AGOSTINO "PADRE"

DI BENEDETTO?

di P. Michael David Semeraro O.S.B.

(Estratto da “San Benedetto”, rivista bimestrale 3-2003,

Monastero san Giovanni, Parma)

 

Introduzione

Alla fine della sua Regola il Patriarca dei monaci d’Occidente - Benedetto da Norcia - non esita a fare riferimento ai suoi “padri” dicendo chiaramente: «Abbiamo scritto questa Regola perché osservandola... diamo prova di avere mosso i primi passi sulla via della conversione. Ma per chi vuole affrettarsi verso la perfezione della vita monastica, vi sono gli insegnamenti dei santi padri... le Conferenze, le Istituzioni, le loro Vite, la stessa Regola del nostro santo padre Basilio» (RB 73, 1-6).

Il riferimento esplicito a queste “fonti” pone la Regola di Benedetto in relazione ad una tradizione precedente e il riferimento interno che troviamo nel codice benedettino non fa altro che confermare i dati emersi dagli studi in base a cui - ormai sicuramente - il testo che abbiamo tra mano non è nulla di originale ma semplicemente il confluire di una data tradizione da cui è sgorgato un rinnovato flusso di tradizione.

La RB si pone già in una tradizione molto allargata e si potrebbe dire che con il testo benedettino - già evoluto al suo interno, in cui si può già evidenziare una prima stesura che finiva col capitolo 66 e a cui sono stati aggiunti in seguito i restanti e importantissimi capitoli - siamo alla terza generazione. Infatti prima che Benedetto scrivesse la sua Regola - verso la metà del secolo VI - l’Occidente monastico aveva già a sua disposizione nella propria lingua una ventina di regole di cui solo alcune erano traduzioni mentre altre direttamente in latino.

Questi testi comunque erano tutti dipendenti dai grandi maestri dell’Oriente e dagli scritti di Agostino il quale - assieme a Benedetto da Norcia - ha dato un’impronta indelebile a tutto il monachesimo d'Occidente. Agostino proprio ai primi passi della sua conversione a Cristo si incontrò nell’ambiente milanese con gli esempi meravigliosi della Vita Antonii immediatamente tradotta in latino e diffusasi in tutto l’orbe cristiano. Le opere di Agostino, anche quelle meno ascetiche, rivelano la sua stima della vita monastica e mostrano chiaramente l’idea altissima che di essa ebbe. Ad Agostino vengono fatte risalire la Regula ad servos Dei (o Praeceptum) (RA) ed altre due regole: la Regula consensoria (o Consensoria Monachorum) (RC) e l’Ordo Monasterii (OM), ambedue messe in dubbio da alcuni studiosi.

Enorme fu l’influsso di Agostino su tutto il posteriore monachesimo occidentale, specie su Cesario di Arles e su Benedetto. Si deve anche dire che nonostante la menzione particolare di Basilio da parte di Benedetto nella finale della sua Regola, molto di più si deve all’influsso di Agostino che, pur non citato nominalmente è di fondamentale importanza per la particolare evoluzione vissuta da Benedetto e che si riflette nel testo da lui approntato.

 

Intreccio di Regole

Per comprendere il testo della Regola di Benedetto e il rilevante influsso di Agostino non si può omettere di fare riferimento alla Regola del Maestro che per secoli fu ritenuta un maldestro ampliamento della regola benedettina e che ormai incontestabilmente ne è la fonte. Tre volte più ampia del testo benedettino il confronto con la Regola del Maestro - opera di un anonimo vissuto proprio all’inizio del VI secolo in Italia centrale - permette di cogliere attraverso i tagli e le aggiunte fatte da Benedetto quali sono gli elementi che l’Abate di Montecassino ebbe sempre più a cuore e che in certo modo attinse da molti padri ma soprattutto da Agostino.

La Regola del Maestro è un testo lungo e talvolta inutilmente prolisso e particolareggiato, l’esatto contrario dell’assoluta brevità dei testi monastici agostiniani - e si organizza in un modo assolutamente gerarchico, in cui tutta l’attenzione è posta appunto sul Maestro che quale Dottore presiede a tutto, a tutti e sempre. L’organizzazione è quella propria di una scuola in cui tutta la preoccupazione è quella della relazione verticale tra discepoli e maestro e nessuna attenzione è posta al rapporto orizzontale tra fratelli.

