L'IMITAZIONE DI CRISTO


Libro III - Capitoli da XXXI a LIX

 

PROSEGUE IL LIBRO DELLA CONSOLAZIONE INTERIORE

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Capitolo XXXI

ABBANDONARE OGNI CREATURA PER POTER TROVARE DIO

 

  1. O Signore, davvero mi occorre una grazia sempre più grande, se debbo giungere là dove nessuno né alcuna cosa creata mi potrà essere di impaccio; infatti, finché una qualsiasi cosa mi trattenga, non potrò liberamente volare a te. E liberamente volare a te, era appunto, l'ardente desiderio di colui che esclamava: "Chi mi darà ali come di colomba, e volerò, e avrò pace?" (Sal 54,7). Quale pace più grande di quella di un occhio puro? Quale libertà più grande di quella di chi non desidera nulla di terreno? Occorre dunque passare oltre ad ogni creatura; occorre tralasciare pienamente se stesso, uscire spiritualmente da sé; occorre capire che tu, che hai fatto tutte le cose, non hai nulla in comune con le creature. Chi non è libero da ogni creatura, non potrà attendere liberamente a ciò che è divino. Proprio per questo sono ben pochi coloro che sanno giungere alla contemplazione, perché pochi riescono a separarsi appieno dalle cose create, destinate a perire. Per giungere a ciò, si richiede una grazia grande, che innalzi l'anima e la rapisca più in alto di se medesima. Ché, se uno non è elevato nello spirito e libero da ogni creatura; se non è totalmente unito a Dio, tutto quello che sa e anche tutto quello che possiede non ha grande peso. Sarà sempre piccolo e giacerà a terra colui che apprezza qualcosa che non sia il solo, unico, immenso ed eterno bene. In verità ogni cosa, che non sia Dio, è un nulla, e come un nulla va considerata. Ben differenti sono la virtù della sapienza, propria dell'uomo illuminato e devoto, e la scienza, propria dell'erudito e dotto uomo di studio. Giacché la sapienza che emana da Dio, e fluisce dall'alto in noi, è di gran lunga più sublime di quella che faticosamente si acquista con il nostro intelletto.

  2. Troviamo non poche persone che desiderano la contemplazione, ma poi non si preoccupano di mettere in pratica ciò che si richiede per la contemplazione stessa; e il grande ostacolo consiste in questo, che ci si accontenta degli indizi esterni e di ciò che cade sotto i sensi, possedendo ben poco della perfetta mortificazione. Non so come sia, da quale spirito siamo mossi, a quale meta tendiamo, noi che sembriamo aver fama di spirituali: ci diamo tanta pena e ci preoccupiamo tanto di queste cose che passano e non hanno valore alcuno, mentre a stento riusciamo, qualche rara volta, a pensare al nostre essere interiore, in totale raccoglimento. Un raccoglimento breve, purtroppo; dopo del quale ben presto ci buttiamo alle cose esteriori, senza più sottoporre il nostro agire a un vaglio severo. Dove siano posti e ristagnino i nostri affetti, noi non badiamo; e non ci disgusta che tutto sia corrotto. Invece il grande diluvio avvenne perché "ciascuno aveva corrotto la sua vita" (Gn 6,12). Quando, dunque, la nostra interna inclinazione è profondamente guastata, necessariamente si guasta anche la conseguente azione esterna, rivelatrice di scarsa forza interiore. E' dal cuore puro che discendono frutti di vita virtuosa. Si indaga quanto uno abbia fatto, ma non si indaga attentamente con quanta virtù egli abbia agito. Si guarda se uno sia stato uomo forte e ricco e nobile; se sia stato abile e valente scrittore, cantante eccellente o bravo lavoratore; ma si tace, da parte di molti, su quanto egli sia stato povero in spirito e paziente e mite e devoto, e quanta spiritualità interiore egli abbia avuto. La natura bada alle cose esterne dell'uomo; la grazia si rivolge alle cose interiori. Quella frequentemente si inganna, questa si affida a Dio per non essere ingannata.

RIFLESSIONI E PRATICHE

Non si richiede molta pietà per desiderare di godere i vantaggi infiniti della contemplazione. Ma chi vuol fare quanto è necessario per giungervi? Libertà perfetta di spirito che può derivare soltanto dal completo distacco da tutte le creature, generale rinunzia, cioè abnegazione di se stesso: mortificazione continua della carne e dei sensi, della mente e del cuore; grande purezza d'intenzione, grande cura di non perdere mai il raccoglimento interno, esame serio e diligente di tutte le azioni, parole, desideri e pensieri, fatto alla presenza di Dio: ecco i mezzi più sicuri per sollevarci a stato così sublime.

 

Capitolo XXXII

RINNEGARE SE STESSI E RINUNCIARE AD OGNI DESIDERIO

 

  1. O figlio, se non avrai rinnegato totalmente te stesso, non potrai avere una perfetta libertà. Infatti sono come legati, tutti coloro che portano amore alle cose e a se stessi, pieni di bramosia e di curiosità, svagati, sempre in cerca di mollezze. Essi vanno spesso immaginando e raffigurando, non ciò che è di Gesù Cristo, ma ciò che è perituro; infatti ogni cosa che non è nata da Dio scomparirà. Tieni ben ferma questa massima, breve e perfetta: tralascia ogni cosa; rinunzia alle brame e troverai la pace. Quando avrai attentamente meditato nel tuo cuore questa massima, e l'avrai messa in pratica, allora comprenderai ogni cosa. O Signore, non è, questa, una faccenda che si possa compiere in un giorno; non è un gioco da ragazzi. Che anzi in queste brevi parole si racchiude tutta la perfezione dell'uomo di fede.

  2. O figlio, non devi lasciarti piegare, non devi subito abbatterti, ora che hai udito quale è la strada di chi vuole essere perfetto. Devi piuttosto sentirti spinto a cose più alte; almeno ad aspirare ad esse col desiderio. Volesse il cielo che così fosse per te; che tu giungessi a non amare più te stesso, e ad attenerti soltanto alla volontà mia e di colui che ti ho mostrato quale padre. Allora tu mi saresti assai caro e la tua vita si tramuterebbe tutta in una pace gioiosa. Ma tu hai ancora molte cose da abbandonare; e se non rinunzierai a tutte le cose e del tutto, per me, non otterrai quello che chiedi. "Il mio invito è che, per farti più ricco, tu acquisti da me l'oro colato" (Ap 3,18), vale a dire la celeste sapienza, che sovrasta tutto ciò che è basso; che tu lasci indietro e la sapienza di questo mondo ed ogni soddisfazione di se stesso ed ogni compiacimento degli uomini. Il mio invito è che tu, in luogo di ciò che è ritenuto prezioso e importante in questo mondo, acquisti una cosa disprezzante: la vera sapienza, che viene dal cielo ed appare qui disprezzata assai, piccola e quasi lasciata in oblio. Sapienza che non presume molto di sé, non ambisce ad essere magnificata quaggiù e viene lodata a parole da molti, i quali, con la loro vita, le stanno invece lontani. Eppure essa è la gemma preziosa, che i più lasciano in disparte.

RIFLESSIONI E PRATICHE

Il rinunziare a se stesso, al mondo ed a tutto, il mortificarci nei nostri desideri ed il sottomettere completamente la propria volontà a quella di Dio e di coloro che egli ci ha dato per maestri e padri spirituali che tengono le sue veci, cioè i nostri superiori: è la sola scienza utile, la vera sapienza. celeste, perla preziosissima, oro purissimo che si deve comprare a qualunque prezzo se desideriamo arricchire.

 

Capitolo XXXIII

L'INSTABILITA' DEL NOSTRO CUORE E LA INTENZIONE ULTIMA, CHE DEVE ESSERE POSTA IN DIO

 

  1. O figlio, non ti fidare della disposizione d'animo nella quale ora ti trovi; ben presto essa muterà in una disposizione diversa. Per tutta la vita sarai oggetto, anche se tu non lo vuoi, a tale mutevolezza. Volta a volta, sarai trovato lieto o triste, tranquillo o turbato, fervente oppure no, voglioso o pigro, pensoso o spensierato. Ma colui che è ricco di sapienza e di dottrina spirituale si pone saldamente al di sopra di tali mutevolezze, non badando a quello che senta dentro di sé, o da che parte spiri il vento della instabilità; badando, invece, che tutto il proposito dell'animo suo giovi al fine dovuto e desiderato. Così infatti egli potrà restare sempre se stesso in modo irremovibile, tenendo costantemente fisso a me, pur attraverso così vari eventi, l'occhio puro della sua intenzione.

  2. E quanto più puro sarà l'occhio dell'intenzione, tanto più sicuro sarà il cammino in mezzo alle varie tempeste. Ma quest'occhio puro dell'intenzione, in molta gente, è offuscato, perché lo sguardo si volge presto a qualcosa di piacevole che balzi dinanzi. E poi raramente si trova uno che sia esente del tutto da questo neo, di cercare la propria soddisfazione: Come gli Ebrei, che erano venuti, quella volta, a Betania, da Marta e Maria, "non già per vedere Gesù, ma per vedere Lazzaro" (Gv 12,9).

  3. Occorre, dunque, che l'occhio dell'intenzione sia purificato, reso semplice e retto; occorre che esso, al di là di tutte le varie cose che si frappongono, sia indirizzato a me.

RIFLESSIONI E PRATICHE

Incomprensibile ed inesprimibile è la leggerezza e l'incostanza del cuore umano. Siccome egli continuamente cerca la pace e la felicità, s'arresta ad ogni passo per procurarsela, ma sempre rimane deluso. La cerca nelle creature, ma non trovandola né in questa né in quella, passa dall'una all'altra. Avviene quindi in lui un continuo mutamento di idee, di propositi e di desideri. Soltanto il vero savio è costante ed irremovibile, poiché egli ammaestrato dallo Spirito Santo, si fissa in Dio con un'intenzione semplice, pura e retta; non s'arresta per nessun motivo nel cammino verso il sommo Bene, unica sua meta che egli mai perde di vista.

 

Capitolo XXXIV

CHI E' RICCO D'AMORE GUSTA DIO IN TUTTO E AL DI SOPRA DI OGNI COSA

 

  1. Ecco, mio Dio e mio tutto. Che voglio di più; quale altra cosa posso io desiderare per la mia felicità? O parola piena di dolce sapore, sapore però che gusta soltanto colui che ama il Verbo, non colui che ama il mondo e le cose del mondo! Mio Dio e mio tutto. E' detto abbastanza per chi ha intelletto; ed è una gioia, per chi ha amore, ripeterlo spesso. In verità, se tu sei con noi, recano gioia tutte le cose; se, invece, tu sei lontano, tutto infastidisce. Sei tu che dai pace al cuore: una grande pace e una gioia festosa. Sei tu che fai gustare rettamente ogni cosa e fai sì che noi ti lodiamo in tutte le cose. Senza di te nulla ci può dare diletto durevole. Perché una cosa possa esserci gradita e rettamente piacevole, occorre che la tua grazia non sia assente; occorre che questa cosa sia condita del condimento della tua sapienza. C'è forse una cosa che uno non sappia rettamente gustare, se questi ha gusto di te? E che cosa mai potrà esserci di gioioso per uno che non ha gusto di te? Dinanzi alla tua sapienza, scompaiono i sapienti di questo mondo; scompaiono anche coloro che amano ciò che è carnale: tra quelli si trova una grande vanità, tra questi la morte. Veri sapienti sono riconosciuti , all'incontro, coloro che seguono te, disprezzando le cose di questo mondo e mortificando la carne: veri sapienti, perché passati dalla vanità alla verità, dalla carne allo spirito. Sono questi che sanno gustare Dio, e riconducono a lode del Creatore tutto ciò che di buono si trova nelle creature.

  2. Diversi, molto diversi per noi, sono il gusto che dà il Creatore e il gusto che dà la creatura; quello dell'eternità e quello del tempo; quello della luce increata e quello della luce che viene data. O eterna luce, che trascendi ogni luce creata, manda dall'alto un lampo splendente, che tutto penetri nel più profondo del mio cuore! Rendi puro e lieto e limpido e vivo il mio spirito, in tutte le sue facoltà; che esso sia intimamente unito a te, in un gioioso abbandono. Quando, dunque, verrà quel momento beato ed atteso, in cui tu mi appagherai pienamente con la tua presenza e sarai tutto e in tutto per me? Fino a quando questo non mi sarà concesso, non ci sarà per me una piena letizia. Ancora, purtroppo, vive in me l'uomo vecchio; ancora non è totalmente crocefisso, non è morto del tutto; ancora si pone duramente, con le sue brame, contro lo spirito; muove lotte interiori e non permette che il regno dell'anima abbia pace. Ma "tu, che comandi alla forza del mare e plachi il moto dei flutti (Sal 88,10), levati in mio soccorso (Sal 43,25); disperdi le genti che vogliono la guerra (Sal 67,31)abbattile con la tua potenza" (Sal 58,12). Mostra, te ne scongiuro, le tue opere grandi, e sarà data gloria alla tua speranza, altro rifugio non mi è dato se non in te, Signore Dio mio.

    RIFLESSIONI E PRATICHE

    Non si può mai ripetere abbastanza e mai si ripeterà senza profitto e dolcezza che Dio è il nostro tutto. Possedendo Lui, possediamo tutto; e senza di Lui ogni cosa è vanità, illusione, nulla. Per comprendere bene questo bisogna aver gusto di Dio, ma non lo gusta che chi l'ama; e chi più l'ama, più lo gusta. A un tale gusto ed amore si oppone qualsiasi altro affetto verso le creature e quindi in questa vita mai lo possederemo perfettamente, ma solo nella vita futura che dev'essere l'unico oggetto dei nostri desideri e delle nostre speranze.

     

Capitolo XXXV

IN QUESTA VITA, NESSUNA CERTEZZA DI ANDARE ESENTI DA TENTAZIONI

 

  1. O figlio, giammai, in questa vita, sarai libero dall'inquietudine: finché avrai vita, avrai bisogno d'essere spiritualmente armato. Ti trovi tra nemici e vieni assalito da destra e da sinistra. Perciò, se non farai uso, da una parte e dall'altra, dello scudo della fermezza, non tarderai ad essere ferito. Di più, se non terrai il tuo animo fisso in me, con l'unico proposito di tutto soffrire per amor mio, non potrai reggere l'ardore della lotta e arrivare al premio dei beati. Tu devi virilmente passare oltre ogni cosa, e avere braccio valido contro ogni ostacolo: "la manna viene concessa al vittorioso" (Ap 2,17), mentre una miseria grande è lasciata a chi manca di ardore.

