Statuti del Paracleto

Estratto da “Regole monastiche femminili” a cura di Lisa Cremaschi

Giulio Einaudi Editore 2003

 

 

1. Prologo.

1. Le nostre istituzioni [1] prendono inizio dalla dottrina di Cristo che predica e osserva la povertà, l’umiltà e l’obbedienza. 2. Seguiamo poi le orme degli apostoli che vivevano in comunità. 3. Nel nostro modo di vivere custodiamo la povertà e l’umiltà, nella sottomissione l’obbedienza; nel nostro modo di vivere, poiché viviamo insieme, seguiamo gli apostoli. 4. I beni temporali, qualunque origine abbiano, sono divisi tra le singole [2] come è possibile; se non sono sufficienti per tutte, vengono dati soprattutto alle più bisognose. 5. E poiché rinunciamo al mondo e militiamo per Dio, perseveriamo nel proposito di castità e secondo le nostre forze, secondo la misura del dono da lui ricevuto, ci sforziamo di essergli gradite.

2. La convenienza delle consuetudini.

1. Poiché il Signore volge a noi il suo sguardo e ci dona alcuni luoghi, abbiamo inviato alcune di noi a vivere la vita religiosa in numero sufficiente [3]. 2. Osserviamo poi le consuetudini del nostro buon proposito cosicché ciò che osserva fedelmente la madre, lo osservino uniformemente anche le figlie [4].

3- L’abito.

1. Il nostro abito è povero e semplice, di pelli di agnello, di vesti di lino e di lana. 2. Nell’acquistarlo o nel confezionarlo non si sceglie materiale prezioso, ma ciò che si può comperare o avere di più povero [5]. 3. Bisognerebbe annotare ciò che deve bastare a ciascuna, ma siamo lontane dall’avere il sufficiente.

4. I lettucci.

1. Nei nostri lettucci [6] abbiamo coperte, cuscini e biancheria di lino come viene dato a ciascuno [7]. 2. Se le singole non ricevono il sufficiente, sia ascritto a povertà.

5. I cibi.

1. Mangiamo del pane qualsiasi; se si tratta di frumento, mangiamo il frumento; se invece manca, mangiamo quello ordinario. 2. Nel nostro refettorio i cibi, esclusa la carne, sono i legumi, e ciò che è coltivato nell’orto. 3. Latte, uova e formaggio vengono serviti più raramente, e i pesci, se ci vengono portati. 4. Il vino sia mescolato all’acqua [8]. 5. Al primo pasto si abbiano due pietanze [9]. 6. A cena invece insalata, frutta, o qualcosa di simile se è possibile averne. 7. Se manca qualcosa, sopportiamo senza mormorare.

6. L’obbedienza.

1. Soltanto alla badessa e alla priora si mostra il debito dell’obbedienza [10]. 2. Nessuna osa uscire dalla clausura del monastero senza il loro permesso [11]. 3. Nessuna osa parlare, dare qualcosa o riceverlo, né tenerlo, se non le è stato permesso. 4. Per il resto ci obbediamo vicendevolmente in un sentimento di carità.

7. Da dove provenga il necessario [12].

1. Sarebbe proprio di una vita religiosa vivere della coltivazione della terra e del proprio lavoro, se è possibile. 2. Ma poiché per la debolezza non vi riusciamo, ammettiamo dei conversi e delle converse [13] cosicché ciò che il rigore della vita monastica non consente che siamo noi ad amministrare, venga compiuto da loro. 3. Riceviamo anche le elemosine [14] dei fedeli secondo l’uso degli altri monasteri.

8. Non usciamo.

1. Osserviamo la regola [15] che nessuna religiosa velata, per qualunque motivo, esca per faccende esterne oppure entri nella casa di un qualsivoglia laico. 2. Per le faccende della casa e per provvedere alle nostre cose mandiamo nelle nostre case monache [16] e converse provate per età e vita.