Benedetto accoglie l’impianto della Regola del Maestro ma, attraverso aggiunte e tagli, sottolinea il compito altrettanto importante delle relazioni fraterne e dell’amore. Benedetto attinge da Agostino e fa fluire nel testo che esce dalle sue mani l’importanza della comunione fraterna, la cura delle relazioni orizzontali tra fratelli (RB 71-72) accogliendo l’elemento “congregante” che è il fondamento della vita monastica secondo Agostino: «In communem vitam castissimam sanctissimamque congregati, simul aetatem agunt (Riuniti in una vita comune, castissima e santissima, trascorrono insieme il tempo)» (De moribus ecclesiae, 31, 67). Parlando in questi termini Agostino pone la comunità monastica in stretta e diretta connessione con l’assemblea ecclesiale a cui si riferisce tecnicamente proprio in questi termini: congregati sunt (sono riuniti) (De vera religione, VI, 11; Epistulae 187, 37 e 38).

Considerata l’attenzione fondamentale e fondante alla comunione la stessa istituzione della scomunica non è in vista dell'ordine prestabilito come nel Maestro ma è assunta da Benedetto soprattutto come il pericolo di mettere a rischio la vita intera e soprattutto fraterna della comunità (RB 23-29). E questa correzione la si deve ancora una volta all’influsso agostiniano secondo cui la scomunica non è qualcosa di disciplinare ma di essenziale, legata appunto all’incapacità di vivere la comunione. Se non c’è questa capacità di perdono allora «sine causa est in monasterio (sta nel monastero senza alcun giusto motivo)» (RA IV, 11 e VI, 2).

Ma in questo dovere di salvaguardare la persona e la comunità vi è tutto un lavoro di discretio, termine che se si trova 4 volte nella regola benedettina ed è assolutamente assente da quella del Maestro. E sarà proprio la discretio il motivo di particolare considerazione della Regola scritta da Benedetto per Gregorio Magno biografo del santo di Norcia e monaco lui stesso (cfr Dialoghi, II, 36). Tutta l’attenzione del superiore per Agostino sarà proprio quella di aiutare e correggere con «odio del male e amore degli uomini» (RA IV, 10) come riprende Benedetto quando dice: «Detesti i vizi, ami i fratelli» (RB 64, 11) e insistendo perché l’Abate si comporti sempre secondo discrezione «madre di tutte le virtù» (RB 64, 19) e che non corrisponde affatto al lassismo né tanto meno alla mediocrità, ma al rispetto del mistero e della crescita di ciascuno: «in modo che i forti possano desiderare di fare di più, e i deboli non siano tentati di tirarsi indietro» (RB 64, 19).

Inoltre siamo messi di fronte al fatto - fondamentale - che l’Abate per quanto sia «vices Christi» non è solo il Dottore incontestato e incontestabile del monastero che non è una semplice accademia per la vita eterna, ma una vera comunità evangelica in cui il Pastore deve essere di certo obbedito ma pure amato. Agostino non esita a dire «praeposito tamquam patri oboediatur (si obbedisca al preposito come ad un padre)» (RA VII, 1; OM 6) e che è «unus quem patrem appellant (uno solo che chiamano padre)» (De mor. Eccl. 31, 67). Nonostante il fatto che il preposito sia sottoposto al presbitero, in tutto fa il superiore, ma in un modo ben “paterno”.

Inoltre questa paternità non è una paternità assoluta ma temperata e partecipata e laddove il Maestro parla di prevosti la regola di Benedetto parla di decani» (RB 21) per un evidente influsso agostiniano il quale dice: «illi autem decani cum magna sollecitudine omnia disponentes... rationem tamen etiam ipsi reddunt uni quem patrem appellant (Anche i decani a loro volta, disponendo tutto con molta cura...  rendono conto ad uno solo che chiamano padre)» (De moribus ecclesiae, 31, 67).

Per la Regola del Maestro, l'Abate (cfr. capp. 1 e 11) raccoglie in sé tutte le prerogative del potere ecclesiastico quasi fosse un vescovo, l’unica citazione agostiniana - non tralasciata da Benedetto - che si trova nella Regola del Maestro suona così: «parlare ed insegnare è compito del maestro, tacere e ascoltare conviene al discepolo» (RM 8, 37 = RB 6, 6). Ma questo detto di Agostino non riguarda il rapporto monaco-abate bensì quello di vescovo-fedele. Benedetto nel secondo direttorio dell’Abate riprende la regola aurea pastorale: «e abbia cura di essere più amato che temuto» (RB 64, 15), riprendendo pari pari il testo di Agostino (RA VII, 3).