  2. Se vai cercando la tua pace in questa vita, come potrai giungere alla pace eterna? Non a una piena di tranquillità, ma a una grande sofferenza ti devi preparare. Giacché la pace vera non la devi cercare in terra, ma nei cieli; non negli uomini, o nelle altre creature, ma soltanto in Dio. Tutto devi lietamente sopportare, per amore di Dio: fatiche e dolori; tentazioni e tormenti; angustie, miserie e malanni; ingiurie, biasimi e rimproveri; umiliazioni e sbigottimenti; ammonizioni e critiche sprezzanti. Cose, queste, che aiutano nella via della virtù e costituiscono una prova per chi si è posto al servizio di Cristo; cose, infine, che preparano la corona del cielo. Ché una eterna ricompensa io darò un travaglio di breve durata; e una gloria senza fine, per una umiliazione destinata a passare.

  3. Forse tu credi di poter sempre avere le consolazioni spirituali a tuo piacimento? Non ne ebbero sempre neppure i miei santi; i quali soffrirono, invece, tante difficoltà e tentazioni di ogni genere e grandi desolazioni. Sennonché, con la virtù della sopportazione, essi si tennero sempre ritti, confidando più in Dio che in se stessi; consci che "le sofferenze del momento presente non sono nulla a confronto della conquista della gloria futura" (Rm 8,18). O vuoi tu avere subito quello che molti ottennero a stento, dopo tante lacrime e tante fatiche? "Aspetta il Signore, comportati da uomo" (Sal 26,14), e fatti forza; non disperare, non disertare. Disponiti, invece, fermamente, anima e corpo, per la gloria di Dio. Strabocchevole sarà la mia ricompensa. Io sarò con te in ogni tribolazione.

    RIFLESSIONI E PRATICHE

    Se la vita, come dice Giobbe, è una milizia sopra la terra, perché soggetta a frequenti e quasi continue tentazioni, tu devi, seguendo il consiglio del Savio, preparare l'anima tua alla tentazione, cioè: 1. non porre la tua felicità nell'essere esente dalle tribolazioni e tentazioni, ma nel sopportarle meritoriamente; 2. non esporti alle tentazioni, e non metterti nell'occasione di peccato, ma se ti avvenisse d'essere assalito dalle tentazioni o d'inciampare nelle occasioni di peccato, opponi loro lo scudo della pazienza, e combatti e resisti senza tregua; 3. vigila, prega, umiliati, ricorri con fiducia al Signore, sicuro che se attribuirai a Lui ogni tua forza, Egli combatterà per te, ti farà trionfare sui tuoi nemici e dopo la vittoria Egli stesso sarà la tua corona.

 

Capitolo XXXVI

CONTRO I VUOTI GIUDIZI UMANI

 

  1. O figlio, poni saldamente il tuo cuore nel Signore; e se la coscienza ti proclama onesto e senza colpa, non temere il giudizio degli uomini. Cosa buona e santa è sopportare il giudizio umano; cosa non gravosa per chi è umile di cuore e confida in Dio, più che in se stesso. C'è molta gente che parla tanto: e, perciò, poco è il credito che le si deve dare. Del resto, fare contenti tutti non è possibile. Che se Paolo cercò di piacere a tutti nel Signore e si fece "tutto per tutti" (1Cor 9,22), tuttavia non diede alcuna importanza al fatto d'essere giudicato da questo tempo"(1Cor 4,3). Egli operò grandemente, con tutto se stesso e con tutte le sue forze, per l'edificazione e la salvezza del prossimo; ma non poté impedire che talvolta fosse giudicato e persino disprezzato dagli altri. Per questo, tutto mise nelle mani di Dio, a cui tutto è noto. Con la pazienza e con l'umiltà egli si difese dalla sfrontatezza di quelli che dicevano iniquità o pensavano vuotaggini e menzogne o buttavano fuori ogni cosa a loro capriccio: pur talvolta rispondendo, perché dal suo silenzio non nascesse scandalo ai deboli.

  2. "Chi sei tu mai, per avere paura di un uomo mortale? " (Is 51,12). L'uomo, oggi c'è, e domani non lo si vede più. Temi Iddio, e non ti sgomenterai di ciò che può farti paura da parte degli uomini. Che cosa può un uomo contro di te, con parole e improperi? Egli nuoce a se stesso, più che a te; né potrà sfuggire al giudizio di Dio, chiunque egli sia. Per quanto ti riguarda, tu tieni fissi gli occhi in Dio, e "non voler opporti a lui, con parole di lamento" ("Tm 2,14). Che se, al momento, sembra che tu soccomba e che tu sia coperto di vergogna immeritata, non devi, per questo, sdegnarti; né devi fare che sia più piccolo il tuo premio, per difetto di pazienza. Guarda, invece, a me, cui è dato di strappare l'uomo da ogni ingiustizia, "rendendo a ciascuno secondo le sue opere" (Mt 16,27; Rm 2,6).

    RIFLESSIONI E PRATICHE

    I giudizi ingiusti e leggeri, i sospetti temerari, le maldicenze le ingiurie e gli oltraggi degli uomini, non possono per. nulla nuocerci: anzi, ci sono di grande utilità, conservandoci umili, facendoci esercitare la pazienza, rendendoci più cauti nelle parole e nelle azioni e contribuendo a formare ed ornare la nostra corona in cielo. Bisogna adunque trascurare siffatti giudizi, riceverli con umiltà, rimettere ogni cosa a Dio che tutto conosce, e consolarsi nella buona testimonianza della propria coscienza. Non dobbiamo neppure giustificarci, so non quando la giustificazione sia necessaria all'edificazione dei deboli. Poiché come dobbiamo cercare di piacere agli uomini soltanto per onore di Dio, così solo per la maggior gloria sua possiamo giustificarci meritoriamente.

 

Capitolo XXXVII

L'ASSOLUTA E TOTALE RINUNCIA A SE STESSO PER OTTENERE LIBERTA' DI SPIRITO

 

  1. O figlio, abbandona te stesso, e mi troverai. Vivi libero da preferenze, libero da tutto ciò che sia tuo proprio, e ne avrai sempre vantaggio; ché una grazia sempre più grande sarà riversata sopra di te, non appena avrai rinunciato a te stesso, senza volerti più riavere. O Signore, quante volte dovrò rinunciare, e in quali cose dovrò abbandonare me stesso? Sempre, e in ogni momento, sia nelle piccole come nelle grandi cose. Nulla io escludo: ti voglio trovare spogliato di tutto. Altrimenti, se tu non fossi interiormente ed esteriormente spogliato di ogni tua volontà, come potresti essere mio; e come potrei io essere tuo? Più presto lo farai, più sarai felice; più completamente e sinceramente lo farai, più mi sarai caro e tanto maggior profitto spirituale ne trarrai. Ci sono alcuni che rinunciano a se stessi, ma facendo certe eccezioni: essi non confidano pienamente in Dio, e perciò si affannano a provvedere a se stessi. Ci sono alcuni che dapprima offrono tutto; ma poi, sotto i colpi della tentazione, ritornano a ciò che è loro proprio, senza progredire minimamente nella virtù. Alla vera libertà di un cuore puro e alla grazia della rallegrante mia intimità, costoro non giungeranno, se non dopo una totale rinuncia e dopo una continua immolazione; senza di che non si ha e non si avrà una giovevole unione con me.

  2. Te l'ho detto tante volte, ed ora lo ripeto: lascia te stesso, abbandona te stesso e godrai di grande pace interiore. Da' il tutto per il tutto; non cercare, non richiedere nulla; sta' risolutamente soltanto in me, e mi possederai, avrai libertà di spirito, e le tenebre non ti schiacceranno. A questo debbono tendere il tuo sforzo, la tua preghiera, il tuo desiderio: a saperti spogliare di tutto ciò che è tuo proprio, a metterti nudo al seguito di Cristo nudo, a morire a te stesso, a vivere sempre in me. Allora i vani pensieri, i perversi turbamenti, le inutili preoccupazioni, tutto questo scomparirà. Allora scompariranno il timore dissennato, e ogni amore non conforme al volere di Dio.

    RIFLESSIONI E PRATICHE

    La spogliazione che Dio richiede dai suoi servi deve avere due caratteristiche: 1. sia completa, cioè sia fatta senza alcuna riserva anche minima; 2. sia continua e costante, cioè dal primo istante della propria conversione sino all'ultimo momento di vita. Così Iddio rigetta ugualmente sia coloro che si danno a Lui con qualche riserva, sia quelli che, datisi già a Lui interamente, ritraggono poi qualcuna delle cose date. Infatti il sacrificio perché sia grato a Dio dev'essere olocausto perfetto, cioè la vittima deve essere interamente consumata dalle fiamme del divino amore. In questa generale spogliazione ed in questo olocausto perfetto consiste la massima perfezione della virtù cristiana, la quale dev'essere la meta dei nostri sforzi e delle nostre preghiere.

 

Capitolo XXXVIII

IL BUON GOVERNO DI SE' NELLE COSE ESTERNE E IL RICORSO A DIO NEI PERICOLI

 

  1. O figlio, tu devi attentamente mirare a questo, che dappertutto, e in qualunque azione ed occupazione esterna, tu rimanga interiormente libero e padrone di te; che le cose siano tutte sotto di te, e non tu sotto di esse. Cosicché tu abbia a dominare e governare i tuoi atti, e tu non sia come un servo o mercenario, ma tu sia libero veramente come l'ebreo, che passa dalla servitù alla condizione di erede e alla libertà dei figli di Dio. I figli di Dio stanno al di sopra delle cose di questo mondo, e tengono gli occhi fissi all'eterno; guardano con l'occhio sinistro le cose che passano, e con il destro le cose del cielo; infine non sono attratti, così da attaccarvisi, dalle cose di questo tempo, ma traggono le cose a sé, perché servano al bene, così come sono state disposte da Dio e istituite dal sommo artefice. Il quale nulla lascia, in alcuna sua creatura, che non abbia il suo giusto posto.

  2. Se, di fronte a qualunque avvenimento, non ti fermerai all'apparenza esterna e non apprezzerai con occhio carnale tutto ciò che vedi ed ascolti; se, all'incontro, in ogni questione, entrerai subito, come Mosé, sotto la tenda, per avere consiglio dal Signore, udrai talvolta la risposta di Dio, e ne uscirai istruito su molte cose di oggi e del futuro. Era solito Mosé ritornare alla sua tenda, per dubbi e quesiti da risolvere; era solito rifugiarsi nella preghiera, per alleviare i pericoli e le perversità degli uomini. Così anche tu devi rifugiarti nel segreto del tuo cuore, implorando con tanta intensità l'aiuto divino. Che se - come si legge - Giosuè e i figli di Israele furono raggirati dai Gabaoniti, fu proprio perché non chiesero prima il responso del Signore; ma, facendo troppo affidamento su questi allettanti discorsi, furono traditi da una falsa benevolenza.

    RIFLESSIONI E PRATICHE

    Uno dei più grandi segreti di vita interiore è il conservare. anche nelle occupazioni che più dissipano, una libertà perfetta di mente e di cuore. I due mezzi atti ad ottenerla sono il raccoglimento e la preghiera: mezzi questi infallibili per distaccarci dalla terra, dalla carne, dai sensi e da noi stessi per innalzarci fino a trattare famigliarmente con Dio.

 

Capitolo XXXIX

NESSUN AFFANNO NEL NOSTRO AGIRE

 

  1. O figlio, ogni tua faccenda affidala a me; al tempo giusto disporrò sempre io per il meglio. Attieniti al mio comando e ne sentirai vantaggio. O Signore, di gran cuore affido a te ogni cosa; poco infatti potranno giovare i miei piani. Volesse il cielo che io non fossi tanto preso da ciò che potrà accadere in futuro, e mi offrissi, invece, senza esitare alla tua volontà.

  2. O figlio, capita spesso che l'uomo persegua con ardore alcunché di cui sente la mancanza; e poi, quando l'ha raggiunto, cominci a giudicare diversamente, perché i nostri amori non restano fermi intorno a uno stesso punto, e ci spingono invece da una cosa all'altra. Non è una questione da nulla rinunciare a se stessi, anche in cose di poco conto. Il vero progresso dell'uomo consiste nell'abnegazione di sé. Pienamente libero e sereno è appunto soltanto chi rinnega se stesso. Ecco, però, che l'antico avversario, il quale si pone contro tutti coloro che amano il bene, non tralascia la sua opera di tentazione; anzi, giorno e notte, prepara gravi insidie, se mai gli riesca di far cadere nel laccio dell'inganno qualcuno che sia poco guardingo. "Vegliate e pregate, dice i Signore, per non entrare in tentazione" (Mt 26,41).

    RIFLESSIONI E PRATICHE

    Si fa tutto male quando prima d'ogni azione non si consulta il Signore; oppure quando si agisce per capriccio e con troppa sollecitudine senza aspettare i momenti prescritti dalla divina Provvidenza, colpa questa che ordinariamente viene punita col cattivo esito delle cose intraprese. Non si contenta il nostro pio autore di farcene conoscere l'enormità, ma indica anche il mezzo più opportuno per evitarla; il quale consiste nel lasciare a Dio la cura delle nostre cose e nell'abbandonarci interamente nelle sue mani. Così pure debbono essere gli esercizi e le pratiche del cristiano dal primo all'ultimo istante della sua vita, nessuna inquietudine per il domani, perfetta sottomissione alla divina volontà, piena fiducia nella Provvidenza del Signore, rinnegazione completa di se stesso, continua vigilanza di preghiera per non cadere in tentazione.