9. Quelle che vengono da lontano.

1. A chi viene non permettiamo di rimanere a lungo con noi, 2. ma se vuole rimanere e vi è un motivo per accoglierla, dopo sette giorni o faccia professione o parta.

10. La conversa non diventa monaca.

Se una conversa [17] viene a noi ed è accolta nella comunità delle laiche, in seguito non sia assolutamente fatta monaca, ma rimanga nella vocazione in cui era stata chiamata [18].

11. Gli uffici notturni dal 1 ° ottobre fino a Pasqua.

1. Udito il segnale, ci leviamo rapidamente per le vigilie [19] ed esortandoci con moderazione ci affrettiamo all’ufficio divino [20]; cessato il segnale, al cenno della priora, facciamo le preghiere consuete, inchinandoci nelle solennità e prostrandoci nei giorni feriali. 2. Terminate le preghiere, ci segniamo ed entriamo ai nostri posti. 3. L’ebdomadaria, alla quale spetta dire: «Dio, in mio aiuto», comincia: «Vieni, Spirito santo», continuando il versetto e la preghiera. 4. Questo facciamo all’inizio di ogni ora, nelle solennità importanti cantando, negli altri giorni senza canto. 5. L’ebdomadaria comincia: «Signore, le mie labbra» e continuiamo l’ufficio divino secondo la consuetudine delle comunità monastiche. 6. Dopo le vigilie usciamo tutte e, se non è ancora giorno, l’oratorio viene chiuso; acceso il lume, siedono in capitolo per la lettura o il lavoro di cui vi è bisogno. 7. Se è giorno, segue subito prima. 8. Nelle feste e di domenica, sia che faccia giorno sia che non lo faccia, torniamo tutte in dormitorio, e riposiamo nei letti finché, quando il giorno si fa più chiaro, al segnale del dormitorio veniamo nel chiostro. 9. Si suona prima e al segno della priora entriamo tutte in chiesa precedute dalla scuola e dalle più giovani, 10. Ugualmente, prima di ogni ora, si attende il segnale della priora. 11. Innanzi l’ora di prima si ha la preghiera fra gli stalli [21] come prima delle vigilie. 12. Dopo prima segue la messa mattutina. 13. Quindi si va in capitolo e si hanno le confessioni e le correzioni secondo il genere delle colpe, in base al giudizio di colui che presiede al capitolo. 14. In certe solennità le sorelle [22] vengono in capitolo e sono perdonate loro le colpe. 15. Ogni volta che i fratelli [23] peccano gravemente, sono chiamati in capitolo e sono corretti davanti al capitolo generale [24] affinché siano confusi da maggior rossore. 16. Nelle solennità più importanti in capitolo si ha un discorso [25]. 17. Uscite dal capitolo ci dedichiamo alla lettura fino a terza, se il tempo lo consente [26]. 18. Segue terza e la messa maggiore. 19. Segue anche sesta senza intervallo. 20. Dopo sesta ci dedichiamo alla lettura fino a nona. 21. Le ministre e la lettrice ricevono pane e vino [27]. 22. Dopo nona entriamo in refettorio, si ascolta la lettura nel massimo silenzio e, nel resto, seguiamo l’ordine delle comunità monastiche [28]. 23. Detto il: «Tu poi» [29], procediamo ordinatamente cantando il ringraziamento ed entriamo nell’oratorio. 24. Terminato il rendimento di grazie in chiesa, entriamo in capitolo e ci raggiungono le sorelle laiche; viene detto qualcosa di edificante proposto all’ascolto di tutte; parla quella cui è stato ordinato. 25. Se avanza del tempo, ci sediamo nel chiostro fino ai vespri [30]. 26. Si cantano i vespri. 27. Occorre sapere che nessuna esce dal coro senza permesso. 28. Dopo i vespri sediamo nel chiostro in meditazione e pregando in cuore senza segno alcuno, in assoluto silenzio. 29. Prima dell’assemblea [31] beviamo in refettorio mentre l’ebdomadaria dà la benedizione. 30. Subito ci rechiamo all’assemblea, senza che nessuna se ne vada altrove. 31. Al termine dell’assemblea cantiamo in chiesa compieta. 32. Dopo aver detto «Riposino in pace», facciamo la preghiera fra gli stalli [32]. 33. Al segnale della badessa o della priora ci alziamo e facciamo il segno di croce e, mentre usciamo in ordine, la badessa o la priora ci asperge con acqua benedetta [33]. 34. Salendo in dormitorio, ce ne andiamo nei nostri lettucci [34] e ci sdraiamo vestite e cinte.

