LA NATURA DELLE INSTITUTIONES NOSTRAE.

E LE SUE FONTI PRINCIPALI

(Estratto e tradotto da “The Paraclete Statutes – INSTITUTIONES NOSTRAE”,

a cura di Chrysogonus Waddell, OCSO, Gethsemani Abbey Trappist, Kentucky 1987

 

LA NATURA DELLE INSTITUTIONES NOSTRAE

I primi studiosi erano alquanto vaghi quanto alla natura ed allo scopo delle Institutiones nostrae, forse perché non erano riusciti a riconoscere il testo di cui ci occupiamo come un'unità letteraria indipendente abbastanza distinta dagli altri gruppi di canoni e materiale correlato che seguono nel manoscritto Troyes 802, ff. 90v-102v. Per Charlotte Charrier (1932), invece, si tratta di un "regolamento" o insieme di regolamenti descritti nei termini di una Regola comune destinata al Paracleto ed alle sue diverse fondazioni [1]. Ella vede l'intero insieme del materiale originariamente pubblicato da Duchesne-d'Amboise sotto la rubrica Excerpta e regulis Paracletensis monasterii come un mezzo per garantire che le prescrizioni formulate dal Maestro nella sua Regola per le religiose fossero seguite scrupolosamente in tutta la famiglia spirituale dipendente dal Paracleto. Così Eloisa redasse una "serie di regolamenti che erano chiari e semplici, in grado di essere compresi anche dalle sorelle più semplici" [2]. Questi regolamenti, nel pensiero di Charrier, sembrano aver rappresentato gli elementi essenziali del sistema di governo monastico di Abelardo. Ma Charrier sta suggerendo che la Regola di Abelardo abbia imposto richieste intellettuali troppo pesanti alle monache della filiazione del Paracleto? Si potrebbe pensare che il modo migliore per garantire la scrupolosa osservanza delle prescrizioni di Abelardo nelle fondazioni del Paracleto sarebbe quello di rendere la sua integrale Regola di carattere normativo nelle fondazioni, piuttosto che il miscuglio di canoni e statuti e testi simili che compongono quegli eterogenei Excerpta e regulis (Estratti dalle regole) [3]. Per quanto riguarda le divergenze tra i regolamenti di Eloisa e la Regola del Maestro Abelardo, C. Charrier le interpreta come risultato di cambiamenti introdotti in varie date successive dalle badesse che succedettero ad Eloisa [4].

J. Monfrin (1959) identifica le Institutiones nostrae come "istituzioni per l'uso delle monache" [5]. Se questa descrizione è un po' vaga, egli la intende così: "Abbiamo designato intenzionalmente con un titolo piuttosto vago questa sezione composta da una raccolta di costumi monastici redatti per un'abbazia di donne e seguita da un serie di canoni conciliari e brani patristici che trattano lo stesso argomento". Dopo aver suggerito, con Charrier, che il nostro testo è stato redatto al fine di fornire una regola uniforme per le fondazioni del Paracleto, Monfrin si dissocia da lui, sostenendo che le contraddizioni che Charrier aveva notato tra Institutiones nostrae e Regola di Abelardo sono inesistenti o solo apparenti. "Quello che è certo", conclude, "è che questo testo può apparire come un complemento alla Regola di Abelardo"; ed in una nota a piè di pagina spiega che i due terzi del testo riguardano dettagli sull’orario dell’Ufficio divino non trattati da Abelardo. Al contrario, purtroppo, non c'è quasi un dettaglio dell’orario dell’Ufficio divino nelle Institutiones nostrae che non abbia il suo parallelo nella Regola di Abelardo.

P. Van den Eynde, che fa riferimento al nostro testo con il suo errato incipit, Instructiones, (Ndt. Al posto di Institutiones. Così come viene riportato nelle più antiche edizioni) descrive i suoi contenuti come "una serie di istruzioni redatte a nome di una comunità di monache in occasione della fondazione di un nuovo priorato". A differenza di Charrier, egli insiste sull'unità letteraria del documento e non trova alcuna prova di interpolazioni e correzioni imposte a un testo precedente dalle successive badesse. Come Charrier, tuttavia, si riferisce ripetutamente al testo come ad un "regolamento"; ma come Monfrin, osserva anche che queste istruzioni "completano e prolungano" la regola di Abelardo [6].