     

Capitolo XL

NULLA DI BUONO HA L'UOMO DA SE' E DI NULLA PUO' VANTARSI

 

  1. "O Signore, che cosa è l'uomo, che tu abbia a ricordarti di lui? Che cosa è il figlio dell'uomo, che tu venga a lui?" (Sal 8,5). Quali meriti ha mai l'uomo, perché tu gli dia la tua grazia? O Signore, di che posso lamentarmi se mi abbandoni; che cosa posso, a buon diritto, addurre se tu non mi concedi quello che chiedo? Soltanto questo, in verità, posso dire, con certezza, in cuor mio: Signore, nulla io sono, nulla posso, nulla di buono io ho da me stesso; anzi fallisco in ogni cosa, tendendo sempre al nulla. Se non vengo aiutato da te e plasmato interiormente, mi infiacchisco totalmente e mi abbandono. "Invece tu, o Signore, sei sempre te stesso e tale resti in eterno" (Sal 101, 28.31), immutabilmente buono, giusto, santo, talché fai e disponi ogni cosa con sapienza. Io, invece, essendo più pronto a regredire che ad avanzare, non mi mantengo sempre nella stessa condizione; che anzi "sette tempi diversi passano sopra di me" (Dn 4, 13.20.22); anche se il mio stato può, d'un tratto, mutarsi in meglio, non appena tu lo vuoi, e mi porgi la mano soccorritrice. Da te solo, infatti, non già dall'uomo soccorso, mi può venire l'aiuto e il dono della fermezza, cosicché la mia faccia non muti continuamente, e il mio cuore si volga solo a te, e in te trovi pace. Dunque, se io fossi capace di disprezzare ogni consolazione degli uomini - sia per conseguire maggior fervore, sia per rispondere al bisogno di cercare te, in mancanza di chi mi possa confortare - allora potrei fondatamente sperare nella tua grazia ed esultare del dono di una rinnovellata consolazione.

  2. Siano rese grazie a te; a te dal quale tutto discende, se qualcosa di buono mi accade. Ché io non sono altro che vanità, "anzi un nulla, al tuo cospetto" (Sal 38, 6), un uomo incostante e debole. Di che cosa posso io vantarmi; come posso pretendere di essere stimato? Forse per quel nulla che io sono? Sarebbe vanità sempre più grande. O veramente vuota vanteria, peste infame, massima presunzione, che distoglie dalla vera gloria, privandoci della grazia del cielo. Giacché mentre si compiace di se stesso, l'uomo dispiace a te; mentre ambisce ad essere lodato dagli altri, si spoglia della vera virtù. Vera gloria, invece, e gaudio santo, è gloriarci in te, non in noi; trovare compiacimento nel tuo nome, non nella nostra virtù; non cercare diletto in alcuna creatura, se non per te. Sia lodato il tuo nome, non il mio; siano esaltate le tue opere, non le mie; sia benedetto il tuo nome santo, e a me non sia data lode alcuna da parte degli uomini. Tu sei la mia gloria e la gioia del mio cuore; in te esulterò e mi glorierò sempre: "per nulla invece in me, se non nella mia debolezza" ("Cor 12,5). Lasciando ai Farisei il cercare gloria gli uni dagli altri, io cercherò quella gloria che viene solo da Dio. A confronto della tua gloria eterna, è vanità e stoltezza ogni lode che viene dagli uomini, ogni onore di quaggiù, ogni mondana grandezza. O mia verità e mia misericordia, mio Dio, Trinità beata, a te solo sia lode, onore, virtù e gloria, per gli infiniti secoli dei secoli!

    RIFLESSIONI E PRATICHE

    Nell'ordine della natura siamo un vero nulla. Nell'ordine della grazia non siamo che peccato, incostanza, debolezza ed incapaci d'operare anche il minimo bene. Così noi tendiamo sempre al nulla ed al male. Verità così umilianti debbono mortificare il nostro amor proprio ed abbattere il nostro orgoglio; ma non debbono farci disperare, poiché tutto ciò che manca in noi è in Dio, e per ottenerlo non abbiamo che da riconoscere il nostro nulla, esporgli con umiltà i nostri bisogni e rinunziare a tutte le consolazioni umane e desiderare e chiedere soltanto le consolazioni e le gioie celesti.

 

Capitolo XLI

IL DISPREZZO DI OGNI ONORE DI QUESTO MONDO

 

Figlio, non crucciarti se vedi che altri sono onorati ed innalzati, mentre tu sei disprezzato ed umiliato. Drizza il tuo animo a me, nel cielo; così non ti rattristerà il disprezzo degli uomini, su questa terra. O Signore, noi siamo come ciechi e facilmente ci lasciamo sedurre dall'apparenza. Ma se esamino seriamente me stesso, non c'è cosa che possa essermi fatta da alcuna creatura che sia un torto nei miei confronti: dunque non avrei motivo di lamentarmi con te. E', appunto, perché spesso e gravemente ho peccato al tuo cospetto, che qualsiasi creatura si può muovere a ragione contro di me. A me, dunque, è giusto che si dia vergogna e disprezzo; a te invece, lode, onore e gloria. E se non mi sarò ben predisposto a desiderare di essere disprezzato da ogni creatura, ad essere buttato in un canto e ad essere considerato proprio un nulla, non potrò trovare pace e serenità interiore; non potrò essere spiritualmente illuminato e pienamente a te unito.

RIFLESSIONI E PRATICHE

Chi spesso e gravemente ha peccato contro il Creatore di tutto, è giusto che sia punito dalle creature, come strumenti della giustizia divina., con disprezzi ed ingiurie e con ogni sorta di confusioni. Non ha dunque egli motivo di lagnarsene; anzi deve, anche per proprio profitto, sottomettersi umilmente a siffatta pena: per mezzo della quale egli risorge e si riconcilia con Dio, ristabilisce la pace nel suo cuore e si unisce sempre più strettamente al suo Signore.

 

Capitolo XLII

LA NOSTRA PACE NON DOBBIAMO PORLA NEGLI UOMINI

 

  1. O figlio, se la tua pace l'attendi da qualcuno, secondo il tuo sentimento e il piacere di stare con lui, avrai sempre incertezza ed impacci. Se, invece, tu ricorrerai alla verità, sempre viva e stabile, non sarai contristato per l'abbandono da parte di un amico; neppure per la sua morte. Su di me deve essere fondato l'amore per l'amico; in me deve essere amato chi ti appare degno e ti è particolarmente caro in questa vita; senza di me non regge e non dura l'amicizia; non c'è legame d'amicizia veramente puro, se non sono io ad annodarlo. Perciò tu devi essere totalmente morto ad ogni attaccamento verso persone che ti siano care così da preferire, per quanto sta in te, di essere privo di ogni umana amicizia.

  2. Tanto più ci si avvicina a Dio, quanto più ci si ritira lontano da ogni conforto terreno. Tanto più si ascende in alto, a Dio, quanto più si entra nel profondo di noi stessi, persuadendosi di non valere proprio nulla. Che se uno, invece, attribuisce a sé qualcosa di buono, questi ostacola la venuta della grazia divina il lui; giacché la grazia dello Spirito Santo cerca sempre un cuore umile. Se tu sapessi annichilirti e uscire da ogni affetto di quaggiù, liberandoti da ogni attaccamento di questo mondo, allora, certamente, io verrei a te, con larghezza di grazia; infatti, quando guardi alle creature, ti si sottrae la vista del Creatore. Per amore del Creatore, dunque, vinci te stesso, in tutte le cose; così potrai giungere a conoscere Dio. Se una cosa, per quanto piccola sia, la si ama e ad essa si guarda non rettamente, questa ti ostacola la via verso il sommo Dio, e ti corrompe.

    RIFLESSIONI E PRATICHE

    Dio solo dev'essere il nodo di tutte le nostre amicizie ed il principio, l'oggetto ed il fine di ogni nostro affetto, se vogliamo che essi siano durevoli e stabili e non ci cagionino inquietudini ed affanni. Poiché siccome Dio solo può riempire il nostro cuore, non è giusto che lo dividiamo tra Lui e le creature. Ci allontana però da Dio più il disordine con cui si ama che quello che si ama.

 

Capitolo XLIII

CONTRO L'INUTILE SCIENZA DI QUESTO MONDO

 

  1. Figlio, non ti smuovano i ragionamenti umani, per quanto eleganti e profondi; ché "il regno di Dio non consiste nei discorsi, ma nelle virtù" (1Cor 4,20). Guarda alle mie parole; esse infiammano i cuori e illuminano le menti; conducono al pentimento e infondono molteplice consolazione. Che tu non legga mai neppure una parola al fine di poter apparire più dotto e più sapiente. Attendi, invece, alla mortificazione dei vizi; cosa che ti gioverà assai più che essere a conoscenza di molti difficili problemi. Per quanto tu abbia molto studiato ed appreso, dovrai sempre tornare al principio primo. Sono io "che insegno all'uomo la sapienza" (Sal 93,10); sono io che concedo ai piccoli una conoscenza più chiara di quella che possa essere impartita dall'uomo. Colui per il quale sono io a parlare, avrà d'un tratto la sapienza e progredirà assai nello spirito. Guai a coloro che vanno ricercando presso gli uomini molte strane nozioni, e poco si preoccupano di quale sia la strada del servizio a me dovuto. Verrà il tempo in cui apparirà il maestro dei maestri, Cristo signore degli angeli, ad ascoltare quel che ciascuno ha da dire, cioè ad esaminare la coscienza di ognuno. Allora Gerusalemme sarà giudicata in gran luce (Sof 1,12). Allora ciò che si nascondeva nelle tenebre apparirà in piena chiarezza; allora verrà meno ogni ragionamento fatto di sole parole.

  2. Sono io che innalzo la mente umile, così da farle comprendere i molti fondamenti della verità eterna; più che se uno avesse studiato a scuola per dieci anni. Sono io che insegno, senza parole sonanti, senza complicazione di opinioni diverse, senza contrapposizione di argomenti; senza solennità di cattedra. Sono io che insegno a disprezzare le cose terrene, a rifuggire da ciò che è contingente e a cercare l'eterno; inoltre, a rifuggire dagli onori, a sopportare le offese, a riporre ogni speranza in me, a non desiderare nulla all'infuori di me e ad amarmi con ardore, al di sopra di ogni cosa. In verità ci fu chi, solo con il profondo amore verso di me, apprese le cose di Dio; e le sue parole erano meravigliose. Abbandonando ogni cosa, egli aveva imparato assai più che applicandosi a sottili disquisizioni. Ad alcuni rivolgo parole valevoli per tutti; ad altri rivolgo parole particolari. Ad alcuni appaio con la mite luce di figurazioni simboliche, ad altri rivelo i misteri con grande fulgore. La voce dei libri è una sola, e non plasma tutti in egual modo. Io, invece, che sono maestro interiore, anzi la verità stessa, io che scruto i cuori e comprendo i pensieri e muovo le azioni degli uomini, vado distribuendo a ciascuno secondo che ritengo giusto.

    RIFLESSIONI E. PRATICHE

    Il Verbo si fece carne ed abitò fra noi non per renderci dotti, eloquenti e- filosofi secondo il mondo, ma cristiani e santi., Egli parlò per farci comprendere la vanità delle scienze umane e per insegnarci la sola vera scienza che è quella della nostra eterna salvezza. Dobbiamo pertanto studiare questa scienza nei libri che egli ci ha lasciati, ma più che con lo studio essa si acquista col rinunziare a tutto e coll'amare Dio con tutto il cuore. Andiamo adunque a Gesù Via, Verità e Vita, sole di giustizia, Maestro dei maestri, dottore degli Angeli e degli uomini per ascoltarlo ed imparare da Lui. Ma dove lo troveremo? Nel nostro cuore. Qui Egli ha innalzata la sua cattedra, e qui Egli si degna d'impartirci le sue lezioni.

 

Capitolo XLIV

NON CI SI DEVE ATTACCARE ALLE COSE ESTERIORI

 

  1. O figlio, molte cose occorre che tu le ignori, considerandoti come morto su questa terra, come uno per cui il mondo intero è crocifisso; molte altre cose, occorre che tu vi passi in mezzo, senza prestare ascolto, meditando piuttosto su ciò che costituisce la tua pace. Giova di più distogliere lo sguardo da ciò che non approviamo, lasciando che ciascuno si tenga il suo parere, piuttosto che metterci in accanite discussioni. Se sarai in regola con Dio e terrai conto del suo giudizio, riporterai più facilmente la vittoria.

  2. Signore, a che punto siamo arrivati? Ecco per una perdita nelle cose di questo mondo, si piange; per un piccolo guadagno ci si affatica e si corre. Invece un danno spirituale passa nell'oblio, e a stento, troppo tardi, si ritorna in sé. Ci si preoccupa di ciò che non serve a nulla o a ben poco; e ciò che è sommamente necessario lo si lascia da parte con negligenza. Giacché l'uomo inclina tutto verso le cose esteriori, e beatamente vi si acquieta, se subito non si ravvede.

    RIFLESSIONI E PRATICHE

    Chi prende troppa parte alle cose del mondo ed è sollecito per esse, altera la pace del proprio cuore. Chi al contrario non vuol conoscere, ascoltare, vedere ogni cosa, vive tranquillo. Comportiamoci, dunque, come morti sopra la terra, non occupiamoci per nulla delle cose del mondo, ed allora godremo la vera pace del cuore.

 

Capitolo XLV

NON FARE AFFIDAMENTO SU ALCUNO: LE PAROLE FACILMENTE INGANNANO

 

  1. "Aiutami, o Signore, nella tribolazione, perché è vana la salvezza che viene dagli uomini" (Sal 59,13). Quante volte non trovai affatto fedeltà, proprio là dove avevo creduto di poterla avere; e quante volte, invece, la trovai là dove meno avevo creduto. Vana è, dunque, la speranza negli uomini, mentre in te, o Dio, sta la salvezza dei giusti. Sii benedetto, o Signore mio Dio, in tutto quanto ci accade. Deboli siamo, e malfermi; facilmente ci inganniamo e siamo mutevoli. Quale uomo è tanto prudente e tanto attento da saper sempre custodire se stesso, così da non cadere mai in qualche delusione e incertezza? Ma non cadrà così facilmente colui che confida in te, o Signore, e ti cerca con semplicità di cuore. Che se incontrerà una tribolazione, in qualunque modo sia oppresso, subitamente ne sarà strappato da te, o sarà da te consolato, poiché tu non abbandoni chi spera in te, fino all'ultimo. Cosa rara è un amico sicuro, che resti tale in tutte le angustie dell'amico. Ma tu, o Signore, tu solo sei sempre pienamente fedele: non c'è amico siffatto, fuori di te.

