L'ENIGMA DIDACHÈ

Le dimensioni del problema

Capitolo estratto da "Didachè – Insegnamento degli apostoli", di Giuseppe Visonà, Paoline Editoriale Libri 2000

 

Quello della Didachè è il tipico caso di una vicenda che nasce apparentemente semplice e lineare per rivelarsi poi incredibilmente complessa e intricata. La forza con cui questa operetta - 204 righe, meno di cinque fogli di un codice manoscritto - irruppe nel 1883 sulla scena degli studi del cristianesimo delle origini fu determinata anche dalle modalità della sua fortuita ricomparsa dopo secoli di eclissi, frammista a venerandi documenti del primitivo cristianesimo in un codice di una biblioteca del patriarcato greco di Gerusalemme a Costantinopoli [1], ove lo stesso scopritore, il metropolita Filoteo Bryennios, non l’aveva subito riconosciuta [2] per il documento che la tradizione dei Padri più volte ricordava come Dottrina (Didachè) degli apostoli e che Clemente Alessandrino, intorno al 200 d.C., pareva citasse addirittura come Scrittura ,[3] ma che da allora si era volatilizzata.

Dunque, si poteva pensare a un reperto intatto del passato che, scavalcando il revisionismo dei secoli, ci riportava d’emblée sulla scena del nascente cristianesimo, magari a quella comunità primitiva i cui membri «erano assidui nell’ascoltare la didachè (l'insegnamento) degli apostoli » (At 2,42), o alle direttive che, sempre secondo gli Atti, gli stessi apostoli avrebbero emanato in occasione del cosiddetto primo concilio di Gerusalemme, nel 48-49 d.C. [4]. Né meno rilevante era lo specifico contenuto della Didachè, che da subito fu classificata come il prototipo del genere letterario della “Costituzione ec­clesiastica” o “Ordinamento ecclesiastico” [5], quel genere, cioè, che raccoglie le prescrizioni di ordine morale, rituale e disciplinare volte a regolare la vita della Chiesa e che sarà destinato a un notevole sviluppo (letteratura canonistica o canonico-liturgica) in parallelo alla sempre maggiore articolazione della organizzazione ecclesiastica [6].

Insomma, la Didachè sarebbe stata lo statuto, la regola della Chiesa primitiva, con la non indifferente peculiarità di portarci, per la prima volta, dietro il velo di quella istituzionalizzazione ecclesiastica che nel corso del II secolo aveva trasformato il cristianesimo originario in “cattolicesimo”, cioè in una istituzione gerarchicamente ordinata, distinta in chierici e laici, con al vertice il vescovo, successore degli apostoli, depositario della tradizione apostolica e garante dell’ortodossia. Mentre, infatti, la tradizionale documentazione canonistica (a partire dal 200 circa, con la cosiddetta Tradizione apostolica attribuita a Ippolito di Roma [7]) legittimava questa architettura ecclesiastica a struttura piramidale che dapprima fissava funzioni e prerogative del vescovo per digradare poi progressivamente, attraverso i vari ministeri, fino ai comuni fedeli laici, la Didachè mostrava di avere come unico referente la comunità in quanto tale, cui sono demandati anche il controllo e il discernimento delle funzioni ministeriali. Ma se ai vescovi (assieme ai diaconi) era dedicato un unico, fugace, cenno verso la fine dello scritto (15,1-2), le vere autorità spirituali della comunità apparivano essere apostoli, profeti e maestri (o dottori), ministri itineranti dai tratti spiccatamente carismatici, ma scomparsi nella successiva nomenclatura delle costituzioni ecclesiastiche. Dunque, poteva esclamare il primo illustre commentatore del nostro scritto, « la Didachè ha finalmente fatto luce! » [8], mostrandoci quell’immagine di una Chiesa dei carismi che sarebbe stata obnubilata dalla Chiesa-apparato. Di più, le indicazioni relative a profeti che sceglievano di stabilirsi nella comunità (13,1), assieme all’invito a eleggere e a non disprezzare i vescovi, destinati a svolgere le mansioni dei profeti (15,1-2), avrebbero fotografato, per così dire, la fase di transizione tra due ecclesiologie, imperniate rispettivamente su un ministero carismatico profetico itinerante e su uno istituzionale elettivo residente [9]. Con questo, come si può ben intuire, la Didachè veniva trascinata sul terreno insidioso del dibattito sullo sviluppo storico del cristianesimo primitivo, subendone anche i pesanti risvolti e condizionamenti confessionali.