Monfrin e Van den Eynde sono quindi sostanzialmente d'accordo nell'identificare Institutiones nostrae come un insieme di regolamenti intesi a servire da complemento alla regola di Abelardo; mentre Charrier sembra suggerire che fosse inteso piuttosto per servire, nella sua forma originale non recuperabile, non come complemento, ma come versione sommaria degli elementi essenziali della Regola di Abelardo, per l'implementazione nei priorati del Paracleto.

John F. Benton, nel suo documento di Cluny del 1972, modificò i termini della discussione rendendo le Institutiones nostrae totalmente indipendente dalla Regola di Abelardo. Nell'ipotesi di lavoro qui enunciata (ma poi abbandonata), il prof. Benton ha riconosciuto Institutiones nostrae come una delle prime "regole del Paracleto", o, più specificamente, "una regola da seguire da parte dell'abbazia madre e delle sue figlie". Quanto alla Regola attribuita ad Abelardo, si tratterebbe di un falso del tardo tredicesimo secolo basato in parte su una perduta Exhortatio ad sorores di Abelardo, ma con passaggi interpolati intesi a introdurre cambiamenti istituzionali nella struttura e nell'amministrazione dell'abbazia. Sebbene il Prof. Benton non difendesse più questa ipotesi di lavoro che servì in modo così ammirevole come base di discussione all'indomani di "Cluny 1972", la sua comprensione delle Institutiones nostrae in termini di una prima serie autosufficiente di regolamenti del Paracleto indipendenti dalla regola di Abelardo rappresenta una nuova posizione. Ciò è stato implicitamente riconosciuto da D.E. Luscombe sette anni dopo, nella sua conferenza introduttiva al colloquio di Treviri del 1979, dove era evidentemente preoccupato di preservare in modo sano un collegamento tra i regolamenti in discussione e la Regola di Abelardo: " ... le Institutiones furono probabilmente dei genuini regolamenti del Paracleto ed il problema principale che sollevano è quello del loro rapporto con le Lettere 6-8 della corrispondenza e con la Regola di Abelardo ". Il Prof. Luscombe prosegue osservando che, data l'estrema brevità delle Institutiones, queste norme "presuppongono certamente un precedente corpus di usanze". Questo primo corpo di usanze sarebbe, tuttavia, la Regola di Abelardo ed il Prof. Luscombe identifica questa Regola con il tipo di regola moralizzante ed esortatoria per le donne religiose, come forma di contrasto alle Institutiones ed alla miscellanea di testi che la seguono nel manoscritto Troyes 802. Questi ultimi testi "riguardano maggiormente questioni concrete e pratiche che Abelardo aveva omesso o aveva trattato in modo inadeguato, come l'ammissione di ospiti e bambini, la limitazione del numero, la tenuta dei conti e l'Ufficio quotidiano. Le Institutiones provvedono anche a un Ordine di sei case, non per un solo convento". Infine, è normale che le istituzioni religiose si sviluppino e cambino. Non dovrebbe sorprendere, quindi, "se le Institutiones e gli altri materiali allegati in qualche modo qualificano, integrano, forse contraddicono, ciò che si trova nella Regola di Abelardo ..."

A parte John Benton, tutti questi studiosi che trattano di Institutiones nostrae nel contesto della Regola di Abelardo lo hanno fatto sulla base della supposizione ambiguamente ragionevole ma, per questo motivo, del tutto gratuita che la Regola scritta per Eloisa e la sua comunità fosse, di fatto, la Regola un tempo effettivamente seguita al Paracleto. Infatti, per coloro che accettano l'autenticità della corrispondenza (e di conseguenza, l'autenticità della Regola), sembra essere evidente che se Abelardo avesse scritto una Regola presumibilmente su insistenza di Eloisa, questa Regola sarebbe diventata immediatamente la Regola del Paracleto. Questa supposizione si basa in parte sull'ulteriore supposizione che Eloisa dipendesse così tanto da Abelardo da non pensare ad una sua Regola. Riferendosi a Institutiones nostrae, che Charlotte Charrier attribuisce, nella sua forma originale, a Eloisa, questo autore chiede: "Una regola redatta da Eloisa non avrebbe seguito, nella sua struttura e nelle sue minime prescrizioni, e anche nei suoi stessi termini, la lettera (= Lettera VIII e Regola) di Abelardo, che era così esplicita, così dettagliata, così completa? " Per Charrier, la risposta è un sonoro Sì; e qualsiasi discrepanza tra la Regola di Abelardo ed i regolamenti di Eloisa sarebbe derivata solo dalla successiva manomissione del testo originale da parte delle badesse che succedettero ad Eloisa al Paracleto.