Da parte della Regola del Maestro tutta l’attenzione è posta sulle cose da fare mentre Benedetto ispirandosi ad Agostino si preoccupa di aiutare i monaci anche ad assumere una modalità nel fare tutto ciò che la loro professione esige ed impone. Inoltre per la Regola del Maestro la comunità - come un’accademia specializzata - è rivolta tutta su di sé, mentre Benedetto, imitando Agostino che prevede delle uscite, non esita per esempio a permettere il lavoro dei campi (RB 48, 7) che il Maestro proibisce.

L’elemento caratteristico per Agostino della vita monastica è l’imitazione della prima comunità di Gerusalemme. Questo archetipo e modello sembra essere guardato e cercato senza altre mediazioni come quella sempre più forte e presente dei Padri. Si potrebbe dire che mentre per Agostino ci si riferisce direttamente alla comunità apostolica (cfr. OM 4 e RC 1), Benedetto tiene ormai conto di una mediazione: «come i nostri Padri e gli Apostoli» (RB 48, 1; 49, 1; 40, 6; 18, 24-25; 39,7-9). Se per il Maestro il termine chiave è maestro-discepolo, per Benedetto il termine chiave è quello di frater che è sempre legato ad un aggettivo possessivo (RA I, 7; IV, 7-8. 12; V, 9; VI, 2) che non fa altro che rafforzare l’elemento relazionale evitandone la trasformazione in termine tecnico. I testi monastici agostiniani sono gli unici a non usare mai monachus.

Un simile slittamento terminologico non è solo di termini ma è indice di una tensione che attraversa tutta la storia del monachesimo come pure l’esperienza di ogni singolo monaco e di ogni comunità monastica: quale l’essenza della vita monastica? Essa risiede nella ricerca verticale di Dio o l’essenza - così la pensa Agostino e così completa la Regola di Benedetto - sta nell’essere una comunità in cui Dio viene cercato e, in certo modo, pure trovato! Questo diverso sentire per esempio porta in una Regola come quella di Cesario di Arles per le Vergini a sottolineare fondamentalmente l’elemento della consecratio in vista della preghiera, sempre più pura e pervasiva, mentre per Agostino - e per Benedetto nei capitoli finali della sua Regola - elementi ascetici come il ritiro dal mondo, la rinuncia ai beni, la rinuncia a se stessi sono per una vita di comunione sempre più vera e grande: «in sancta communione vitae, non dicentes aliquid proprium, quibus erat omnia communia, et anima una et cor unum in Deum (conducevano una perfetta vita comune, e nessuno chiamava proprio quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune, e in Dio godevano di una grande unità di cuore e d’anima)» (De opere monachorum, 16, 17).

Qualcuno pensando ad Agostino ha osato esprimersi in termini di «corrupteur de la pure ligne monastique (corruttore della pura condotta monastica)». Una simile affermazione potrà sembrare esagerata, ma assume un suo particolare significato se si tiene conto di come Agostino non si sia assoggettato a nessun tipo di apprendistato monastico e non abbia avuto una iniziazione alla vita monastica attraverso dei “padri”, cosa che, nella mentalità corrente, era di fondamentale importanza. Si pensi ad esempio all’esordio monastico di Benedetto che comincia con un triennio di vita solitaria nello Speco di Subiaco ma solo dopo aver ricevuto - anche se furtivamente - l’«habitus conversationis» dal monaco Romano.