Fu, però, l’indagine storico-letteraria a rivelare come le cose non fossero così semplici, e fosse illusorio pensare di aver ritrovato uno scritto intatto nel suo stato nascente.

Da una parte, infatti, la Didachè si rivelò essere un’opera composita, cioè non uscita di getto nel suo stato attuale, ma frutto della riorganizzazione di materiali precedenti e anzi, secondo più di uno studioso, risultato di successive integrazioni e/o interpolazioni. Questo già scomponeva i problemi di fondo (luogo, data, composizione) perlomeno su due stadi, quello di una tradizione (l’insieme dei materiali preesistenti) e quello di una redazione (la composizione nella forma finale), ma con in mezzo una infinita possibilità di variazioni, tutte esplorate.

Dall’altra, come accade sovente in questi casi, la scoperta di un nuovo testo portò all’individuazione di diverse sue sopravvivenze prima non identificabili. In particolare si scoprì che il libro settimo della più nota e ponderosa opera della letteratura canonico-liturgica, le Costituzioni apostoliche (circa 380 d.C.), non era che una riproposizione dell’intera Didachè, con numerose varianti oltreché con evidenti ritocchi e manipolazioni. Materiali didachistici affiorarono in altri scritti del medesimo filone: la Costituzione ecclesiastica degli apostoli, l'Epitome dei canoni dei santi apostoli, la latina Doctrina apostolorum, sempre con recensioni che presentavano elementi di diversità rispetto al testo dell’unico codice H; anche i frammenti di tradizione diretta venuti alla luce - in un papiro greco e nelle versioni copta ed etiopica - facevano intuire l’esistenza di recensioni testuali diverse: insomma, si cominciò a dubitare della bontà, inizialmente mai discussa, del testo di H, un codice che del resto, come appare dalla sottoscrizione, il copista Leone aveva terminato di trascrivere martedì 11 giugno 1056. Acquisito che la contaminazione di documenti è un tratto distintivo della letteratura canonico-liturgica [10], nulla permetteva di escludere che nella Didachè di H non avessimo che l’esito di una secolare stratificazione di tradizioni normative della Chiesa antica, in cui identificare il nucleo primigenio poteva risultare impresa disperata.

Sia come sia, la Didachè, da chiave di accesso alle stanze segrete del cristianesimo primitivo, diventò, anche nei titoli delle ricerche, un «enigma» [11]. Cominciando dal titolo, non c’è elemento della Didachè che non sia stato sezionato e conteso, ma - paradossalmente - l’imbarazzante dilatazione della bibliografia sulla nostra opera non ha portato chiarezza in proporzione [12]. Di fatto, su tutte le questioni cruciali [13] a tutt’oggi le contrapposte interpretazioni sono difese e argomentate, cosi come le diverse opzioni critiche hanno trovato applicazione nelle varie edizioni [14]. Anche le interpretazioni complessive della Didachè hanno delineato scenari completamente diversi, tanto da indurre uno dei recenti editori a una rassegnata costatazione: « Più o meno ogni tentativo di soluzione sta a sé e si costituisce i suoi propri criteri per la presunta distinzione delle fonti» [15]. Anche la rassegna di Vokes si chiude con un non liquet: preso atto dei diversi esiti interpretativi e che ogni tipo di datazione è stata proposta, non è possibile, a detta dello studioso, essere più precisi che affermare che la Didachè è stata composta «prima della fine del II secolo» [16].

