che sembri
ostacolare i suoi voleri?
36. Se poi qualcuno dicesse che gli basta la dottrina della Scrittura e
i precetti degli Apostoli per la correzione dei suoi costumi e per la
formazione spirituale della sua vita, mi sembra che faccia qualche cosa
di simile a quelli che imparano in continuazione un mestiere
artigianale, e tuttavia non costruiscono alcun oggetto; 37. o a quelli
che costantemente vengono istruiti nell'architettura, ma non si
applicheranno mai a costruire una casa. 38. Ecco, anche il Signore non
ritenne bene che gli bastasse solo la dottrina della parola, ma volle
darci esempi di umiltà anche con le opere, quando, cintosi di un
grembiale, lavò i piedi ai suoi discepoli. 39. Tu dunque a chi laverai i
piedi? a chi presterai le tue cure? 40. Di chi sarai suddito e come
potrai essere l'ultimo se vivi solo? 41. Ma anche quello che è scritto:
È cosa buona e gioconda convivere da fratelli insieme (Salmo 132, 1),
che lo Spirito Santo paragonò all'unguento del pontefice che scende
dalla testa alla barba, come lo si potrà compiere in una vita solitaria?
42. Vi è certamente uno stadio, secondo il precetto apostolico, per
correggere i difetti e formarsi una vita, in cui si progredisce con
l'esercizio della virtù, e in esso sempre più brilla e risplende la
meditazione dei comandamenti di Dio, ed è proprio questa dimora in
comune dei fratelli unanimi fra loro; 43. essa possiede in sé
esattamente il modello e l'esempio, che sono riferiti dalla Sacra
Scrittura negli Atti degli Apostoli riguardo a quegli uomini di santa
vita: Tutti i credenti vivevano insieme, e avevano tutto in comune (Atti
4, 32). |
[XLII] Inoltre dimostra che il monaco non deve vivere solitario per i
molti mali che facilmente gli si avvicinano furivamente.
Risposta.
9 . Primo punto da trattare: devi vivere da solo, oppure con altri in un
monastero?
Preferirei che tu fossi in una comunità di santi, per non far da
maestro a te stesso e non intraprendere senza guida una strada mai
fatta, col rischio di imboccare subito una direzione sbagliata e di
camminare di più o di meno di quanto occorra, stancandoti eccessivamente
se corri troppo, e finendo coll’addormentarti se rallenti.
Nel deserto s'insinua facilmente la superbia: per poco che il solitario
abbia digiunato, se non ha visto persona viva, si crede un grand'uomo,
dimentica chi è in realtà, la sua origine e il posto che è venuto
a cercare; poi, comincia a divagarsi interiormente con i sentimenti e a
esteriorizzarsi con le chiacchiere. Comincia a giudica, contro il
precetto dell’Apostolo (Cfr. Rm 11,44) – i servi degli altri; le mani
finiscono col mettergli davanti tutto quella che la sua golosità
reclama; dorme quanto vuole, fa quel che gli piace, non ha vergogna di
nessuno, stima tutti da meno di sé, vive più spesso nelle città che
nella sua cella, e finge di essere timido in mezzo ai fratelli, lui che
non teme gli urtoni della folla sulle pubbliche piazze. |
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30 novembre 2018 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net