Bernardo, Abelardo e la fascinosa Eloisa

Lo scontro violento tra due giganti della storia della Chiesa. Con qualche sorpresa.

Padre Federico Farina, Priore emerito dell’Abbazia di Casamari

Estratto dal sito dell’Abbazia di Casamari (www.casamari.it)

e pubblicato da “La Provincia quotidiano” 17 Agosto 2017 – Ed. Globalpress

 

A questo punto del nostro viaggio attraverso la storia della Chiesa e del monachesimo del XII secolo non possiamo sottrarci – appunto perché riguarda personalmente Bernardo – al dovere di delineare lo scontro tra due giganti, tra Abelardo e Bernardo. Fu non una innocua diatriba accademica o una innocente tenzone dialettica, ma uno scontro violento tra due uomini diversi, nel loro modo di essere, di concepire le cose, nel rappresentare due ideali: l’uno l’uomo di fede nella tradizione, l’altro l’uomo della ragione. Durante la Quaresima del 1139 Bernardo ricevette una lettera dall’amico Guglielmo di Saint-Thierry il quale lo informava: “Pietro Abelardo insegna ancora novità […] i suoi libri oltrepassano il mare e attraversano le Alpi [… ] vi dico che se manterrete il silenzio sarà un pericolo per la Chiesa”. Pietro Abelardo era nato nel 1079, undici anni più anziano di Bernardo. Egli è stato il primo “studioso per amore dello studio” che rivendicava per sé la dedizione alle lettere, come Bernardo alla vita religiosa. Aveva studiato con Roscellino, famoso nominalista condannato dalla Chiesa per la teoria del triteismo. Nel 1108 era divenuto discepolo di Guglielmo di Champeaux, il quale, come abbiamo visto, si era preso amorevolmente cura di Bernardo nella malattia del 1116.