  2. Quale profonda saggezza ci fu in quell'anima santa che poté dire: il mio spirito è saldo, e fondato su Cristo! Se così fosse anche per me, non sarei tanto facilmente agitato da timori umani, né mi sentirei ferito dalle parole. Chi può mai prevedere ogni cosa e cautelarsi dai mali futuri? Se, spesso, anche ciò che era previsto riesce dannoso, con quanta durezza ci colpirà ciò che è imprevisto? Perché non ho meglio provveduto a me misero?; e perché mi sono affidato tanto leggermente ad altri? Siamo uomini, nient'altro che fragili uomini, anche se molti ci ritengono e ci dicono angeli. Oh, Signore, a chi crederò; a chi, se non a te? Tu sei la verità che non inganna e non può essere ingannata; mentre "l'uomo è sempre bugiardo" (Sal 115,11), debole, insicuro e mutevole, specie nelle parole, tanto che a stento ci si può fidare subito di quello che, in apparenza, pur ci sembra buono. Con quanta sapienza tu già ci avevi ammonito che ci dobbiamo guardare dagli uomini; che "nemici dell'uomo sono i suoi più vicini" (Mt 10,36); che non si deve credere se uno dice: "ecco qua, ecco là!" (Mt 24,23; Mc 13,21)! Ho imparato a mie spese, e voglia il cielo che ciò mi serva per acquistare maggiore prudenza e non ricadere nella stoltezza. Bada, mi dice taluno, bada bene, e serba per te quel che ti dico. Ma, mentre io sto zitto zitto, credendo che la cosa resti segreta, neppure lui riesce a tacere ciò per cui mi aveva chiesto il silenzio: improvvisamente mi tradisce, tradendo anche se stesso; e se ne va. Oh, Signore, difendimi da siffatte fandonie e dalla gente stolta, cosicché io non cada nelle loro mani, e mai non commetta simili cose. Da' alla mia bocca una parola vera e sicura, e lontana da me il linguaggio dell'inganno. Che io mi guardi in ogni modo da ciò che non vorrei dover sopportare da altri.

  3. Quanta bellezza e quanta pace, fare silenzio intorno agli altri; non credere pari pari ad ogni cosa, né andare ripetendola; rivelare sé stesso soltanto a pochi; cercare sempre te, che scruti i cuori, senza lasciarsi portare di qua e di là da ogni vuoto discorso; volere che ogni cosa interiore ed esterna, si compia secondo la tua volontà! Quale tranquillità, fuggire le apparenze umane, per conservare la grazia celeste; non ambire a ciò che sembri assicurare ammirazione all'esterno, e inseguire invece, con ogni sollecitudine, ciò che assicura emendazione di vita e fervore! Di quanto danno fu, per molti, una virtù a tutti nota e troppo presto lodata. Di quanto vantaggio fu, invece, una grazia conservata nel silenzio, durante questa nostra fragile vita, della quale si dice a ragione che è tutta una tentazione e una lotta!

    RIFLESSIONI E PRATICHE

    Il nostro pio autore dopo aver esposto le debolezze e fragilità, l'incostanza e leggerezza, l'infedeltà e l'incapacità di operare il bene degli uomini, conclude che il cristiano deve, in qualunque stato si trovi ed in modo particolare nelle tribolazioni ed angustie, confidarsi solamente in Dio, unico suo amico sincero, fedele, costante, misericordioso ed onnipotente. Al contrario non deve mai fidarsi degli uomini, non prestar troppa fede alle loro parole e tanto meno aprire loro indiscretamente il proprio cuore.

 

Capitolo XLVI

AFFIDARSI A DIO QUANDO SPUNTANO PAROLE CHE FERISCONO

 

  1. O figlio, sta saldo e fermo, e spera in me. Che altro sono, le parole, se non parole?: volano al vento, ma non intaccano la pietra. Se sei in colpa, pensa ad emendarti di buona voglia; se ti senti innocente, considera di doverle sopportare lietamente per amor di Dio. Non è gran cosa che tu sopporti talvolta almeno delle parole, tu che non sei capace ancora di sopportare forti staffilate. E perché mai cose tanto da nulla ti feriscono nell'animo, se non perché tu ragioni ancora secondo la carne e dai agli uomini più importanza di quanto sia giusto? Solo per questo, perché hai paura che ti disprezzino, non vuoi che ti rimproverino dei tuoi falli e cerchi di nasconderti dietro qualche scusa. Se guardi più a fondo in te stesso, riconoscerai che il mondo e il vano desiderio di piacere agli uomini sono ancora vivi dentro in te. Se rifuggi dall'esser poco considerato e dall'esser rimproverato per i tuoi difetti, segno è che non sei sinceramente umile né veramente morto al mondo, e che il mondo è per te crocefisso. Ascolta, invece la mia parola e non farai conto neppure di diecimila parole umane. Ecco, anche se molte cose si potessero inventare e dire, con malizia grande, contro di te, che male ti potrebbero fare esse, se tu le lasciassi del tutto passare, non considerandole più che una pagliuzza? Ti potrebbero forse strappare anche un solo capello? Chi non ha spirito di interiorità e non tiene Iddio dinanzi ai suoi occhi, questi si lascia scuotere facilmente da una parola offensiva. Chi invece, senza ricercare il proprio giudizio, si affida a me, questi sarà libero dal timore degli uomini. Sono io, infatti, il giudice, cui sono palesi tutti i segreti; io so come è andata la cosa; io conosco, sia colui che offende sia colui che patisce l'offesa. Quella parola è uscita da me; quel che è avvenuto, è avvenuto perché io l'ho permesso, "affinché fossero rivelati gli intimi pensieri di tutti" (Lc 2,35). Sono io che giudicherò il colpevole e l'innocente; ma voglio che prima siano saggiati, e l'uno e l'altro, al mio arcano giudizio.

  2. La testimonianza degli uomini sbaglia frequentemente. Il mio giudizio, invece, è veritiero; resterà e non muterà. Nascosto, per lo più, o aperto via via a pochi, esso non sbaglia né può sbagliare, anche se può sembrare ingiusto agli occhi di chi non ha la sapienza. A me dunque si ricorra per ogni giudizio e non ci si fidi del proprio criterio. Il giusto, infatti non resterà turbato, "qualunque cosa gli venga" da Dio (Pro 12,21). Qualunque cosa sia stata ingiustamente portata contro di lui, non se ne darà molto pensiero; così come non si esalterà vanamente, se, a buon diritto, sarà scagionato da altri. Il giusto considera, infatti, che "sono io colui che scruta i cuori e le reni" (Ap 2,23); io, che non giudico secondo superficiale apparenza umana. Invero, sovente ai miei occhi apparirà condannabile ciò che, secondo il giudizio umano, passa degno di lode. O Signore Dio, "giudice giusto, forte e misericordioso" (Sal 7,12), tu che conosci la fragilità e la cattiveria degli uomini, sii la mia forza e tutta la mia fiducia, ché non mi basta la mia buona coscienza. Tu sai quello che io non so; per questo avrei dovuto umiliarmi dinanzi ad ogni rimprovero e sopportarlo con mansuetudine. Per tutte le volte che mi comportai in tal modo, perdonami, nella tua benevolenza, e dammi di nuovo la grazia di una più grande sopportazione. In verità, a conseguire il perdono, la tua grande misericordia mi giova di più che non mi giovi una mia supposta santità a difesa della mia segreta coscienza. Ché, "pur quando non sentissi di dovermi nulla rimproverare", non potrei per questo ritenermi giusto (1 Cor 4,4); perché, se non fosse per la tua misericordia, "nessun vivente sarebbe giusto, al tuo cospetto" (Sal 142,2).

    RIFLESSIONI E PRATICHE

    Non si potrà mai abbastanza ammirare la meravigliosa fecondità del pio nostro autore nel cercare tante ragioni diverse e nel trovare sempre nuove espressioni per convincere e persuadere il suo discepolo, che non deve badare al giudizio degli uomini, né rattristarsi di ciò che essi possono dire o inventare a suo svantaggio. Poiché se alcuno con ragioni ci riprende e biasima, dobbiamo trarne profitto coll'emendarcene. Se poi siamo incolpati a torto, dobbiamo tacere e non pensare a giustificarci, ma dobbiamo pure approfittarne per divenire più umili e pazienti. Tutte le volte che non lo facciamo, dobbiamo chiederne perdono al Signore, che è il solo nostro giudice, conosce a fondo le nostre coscienze ed ha nei tesori inesauribili della sua potenza rimedi efficacissimi ai nostri mali.

    Queste sono le conseguenze dei principi stabiliti sopra; queste le pratiche a cui ci esorta il gran maestro di spirito: questo il frutto che si deve trarre da questo capitolo: per ottenere dal Signore la grazia di mettere in pratica insegnamenti così santi gioverà molto ripetere la preghiera sopra riportata (al termine del capitolo):

    "Signore Iddio, giusto giudice, forte e paziente, che conosci la fragilità e la malizia degli uomini, sii tu la mia forza e la mia fiducia: poiché non mi basta la testimonianza della mia coscienza. Tu conosci quello ch'io non conosco e perciò mi debbo umiliare in ogni rimprovero e sopportarlo con mansuetudine. Perdonami dunque benignamente per quante volte non ho operato così, e donami per l'avvenire la grazia di maggior tolleranza. Per ottenere il perdono ch'io ti domando mi è più vantaggiosa la tua infinita misericordia di quanto lo sia la tua giustizia ch'io penso d'avere per difesa della mia occulta coscienza. E sebbene questa non mi rimorda di nulla, non perciò io mi posso credere giustificato: perché, se Tu mi giudichi senza misericordia, nessun vivente sarà trovato giusto al tuo cospetto. Cosi sia."

 

Capitolo XLVII

OGNI COSA GRAVOSA VA SOPPORTATA, PER CONSEGUIRE LA VITA ETERNA

 

  1. O figlio, non lasciarti sopraffare dai compiti che ti sei assunto per amor mio; non lasciarti mai abbattere dalle tribolazioni. In ogni evenienza ti dia, invece, forza e consolazione la mia promessa; ché io ben so ripagare al di là di qualsiasi limite e misura. Non durerà a lungo la tua sofferenza quaggiù; non continuerà per sempre il peso dei tuoi dolori. Attendi un poco, e li vedrai finire d'un tratto, questi dolori; verrà il momento in cui fatiche ed agitazioni cesseranno. E' poca cosa, e dura poco, tutto ciò che passa con questa vita. Fa quel che devi; lavora fedelmente nella mia vigna: io stesso sarò la tua ricompensa. Scrivi, leggi, canta, piangi, taci, prega, sopporta virilmente le avversità: premio a tutto questo, alle più grandi lotte, è la vita eterna. Sarà pace, in quell'ora che sa il Signore. E non ci sarà giorno e notte, come adesso, ma perpetua luce, chiarità infinita, pace ferma e sicura tranquillità. Allora non dirai: "chi mi libererà da questo corpo di morte?" (Rm 7,24); e non esclamerai "ohimé!, quanto si prolunga questo mio stare quaggiù" (Sal 119,5). Ché la morte sarà annientata e vi sarà piena salvezza, senza ombra di angustia; e, intorno a te, una gioia beata, una soave schiera gloriosa.

  2. Oh!, se tu vedessi il premio eterno che ricevono i santi in cielo; se tu vedessi di quanta gloria esultano ora, essi che un tempo erano ritenuti spregevoli e quasi immeritevoli di vivere, per certo, ti getteresti subito a terra, preferendo essere inferiore a tutti, piuttosto che eccellere anche su di un solo; non desidereresti giorni lieti in questa vita, godendo piuttosto delle tribolazioni sopportate per amore di Dio,; infine crederesti che il guadagno più grande consiste nell'essere considerato un nulla tra gli uomini. Oh!, se queste cose avessero un gusto per te e ti scendessero nel profondo del cuore, come oseresti fare anche il più piccolo lamento? Forse che, per la vita eterna, non si deve sopportare ogni tribolazione? Non è cosa di poco conto, perdere o guadagnare il regno di Dio. Alza, dunque, il tuo sguardo al cielo: eccomi, insieme a tutti i miei santi, i quali sopportano grandi lotte, nella vita di quaggiù. Ora essi sono nella gioia, ricevono consolazione, stanno nella serenità, nella pace e nel riposo. E resteranno con me nel regno del Padre mio, per sempre.

    RIFLESSIONI E PRATICHE

    Si paragonino tutte le pene che si possono soffrire su questa terra con ciò che ora conosciamo delle glorie celesti e si vedrà non esservi paragone tra i patimenti di quaggiù, sempre brevi e leggeri, ed il gaudio incomprensibile ed eterno della gloria futura, mercede delle pene terrene. Questo il grande principio di San Paolo. Ed ora ecco le conseguenze da dedursene: Non dobbiamo mai avvilirci, né perderci di coraggio in qualunque tribolazione o angustia ci troviamo: non siamo così ingiusti da lamentarci dei mali, per mezzo dei quali ci vengono poi beni infiniti. Quando ci troviamo nelle angustie e nelle lotte alziamo gli occhi al Cielo, a Gesù che ci prepara la nostra corona ed insieme con essa la pace perfetta, sicuro riposo, gloria e felicità infinita.

 

Capitolo XLVIII

LA VITA ETERNA E LE ANGUSTIE DELLA VITA PRESENTE

 

  1. O beata dimora della città suprema, o giorno spendente dell'eternità, che la notte non offusca; giorno perennemente irradiato dalla somma verità; giorno sempre gioioso e sereno; giorno, per sua essenza, immutabile! Volesse il cielo che tutte queste cose temporali finissero e che sopra di noi brillasse quel giorno; il quale già illumina per sempre, di splendida luce, i santi, mentre, per coloro che sono pellegrini su questa terra, esso splende soltanto da lontano e di riflesso! Ben sanno i cittadini del cielo quanto sia piena di gioia quell'età; lamentano gli esuli figli di Eva quanto, invece, sia grave e pesante l'età presente. Invero, brevi e duri, pieni di dolori e di angustie, sono i giorni di questo nostro tempo, durante i quali l'uomo è insozzato da molti peccati e irretito da molte passioni, oppresso da molte paure, schiacciato da molti affanni, distratto da molte curiosità, impicciato in molte cose vane, circondato da molti errori, atterrito da molte fatiche, appesantito dalle tentazioni, snervato dai piaceri, afflitto dal bisogno. Oh!, quando finiranno questi mali; quando mi libererò dalla miserevole schiavitù dei vizi; quando, nella mia mente avrò soltanto te, o Signore, e in te troverò tutta la mia gioia; quando godrò di libertà vera, senza alcun legame, senza alcun gravame della mente e del corpo; quando avrò pace stabile e sicura, da nulla turbata, pace interiore ed esteriore, pace non minacciata da alcuna parte? O buon Gesù, quando ti vedrò faccia a faccia; quando contemplerò la gloria del tuo regno; quando sarai il tutto per me (1Cor 15,28); quando sarò con te nel tuo regno, da te preparato dall'eternità per i tuoi diletti? Sono qui abbandonato, povero ed esule in terra nemica, ove ci sono continue lotte e immani disgrazie. Consola tu il mio esilio, lenisci il mio dolore, perché ogni mio desiderio si volge a te con sospiri. Infatti qualunque cosa il mondo mi offra come sollievo, essa mi è invece di peso. Desidero l'intimo godimento di te, ma non mi è dato di raggiungerlo; desidero star saldo alle cose celesti, ma le cose temporali e le passioni non mortificate mi tirano in basso; nello spirito, voglio pormi al di sopra di tutte le cose, ma, nella carne, sono costretto a subirle, contro mia voglia. E così, uomo infelice, combatto con me stesso e divento un peso per me stesso (Gb 7,20), ché lo spirito tende all'alto e la carne al basso.