In realtà, nessuno ha mai addotto un minimo di prove positive per dimostrare che la Regola di Abelardo sia mai stata in qualsiasi momento la Regola del Paracleto. Vedremo, nel corso del nostro commento alle Institutiones nostrae, che la Regola di Abelardo era effettivamente una delle fonti da cui l'autore delle Insitutiones trasse (sebbene con notevole libertà). Ma questo non suggerisce che la Regola di Abelardo fosse quindi la Regola dell'abbazia - non più di quanto il fatto che l'autore trae da fonti Cistercensi suggerisca che la consuetudine del Paracleto fosse quella cistercense. Nessun documento dal “cartulario” (sorta di registro storico o amministrativo) del Paracleto o da qualsiasi altra fonte contemporanea si riferisce esplicitamente o implicitamente alla Regola di Abelardo.

L'unica voce dissenziente espressa contro l'assunto generale che la Regola di Abelardo fosse un tempo normativa per l'osservanza del Paracleto è la voce dell'abate Charles Lalore. La sua edizione del cartulario del Paracleto (1878) [7] rimane ancora una fonte essenziale per gli storici dell'abbazia. Evidentemente basandosi sull'evidenza dei documenti editati, ha affermato molto semplicemente: "L'abbazia e tutte le case di sua filiazione hanno sempre seguito la Regola di San Benedetto". Ritenne subito ciò come vero osservando che "questa Regola (di Benedetto) fu modificata, come nella maggior parte delle abbazie, da particolari usanze stabilite da Abelardo ed Eloisa ... Le osservazioni di Lalore erano deduzioni tratte semplicemente dal suo studio degli incartamenti del Paracleto e dei relativi documenti. Novant'anni dopo, nel 1968, Fr. Jacques Dubois, osb, pubblicò uno studio accurato che si occupa in parte della classificazione degli Ordini religiosi sulla base della loro Regola [8]. Il Canone 26 del Concilio Lateranense II (1139) è un punto di riferimento importante per la questione in esame:

Decretiamo ... che venga abolita l'abitudine perniciosa e detestabile di certe donne che, sebbene non vivano né secondo la Regola del beato Benedetto, né di Basilio, né di Agostino, vogliono tuttavia essere annoverate in una comune reputazione come monache ... [9]

Il riferimento alle tre Regole è da intendersi alla luce della giurisprudenza curiale del XII secolo, che Fr. Dubois descrive così:

La riforma gregoriana aveva rinvigorito le due forme di vita religiosa che avevano trovato la loro forma definitiva nell'apogeo dell'Impero carolingio, dei canonici e dei monaci. Su quest'ultima forma di vita religiosa la Regola di San Benedetto fu imposta con tale vigore da non ammettere discussioni; e fu solo per concessione alle usanze di un tempo precedente che la menzione della Regola di San Basilio fu introdotta [nei privilegi papali] per alcuni monasteri dell'Italia meridionale [10].

Ora è chiaro che la comunità formata al Paracleto sotto la direzione generale di Dom Pietro Abelardo, abate di St-Gildas, aveva iniziato come comunità "benedettina". Eloisa e almeno alcune delle monache che l'accompagnavano avevano già emesso la professione monastica secondo la regola di Benedetto ad Argenteuil; e la lettera VI della corrispondenza, che pretende di essere stata indirizzata da Eloisa a Pietro, tenta di dimostrare che la Regola di Benedetto, che è la norma per l'osservanza monastica al Paracleto, è una norma irrealizzabile:

Oggi le donne dell'Occidente latino fanno professione dell'unica Regola del beato Benedetto, come fanno gli uomini; sebbene, proprio come è chiaro che questa Regola è stata scritta solo per gli uomini, così è anche chiaro che può essere adempiuta solo dagli uomini ... [11]

Stando all'ipotesi che la Regola di Abelardo abbia effettivamente sostituito la Regola di Benedetto in un dato momento, ci si chiede se le monache che avevano già fatto professione secondo la Regola fossero ora in grado di cambiare i termini della loro professione monastica in modo così discreto da non lasciare traccia di questo negli atti ufficiali dell'abbazia. Si può anche speculare sulla reazione del vescovo locale alla richiesta di presiedere all'istituzione del praepositus del Paracleto in una comunità in cui la Regola di San Benedetto era stata abbandonata a favore della Regola del beato Pietro Abelardo, due volte condannato per la sua eterodossia, (Ndt. Specialmente sulla dottrina trinitaria) prima a Soissons (1121), e poi a Sens (1140). Se il Maestro Pietro Abelardo si fosse accontentato di modificare la Regola di Benedetto su punti particolari, o di spiegare o di approfondire i dettagli contenuti nella Regola solo implicitamente, o di trattare questioni non specificatamente coperte dalla Regola, pur mantenendo la stessa Regola come suo punto di riferimento, non ci sarebbero stati problemi. Dopo tutto, la Regola di Benedetto ha sempre ammesso una varietà di interpretazioni ed ha sempre dovuto essere integrata da usi locali così come da pratiche riconosciute come osservanze benedettine "tradizionali". La necessità di tale materiale consuetudinario monastico supplementare fu chiaramente riconosciuta nella pratica della cancelleria papale del XII secolo, dove i riferimenti alla Regola di Benedetto erano combinati con ulteriori riferimenti ad osservanze di tipo più particolare: secundum Deum et Benedicti Regulam et NORMAM CLUNIACENSIS MONASTERII .. . o secundum Deum et beati Benedicti Regulam et INSTITUTIONEM CISTERCIENSIUM FRATRUM ... (Cfr. Dubois, “Les Ordres…”, p. 292 e 293). Non ci sarebbe stato nulla di inadeguato in un'osservanza monastica secundum Deum et beati Benedicti Regulam et INSTITUTIONEM PARACLITENSEM. Il problema con la Regola di Abelardo, quando si colloca nel contesto del monachesimo riformista del XII secolo, è che soppianta piuttosto che integrare la Regola di Benedetto. Benedetto, se non del tutto respinto, è nel migliore dei casi ridotto ad essere semplicemente una tra le altre auctoritates citate nella Regola di Abelardo ed una delle meno citate.

In breve, la Regola di Abelardo non intendeva integrare la Regola di Benedetto; né intendeva principalmente reinterpretare la regola benedettina per un ambiente monastico femminile. Molto semplicemente, la regola di Abelardo doveva sostituire la regola di Benedetto.

Dato il clima del XII secolo della riforma gregoriana, l'apparente disponibilità di Pietro a prendere il suo posto accanto a Basilio e Benedetto come autore di una regola monastica è terribilmente ingenua; ma è pura fantasia immaginare un privilegio papale conferito alla comunità del Paracleto e cominciando con un riferimento all'osservanza monastica del Paracleto vissuta secundum Deum et beati Petri Abaelardi Regulam. Documenti come quelli raccolti da Lahore per la sua edizione del “cartulario” del Paracleto o menzionano specificamente il carattere monastico tradizionale della comunità oppure, e questo è il più delle volte, lo danno per scontato. Né c'è la minima prova documentale per smentire la già citata osservazione di Lahore: "L'abbazia e tutte le case della sua filiazione hanno sempre seguito la regola di san Benedetto". Questo non vuol dire, tuttavia, che la regola di Abelardo non abbia influenzato in alcun modo la vita conventuale al Paracleto. Non si può attuare concretamente la Regola di Benedetto senza interpretare quella Regola; e abbiamo più di 1400 anni di storia monastica occidentale per mostrarci fino a che punto le interpretazioni differivano da luogo a luogo e da periodo a periodo. Non sarebbe quindi irrealistico considerare la possibilità che, al Paracleto, la Regola di Benedetto possa essere stata interpretata alla luce della Regola di Abelardo. Ma chiaramente, una tale ipotesi deve essere sostenuta da prove a sostegno. Uno degli scopi del commento alle Institutiones nostrae, quindi, sarà quello di identificare quelle prescrizioni che suggeriscono una fonte abelardiana.