 

Alcuni criteri

In realtà, come vedremo, le cose non stanno proprio così [17], e il margine di scetticismo può essere drasticamente ridotto. Nondimeno, proprio l’accertamento del carattere composito della Didachè ha provocato l’allargamento e la frammentazione dello spettro di riferimento degli studi critici. Si sono infatti determinati due tipi di approccio al nostro scritto: il primo, di carattere analitico, si è concentrato sui singoli elementi di tradizione presenti nell’opera, non impegnandosi però in un pronunciamento sulle sue coordinate complessive [18], nulla impedendo che un elemento anche molto arcaico fosse mantenuto o inglobato in una fase successiva o che comunque potesse essere cronologicamente anche distante dalla fase redazionale ultima [19]. Si considera, inoltre, la possibilità che ciascuna delle riconosciute sezioni della Didachè possa aver avuto un suo proprio processo di formazione [20], per cui viene a cadere un principio di “proprietà transitiva”, che permetterebbe di estendere all’insieme dell’opera i dati riscontrati nelle sue componenti: l’unico elemento unificante sarebbe il livello della redazione finale, la cui identificazione, però, è assolutamente controversa.

Un secondo tipo di approccio, di carattere sintetico, ha invece cercato un’interpretazione complessiva della Didachè che, previa la ricostruzione del processo di costituzione del testo, allineasse e giustificasse le varie componenti in un disegno - e perciò in un’epoca e in un ambiente - ben individuato. Qui la responsabilità dell’interprete è grande, perché molte componenti della Didachè sono passibili di letture diverse [21] proprio in relazione a un’opzione interpretativa di fondo che dovrebbe essere stata ricavata dal testo medesimo, col rischio sempre presente di innescare il circolo vizioso [22].

Il procedimento è, appunto, rischioso, come dimostrano gli esiti contrastanti, anche perché ancora il carattere composito dell’opera fornisce la pratica scappatoia di attribuire a interventi secondari o a interpolazioni successive quei dati che non si armonizzano col quadro interpretativo generale proposto. Nondimeno è una via praticabile, purché si rispettino alcuni criteri cui hanno cercato di ispirarsi anche le nostre scelte: sono da scartare le soluzioni troppo elaborate (quali illustreremo più avanti), che pretendono - e hanno bisogno - di spiegare a intarsio ogni singolo versetto della Didachè, mostrando in occasione di quale fase di riflessione o dibattito o crisi della comunità si è addivenuti ad aggiungere un inciso o a espungere un vocabolo, oppure leggendo ogni minima variazione sintattica o stilistica come segno di un intervento secondario: se non per altro, queste teorie sono da scartare perché indimostrabili. Parimenti non sono da accogliere quelle soluzioni che richiedono di forzare il testo tràdito (in pratica, quello di H) affermando, per esempio, che un dato versetto o periodo doveva originariamente trovarsi in un altro punto del testo, in cui va ricollocato; oppure decidendo che un passo doveva avere in origine un’altra forma, in cui va reintegrato, sempre che non vada espunto come glossa introdotta nel testo da un copista [23]. È buona norma che, in presenza di un’attestazione della tradizione diretta, solo motivi molto fondati consentano di intervenire sul testo. Diversamente è meglio conservare l’omogeneità di una recensione, pur col dubbio che abbia patito contaminazioni, piuttosto che creare un ibrido, frutto di valutazioni caso per caso, col rischio dell’arbitrarietà.

Se nella Didachè è legittimo distinguere un livello di tradizione da uno di redazione, nondimeno va affermato con forza che il peso e il baricentro dell’opera sono nettamente spostati verso la tradizione, per cui ciò che proviene dallo strato originario della Didachè prevale su quanto può essere stato successivamente introdotto o manipolato. In proposito mi pare decisivo il confronto con scritti di genere affine che hanno utilizzato la Didachè, come le Costituzioni apostoliche: le modifiche introdotte nei luoghi paralleli [24] ci danno la misura di come sarebbe la Didachè se veramente avesse subìto tarde revisioni. Dunque la recensione del codice H è una buona e antica recensione, che fornisce una solida base per la ricostruzione del testo.