  2. Oh!, quale è l'intima mia sofferenza, quando, dentro di me, sto pensando alle cose del cielo e, mentre prego, di colpo, mi balza davanti la turba delle cose carnali. Dio mio, "non stare lontano da me" (Sal 70,12) e "non allontanarti in collera dal tuo servo" (Sal 26,9). "Lancia i tuoi fulmini", disperdi questa turba; "lancia le tue saette e saranno sconvolte le macchinazioni del nemico" (Sal 143,6). Fa' che i miei sentimenti siano concentrati in te; fa' che io dimentichi tutto ciò che appartiene al mondo; fa' che io cacci via e disprezzi le ingannevoli immagini con le quali ci appare il vizio. Vieni in mio aiuto, o eterna verità, cosicché nessuna cosa vana abbia potere di smuovermi; vieni, o celeste soavità; cosicché ogni cosa non pura fugga davanti al tuo volto. Ancora, perdonami e assolvimi, nella tua misericordia, ogni volta che, nella preghiera, vado pensando ad altro fuori che a te. In verità, confesso sinceramente di essere solitamente molto distratto; ché, ben spesso, io non sono là dove materialmente sto e seggo, ma sono invece là dove vengo portato dalla mente. Là dove è il mio pensiero, io sono; il mio pensiero solitamente è là dove sta ciò che io amo; è quello che fa piacere alla nostra natura, o ci è caro per abitudine, che mi viene d'un tratto alla mente. Per questo tu, che sei la verità, dicesti chiaramente: "dove è il tuo tesoro là è il tuo cuore" (Mt 6,21). Se amo il cielo, volentieri penso alle cose del cielo; se amo il mondo, mi rallegro delle gioie e mi rattristo delle avversità del mondo; se amo le cose carnali, di esse sovente vado. Fantasticando; se amo ciò che è spirito, trovo diletto nel pensare alle cose dello spirito. Qualunque siano le cose che io amo, di queste parlo e sento parlare volentieri; di queste riporto a casa il ricordo. Beato invece colui che, per te, o Signore, lascia andare tutto ciò che è creato, e che, facendo violenza alla natura, crocifigge i desideri della carne col fervore dello Spirito: così da poterti offrire, a coscienza tranquilla, una orazione pura; così da essere degno di prendere parte ai cori celesti, rifiutando, dentro e fuori di sé, ogni cosa terrena.

    RIFLESSIONI E PRATICHE 

    Non altri che lo spirito di Dio poteva fare così vivi ritratti della vita eterna e temporale; e fare un paragone così giusto tra i beni infiniti della vita futura e le miserie innumerevoli della vita presente. Perché dunque ne restiamo così poco commossi? Perché se da principio ne rimane qualche impressione, ben presto si dilegua? Perché abbiamo tanto orrore per i patimenti e le umiliazioni, alle quali deve seguire una felicità eterna, una gloria incomprensibile? Perché questa felicità e questa gloria futura non sono l'unico oggetto dei nostri desideri? Tutto deriva da questo che la nostra fede è moribonda o inferma, la nostra speranza è vacillante e debole e spenta del tutto o ben poco accesa la nostra carità.

 

Capitolo XLIX

IL DESIDERIO DELLA VITA ETERNA. I GRANDI BENI PROMESSI A QUELLI CHE LOTTANO

 

  1. Figlio, quando senti, infuso dall'alto, un desiderio di eterna beatitudine; quando aspiri ad uscire dalla povera dimora del tuo corpo, per poter contemplare il mio splendore, senza ombra di mutamento, allarga il tuo cuore e accogli con grande sollecitudine questa santa ispirazione. Rendi grazie senza fine alla superna bontà, che si mostra tanto benigna con te, venendo indulgente presso di te; ti risolleva con ardore e ti innalza con forza, cosicché, con la tua pesantezza, tu non abbia a inclinare verso le tue cose terrene. Tutto ciò, infatti, non lo devi ad una tua iniziativa o ad un tuo sforzo, ma soltanto al favore della grazia di Dio, che dall'alto guarda a te. Ti sarà dato così di progredire nelle virtù, in una sempre più grande umiltà, preparandoti alle lotte future attaccato a me con tutto lo slancio del tuo cuore e intento a servirmi con volonteroso fervore.

  2. Figlio, il fuoco arde facilmente, ma senza fumo la fiamma non ascende. Così certuni ardono dal desiderio delle cose celesti, ma non sono liberi dalla tentazione di restare attaccati alle cose terrene; e perciò, quello che pur avevano chiesto a Dio con tanto desiderio, non lo compiono esclusivamente per la gloria di Dio. Tale è sovente il tuo desiderio, giacché vi hai immesso un fermento così poco confacente: non è puro e perfetto, infatti, quello che è inquinato dal comodo proprio. Non chiedere ciò che ti piace e ti è utile, ma piuttosto ciò che è gradito a me e mi rende gloria. A ben vedere, al tuo desiderio e ad ogni cosa desiderata devi preferire il mio comando, e seguirlo. Conosco la tua brama, ho ascoltato i frequenti tuoi gemiti: già vorresti essere nella libertà gloriosa dei figlio di Dio; già ti alletta la dimora eterna, la patria del cielo, pienamente felice. Ma un tale momento non è ancora venuto; questo è tuttora un momento diverso: il momento della lotta, della fatica e della prova. Tu brami di essere ricolmo del sommo bene, ma questo non lo puoi ottenere adesso. Sono io "aspettami, dice il Signore" (Sof 3,8), finché venga il regno di Dio. Devi essere ancora provato qui in terra, e travagliato in vario modo. Qualche consolazione ti sarà data talvolta; ma non ti sarà concessa una piena sazietà. "Confortati, pertanto e sii gagliardo" (Gs 1,7), nell'agire e nel sopportare ciò che va contro la natura. Occorre che tu ti rivesta dell'uomo nuovo; che tu ti trasformi in un altro uomo. Occorre, ben spesso, che tu faccia quello che non vorresti e che tu tralasci quello che vorresti. Avrà successo quanto è voluto da altri, e quanto vuoi tu non andrà innanzi. Sarà ascoltato quanto dicono gli altri, e quanto dici tu sarà preso per un nulla. Altri chiederanno, e riceveranno; tu chiederai, e non otterrai. Altri saranno grandi al cospetto degli uomini; sul tuo conto, silenzio. Ad altri sarà affidata questa o quella faccenda; tu, invece, non sarai ritenuto utile a nulla. Da ciò la natura uscirà talvolta contristata; e già sarà molto se sopporterai in silenzio.

  3. In questi, e in consimili vari modi, il servo fedele del Signore viene si solito sottoposto a prova, come sappia rinnegare e vincere del tutto se stesso. Altro, forse, non c'è, in cui tu debba essere così morto a te stesso, fuor che constatare ciò che contrasta con la tua volontà, e doverlo sopportare; specialmente allorché ti viene imposto di fare cosa che non ti sembra opportuna o utile. Non osando opporre resistenza a un potere superiore, tu, che sei sottoposto, trovi duro camminare al comando di altri, e lasciar cadere ogni tua volontà. Ma se consideri, o figlio, quale sia il frutto di queste sofferenze, cioè il rapido venire della fine e il premio, allora non troverai più alcun peso in tali sofferenze, ma un validissimo conforto al tuo soffrire. Giacché, invece di quella scarsa volontà che ora, da te, non sai coltivare, godrai per sempre nei cieli la pienezza della tua volontà. Nei cieli, invero, troverai tutto ciò che vorrai, tutto ciò che potrai desiderare; nei cieli godrai integralmente di ciò che è bene e non temerai che esso ti venga a mancare. Nei cieli il tuo volere, a me sempre unito, a nulla aspirerà che venga di fuori, a nulla che sia tuo proprio. Nei cieli nessuno ti farà resistenza, nessuno si lamenterà di te, nessuno ti sarà di ostacolo e nulla si porrà contro di te; ma tutti i desideri saranno insieme realizzati e ristoreranno pienamente il tuo animo, appagandolo del tutto. Nei cieli, per ogni oltraggio patito, io darò gloria; per la tristezza, un premio di lode; per l'ultimo posto, una dimora nel regno, nei secoli. Nei cieli si vedrà il frutto dell'obbedienza; avrà gioia il travaglio della penitenza; sarà coronata di gloria l'umile soggezione. Ora, dunque, devi chinarti umilmente sotto il potere di ognuno, senza preoccuparti di sapere chi sia colui che ti ha detto o comandato alcunché; bada sommamente - sia un superiore, o uno più giovane di te o uno pari a te, a chiederti o ad importi qualcosa - di accettare tutto come giusto, facendo in modo di eseguirlo con buona volontà. Altri vada cercando questo, altri quello; che uno si glori in una cosa, e un altro sia lodato mille volte per un'altra: quanto a te, invece, non in questa o in quest'altra cosa devi trovare la tua gioia, ma nel disprezzare te stesso, nel piacere soltanto a me e nel darmi gloria. E' questo che devi desiderare, che in te sia glorificato sempre Iddio, "per la vita e per la morte" (Fil 1,20).

    RIFLESSIONI E PRATICHE

    Appena Iddio ci infonde una brama ardente dei beni celesti, noi dobbiamo allargare il nostro cuore per riceverla ed aumentarne l'ardore. Vi è però uno scoglio da evitare, cioè che per essa non cessiamo di soffrire ciò che è necessario per il conseguimento dei beni eterni. Le dolcezze, le consolazioni e le delizie anticipate della vita futura son forze gratuite che Dio ci da per sostenere le fatiche, i travagli, le lotte, le tentazioni della vita presente. Quindi invece di diventare per il soccorso di tali grazie tiepidi e neghittosi, dobbiamo eccitarci ad adempiere i nostri doveri con maggior fedeltà, zelo e fervore.

 

Capitolo L

CHI E' NELLA DESOLAZIONE DEVE METTERSI NELLE MANI DI DIO

 

  1. Signore Dio, Padre santo, che tu sia, ora e sempre, benedetto, perché come tu vuoi così è stato fatto, e quello che fai è buono. Che in te si allieti il tuo servo, non in se stesso o in alcunché d'altro. Tu solo sei letizia vera; tu la mia speranza e il mio premio; tu, o Signore, la mia gioia e la mia gloria. Che cosa ha il tuo servo , se non quello che, pur senza suo merito, ha ricevuto da te? Quello che hai dato e hai fatto a me, tutto è tuo. "Povero io sono, e tribolato, fin dagli anni della mia giovinezza" (Sal 87,16); talvolta l'anima mia è triste fino alle lacrime, talvolta si turba in se stessa sotto l'incombere delle passioni. Desidero il gaudio della pace; domando la pace dei tuoi figli, da te nutriti nello splendore della consolazione. Se tu doni questa pace, se tu infondi questa santa letizia, l'anima del tuo servo sarà tutta un canto nel dar lode a te, devotamente. Se, invece, tu ti ritrai, come fai talvolta, il tuo servo non potrà percorrere lesto la "via dei tuoi comandamenti" (Sal 118,32). Di più, gli si piegheranno le ginocchia, fino a toccargli il petto; per lui non sarà più come prima, ieri o ier l'altro, quando il tuo lume gli splendeva sul capo e l'ombra delle tue ali lo proteggeva dall'irrompere delle tentazioni.

  2. Padre giusto e degno di perpetua lode, giunga l'ora in cui il tuo servo deve essere provato. Padre degno di amore, è giusto che in questo momento il tuo servo patisca un poco per te. Padre degno di eterna venerazione, giunge l'ora, che da sempre sapevi sarebbe venuta, l'ora in cui il tuo servo - pur se interiormente sempre vivo in te - deve essere sopraffatto da cose esteriori, vilipeso anche ed umiliato, scomparendo dinanzi agli uomini , afflitto dalle passioni e dalla tiepidezza; e ciò per risorgere di nuovo con te, in una aurora di nuova luce, nello splendore dei cieli. Padre santo, così hai disposto, così hai voluto; e come hai voluto è stato fatto. Giacché questo è il dono che tu fai all'amico tuo, di patire e di essere tribolato in questo mondo, per amor tuo; e ciò quante volte e da chiunque permetterai che sia fatto. Nulla accade quaggiù senza che tu lo abbia provvidenzialmente disposto, e senza una ragione. "Cosa buona è per me, che tu mi abbia umiliato, per farmi conoscere la tua giustizia" (Sal 118,71) e per far sì che io abbandoni ogni orgoglio interiore e ogni temerarietà. Cosa per me vantaggiosa, che la vergogna abbia ricoperto il mio volto, così che, per essere consolato, io abbia a cercare te, piuttosto che gli uomini. In tal modo imparo a temere l'imperscrutabile tuo giudizio, con il quale tu colpisci il giusto insieme con l'empio, ma sempre con imparziale giustizia. Siano rese grazie a te, che non sei stato indulgente verso i miei peccati e mi hai invece scorticato con duri colpi, infliggendomi dolori e dandomi angustie, esterne ed interiori. Nessuno, tra tutti coloro che stanno sotto il cielo, quaggiù, mi può dare consolazione; tu solo lo puoi, o Signore mio Dio, celeste medico delle anime, che colpisci e risani, "cacci all'inferno e da esso ritogli" (Tb 13,2). La rigida tua regola stia sopra di me; essa mi ammaestrerà.