Per l’originalità del pensiero, per la chiarezza della prosa, per la politezza poetica, Abelardo era considerato il maestro più prestigioso di Parigi che, insoddisfatto dei metodi tradizionali nell’insegnamento della teologia speculativa, nutriva l’ambizione di risolvere ogni problema alla luce della sola ragione umana. La vicenda amorosa poi, con Eloisa, ragazza di diciassette anni, cresciuta all’ombra di Notre Dame, ne aveva dilatata la fama. Bernardo aveva probabilmente conosciuto Abelardo a Morigny nel 1131, in occasione della consacrazione dell’altare della chiesa dell’abbazia da parte di Innocenzo II. Certamente la fama della folgorante carriera del “filosofo” aveva raggiunto i monaci di Clairvaux durante le frequenti visite di Guglielmo di Champeaux al tempo della malattia di Bernardo. L’unico incontro documentato con sicurezza e con un certo rilievo antecedente alla controversia di Sens si era risolto in uno scontro aspro, a distanza, echeggiato dall’Epistola X di Abelarado. Un giorno Bernardo aveva visitato il monastero femminile del Paracleto – dove, nel 1128 Eloisa era priora – aveva tenuto una conferenza alle monache ed aveva partecipato ai Vespri nella loro cappella. Aveva notato, però, con sorpresa, che nella recita della preghiera del Signore era stato introdotto un cambiamento! Invece delle parole pane quotidiano del Vangelo di Luca, le monache avevano usato il testo pane super-sostanziale del vangelo di Matteo. Bernardo fece osservare a Eloisa che l’innovazione non gli sembrava necessaria. Ed ella, rispondendo prontamente, fece leva sull’autorità di Abelardo, allora abate di Saint Gildas. Quando riseppe dell’osservazione, Abelardo scrisse una lunga e pungente lettera a Bernardo in cui accusava: “Voi Cistercensi pieni della vostra novità, avete preso la decisione di celebrare l’ufficio divino in una maniera opposta a quell’antica, universale e mantenuta per secoli da monaci e sacerdoti”. Il tono della lettera non lasciava dubbi sull’ostile disposizione d’animo di Abelardo. Era, probabilmente, l’anno 1131. Guglielmo di Saint-Thierry aveva, dunque, stralciato brani della Theologia, aveva condensato in 13 capitula gli errori che vi aveva ravvisato, aveva accluso i due testi incriminati con l’intenzione di spingere Bernardo, che fino a quel momento aveva quasi del tutto ignorato l’insegnamento del maestro, a prendere posizione: “Vos timet homo ille et reformidat”. Bernardo, però, prima della denuncia pubblica, seguendo una prassi di remota tradizione nella Chiesa, premise l’ammonizione fraterna, “si incontrò con lui e lo ammonì in segreto. Bernardo doveva apparire ad Abelardo come l’inflessibile custode della tradizione, anche dove sembrava consentito spazio e respiro alla ragione, mentre il “filosofo” doveva apparire all’abate di Clairvaux uno che non esitava a sottrarsi a norme sacre ed universali per andare dietro ad un talento indisciplinato e personale. Al di là, però, della polemica tra due personalità forti ed affascinanti, cominciava a profilarsi, attraverso loro, il contrasto tra due metodi, due scuole, addirittura tra due mondi di cultura e di spiritualità che in essi si personalizzavano in modo esemplare ed emblematico. Da una parte, l’impiego abile, risoluto, audace della ragione non solo nel campo della filosofia, ma anche in quello della teologia, espressione della nuova spiritualità che ribolliva nelle università cittadine, dall’altra, il tranquillo dispiegarsi del tradizionale metodo espositivo in funzione della ricerca di Dio attraverso l’ascesi e la contemplazione, proprio della spiritualità monastica. La presa di posizione di Bernardo del 1140 servì a stimolare la baldanzosa ed orgogliosa reazione del dialettico che, come aveva fatto un ventennio innanzi con Roscellino, sfidò l’abate a sostenere le accuse sui capitula incriminati in un dibattito pubblico davanti al clero e al popolo a Sens, rimettendosi completamente al giudizio dell’arcivescovo Enrico e delle persone che questi avesse voluto associarsi. Abelardo propose, dunque, ancora una volta la formula del confronto affidato alla forza logica ed all’abilità dialettica, un terreno che istintivamente ricercava ed in cui, a buon diritto, si riteneva imbattibile. In un primo momento, Bernardo rifiutò il confronto ma dagli amici fu, poi, convinto ad accettare perché un rifiuto avrebbe potuto causare danno alla Chiesa. Abelardo giunse con un folto gruppo di discepoli, Bernardo era accompagnato da due soli monaci, come era prescritto dagli Statuti per un monaco cistercense in viaggio. Erano presenti il re Luigi VII, Guglielmo II di Nevers e il conte Teobaldo, insieme ad una folla di vescovi e di abati. La solenne assemblea e il confronto erano previsti per il giorno 3 di giugno. Il 2 giugno Bernardo trascorse la mattinata partecipando alla venerazione delle reliquie e tenendo una predica al popolo. L’abate, nella vigilia, giocò la carta vincente. Sin dal momento in cui aveva accettato, contro voglia, la sfida, aveva capito che si poteva arrivare alla condanna delle teorie di Abelardo – giudicata giusta e necessaria - a condizione di giungere al dibattito dopo aver strappato ai vescovi la sentenza di condanna: egli intendeva porre l’episcopato di fronte alla responsabilità di competenza e di vigilanza nelle questioni di fede. Si tenne, così, una riunione di vescovi pubblica dalla quale fu escluso, o alla quale non fu invitato, Abelardo. Di questa riunione danno attestato l’arcivescovo Enrico nella relazione al papa, Berengario di Poitiers, il più acre sostenitore del filosofo, ed anche Giovanni di Salisbury, una persona al di sopra di ogni sospetto per la sua amicizia serena e sofferta per entrambi.