12. Le domeniche.

1. Le domeniche, uscendo dal capitolo, riceviamo l’acqua benedetta dalla badessa o dalla priora e facciamo la processione nel chiostro, mentre una porta la croce e due i ceri. 2. Dopo sesta, mangiamo. 3. Dopo il pranzo, vi sia subito nona. 4. Dopo nona, viene detto qualcosa a edificazione, come si è detto sopra. 5. Dopo i vespri, vi è la cena. 6. E in questo modo ci comportiamo come si è detto più sopra. 7. Nei giorni feriali [35], come fa giorno, si canta prima, poi sediamo in chiostro fino a terza a leggere, a cantare e a lavorare. 8. Prima vi è la preghiera tra gli stalli [36], segue terza. 9. Dopo terza, la messa mattutina. 10. Quindi si va in capitolo. 11. Uscite da capitolo, sediamo nel chiostro. 12. Le più deboli prendono vino e pane [37] come decide la badessa. 13. A nessuna è consentito sedere nel chiostro senza lavorare o senza leggere. 14. Dopo sesta, segue la messa maggiore e subito dopo nona. 15. Dopo nona, entriamo in refettorio. 16. Per il resto proseguiamo come si è detto sopra.

13- Il tempo estivo.

1. Da Pasqua fino al sopraddetto 1° di ottobre, terminate le lodi, ritorniamo nei nostri lettucci [38]; dopo un certo intervallo, vi è un suono nel dormitorio, ci alziamo, veniamo nel chiostro, leggiamo e cantiamo fino a prima. 2. In precedenza sia nei giorni festivi che in quelli feriali [39] si hanno le preghiere fra gli stalli [40]. 3. Dopo prima, segue la messa mattutina. 4. Quindi si va in capitolo. 4. Uscite da capitolo, siedono nel chiostro a leggere o a lavorare fino a terza. 5. Dopo terza, si ha la messa maggiore. 6. Poi sesta e si va in refettorio. 7. Dopo il rendimento di grazie, andiamo in dormitorio ed è consentito dormire, leggere, lavorare a letto senza disturbare nessuno [41]. 8. Udito il primo segnale di nona, ci leviamo e ci prepariamo in modo tale che mentre suona il secondo segnale, al cenno della badessa o della priora, possiamo entrare in chiesa secondo l’ordine. 9. Dopo nona, facciamo la celebrazione per i defunti, 10. Quindi entriamo in refettorio e beviamo acqua [42], 11. Poi sediamo nel chiostro a leggere e a lavorare. 12. Usciamo anche per il lavoro a qualunque ora del giorno, se saremo state chiamate per una qualche necessità. 13. Dopo vespro, vi è la cena. 14. Quindi ci comportiamo come si è detto sopra. 15. Durante la litania maggiore, nei tre giorni di rogazioni, il venerdì e il sabato [prima di Pentecoste] [43], la vigilia di san Giovanni Battista, la vigilia degli apostoli Pietro e Paolo, la vigilia di san Lorenzo, la vigilia dell’Assunzione e dal 13 settembre fino a Pasqua digiuniamo.

 



[1] Le antiche edizioni riportano l’erronea scrittura: «Instructiones».

 

[2] Cfr. At 4,35b.

[3] Prima del 1157 furono fondate dalla comunità del Paracleto cinque case. Le Istituzioni dovrebbero essere state scritte prima di quella data.