  3. Padre diletto, ecco, io sono nelle tue mani; mi curvo sotto la verga, che mi corregge. Percuotimi il dorso e il collo, affinché io indirizzi la mia vita tortuosa secondo la tua volontà. Come tu suoli, e con giustizia, fa' di me un devoto e umile discepolo, pronto a camminare a ogni tuo cenno. A te affido me stesso, e tutto ciò che è mio, per la necessaria correzione. E' preferibile essere aspramente rimproverato quaggiù, che nella vita futura. Tu conosci tutte le cose, nel loro insieme e una per una; nulla rimane a te nascosto dell'animo umano. Tu conosci le cose che devono venire, prima che esse siano, e non hai bisogno che alcuno ti indichi o ti rammenti quello che accade su questa terra. Tu conosci ciò che mi aiuta a progredire, e sai quanto giova la tribolazione per togliere la ruggine dei vizi. Fa' di me quello che ti piace, e che io, appunto, desidero; e non voler giudicare severamente la mia vita di peccato, che nessuno conosce più perfettamente e chiaramente di te. Fa' che io comprenda ciò che è da comprendere; che io ami ciò che è da amare; fa' che io approvi ciò che sommamente piace a te; che io apprezzi ciò che a te pare prezioso; fa' che io disprezzi ciò che è abietto ai tuoi occhi. Non permettere che io giudichi "secondo la veduta degli occhi materiali; che io non mi pronunzi secondo quel che si sente dire" da gente profana (Is 11,3). Fa' che io, invece, discerna le cose esteriori e le cose spirituali in spirito di verità; fa' che, sopra ogni cosa, io vada sempre ricercando il tuo volere. Se il giudizio umano, basato sui sensi, sovente trae in inganno, si ingannano anche coloro che sono attaccati alle cose del mondo, amando soltanto le cose visibili. Forse che uno è migliore perché è considerato qualcosa di più, nel giudizio di un altro? Quando questi lo esalta, è un uomo fallace che inganna un uomo fallace, un essere vano che inganna un essere vano, un cieco che inganna un cieco, un miserabile che inganna un miserabile; quando lo elogia a vuoto, realmente lo fa vergognare ancor più. Invero, secondo il detto dell'umile san Francesco, quanto ciascuno è ai tuoi occhi, tanto egli è; e nulla di più.

RIFLESSIONI E PRATICHE

Essendo Iddio la purezza e la santità per essenza, affinché possiamo poi goderlo in cielo, ha cura di purificare le anime nostre con afflizioni e tribolazioni sulla terra, e con più vivi e cocenti dolori in Purgatorio. Così per corrispondere ai disegni di Dio che mirano alla nostra santificazione e salvezza eterna, dobbiamo: 1. Vivere per quanto è possibile con grande purezza di cuore; 2. Ricevere con umiltà quelle croci che Egli si degna di addossarci; 3. Sostenerle con sentimenti di compunzione, di mortificazione e di odio per il peccato; 4. Vegliare, pregare e combattere continuamente contro le tentazioni e le passioni; 5. Dipendere interamente da Dio, non volendo se non quello che Egli vuole e soffrire di buon animo quanto a Lui piace che soffriamo.

 

Capitolo LI

DEDICARSI A COSE PIU' UMILI QUANDO SI VIENE MENO NELLE PIU' ALTE

 

Tu non riesci, o figlio, a persistere in un fervoroso desiderio di virtù e restare in un alto grado di contemplazione. Talora, a causa della colpa che è all'origine dell'umanità, devi scendere più in basso e portare il peso di questa vita corruttibile, pur contro voglia e con disgusto; disgusto e pesantezza di spirito, che sentirai fino a che vestirai questo corpo mortale. Nella carne, dunque, e sotto il peso della carne devi spesso patire, poiché non sei capace di stare interamente e continuamente in occupazioni spirituali e nella contemplazione di Dio. Allora devi rifugiarti in occupazioni umili e materiali e fortificarti con azioni degne; devi attendere, con ferma fiducia, che io venga dall'alto e mi manifesti a te; devi sopportare con pazienza il tuo esilio e la tua aridità di spirito, fino a che io non venga di nuovo a te, liberandoti da tutte le angosce. Invero ti farò dimenticare le tue fatiche, nel godimento della pace interiore; ti aprirò dinanzi il campo delle Scritture, nel quale potrai cominciare a correre con animo sollevato "la via dei mie comandamenti" (Sal 118,32). Allora dirai: "i patimenti di questo mondo non sono nulla in confronto alla futura gloria, che si rivelerà in noi" (Rm 8,18).

RIFLESSIONI E PRATICHE

La santità dei beati nel cielo si differenzia dalla santità dei giusti sulla terra in questo: che l'una è sempre uniforme e costante nel volere e fare il bene, mentre l'altra ora si rallenta, ora si raffredda, ed alle volte diviene affatto incapace d'esercizi interni e sublimi. In questo stato che chiamasi d'abbandono e di aridità, il più buon partito è umiliarsi e deplorare e piangere sull'infelice condizione a cui ci ha ridotti il peccato. Nello stesso tempo giova occuparsi d'esercizi esteriori ed umili, che, quanto meno contentano il nostro amor proprio, tanto più sono atti a richiamare ed eccitare il Signore, che sembra averci abbandonati. Diciamogli allora con umiltà e col più vivo fervore:

"Io languisco, o mio Dio, lontano da te; mi sento morire fra le tenebre: mi mancano le forze, sento il peso di un corpo corruttibile e mortale che aggrava lo spirito. Affretta, te ne prego, affretta il tuo ritorno, non ritardare di più a mostrarti a me. Fa che la lettura della sacra Scrittura ecciti nell'anima mia quell'innocente piacere che si gusta alla vista di un bel prato. Allarga il mio cuore per la gioia del tuo ritorno, onde io possa correre di nuovo con gioia nella via dei tuoi comandamenti. Dammi infine, per sostenermi nei mali di questa vita, una ferma speranza e qualche saggio anticipato della gloria futura. Cosi sia."

 

Capitolo LII

L'UOMO NON SI CREDA MERITEVOLE DI ESSERE CONSOLATO, MA PIUTTOSTO DI ESSERE COLPITO

 

  1. E' giusto, o Signore, quello che fai con me quando mi lasci abbandonato e desolato; perché della tua consolazione o di alcuna tua visita spirituale io non son degno, e non lo sarei neppure se potessi versare tante lacrime quanto un mare. Altro io non merito che di essere colpito e punito, per averti offeso, spesso e in grave modo, e per avere, in molte occasioni peccato grandemente. Dunque, a conti fatti, in verità, io non sono meritevole del minimo tuo conforto. Ma tu, Dio clemente e pietoso, per manifestare l'abbondanza della tua bontà in copiosa misericordia, non vuoi che l'uomo, opera della tue mani, perisca; inoltre ti degni di consolare il tuo servo, anche al di là di ogni merito, in modo superiore all'umano: ché non somigliano ai discorsi degli uomini, le tue parole consolatrici. O Signore, che cosa ho fatto perché tu mi abbia a concedere qualche celeste conforto? Non rammento di aver fatto nulla di buono; rammento invece di essere sempre stato facile al vizio e tardo all'emendamento. Questa è la verità; non posso negarlo. Se dicessi il contrario, tu ti porresti contro di me, e nessuno verrebbe a difendermi. Che cosa ho meritato con i mie peccati, se non l'inferno e il fuoco eterno?

  2. Sinceramente lo confesso, io sono meritevole di essere vituperato in tutti i modi, e disprezzato, non già di essere annoverato tra i tuoi fedeli. Anche se questo me lo dico con dolore, paleserò chiaramente, contro di me, per amore di verità, i miei peccati, così da rendermi degno di ottenere più facilmente la tua misericordia. Che dirò, colpevole quale sono, e pieno di vergogna? Non ho la sfrontatezza di pronunziare parola; se non questa soltanto: ho peccato, Signore, ho peccato, abbi pietà di me, dammi il tuo perdono. "Lasciami un poco; lascia che io pianga tutto il mio dolore, prima di andare nel luogo della tenebra, coperto dalla caligine della morte" (Gb 10,20s). Che cosa chiedi massimamente dal colpevole, dal misero peccatore, se non che egli si penta e si umilii per le sue colpe? Dalla sincera contrizione e dall'umiliazione interiore sboccia la speranza del perdono, e ritrova se stessa la coscienza sconvolta; l'uomo riacquista la grazia perduta e trova riparo dall'ira futura. Dio e l'anima penitente si incontrano in un vicendevole santo bacio. Sacrificio a te gradito, o Signore - sacrificio che odora, al tuo cospetto, molto più soave del profumo dell'incenso - è l'umile sincero pentimento dei peccatori. E' questo pure l'unguento gradito che hai voluto fosse versato sui tuoi sacri piedi, giacché tu non hai disprezzato "un cuore contrito ed umiliato" (Sal 50,19). In questo sincero pentimento si trova rifugio dalla faccia minacciosa del nemico. Con esso si ripara e si purifica tutto ciò che, da qualche parte, fu deturpato e inquinato.

    RIFLESSIONI E PRATICHE

    Ancorché per la considerazione dei nostri peccati e delle nostre infedeltà, pei quali tante volte- abbiamo meritato l'inferno, non dobbiamo giudicarci degni che di castighi, pene ed abbandoni, tuttavia conviene ricorrere fiduciosamente al Dio di consolazione, al Padre delle misericordie ed innanzi a Lui piangere sovente le nostre miserie e detestare il peccato da cui esse derivano. Poiché i gemiti ed i sospiri di un'anima penetrata dalle proprie miserie e dal vivo dolore d'aver peccato, con una fiducia veramente figliale nella misericordia nel Padre celeste, possono calmare l'ira del suo giudice, riconciliarla col suo Signore ed ottenerle la grazia di Dio per meritare il bacio santo di pace.

 

Capitolo LIII

LA GRAZIA DI DIO NON SI CONFONDE CON CIO' CHE HA SAPORE DI COSE TERRENE

 

  1. Preziosa, o figlio, è la mia grazia; essa non tollera di essere mescolata a cose esteriori e a consolazioni terrene. Perciò devi buttar via tutto ciò che ostacola la grazia, se vuoi che questa sia infusa in te. Procurati un luogo appartato, compiaciti di stare solo con te stesso, non andare cercando di chiacchierare con nessuno; effondi, invece, la tua devota preghiera a Dio, per conservare compunzione d'animo e purezza di coscienza. Il mondo intero, consideralo un nulla; alle cose esteriori anteponi l'occuparti di Dio. Ché non potresti attendere a me, e nello stesso tempo trovare godimento nelle cose passeggere. Occorre allontanarsi dalle persone che si conoscono e alle quali si vuole bene; occorre tenere l'animo sgombro da ogni conforto temporale. Ecco ciò che il santo apostolo Pietro chiede, in nome di Dio: che i seguaci di Cristo si conservino in questo mondo "come forestieri e pellegrini" (1Pt 2,11). Quanta sicurezza in colui che muore, senza essere legato alla terra dall'attaccamento per alcuna cosa. Uno spirito debole, invece, non riesce a mantenere il cuore tanto distaccato: l'uomo materiale non conosce la libertà dell'uomo interiore. Che se uno vuole veramente essere uomo spirituale, egli deve rinunciare a tutti, ai lontani e ai vicini; e guardarsi da se stesso più ancora che dagli altri. Se avrai vinto pienamente te stesso, facilmente soggiogherai tutto il resto. Trionfare di se medesimi è vittoria perfetta; giacché colui che domina se stesso - facendo sì che i sensi obbediscano alla ragione, e la ragione obbedisca in tutto e per tutto a Dio - questi è, in verità il vincitore di sé e signore del mondo.

  2. Se brami elevarti a questa somma altezza, è necessario che tu cominci con coraggio, mettendo la scure alla radice, per poter estirpare totalmente la tua segreta inclinazione, contraria al volere di Dio e volta a te stesso e a tutto ciò che è tuo utile materiale. Da questo vizio, dall'amore di sé, contrarissimo alla volontà divina, deriva, si può dire, tutto quanto deve essere stroncato radicalmente. Domato e superato questo vizio, si farà stabilmente una grande pace e una grande serenità. Ma sono pochi quelli che si adoprano per morire del tutto a se stessi, e per uscire pienamente da se stessi. I più restano avviluppati, né sanno innalzarsi spiritualmente sopra di sé. Coloro che desiderano camminare con me senza impacci debbono mortificare tutti i loro affetti perversi e contrari all'ordine voluto da Dio, senza restare attaccati di cupido amore personale ad alcuna creatura.

    RIFLESSIONI E PRATICHE

    Per ottenere favori e grazie speciali da Dio dobbiamo separarci dalle creature mediante un volontario raccoglimento. Dobbiamo separarci da esse di cuore e di spirito con distacco perfetto: separarci persino da noi stessi per darci tutti alla preghiera ed alla meditazione. Il principio di ogni attaccamento alle cose esteriori e sensibili è l'amor proprio: pianta maligna e mortifera che è necessario sradicare da noi, poiché distrutto il grande nostro nemico, l'amor proprio, ci sarà facile vincere tutti gli altri nemici.

     

Capitolo LIV

GLI OPPOSTI IMPULSI DELLA NATURA E DELLA GRAZIA

 

  1. Figlio, considera attentamente gli impulsi della natura e quelli della grazia; come si muovono in modo nettamente contrario, ma così sottilmente che soltanto, e a fatica, li distingue uno che sia illuminato da interiore spiritualità. Tutti, invero, desiderano il bene e, con le loro parole e le loro azioni, tendono a qualcosa di buono; ma, appunto per una falsa apparenza del bene, molti sono ingannati. La natura è scaltra, trascina molta gente, seduce, inganna e mira sempre a se stessa. La grazia, invece, cammina schietta, evita il male, sotto qualunque aspetto esso appaia; non prepara intrighi; tutto fa soltanto per amore di Dio, nel quale, alla fine, trova la sua quiete. La natura non vuole morire, non vuole essere soffocata e vinta, non vuole essere schiacciata, sopraffatta o sottomessa, né mettersi da sé sotto il giogo. La grazia, invece, tende alla mortificazione di sé e resiste alla sensualità, desidera e cerca di essere sottomessa e vinta; non vuole avere una sua libertà, preferisce essere tenuta sotto disciplina; non vuole prevalere su alcuno, ma vuole sempre vivere restando sottoposta a Dio; è pronta a cedere umilmente a ogni creatura umana, per amore di Dio. La natura s'affanna per il suo vantaggio, e bada all'utile che le possa venire da altri. La grazia, invece, tiene conto di ciò che giova agli altri, non del profitto e dell'interesse propri. La natura gradisce onori e omaggi. La grazia, invece, ogni onore e ogni lode li attribuisce a Dio. La natura rifugge dalla vergogna e dal disprezzo. La grazia, invece, si rallegra "di patire oltraggi nel nome di Gesù" (At 5,41). La natura inclina all'ozio e alla tranquillità materiale. La grazia, invece, non può stare oziosa e accetta con piacere la fatica. La natura mira a possedere cose rare e belle, mentre detesta quelle spregevoli e grossolane. La grazia, invece, si compiace di ciò che è semplice e modesto; non disprezza le cose rozze, né rifugge dal vestire logori panni.