Di fronte a un’impressione di disorientamento della critica, direttamente proporzionale alla messe di studi sulla Didachè, conviene ulteriormente precisare che, pur con la giusta riserva e le dovute cautele, sono possibili pronunciamenti anche netti, ancorché equilibrati, che perlomeno alla Didachè diano una fisionomia [25]. Infine, ma è la cosa più importante, per seguire le oscillazioni e le sottigliezze della critica non dobbiamo perdere di vista la preziosità della Didachè, per la quale si continuano a disegnare scenari suggestivi e impegnativi che la pongono prima ancora del Vangelo di Marco [26], o tra i testi che avrebbero influenzato il Vangelo di Giovanni [27] e la l Corinzi [28], o ne fanno il testimone della perduta fonte dei vangeli Sinottici [29] o del proto-Matteo aramaico [30]. Essa «è contemporanea degli apostoli», afferma perentoriamente l’editore forse più autorevole [31]. Insomma, direttamente o indirettamente, la Didachè affonda le radici negli strati più profondi delle origini cristiane, là dove è ancora viva e fluida la tradizione su Gesù, è ancora vitale il legame con la spiritualità, l’etica e la liturgia giudaiche, e dove ancora risuona l’eco diretta dell'eucharistia protocristiana e dell’annuncio ispirato dei profeti cristiani.

 


N.d.r. del sito: ho riportato quasi tutte le note contenute nel libro


[1] II codice fu portato a Gerusalemme fin dal 1887. È catalogato come Hierosolymitanus 54 e viene comunemente indicato con la sigla H. La Didachè vi compare ai fogli 76'-80', dopo l'Epistola di Barnaba, la Prima e Seconda lettera ai Corinzi di Clemente Romano e prima delle Lettere di Ignazio di Antiochia (nella recensione lunga). Per maggiori ragguagli sul manoscritto e sul suo contenuto si vedano Rordorf-Tuilier, 102-110 e Niederwimmer, 53-36; per un riesame recente cfr. R.E. Aldridge, The Lost Ending of the "Didachè”, VigChr 53 (1999) 2-4.

[2] Bryennios aveva segnalato il codice fin dal 1873, attirando l’attenzione in particolare sul testo dell'Epistola di Barnaba, ma solo dieci anni dopo, appunto nel 1883, pubblicò a Costantinopoli l'editio princeps della Didachè.

[3] In realtà, come vedremo, anche la presunta citazione di Did. 3,5 come Scrittura negli Stromati di Clemente è diventata problematica.

[4] Cfr. At 15,22-31. La tesi che indicava nella Didachè la più antica catechesi cristiana in diretta connessione col “decreto apostolico" del 48-49 era stata sostenuta, nella prima fase della ricerca, da A. Seeberg (cfr. Der Katechismus der Urchristenheit, Leipzig 1903; Die Beiden Wege und das Aposteldekret, Leipzig 1906) ed è stata ripresa di recente da S. Dockx, Date et origine de la Doctrine des Apôtres aux Gentiles, in S. Dockx (ed.), Chronologies néotestamentaires et vie de l'Église primitive. Recherches exégétiques, Leuven 1984, 369-390, che valorizza la coincidenza tra il titolo e l'espressione di At 2,42, come pure il fatto che in At 15,22-31 si parli di una lettera che gli apostoli inviano ad Antiochia, sulla cui area a tutt’oggi si appuntano i maggiori consensi come ambiente dirigine della Didachè: il nucleo di quest’ultima, dunque (e non la Didachè nella forma attuale), sarebbe un documento uscito dall’ambiente apostolico gerosolimitano e indirizzato ai gentili di Antiochia. C.N. Jefford, dal canto suo, pensa a una diretta influenza del “decreto apostolico" su Did. 6 (cfr. An Ancient Witness to the Apostolic Decree of Acts 15?, in Proceedings: Eastern Great Lakes and Midwest Biblical Societies 10 [1990] 204-213; Tradition and Witness in Antioch: Acts 15 and Didache 6, in E.V. McKnight [ed.], Perspectives on Contemporary New Testament Questions, Lewiston 1992,75-89).