Per ora, tuttavia, l'ipotesi di lavoro è che le Institutiones nostrae, che a prima vista sembrano offrire l'aspetto di una regola in miniatura o di una mini-consuetudine, sia in realtà una dichiarazione formale, ufficiale dell'istituzione del Paracleto, vale a dire, una sintesi dei tratti caratteristici dell'osservanza monastica praticata al Paracleto e presso le sue numerose fondazioni. Anche qui Fr. Jacques Dubois, osb, può aiutarci a capire la natura di tale institutio:

... nessuna comunità di religiosi deve poter invocare la protezione della Santa Sede se non si è dimostrata fedele al suo ideale. Per evitare che questo ideale sia immaginario o confuso, le stesse bolle papali definiscono quell'ideale nominando la Regola e l'institutio che devono essere normative per la vita di quei religiosi. Questa distinzione divenne presto uno standard, poiché era in linea con la legislazione dei nuovi Ordini fondati nel XII secolo, come i Cistercensi od i Premonstratensi, che affermavano di osservare rigorosamente le Regole tradizionali, ma non sarebbero stati in grado di farlo senza completarle e rendendole più esplicite con l'aiuto di testi giuridici accuratamente preparati ...

La Regola, quindi, era la Regola; ma questa Regola doveva essere determinata in modo più preciso e interpretata in maggiore dettaglio. Cluny e Citeaux avevano entrambi la stessa Regola; ma ciò che li distingueva era la loro institutio. Fr. Dubois osserva, tuttavia, che a volte il termine institutio denota "solo che la stessa consuetudine è usata in più monasteri diversi, oppure indica il rapporto tra l'abbazia madre ed i suoi priorati". Nel caso del Paracleto, questo riferimento ad una institutio in funzione del rapporto tra l'abbazia madre ed i suoi priorati è molto ad rem (Ndt. = confacente).

Perché il Paracleto aveva effettivamente diverse fondazioni - qualcosa che Abelardo apparentemente non aveva mai previsto, poiché da nessuna parte nella sua Regola o in altri scritti per il Paracleto si riferisce nemmeno alla possibilità che altre comunità dipendessero dal Paracleto. Tuttavia, il Paracleto si rivelò presto una madre feconda; a partire circa dal tempo della morte di Abelardo (21 aprile 1142 è la data generalmente accettata) fino al momento della morte di Eloisa (probabilmente il 16 maggio 1164), sei fondazioni nelle stesse regioni o contigue hanno assicurato la diffusione dell’osservanza del Paracleto oltre i confini del Paracleto stesso. Il secondo paragrafo delle Istituzioni si riferisce proprio alla fondazione di nuove comunità come immediata occasione per la redazione delle Institutiones nostrae:

Poiché il Signore ci rivolge il suo sguardo e ci dona alcuni luoghi (= siti monastici), abbiamo inviato in numero sufficiente alcune di noi, al fine di vivere la vita religiosa.

Abbiamo poi messo per iscritto le consuetudini del nostro buon proposito di vita, affinché anche le figlie osservino uniformemente ciò che osserva fedelmente la madre.

(Domino super nos prospiciente, et aliqua loca nobis largiente, misimus quasdam ex nostris ad religionem tenendam numero sufficiente. Annotamus autem boni propositi nostri consuetudines, ut quod tenuit mater incommutabiliter, teneant et filiae uniformiter. (Estratto da PL 178, col. 0313D))

Più avanti, nel commentare questo testo, stileremo un elenco delle fondazioni del Paracleto e proveremo a vedere se questa informazione è utile o meno per determinare una data della redazione del testo. In questo momento accontentiamoci di un esempio estratto da un documento papale che riconosce chiaramente la specificità della institutio del Paracleto.