  2. La natura guarda alle cose di questo tempo; gioisce dei guadagni e si rattrista delle perdite di quaggiù; si adira per una piccola parola offensiva. La grazia, invece, non sta attaccata all'oggi, ma guarda all'eternità; non si agita per la perdita di cose materiali; non si inasprisce per una parola un po' brusca, perché il suo tesoro e la sua gioia li pone nel cielo dove nulla perisce. La natura è avida, preferisce prendere che donare, ha caro ciò che è proprio e personale. La grazia, invece, è caritatevole e aperta agli altri; rifugge dalle cose personali, si contenta del poco, ritiene "più bello dare che ricevere" (At 20,35). La natura tende alle creature e al proprio corpo, alla vanità e alle chiacchiere. La grazia, invece, si volge a Dio e alle virtù; rinuncia alle creature, fugge il mondo, ha in orrore i desideri della carne, frena il desiderio di andare di qua e di là, si vergogna di comparire in pubblico. La natura gode volentieri di qualche svago esteriore, nel quale trovino piacere i sensi. La grazia, invece, cerca consolazione soltanto in Dio, e, al di sopra di ogni cosa di questo mondo, mira a godere del sommo bene. La natura tutto fa per il proprio guadagno e il proprio vantaggio; non può fare nulla senza ricevere nulla; per ogni favore spera di conseguirne uno uguale o più grande, oppure di riceverne lodi e approvazioni; desidera ardentemente che i suoi gesti e i suoi doni siano molto apprezzati. La grazia, invece, non cerca nulla che sia passeggero e non chiede, come ricompensa, altro premio che Dio soltanto; delle cose necessarie in questa vita non vuole avere più di quanto le possa essere utile a conseguire le cose eterne.

  3. La natura si compiace di annoverare molte amicizie e parentele; si vanta della provenienza da un luogo celebre o della discendenza da nobile stirpe; sorride ai potenti, corteggia i ricchi ed applaude coloro che sono come lei. La grazia, invece, ama anche i nemici; non si esalta per la quantità degli amici; non dà importanza al luogo di origine o alla famiglia da cui discende, a meno che in essa vi sia una virtù superiore; è ben disposta verso il povero, più che verso il ricco; simpatizza maggiormente con la povera gente che con i potenti; sta volentieri con le persone sincere, non già con gli ipocriti; esorta sempre le anime buone ad ambire a "doni spirituali sempre più grandi" (1Cor 12,31), così da assomigliare, per le loro virtù, al Figlio di Dio. La natura, di qualcosa che manchi o che dia noia, subito si lamenta. La grazia sopporta con fermezza ogni privazione. La natura riferisce tutto a sé; lotta per sé, discute per sé. La grazia, invece, riconduce tutte le cose a Dio, da cui provengono come dalla loro origine; nulla di buono attribuisce a se stessa, non presume di sé con superbia; non contende, non pone l'opinione propria avanti alle altre; anzi si sottomette, in ogni suo sentimento e in ogni suo pensiero, all'eterna sapienza e al giudizio di Dio. La natura è avida di conoscere cose segrete e vuol sapere ogni novità; ama uscir fuori, per fare molte esperienze; desidera distinguersi e darsi da fare in modo che ad essa possa venirne lode e ammirazione. La grazia, invece, non si preoccupa di apprendere novità e curiosità, perché tutto il nuovo nasce da una trasformazione del vecchio, non essendoci mai, su questa terra, nulla che sia nuovo e duraturo. La grazia insegna, dunque, a tenere a freno i sensi, a evitare la vana compiacenza e l'ostentazione, a tener umilmente nascosto ciò che sarebbe degno di lode e di ammirazione, infine a tendere, in tutte le nostre azioni e i nostri studi, al vero profitto, alla lode e alla gloria di Dio. Non vuol far parlare di sé e delle cose sue, desiderando, invece, che, in tutti i suoi doni, sia lodato Iddio, che tutto elargisce per puro amore.

  4. E', codesta grazia, una luce sovrannaturale, propriamente un dono particolare di Dio, un segno distintivo degli eletti, una garanzia della salvezza eterna. La grazia innalza l'uomo dalle cose terrestri all'amore del cielo e lo trasforma da carnale in spirituale. Adunque, quanto più si tiene in freno e si vince la natura, tanto maggior grazia viene infusa in noi; così, per mezzo di continue e nuove manifestazioni divine, l'uomo interiore si trasforma secondo l'immagine di Dio.

    RIFLESSIONI E PRATICHE

    Quanto la sacra Scrittura, ed i Padri c'insegnano del buono e cattivo albero; dell'uomo nuovo e dell'uomo vecchio; dell'amore eterno e soprannaturale; dello spirito e della carne; del primo e del secondo Adamo; della carità e della cupidigia, tutto è racchiuso dal pio autore sotto i nomi della grazia e della natura formando di queste condizioni come due persone distinte e di caratteri opposti per farcene meglio comprendere le qualità e gli affetti. Così egli attribuisce alla natura ed alla grazia i vari movimenti che si sogliono produrre nell'uomo, dicendo che l'una è scaltra, ingannatrice, impaziente, altera, avara, oziosa, vana e piena di sé, mentre l'altra è semplice, umile, povera, mortificata, caritatevole, laboriosa e fedele a Dio, a cui riferisce la gloria e l'onore d'ogni bene operato.

    Per ben capire questo bisogna avvertire che l'uomo, creato da Dio puro e giusto, poteva col soccorso sempre presente del suo creatore di cui portava l'immagine e somiglianza, perseverare in quello stato di bontà. La colpa però che gli fece perdere l'innocenza e la giustizia originale, se non cancellò del tutto, almeno sfigurò molto in lui l'immagine del suo Autore; quindi il secondo Adamo, Gesù Cristo, per riparare i danni causati dal peccato del primo Adamo meritò all'uomo infermo nuova grazia più forte e più abbondante, capace di risanarlo purché egli voglia approfittare seguendo i lumi ed i movimenti di essa. Questa grazia che non è altro se non lo Spirito Santo che ci viene infuso nei sacramenti del Battesimo e della Penitenza, diffonde, secondo il detto di S. Paolo, la carità nei nostri cuori. Ma prima che lo Spirito Santo venga ad abitare nell'anima nostra colla grazia santificante, ossia giustizia inerente o carità abituale, Egli la dispone alla giustificazione con rischiarare ed eccitare e muovere ed inclinare il cuore; alle quali grazie s'ella corrisponde, riceverà di presente colla visita gli effetti meravigliosi dello stesso Spirito Santo per cui l'ha generata ad una nuova vita. E' vero che è stato cancellato il peccato originale, ma ne rimangono tuttora i funesti effetti: la concupiscenza e l'ignoranza. Ai moti di questi effetti del peccato originale, saggiamente il nostro autore da il nome di natura, come alle mozioni e dilettazioni soavissime che provengono dallo Spirito Santo da il nome di grazia.

    Ora tutta la cura dell'uomo spirituale consiste nel ben conoscere dai loro frutti questi due alberi, fortificando l'uno ed indebolendo l'altro, e soprattutto nel cercare di conservare nell'anima sua un Ospite così eccelso che solo può riparare e rettificare i lineamenti della immagine di Dio, come si deve portare innanzi al divin tribunale per essere coronati.

 

Capitolo LV

LA CORRUZIONE DELLA NATURA E LA POTENZA DELLA GRAZIA DIVINA

 

  1. O Signore mio Dio, che mi hai creato a tua immagine e somiglianza, concedimi questa grazia grande, indispensabile per la salvezza, come tu ci hai rivelato; così che io possa superare la mia natura, tanto malvagia, che mi trae al peccato e alla perdizione. Ché, nella mia carne, io sento, contraria alla "legge della mia ragione, la legge del peccato" (Rm 7,23), la quale mi fa schiavo e di frequente mi spinge ad obbedire ai sensi. E io non posso far fronte alle passioni peccaminose, provenienti da questa legge del peccato, se non mi assiste la tua grazia santissima, infusa nel mio cuore, che ne avvampa. Appunto una tua grazia occorre, una grazia grande, per vincere la natura, sempre proclive al male, fin dal principio. Infatti, per colpa del primo uomo Adamo, la natura decadde, corrotta dal peccato; e la triste conseguenza di questa macchia passò in tutti gli uomini, talché quella "natura", da te creata buona e retta, ormai è intesa come "vizio e debolezza della natura corrotta". Così, per la libertà che le è lasciata, la natura trascina verso il male e verso il basso. E quel poco di forza che rimane nella natura è come una scintilla coperta dalla cenere. E' questa la ragione naturale, che, pur se circondata da oscurità, è ancora capace di giudicare il bene ed il male, e di separare il vero dal falso; anche se non riesce a compiere tutto quello che riconosce come buono, anche se non possiede la pienezza del lume della verità e la perfetta purezza dei suoi affetti. E' per questo, o mio Dio, che "nello spirito, mi compiaccio della tua legge" (Rm 7,22), sapendo che il tuo comando è buono, giusto e santo, tale che ci invita a fuggire ogni male e ogni peccato. Invece, nella carne, io mi sottometto alla legge del peccato, obbedendo più ai sensi che alla ragione. E' per questo che "volere il bene mi è facile, ma a compiere il bene non riesco" (Rm 7,18). E' per questo che vado spesso proponendomi molte buone cose; ma mi manca la grazia che mi aiuti nella mia debolezza, e mi ritiro e vengo meno anche per una piccola difficoltà. E' per questo che mi avviene di conoscere la via della perfezione e di vedere con chiarezza quale debba essere la mia condotta; ma poi, schiacciato dal peso della corruzione dell'umanità, non riesco a salire a cose più elevate.

  2. La tua grazia, o Signore, mi è davvero massimamente necessaria per cominciare, portare avanti e condurre a compimento il bene: "senza di essa non posso far nulla" (Gv 15,5), "mentre tutto posso in te" che mi dai forza, con la tua grazia (Fil 4,13). Grazia veramente di cielo, questa; mancando la quale i nostri meriti sono un nulla, e un nulla si devono considerare anche i doni naturali. Abilità e ricchezza, bellezza e forza, intelligenza ed eloquenza, nulla valgono presso di te, o Signore, se manca la grazia. Ché i doni di natura li hanno sia i buoni che i cattivi; mentre dono proprio degli eletti è la grazia, cioè l'amore di Dio. Rivestiti di tale grazia, gli eletti sono ritenuti degni della vita eterna. Tutto sovrasta, questa grazia; tanto che né il dono della profezia, né il potere di operare miracoli, né la più alta contemplazione non valgono nulla, senza di essa. Neppure la fede, neppure la speranza, né le altre virtù sono a te accette, senza la carità e la grazia.

  3. O grazia beata, che fai ricco di virtù chi è povero nello spirito e fai ricco di molti beni chi è umile di cuore, vieni, discendi in me, colmami, fin dal mattino della tua consolazione, cosicché l'anima mia non venga meno per stanchezza e aridità interiore! Ti scongiuro, o Signore: che io trovi grazia ai tuoi occhi. La tua gloria mi basta (2Cor 12,9), pur se non otterrò tutto quello cui tende la natura umana. Anche se sarò tentato e angustiato da molte tribolazioni, non temerò alcun male, finché la tua grazia sarà con me. Essa mi dà forza, guida ed aiuto; vince tutti i nemici, è più sapiente di tutti i sapienti. Essa è maestra di verità e di vita, luce del cuore, conforto nell'afflizione. Essa mette in fuga la tristezza, toglie il timore, alimenta la pietà, genera le lacrime. Che cosa sono io mai, senza la grazia, se non un legno secco, un ramo inutile, da buttare via? "La tua grazia, dunque, o Signore, mi preceda sempre e mi segua, e mi conceda di essere sempre pronto a operare, per Gesù Cristo, Figlio tuo. Amen. (Messale Romano, oremus della XVI domenica dopo Pentecoste).

    RIFLESSIONI E PRATICHE

    In questo capitolo il nostro autore termina l'elogio della grazia a confronto della natura cominciato nel capitolo precedente. Noi riassumendo quanto è stato detto in questi due capitoli osserviamo: 1. che la grazia è necessaria per resistere agli assalti impetuosi della natura corrotta e per operare e perseverare nel bene; 2. che essa è un dono gratuito di Dio non essendo egli debitore di nulla a nessuno e che Egli la elargisce nella misura e nel tempo che a Lui piace; 3. che la stessa grazia non è un dono comune ai buoni ed ai malvagi, come sono i doni della natura, ma è il patrimonio dei soli giusti ed il carattere speciale degli eletti; 4. che soltanto Gesù Cristo la possedette nella sua pienezza e tutti gli altri l'ebbero secondo il divino beneplacito; 5. che all'infuori di essa ogni altro dono è inutile, e nessuno fu mai giusto e caro a Dio senza di essa; 6. che essa è come un fuoco sempre in moto, sempre in azione e che può accendersi sempre più all'infinito, e rallentarsi a poco a poco, ed infine estinguersi. In una parola si applica qui quello che l'apostolo S. Paolo con tanta energia disse della carità nel capo XIII della sua prima Epistola ai Corinti.

 

Capitolo LVI

RINNEGARE SE STESSI E IMITARE CRISTO NELLA CROCE

 

  1. O figlio, tu potrai trasmutarti in me, a misura che riuscirai ad uscire da te stesso. Ché l'intimo oblio di se stessi congiunge a Dio, come la mancanza di desideri esterni porta la pace interiore. Io voglio che tu apprenda a rinnegare pienamente te stesso, in adesione alla mia volontà, senza obiezioni, senza lamentele. "Seguimi" (Mt 9,9). "Io sono la via, la verità e la vita" (Gv 14,6). Senza la via non si cammina; senza la verità non si conosce; senza la vita non si vive. Io sono la via che devi seguire; la verità cui devi credere; la vita che devi sperare. Io sono la via che non si deve lasciare, la verità che non sbaglia, la vita che non ha termine. Io sono la via diritta, la verità ultima, la vita eterna, beata, increata. "Se rimarrai nella mia via, conoscerai la verità e la verità ti farà libero" (Gv 8,32); così raggiungerai la vita eterna. "Vuoi entrare nella vita? Osserva i comandamenti" (Mt 19,17). Vuoi conoscere la verità? Chiedi a me. "Vuoi essere perfetto? Vendi ogni tua cosa" (Mt 19,21). Vuoi essere mio discepolo? Rinnega te stesso (cfr Lc 9,23; 14,27; Mt 16,24). Vuoi avere la vita eterna? Disprezza la vita presente. Vuoi essere esaltato in cielo? Umiliati in questo mondo. Vuoi regnare con me? Con me porta la croce. Soltanto quelli che si fanno servi della croce trovano la via della beatitudine e della vera luce.