[5] In ted.: Kirchenordnung; in ingl.: Church order. Cfr. ancor oggi, per es., P. Vielhauer, Geschichte der urchristlichen Literatur, Berlin-New York 1975, 725: « Del resto, quanto al genere letterario della Didachè c’è accordo: la Didachè è una Kirchenordnung, e precisamente la più antica del suo genere ». Analogamente cfr. Wengst, 17-18: « Il raggruppamento in blocco di prescrizioni per i vari ambiti della vita dei cristiani e della comunità indica la Didachè, quanto alla forma, come una Kirchenordnung ».

[6] Per un quadro generale si veda A. Faivre, La documentation canonico- liturgique de l'Église ancienne, RevSR 54 (1980) 204-219 e 273-297. Faivre (ibi. 287-288) considera la Didachè strettamente collegata al genere canonico-liturgico anche se le riconosce la mancanza della “categorizzazione" specifica del genere stesso, incentrata sui ministeri. Per una panoramica ancora più ampia e complessiva sulle forme di autoregolamentazione della Chiesa nel primi secoli si veda, dello stesso autore, Ordonner la fraternité: pouvoir d'innover et retour à l'ordre dans l'Église ancienne, Paris 1992.

[7] Cfr, ora Pseudo Ippolito, Tradizione apostolica. Introduzione, traduzione e note a cura di E. Peretto (Collana di testi patristici, 133), Roma 1996. Sui problemi di questo controverso documento e della letteratura omologa se ne veda l’ampia introduzione (5-91).

[8] A. Harnack, Die Lehre der zwölf Apostel (TU, 1,1-2), Leipzig 1884, Prolegomena, 94. Lo studioso contrappone la triade apostoli profeti dottori a quella tipicamente cattolica formata da vescovi presbiteri diaconi. Per lui la Didachè è un breve manuale di istruzione per paganocristiani. La sua lettura della Didachè, molto influente, costituirà il perno del suo classico studio sullo sviluppo del cristianesimo primitivo (Die Mission und Ausbreitung des Christentums in den ersten drei Jahrhunderien), uscito per la prima volta nel 1902.

[9] Da ultimo cfr. Rordorf-Tuilier, 246: «La Didachè rivela resistenza congiunta di un ministero itinerante di profeti e dottori da una parte, e di una gerarchia sedentaria di “episcopi" e diaconi dall'altra. Essa rappresenta, di conseguenza, una tappa intermedia tra questa gerarchia sedentaria e questo ministero itinerante in via di sparizione».

[10] Esemplare il caso citato delle Costituzioni apostoliche. Ma la stessa Tradizione apostolica non è che un testo ricavato congetturalmente collazio­nando documenti posteriori e in varie versioni.

[11] Cfr. F.E. Vokes, The Riddle of the Didache: Fact or Fiction, Heresy or Catholicism?, London 1938; S. Giet, L'énigme de la Didachè, Paris 1970.

[12] Per una recente rassegna della ricerca sulla Didachè cfr. J.A. Draper, The Didache in Modem Research: An OverView, in The uDidache" in Modem Research, 1-42 (il volume ripropone in traduzione inglese - laddove questa non fosse la lingua originale di stesura - 16 saggi di vari specialisti, selezionati in un arco di tempo tra il 1952 e il 1992); cfr. inoltre C.N. Jefford, The Sayings of Jesus in the Teaching of the Twelve Apostles (Supplements to Vigiliae Christianae, 11), Leiden 1989, 1-17 («A Review of Modern Research», dedicata soprattutto alle tesi su data e luogo di origine e distinta per scuole: francese, tedesca, anglo-americana); ma in tutti gli studi di ampio respiro si troverà riepilogato lo stato della ricerca. Anche la messa a punto di F.E. Vokes (Life and Order in an Early Church: the Didache, in ANRW, II,27,1, Berlin-New York 1993, 209-233) esamina le sezioni della Didachè col taglio dello status quaestionis, passando cioè in rassegna le diverse teorie via via proposte. Per la bibliografia cfr. invece Niederwimmer, 273-293; K.J. Harder - C.N. Jefford, A Bibliography of Literature on the "Didache" in The “Didache" in Context, 368-382 (l’intero volume raccoglie 17 saggi originali sulla Didachè); ora si veda Rordorf-Tuilier, 213-220 (« Bibliographie depuis 1976»). Questa recente seconda edizione (SCh 248bis, Paris 1998) della fondamentale edizione Rordorf-Tuilier ha mantenuto il corpo della prima (1978) aggiungendovi l’aggiornamento bibliografico e una rassegna analitica degli apporti critici del ventennio tra le due edizioni (221-246).