[4] Ch. Waddell, The Paraclete Statutes cit., pp. 82-85, vede in questo paragrafo un influsso dei Capitula cisterciensi 9 e 10 del 1136 ca.

[5] Cfr. RB (Regola di san Benedetto) 55,7, ma anche RAb (Regola di Abelardo) 16,4,1 sgg.

[6] Lat.: «lectulus», che traduciamo con l’orribile «lettuccio». Ma la distinzione tra «letto» e «lettuccio» dipende da RAb 17,45-53.

[7] At 4,35b.

[8] RAb 16,2,131-32.

[9] RB 39,1.3.

[10] Per questo versetto e per il v. 4 cfr. RB 71,1.

[11] Cfr. RAb 3.

[12] Cfr. Capitula cisterciensi 1,7-8.

[13] Cfr. ibid. 15,8-11.

[14] La Lettera 1,13 di Abelardo attesta che Eloisa e le sue monache furono aiutate con grande generosità dalla gente del luogo e che Eloisa era amata da tutti; «i vescovi l’amavano come una figlia, gli abati come una sorella, i laici come una madre» (PL 178,171A).

[15] Probabile riferimento al privilegio dato da papa Innocenzo II il 17 giugno 1135; in esso veniva confermata la donazione del Paracleto, già stabilita con il testo del 28 novembre 1131, e si concedeva che le monache non uscissero dal monastero neppure per la professione.

[16] Secondo RAb 16,4,17-18 vi sono due tipi di veli, e dunque di monache: le vergini già consacrate dal vescovo, che portano ricamato sul velo un segno di croce, e le vergini non ancora consacrate che portano il velo senza nessun segno. Qui ci si riferisce a questa seconda categoria.

[17] Cfr. Capitula cisterciensi 22,19-20.

[18] Cfr. 1Cor 7,20.

[19] Cfr. Capitula cisterciensi 68.

[20] Cfr. RB 22,8.

[21] Il testo non è molto chiaro. Il termine latino «forma» si riferisce a un pannello di legno davanti a ogni stallo del coro contro il quale ci si può inginocchiare (cfr. Ch. Waddell, The Paraclete Statutes cit., p. 151).

[22] Cioè le converse.

[23] Cioè i conversi.

[24] Lat: «coram communi capitulo», che raduna, oltre alle monache, anche i conversi e le converse.

[25] Cfr. Costumi cisterciensi, R I 67.

[26] Cfr. Costumi cisterciensi, R I 71.

[27] Lat.: «mixtum». Nelle comunità cisterciensi indica la misura di pane e vino data alle giovani e alle malate al mattino, prima di terza. Cfr. Costumi cisterciensi, R I 73.

[28] Ch. Waddell (The Paraclete Statutes cit., p. 159) traduce: «seguiamo l’ordinamento di quelle che osservano la Regola».

[29] Parole iniziali della preghiera che chiudeva il pasto.

[30] Cfr. Costumi cisterciensi, R I 79.

[31] Lat.: «ad collationem». Cfr. Costumi cisterciensi, R I 81.

[32] Cfr. supra, p. 381, n. 21.

[33] Cfr. Costumi cisterciensi, RI 82.

[34] Cfr. supra, p. 378, n. 6.

[35] Lat.: «privatis diebus». Ch. Waddell intende: «nei giorni di digiuno» (The Paraclete Statutes cit., p. 180).

[36] Cfr. supra, p. 381, n. 21.

[37] Cfr. supra, p. 381, n. 27.

[38] Cfr. supra, p. 378, n. 6.

[39] Cfr. supra, p. 382, n. 35.

[40] Cfr. supra, p. 381, n. 21.

[41] Cfr. RB 48,5.

[42] Cfr. Costumi cisterciensi, R I 838.

[43] Cosi va interpretato il testo secondo J. Benton, Fraud, Fiction and Borrowing cit., p. 506.



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25 marzo 2017        a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net