Per Agostino la vita monastica non è altro che un modo per essere cristiani e per esserlo insieme come nella prima comunità di Gerusalemme appena rinata nel dono dello Spirito al mattino di Pentecoste. Ciò che per buona parte delle Regole è la disappropriazione nel senso di mortificazione dell’istinto ad avere qualcosa di proprio «poiché il monaco non ha neppure il diritto di disporre del proprio corpo e della propria volontà» (RB 33, 4), per Agostino si limita ad essere la messa in comune di tutti i beni e di tutte le possibilità nel rispetto della necessità di ciascuno e tenendo conto della provenienza sociale di ogni fratello (RA 1, 5-7). Un principio che Benedetto accoglierà nella sua Regola quando all'interpretazione stretta del testo di At 4, 32 che si trova al capitolo 33 della Regola aggiunge pure nel capitolo seguente la citazione di At 4, 35 «Veniva distribuito a ciascuno secondo il bisogno. [...] e così tutte le membra saranno in pace» (RB 34 come si trova in RA 3, 3). Non solo la distribuzione viene fatta secondo questo principio “apostolico” ma pure la ricezione degli eventuali doni che giungono al monastero o ai singoli fratelli (RA V, 3 e RC 4 come in RB 54).

Si potrebbe concludere dicendo che l’intreccio tra Regola del Maestro e Regola di Agostino - con questo termine “cumulativo” intendiamo tutti e tre i testi legislativi monastici - permette alla Regola di Benedetto di arrivare alla sintesi non solo di due tradizioni monastiche ma anche di due diversi approcci antropologici, teologici e spirituali che rappresentano come un perenne fluire di un pendolo lungo tutta la storia monastica fino ad oggi.

 

Debito benedettino

Ecco alcuni punti precisi della Regola di Benedetto che devono la loro ispirazione ad Agostino. La prima cosa che va notata è che tutta la sezione finale della Regola, dal capitolo 67 al 73, non è altro che un’aggiunta originale di Benedetto che non ha corrispettivo nella Regola del Maestro la quale si chiude (RM 95, 22- 23) - e così si chiudeva pure il testo benedettino - in certo modo su se stessa con il capitolo sui Portinai del monastero (RB 66).

Benedetto da parte sua sente il bisogno ad un certo punto della sua esperienza monastica ed abbaziale di aggiungere 7 capitoli che potrebbero essere messi in parallelo con i primi sette capitoli della Regola che sono ritenuti da sempre i pilastri dottrinali del testo benedettino culminanti nel capitolo sull’umiltà. In questa appendice tutta l’attenzione è in certo modo rivolta alla complessità relazionale della vita fraterna e alla necessità di un grande amore per vivere in pace:

  RB 67: I fratelli mandati in viaggio: nonostante la conclusione di RB 4, Benedetto si rende conto di come sia impossibile non avere rapporti con l’esterno e come già Agostino cerca di evitare l'eccesso di osmosi negativa.

  RB 68: il monaco davanti ad un’obbedienza impossibile: dopo tutto quello che Benedetto ha detto sull’obbedienza radicale lungo tutta la Regola e in specie nei capitoli 5 e 7, in questo capitolo si pone maggiormente dalla parte del monaco che può veramente essere vittima di una mancanza di discernimento da parte del superiore.

  RB 69: In monastero nessuno deve difendere un altro: Benedetto legiferando in proposito riconosce il grande rischio di partitismi in comunità e teme molto i «gravissimi scandali» che ne possono derivare (cfr. RC 5-6).

RB 70: Nessuno osi percuotere un altro: ancora una volta Benedetto si preoccupa del rispetto delle persone e ha cura di evitare quello che si potrebbe chiamare una sorta di “nonnismo” monastico.

RB 71: i fratelli si obbediscano a vicenda: qui si tocca il punto più agostiniano della Regola benedettina in cui il “bonum obedientiae” è direttamente proporzionale al “bonum paternitatis” che si esprime nell'onore scambievole (RA 1, 8).

RB 72:11 buon zelo che i monaci devono avere: riassunto e riduzione all'essenziale dell'amore di tutte le prescrizioni della Regola. Alla lunga lista del capitolo 4 - dove troviamo 72 strumenti delle buone opere - qui tutto si compendia nell’amore: «amino con cuore casto tutti i fratelli, temano Dio con trasporto d'amore, amino il loro abate» (RB 72, 8-10). Nella continua attenzione che come dice Agostino «l’amore che regna tra voi non deve essere carnale, ma spirituale» (RA VI, 3)

RB 73: Questa regola non contiene ogni norma di vita santa: da una Regola che si chiude su se stessa parlando dei portinai del monastero ad una Regola che si riconosce «per principianti» e che si apre ad un orizzonte sconfinato. Mentre la Regola del Maestro - si conclude con la porta del monastero (RM 95, 22-23) - è una regola soddisfatta di se stessa, quella di Benedetto si chiude con un senso di insoddisfazione e quasi di agostinianissima inquietudine: finiva con una porta (RB 66) che si ri-apre verso l’amore (RB 72) e verso quella gioia di cui Benedetto parla a differenza del Maestro (RB 49, 7) e che rappresenta pure la speranza di Agostino (OM 10).