Troviamo un chiaro riferimento all'osservanza descritta dalle Institutiones nostrae in un privilegio papale concesso sotto Alessandro III, il 21 marzo 1164.  Lo scopo di questo privilegio era di prendere il monastero di La Pommeraye, fondato dal Paracleto verso il 1147, sotto la protezione della Santa Sede. Questo privilegio papale incorpora nelle sue disposizioni la sostanza di un precedente accordo o convenzione tra il Paracleto ed il monastero di La Pommeraye, redatto sotto l'alta autorità dell'arcivescovo di Sens, Hughes de Toucy (1142-1168). Il testo di questo accordo è sopravvissuto (Cfr. PL 179: 1847-1848) e riguarda i diritti del Paracleto relativi all'elezione della superiora del monastero di La Pommeraye, una superiora che non è la semplice priora di un priorato dipendente, ma una badessa. Poiché lo status di abbazia normalmente implica un'autonomia giuridica, è stato necessario redigere una convenzione speciale quando il monastero di La Pommeraye è stata elevato al rango di abbazia, pur rimanendo all'interno della congregazione guidata dal Paracleto. Il documento papale del 1164 inizia con un riferimento esplicito alla Regola di Benedetto come base dell'osservanza monastica a La Pommeraye: Imprimis siquidem statuentes ut ordo monasticus, se secundum Deum et BEATI BENEDICTI REGULAM in vestro monasterio noscitur institutus, perpetuis ibidem temporibus inviolabiliter observetur. Notiamo di sfuggita il riferimento alla Regola di Benedetto come la Regola seguita a La Pommeraye (e di conseguenza, alla casa madre, al Paracleto). Quindi, riaffermando la sostanza della precedente convenzione redatta dall'arcivescovo Hughes de Toucy, che nel caso le monache di La Pommeraye non fossero in grado di concordare sulla scelta di una loro religiosa come badessa, devono accettare la loro nuova superiora dal Paracleto e da nessun'altra parte (non aliunde nisi a Paraclitensi monasterio vobis licet abbatissam suscipere), il pontefice aggiunge: nec aliam nisi PARACLITENSEM ORDINIS INSTITUTIONEM tenere, "né è consentito osservare alcuna ISTITUTIO di osservanza monastica diversa da quella del Paracleto ". Si noti che nella direttiva di apertura viene detto ai religiosi del monastero di La Pommeraye che devono osservare la Regola di Benedetto; ma ora sono obbligati a non attenersi ad alcuna institutio se non quella del Paraclito. La prima è condivisa in comune con praticamente tutta la comunità occidentale di monaci e monache; la seconda, che riduce la Regola alla pratica concreta con l'ausilio di disposizioni complementari e di direttive pratiche, conferisce al Paracleto ed alle comunità nella sua filiazione la loro fisionomia familiare, il loro proprio segno distintivo. La stessa disposizione era stata espressa in termini equivalenti nella precedente convenzione redatta dall'arcivescovo Hughes: alium ordinem nisi Paraclitensem non licebit eis observare; (Cfr. PL 178: 1847 C) “non sarà permesso loro (cioè alle monache di La Pommeraye) di osservare uno stile di vita diverso da quello del Paracleto".

Identificare l’institutio del Paracleto con la Regola di Abelardo per le religiose significherebbe fare violenza a testi come questo privilegio papale con il suo esplicito riferimento d’apertura alla Regola di Benedetto. Ma anche i testi con una terminologia meno esplicita non sono meno chiari. Così, quando il papa cistercense, Eugenio III, confermò i possedimenti del Paracleto il 1° novembre 1147, e girò il privilegio ad "Eloisa, badessa del monastero dello Spirito Santo, ed alle sue sorelle, sia quelle presenti che quelle in arrivo, che fanno professione di vita secondo la Regola (vitam REGULAREM), (Cfr. PL 180: 1291) "la vita secondo la Regola" ha qui lo stesso significato che ha in innumerevoli documenti papali dello stesso tipo: "vita secondo la Regola" significa " vita secondo la regola di Benedetto ", e non secondo la regola di Pacomio o la regola del Maestro o la regola di Pietro Abelardo.

In breve, fino a quando non viene addotto il contrario, siamo giustificati nel ritenere che le Institutiones nostrae offrono una sintesi delle caratteristiche principali dell'istitutio del Paracleto e che è stato questo insieme di disposizioni e direttive pratiche complementari alla Regola di Benedetto che ha dato al Paracleto ed alle sue case-figlie le loro caratteristiche distintive e le definirono una congregazione monastica.