Il giorno 3 di giugno, dopo l’incontro nella chiesa di Santo Stefano tra il re e l’arcivescovo Enrico, fu dato inizio ai lavori del concilio. In un pulpito - conservato fino alla rivoluzione francese - Bernardo stava in piedi tenendo in mano la Theologia di Abelardo che, a sua volta, stava in piedi su un pulpito posto di fronte. Dopo aver dato lettura dei capitula incriminati, l’abate invitò il filosofo a rifiutarne la paternità, oppure, in caso contrario, a provarli o ad emendarli: un atteggiamento più da giudice che da contro-relatore. Ma Abelardo, certamente a conoscenza della situazione, con mossa abile ed assolutamente imprevedibile, dichiarò che non intendeva rispondere e che si appellava al papa, autorità suprema in materia di fede, mettendo in atto uno stratagemma beffardo teso a vanificare tutta l’opera del concilio. Gli insegnamenti di Abelardo furono condannati dal concilio di Sens; ma Bernardo, non contento di una vittoria dovuta soltanto alla autorità, scrisse, in forma di lettera, a Innocenzo II un trattato Contro gli errori di Abelardo, in cui analizzava “non tutti i suoi errori, ma solo quelli che non potevano essere passati sotto silenzio”. L’errore più grave, a giudizio di Bernardo, era la definizione della fede. La religione è certezza, la fede è immutabile e, a giudizio di Bernardo, ridurre i misteri della religione a semplici argomenti di ragione è cosa orribile quanto negarli. Essi devono essere adorati in raccolta ammirazione, meditati nel profondo del cuore fin quando le realtà temporali non saranno assorbite nel fulgore eterno della visione beatifica. Abelardo, intanto, mentre era in viaggio verso Roma per esporre personalmente la sua difesa, fu raggiunto dalla notizia che il suo appello al papa era stato respinto. Sentendosi braccato, chiese asilo nell’abbazia di Cluny. L’abate Pietro il venerabile, pur condannando gli insegnamenti di Abelardo, mosso da carità verso il fratello sofferente, gli garantì generosa e comprensiva ospitalità. In una lettera al Papa ebbe a dire: “Maestro Pietro che, credo, bene noto alla vostra saggezza, passando ultimamente per la Francia si è fermato a Cluny […] non molto tempo fa, l’abate di Cîteaux è giunto qui ed ha discusso con me e con Pietro sulla forma della riconciliazione; lo abbiano esortato a riconciliarsi con Bernardo in compagnia dell’abate di Cîteaux. Io ho aggiunto che, se ha scritto qualcosa di offensivo agli orecchi dei cattolici, egli seguendo il consiglio di Bernardo, lo espunga dai suoi libri. Ha obbedito. È andato e tornato e ci ha raccontato come abbia incontrato Bernardo con la mediazione dell’abate di Cîteaux e come i vecchi dissensi siano stati risolti pacificamente”. Abelardo non andò mai a Roma. Un giorno del 1142, la priora Eloisa ricevette una lettera da parte di Pietro il venerabile: “Maestro Pietro ha finito i suoi giorni. Egli, che per la sua sapienza acquisì tanta fama nel mondo, alla sequela di Colui che disse: “Imparate da me che sono mite e umile di cuore”, ha perseverato nella mitezza e nella umiltà e, fondatamente, crediamo, è passato al Signore. Voi, venerabile e cara sorella, siate sempre memore del vostro sposo nel Signore, quello sposo cui prima foste unita con il legame di un amore terreno, poi con quello più forte e più alto della carità divina, con il quale e sotto la cui guida avete servito il Signore. Il Dio che rappresentate possa confortarlo nel suo grembo, confortarlo al vostro posto e custodirlo fin quando non vi sarà restituito alla venuta del Signore”. Sarebbe interessante conoscere come Bernardo abbia ricevuto la notizia della morte di Abelardo; le cronache non ce l’hanno tramandato. Sappiamo, però, che Guglielmo di Saint-Thierry, il quale aveva sollevato la tempesta contro di lui, confessò dopo la morte dell’avversario: “Eppure gli volevo bene”.

  


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22 novembre 2021        a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net