[13] Del tipo se la tradizione dei detti di Gesù attestata dalla Didachè dipenda dai Sinottici o risalga a una tradizione indipendente, o se l'eucharistia dei cc. 9- 10 sia la liturgia sacramentale cristiana o un pasto rituale con “azione di grazie”.

[14] Per rimanere a una situazione già illustrata, l’edizione Rordorf-Tuilier ha ridato piena fiducia alla recensione del codice H; l’edizione Wengst ha invece recepito l’opzione di sfiducia, modificando in più punti il testo accolto. Come vedremo, è difficile trovare due edizioni in cui la Didachè sia pubblicata con lo stesso titolo. Oltre agli studi, anche le edizioni commentate, dopo quella monumentale di Audet (1958), si sono moltiplicate in anni recenti, con le edizioni di Rordorf-Tuilier (1978, 19982), di Wengst (1984), di Schöllgen (1991; 19922, sul testo Rordorf-Tuilier); né va dimenticato l’ottimo commentario di Niederwimmer (1989,19932), che ha il corrispettivo testuale in un testo di lavoro (Arbeitstext) edito dal medesimo Niederwimmer in The "Didachè" in Context, 15-36 col titolo Der Didachist und seine Quellen (il testo vero e proprio a 22-36). Invece A. Lindemann - H. Paulsen, Die Apostolischen Väter, Tubingen 1992, 4-21 riprendono senza correzioni l’edizione F.X. Funk - K. Bihlmeyer (Die Apostolischen Väter, Tubingen 1970, 1-9), che sostanzialmente riproponeva la storica edizione di Funk (1901). Non abbiamo consultato l’inedita tesi di J.A. Draper, A Commentary on the Didachè in the Light of the Dead Sea Scrolls and Related Documents, Cambridge 1983.

[15] G. Schöllgen, Die Didachè als Kirchenordnung. Zur Frage des Abfassungszweckes und seinen Konsequenzen für die Interpretation, JAC 29 (1986) 5-26, qui 22 (= The Didache as a Church Order; an Examination of the Purpose for the Composition of the Didache and its Consequences for Interpretation, in The "Didache" in Modem Research, 43-71).

[16] Vokes, Life and Order, 231.

[17] Vokes è stato un sostenitore della teoria di una Didachè come finto-antica. Tuttavia anche la recente edizione di Schöllgen, per la parte relativa a luogo e data d'origine della Didachè, mantiene una linea prudenziale all'insegna dell'incertezza (cfr. Schöllgen, 82-85).

[18] Ad esempio, gli studi di Mazza sostengono che le preghiere eucaristiche di Did. 9-10 hanno il loro habitat ideale nei primissimi anni dopo la morte di Gesù (e comunque prima del concilio apostolico del 48-49) e che sono già conosciute e utilizzate da Paolo nella 1 Corinti. Questo non comporta che la Didacbè come tale risalga a quegli anni, bensì che il patrimonio liturgico da essa tramandato sia appunto vetustissimo. Lo stesso vale per studi di settore sul presunto carattere esseno della liturgia e delle osservanze della Didacbè (Tuilier, Del Verme).

[19] È il caso del citato Dockx, Date et origine, che situa il nucleo originario della Didachè a ridosso della nascita della Chiesa, ma ritiene che la redazione finale dell'opera vada posta almeno al III secolo. Dockx, dunque, è tra coloro che pensano che la Didachè com'è giunta in H sia andata soggetta a molteplici revisioni e manipolazioni. Lo strato più antico risulterebbe dalle sezioni 7,1; 8,2-3; 9,1-4; 10,1-3.5-7; 14,1.3; 15,1.

[20] Questo, per esempio, negli studi di Riggs.