 

LE PRINCIPALI FONTI DELLE INSTITUTIONES NOSTRAE

Solo due fonti principali delle Institutiones nostrae devono essere elencate qui, la regola di Abelardo e gli Instituta Cistercensi. "Punti di riferimento" sarebbe forse più corretto di "fonti", in quanto l'autore delle Institutiones nostrae spesso ha uno dei due testi davanti ai suoi (Ndt. In inglese her) occhi solo per scrivere esattamente il contrario o per fare un importante adattamento del materiale sorgente. E se scrivo "i suoi (Ndt. In inglese her, al femminile) occhi" piuttosto che "i suoi (In inglese his, al maschile) occhi", questo è perché io prevedo che quando arriveremo alla fine del commento, sarà diventato chiaro che l'autore sta scrivendo come una religiosa dell'abbazia del Paracleto.

La prova che l'autore ha effettivamente attinto alle due fonti di cui sopra sarà raccolta nel corso del commento. Qui dobbiamo piuttosto identificare le due fonti in questione e fornire alcuni dettagli su ciascuna.

 (Ndt. Il capitolo dedicato alle due fonti sopra indicate prosegue poi per molte pagine del libro citato.)

 


[1] Charrier. Héloïse, p. 277: “Poiché le religiose si trovavano disperse in vari monasteri, si rese necessario fornire ogni sede di una Regola comune e, sicuramente per questo motivo, fu redatto un “Regolamento del Paracleto”.

[2] Charrier. Héloïse, p. 278: “Ci deve essere stato sicuramente, anche al tempo di Eloisa, e redatto da lei, un Regolamento chiaro e semplice, alla portata delle più rozze intelligenze…”

[3] Charrier. Héloïse, p. 278: “E’ probabile, in effetti, che la badessa, che aveva saputo raggruppare attorno a sé questa famiglia spirituale, dovette impegnarsi con tutte le forze affinché le prescrizioni redatte dal Maestro (Pietro Abelardo) vi fossero seguite scrupolosamente. Eloisa non solo inviò in ciascuno dei suoi monasteri una superiora da lei formata, ma munì sicuramente i conventi posti sotto la sua direzione di una regola basata su quella del Paracleto.”

[4] Charrier. Héloïse, p. 280: “Questo testo … è stato sicuramente rimaneggiato, corretto e interpolato dalle successive badesse.”

[5] Monfrin, Historia, p. 11: “…istituzioni ad uso delle monache.”

[6] L’autore ripete ancora l’osservazione di Monfrin che almeno i due terzi del testo riguardano l’horarium dell’Ufficio divino.

[7] Cartulaire de l’Abbaye du Paraclet. Collection des principaux cartulaires du diocese de Troyes, Tomo II (Parigi, 1878) [

[8] “Les Ordres religieux au XIIe siècle selon la Curie romaine, “ in Revue bénédictine 78 (1968), pp. 283-309.

[9] Ad haec perniciosam et detestabilem consuetudinem quarundam mulierum, quae licet neque secundum regulam beati Benedicti, neque Basilii, aut Augustini vivent, sanctimoniales tamen vulgo censeri desiderant, aboleri decernimus Il testo lo si trova in una delle numerose edizioni dei Canoni del Secondo Concilio Lateranense del 1139.

[10] Dubois, “Les Ordres..” p. 308: “ La riforma gregoriana aveva rafforzato la due forme di vita religiosa definite all’epoca dell’Impero carolingio, i canonici ed i monaci- Ai secondi era stata imposta con una tale forza la Regola di san Benedetto da non metterla minimamente in discussione e fu solamente per concessione alle antiche abitudini che fu introdotta la menzione della Regola di san Basilio per alcuni monasteri dell’Italia meridionale.”

[11] Unam quippe nunc Regulam Beati Benedicti apud Latinos feminæ profitentur æque ut viri . Quam sicut viris solummodo constat scriptam esse , ita et ab ipsis tantum impleri posse… Epistola VI; Patrologia Latina 178: 213.


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6 novembre 2020        a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net