 

Alcuni altri punti precisi della Regola di Benedetto in cui si sente l’influsso forte della legislazione monastica di Agostino:

RB 31, 7-13: se l’economo non ha quello che gli si chiede, abbia una buona parola.

RB 31, 18-19: il fine di ogni cosa è «perché nella casa di Dio nessuno si turbi o si rattristi».

   RB 33, 6: citazione di At 4,36 come in RA 1, 3.

   RB 34,1-5: aggiunta del testo At 4,35; attenzione ai bisogni di ciascuno.

   RB36, 13: attenzione a che si eviti l’«eccessiva fatica».

   RB 52, 1-5: si riprende il testo di Agostino sull’oratorio che in altre regole è un luogo multi-uso come in RA 2, 2.

   Sull’amore fraterno: RB 64,7.8.11.15; 2,34; 63,3; 65, 22; 72,10.

   Altri punti di contatto: RB 36,7-8; 42,3-8; 46,3-4; 54,1-3.

 

Piccola conclusione

Concludendo questo piccolo e rudimentale excursus sul debito che la tradizione benedettina ha con Agostino si potrebbe dire che la “spina agostiniana” è tutt’ora ben conficcata in quella che è la vita monastica nella Chiesa Latina in Occidente. Del resto non potrebbe essere diverso per l'inestricabile legame tra teologia e spiritualità, tra cultura e comportamenti e, visto e considerato come Agostino sia una colonna della teologia della Chiesa Latina e della civiltà occidentale, non si può che essere segnati dal suo pensiero.

Se per Benedetto - nel VI secolo - la lezione agostiniana congiuntamente a quella di Basilio Magno che si cita esplicitamente nella conclusione della Regola, ha rappresentato un punto di confronto enorme, questo vale sempre di più per la generazione attuale dei monaci, tutta tesa a cercare di re-incarnare la tradizione monastica dei Padri secondo la teologia del Vaticano II. Ancora una volta si è di fronte alla difficile sfida di coniugare la verticalità delle relazioni ordinare e gerarchiche nella comunità con lorizzontalità delle relazioni fraterne. Ma ancora di più si tratta di coniugare l'anelito ad una vita di preghiera che metta "verticalmente" in comunione con l’Assoluto, con lo sforzo di rendere presente il Regno di Dio nel tempo e nella storia attraverso la testimonianza di una vita fraterna di comunione nell’amore che sia vera ed autentica.

Se è vero che questi due assi portanti della vita umana, cristiana e monastica sono inscindibili, è anche vero che ogni persona, ma pure ogni epoca, ha la sua preferenza. Benedetto ha tentato a suo modo e a suo tempo una sintesi che si rese via via più necessaria a Monte Cassino, non solo con il decantare dell’ideale accarezzato a Subiaco, ma soprattutto per l’inasprirsi della situazione storica a motivo della terribile guerra greco-gotica del tempo.

Nel nostro tempo Agostino di certo rappresenta un grande aiuto e un grande stimolo per ribadire l’ascesi come una realtà che parte e che porta alla fraternità da soprannaturalizzare ogni giorno di più fino a rendere la comunità non solo icona della Chiesa di Gerusalemme ma ancora più profondamente icona della stessa Trinità. Il rischio è sempre quello di indulgere o ad un verticismo pseudo-mistico che può entrare in un grave conflitto con il Vangelo o quello di appiattirsi o accomodarsi in relazioni fraterne soddisfatte e manierate che non esortano più alla crescita spirituale che è il fine della comunità dove l’amore deve essere «spirituale» (RA VI, 3) e spiritualizzante.

In ogni modo la scuola agostiniana può essere un buon banco di prova perché, in un mondo sempre più individualistico ed egotista, all’«incursione armata» della frammentazione - non certo per mano dei Vandali (cfr. RC 7) - si reagisca secondo il principio che «in nessun caso debbono restare separati coloro che l’amore di Dio ha unito» (ibidem).


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13 maggio 2022          a cura di Alberto "da Cormano" Grazie dei suggerimenti alberto@ora-et-labora.net