[21] Ad esempio, nel c. 8 viene definita la prassi della comunità, quanto alla preghiera e al digiuno, in contrapposizione a quella degli « ipocriti»: l'individuazione di questa categoria dipende dalla teoria complessiva sulla Didachè (e viceversa).

[22] Esemplare il caso del titolo, in cui la scelta tra le varie possibilità offerte dalla tradizione diretta e indiretta non è autoevidente, ma strettamente correlata a come si interpreta il processo di formazione dell'opera. Infatti, come abbiamo detto, è difficile trovare due edizioni della Didachè con lo stesso titolo.

[23] Avremo modo di esemplificare. Questo naturalmente non impedisce di pensare a delle glosse: ci opponiamo al criterio che le usa per eliminare gli elementi di disturbo alla scorrevolezza di una teoria.

[24] In Did. 13,3-7 si dice di prendere le primizie di ogni cosa (prodotti della terra, bestiame, beni) e di darle «secondo il comandamento» ai profeti: «essi infatti sono i vostri grandi sacerdoti» (13,3). La Didascalia, che pure è un testo antico, degli inizi del III secolo, e della stessa area siriaca da cui presumibilmente proviene la Didachè, scrive: «Allora (scil: sotto la legge mosaica) vi erano primizie, decime, libagioni e doni, oggi invece vi sono le offerte che vengono presentate al Signore Dio dai vescovi. Essi infatti sono i vostri grandi sacerdoti » (9); anche le Costituzioni apostoliche hanno sostituito i « profeti » con i « sacerdoti» (7,29,1: SCh 336,60) e anzi hanno drasticamente tagliato tutta la sezione della Didachè dedicata al ministero di apostoli e profeti (7,28, ibi, 58-60).

Tutta la riproposizione della Didachè nel libro settimo delle Costituzioni apostoliche si segnala per l'inserzione di precisazioni circa le norme liturgiche e le funzioni ministeriali, tutti fenomeni che dovrebbero essere almeno in parte rilevabili nella stessa Didachè se fosse il risultato di una prolungata o tarda revisione.

[25] Metterei qui l’opera di Rordorf (studi ed edizione) che ha precise fisionomia e organicità, senza essere invasiva, quantunque non possa pretendere di dirimere tutti i punti controversi della Didachè. Ma si vedano anche le equilibrate considerazioni riassuntive di Mattioli, immuni dal prurito di risolvere l’enigma Didachè e interessate invece a coglierne il valore sostanziale (U. Mattioli, Didachè. Dottrina dei dodici apostoli, Roma 1984, 96-102). Va da sé che il presente lavoro non intende soppiantare quello, testé citato, pubblicato da Mattioli nella precedente serie della collana patristica di questa Editrice, lavoro che rimane un apprezzato e autonomo contributo alla ricerca sulla Didachè.

[26] Cfr. J.H. Walker, A pre-Marcan Dating for the Didache: Further Thoughts of a Liturgist, in E. A. Livingstone (ed.), Papers on the Gospels: Sixth International Congress on Biblical Studies, Oxford 1980,403-411.

[27] Cfr. B. Salvarani, L'eucaristia di "Didachè" IX-X alla luce della teologia giovannea: un'ipotesi, in Rivista biblica 34 (1986) 369-390.

[28] Cfr. Mazza, qui sopra menzionato (nota 23).

[29] Cioè di quella che viene chiamata fonte Q, che sarebbe stata utilizzata da Matteo e Luca. Per Draper quella della Didachè è una «comunità Q», dello stesso ambiente in cui, parallelamente, si è formato il Vangelo di Matteo. Cfr. J.A. Draper, Torah and Troublesome Apostles in the Didache Community, in Novum Testamentum 33 (1991) 347-372. Vi torneremo.

[30] Cfr A. Tuilier, La "Didachè" et le problème synoptique in The "Didache" in Context, 110-130. Per Tuilier il vangelo utilizzato dalla Didachè è la stessa Q, che non sarebbe altro che la traduzione greca dell'originario Matteo aramaico.

[31] Rordorf-Tuilier 21, nota 2.

 


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5 maggio 2019                       a cura di Alberto "da Cormano" Grazie dei suggerimenti alberto@ora-et-labora.net