  2. O Signore Gesù, dura fu la tua vita, e disprezzata dagli uomini; fa' che io ti possa imitare, disprezzato dal mondo, giacché "il servo non è da più del suo padrone, né il discepolo è da più del maestro" (Mt 10,24). Che il tuo servo si addestri alla scuola della vita, perché in essa sta la mia salvezza e la vera santità; qualunque cosa io legga o ascolti, fuori di essa, non mi ristora e non mi allieta pienamente. Figlio, tutte queste cose le conosci e le hai lette; sarai beato se le metterai in pratica. "Chi ha dinanzi agli occhi i miei comandamenti, e li osserva, questi mi ama; e io l'amerò, mi manifesterò a lui" (Gv 24,21) e lo farò sedere con me nel regno del Padre mio (Ap 3,21). O Signore Gesù, come hai detto e hai promesso, così sia fatto veramente, e a me sia dato di meritarlo. Ho ricevuto la croce, l'ho ricevuta dalla tua mano; la porterò, la porterò fino alla morte, come tu me l'hai posta sulle spalle. In verità la vita di un santo monaco è la croce; ma la croce è guida al paradiso. Abbiamo cominciato; non ci è lecito tornare indietro, né lasciare ciò che abbiamo intrapreso. Via, o fratelli, procediamo insieme: Gesù sarà con noi. Abbiamo preso questa croce per amore di Gesù; per amore di Gesù perseveriamo nella croce. Colui che ci guida e ci precede sarà il nostro aiuto. Ecco, il nostro re camminare avanti a noi; "egli combatterà per noi" (2Esd 4,20). Seguiamolo con animo virile; che nessuno abbia paura, né si lasci atterrire; che noi siamo pronti a morire coraggiosamente nella lotta; che non abbiamo a gravare il nostro buon nome con una delittuosa fuga (1Mac 9,10) dinanzi alla croce.

    RIFLESSIONI E PRATICHE

    Ha rinunziato a se stesso ed imita veramente Gesù Cristo nel portare la croce, chi è disposto a soffrire da tutti e non far soffrire alcuno; chi riceve dalla mano e dal cuore di Gesù qualunque angustia ed affanno spirituale o materiale; chi sopporta pazientemente tutte le avversità che gli vengono dalla giustizia di Dio e dall'ingiustizia degli uomini; colui infine che accetta come a sé dovuto il disprezzo e reputa disgrazia il non patir nulla per Dio e per l'acquisto della vita eterna.

     

Capitolo LVII

NON CI SI DEVE ABBATTERE ECCESSIVAMENTE QUANDO SI CADE IN QUALCHE MANCANZA

 

  1. O figlio, più mi è cara l'umile sopportazione nelle avversità, che la pienezza di devota consolazione del tempo favorevole. Perché ti rattrista una piccolezza che venga detta contro di te? Anche se si trattasse di qualcosa di più, non dovresti turbarti. Lascia andare, invece. Non è cosa strana; non è la prima volta, né sarà l'ultima, se vivrai a lungo. Tu sei molto forte fino a che nulla ti contraria; sai persino dare buoni consigli e fare forza ad altri con le tue parole. Ma non appena si presenta alla tua porta un'improvvisa tribolazione, consiglio e forza ti vengono meno. Guarda alla tua grande fragilità, che hai constatata molto spesso, di fronte a piccole contraddizioni. Pure, è per il tuo bene che accadono simili cose; deponile, dunque, dal tuo cuore, come meglio puoi. E se una cosa ti colpisce, non per questo ti abbatta o ti tenga legato a lungo. Sopporta almeno con pazienza, se non ti riesce con gioia. Anche se una cosa te la senti dire malvolentieri e ne provi indignazione, devi dominarti; non devi permettere che dalla tua bocca esca alcunché di ingiusto, che dia scandalo ai semplici. Ben presto l'eccitazione emotiva si placherà, e l'eterna sofferenza si farà più lieve, con il ritorno della grazia.

  2. Ecco, "io vivo - dice il Signore -" (Is 49,18), pronto ad aiutarti più ancora del solito, se a me ti affiderai, devotamente invocandomi. "Tu sii più rassegnato" (Bar 4,30); sii pronto a una maggiore sopportazione. Non è del tutto inutile che tu ti senta tribolato e fortemente tentato: sei un uomo, e non Dio; carne, non spirito angelico. Come potresti mantenerti sempre nel medesimo stato di virtù, quando questo venne meno a un angelo, in cielo, e al primo uomo, nel paradiso? Io sono "colui che solleva e libera quelli che piangono" (Gb 5,11); colui che innalza alla mia condizione divina quelli che riconoscono la loro debolezza. O Signore, benedetta sia la tua parola, dolce al mio orecchio "più del miele di favo" (Sal 18,11). Che farei io mai, in così grandi tribolazioni e nelle mie angustie, se tu non mi confortassi con le tue sante parole? Purché, alla fine, io giunga al porto della salvezza, che importa quali e quanto grandi cose dovrò aver patito? Concedimi un felice concepimento, un felice trapasso da questo mondo. "Ricordati di me , o mio Dio" (2Esd 13,22) e conducimi nel tuo regno, per retto cammino. Amen.

    RIFLESSIONI E PRATICHE

    Né i biasimi degli altri per le nostre mancanze, né le nostre mancanze stesse ci dovrebbero mai abbattere e farci perder d'animo. La natura è sensibile ai biasimi, ma con la grazia si può reprimere e se non riusciamo subito a domare i primi moti d'ira e di risentimento, moderiamoli ed impediamone almeno le conseguenze, i pregiudizi e gli scandali. Quanto alle nostre mancanze dobbiamo umiliarcene, però mai esserne turbati. Così non c'è da stupirsi se cadiamo e pecchiamo, anzi Iddio talvolta lo permette per nostro bene, affinché noi, riconoscendo alla prova la nostra fragilità e debolezza, ricorriamo a Colui che solo ci può rialzare, guarire e salvare.

     

Capitolo LVIII

NON DOBBIAMO CERCAR DI CONOSCERE LE SUPERIORI COSE DEL CIELO E GLI OCCULTI GIUDIZIO DI DIO

 

  1. O figlio, guardati dal voler disputare delle cose del cielo e degli occulti giudizi di Dio: perché quello è così derelitto e quell'altro è portato a un così grande stato di grazia; ancora, perché quello viene tanto colpito e quell'altro viene tanto innalzato. Tutto ciò va al di là di ogni umana capacità; non v'è alcun ragionamento, non v'è alcuna disquisizione che valga a comprendere il giudizio di Dio. Quando, dunque, una spiegazione ti viene suggerita dal nemico, oppure certuni indiscreti la vanno cercando, rispondi con quel detto del profeta: "tu sei giusto, o Signore, e retto è il tuo giudizio" (Sal 118,137); o con quest'altro: "veri sono i giudizi di Dio, santi in se stessi" (Sal 18,10). Tu devi venerare i miei giudizi, non discuterli, perché essi sono incomprensibili per l'intelletto umano. Neppure devi indagare e discutere dei meriti dei beati: chi sia più santo o chi sia più grande nel regno dei cieli. Sono cose che danno luogo spesso a dispute e a contese inutili e fomentano la superbia e la vanagloria; onde nascono invidie e divisioni, giacché uno si sforza, presuntuosamente, di portare innanzi un santo, un altro, un altro santo. Ma sono cose che, a volerle conoscere ed indagare, non portano alcun frutto; cose che, invece sono sgradite ai beati, poiché "io non sono un Dio di discordia ma di pace" (1Cor 14,33). Una pace che consiste nella vera umiltà, più che nella esaltazione di sé.

  2. Ci sono alcuni che, quasi per un geloso affetto, sono tratti verso questi o questi altri santi, con maggior sentimento: sentimento umano, però, piuttosto che divino. Sono io che ho fatto i santi tutti; sono io che ho elargito la grazia; sono io che ho accordato la gloria; sono io che, conoscendo i meriti di ciascuno, sono andato loro incontro benedicendoli nella mia bontà (Sal 20,4): io che li sapevo eletti, prima di tutti i secoli. "Sono stato io a sceglierli dal mondo, non loro a scegliere me" (Gv 15,16.19); sono stato io a chiamarli con la mia grazia, ad attirarli con la mia misericordia; sono stato io a condurli attraverso varie tentazioni, e ad infondere loro stupende consolazioni; sono stato io a dar loro la perseveranza e a premiare le loro sofferenze. Io conosco chi è primo tra di essi, e chi è ultimo; ma tutti li abbraccio in un amore che non ha misura. In tutti i miei santi, a me va data la lode; sopra ogni cosa, a me va data la benedizione; a me va dato l'onore per ciascuno di quelli che io ho fatto grandi, con tanta gloria, ed ho predestinati, senza che ne avessero dapprima alcun merito. Per questo chi disprezza il più piccolo dei miei santi, non onora neppure quello che sia grande, perché "fui io a fare e il piccolo e il grande" (Sap 6,8). E chi diminuisce uno qualunque dei santi, diminuisce anche me e tutti gli altri che sono nel regno dei cieli. Una cosa sola costituiscono tutti i beati, a causa del vincolo dell'amore; uno è il loro sentimento, uno il loro volere, e tutti unitamente si amano. Di più - cosa molto più eccelsa - amano me più che se stessi e più che i propri meriti. Giacché, innalzati sopra di sé e strappati dall'amore di sé, essi, nell'amore, si volgono totalmente verso di me; di me godono, in me trovano pace. Non c'è nulla che li possa distogliere o tirare al basso: colmi dell'eterna verità, ardono del fuoco di un inestinguibile amore. Smettano, dunque, gli uomini carnali e materiali, essi che sanno apprezzare soltanto il proprio personale piacere, di disquisire della condizione dei santi. Essi tolgono e accrescono secondo il loro capriccio, non secondo quanto è disposto dall'eterna verità. Molti non capiscono; soprattutto quelli che, per scarso lume interiore, a stento sanno amare qualcuno di perfetto amore spirituale. Molti, per naturale affetto e per umano sentimento , sono attratti verso questi o quei santi, e concepiscono il loro atteggiamento verso i santi del cielo come quello verso gli uomini di quaggiù; mentre c'è un divario incolmabile tra il modo di pensare della gente lontana dalla perfezione e le intuizioni raggiunte, per superiore rivelazione, da coloro che sono particolarmente illuminati.

  3. Guardati dunque, o figlio, dall'occuparti avidamente di queste cose, che vanno al di là della possibile tua conoscenza; preoccupati e sforzati piuttosto di poterti trovare tu nel regno dei cieli, magari anche ultimo. Ché, pure se uno sapesse chi sia più santo di un altro o sia considerato più grande nel regno dei cieli, a che cosa ciò gli gioverebbe, se non ne traesse motivo di abbassarsi dinanzi a me, levandosi poi a lodare ancor più il mio nome? Compie cosa molto più gradita a Dio colui che pensa alla enormità dei suoi peccati, alla pochezza delle sue virtù e a quanto egli sia lontano dalla perfezione dei santi; molto più gradita di quella che fa colui che disputa intorno alla maggiore o minore grandezza dei santi. E' cosa migliore implorare i santi, con devote preghiere e supplicarli umilmente affinché, dalla loro gloria, ci diano aiuto; migliore che andare indagando, con inutile ricerca, il segreto della loro condizione. Essi sono paghi, e pienamente. Magari gli uomini riuscissero a limitarsi, frenando i loro vaniloqui. I santi non si vantano dei loro meriti; non ascrivono a sé nulla di ciò che è buono, tutto attribuendo a me; poiché sono stato io, nel mio amore infinito a donare ad essi ogni cosa. Di un così grande amore di Dio e di una gioia così strabocchevole i santi sono ricolmi; ché ad essi nulla manca di gloria, nulla può mancare di felicità. I santi, quanto più sono posti in alto nella gloria, tanto più sono umili in se stessi, e a me più cari. Per questo trovi scritto che "deponevano le loro corone dinanzi a Dio, cadendo faccia a terra dinanzi all'Agnello e adorando il Vivente nei secoli dei secoli" (Ap 4,10; 5,14).

  4. Molti cercano di sapere chi sia il maggiore nel regno di Dio, e non sanno neppure se saranno degni di essere colà annoverati tra i più piccoli. Ed è gran cosa essere pure il più piccolo, in cielo, dove tutti sono grandi, perché "saranno detti - e lo saranno - figli di Dio" (Mt 5,9); "il più piccolo diventerà come mille" (Is 60,22); "il più misero morirà di cento anni" (Is 65,20). Quando infatti i discepoli andavano chiedendo chi sarebbe stato il maggiore nel regno dei cieli, si sentirono rispondere così: "se non vi sarete convertiti e non vi sarete fatti come fanciulli non entrerete nel regno dei cieli; chi dunque si sarà fatto piccolo come questo fanciullo, questi è il più grande nel regno dei cieli" (Mt 18,3s). Guai a coloro che non vogliono accettare di buon grado di farsi piccoli come fanciulli: la piccola porta del regno dei cieli non permetterà loro di entrare. Guai anche ai ricchi, che hanno quaggiù le loro consolazioni; mentre i poveri entreranno nel regno di Dio, essi resteranno fuori, in lamenti. Godete, voi piccoli; esultate, voi "poveri, perché il regno di Dio è vostro" (Lc 6,20); a condizione però che voi camminiate nella verità.

    RIFLESSIONI E PRATICHE

    Temerario è colui che cerca il suo precipizio, colui che vuole comprendere anziché adorare i misteri di Dio, scienza questa che se anche fosse possibile agli uomini, sarebbe loro nociva come può essere loro utile l'ignoranza e l'incertezza.

    Fra questi misteri è quello della differenza dei meriti, e tutte le questioni su questo argomento sono temerarie ed inutili. Contentiamoci quindi di lodare, benedire e venerare Dio nei suoi santi senza voler discutete del loro ordine e stato. Studiamoci di aver un posto in paradiso, senza voler sapere quale dei santi ne occupi il primo. Ricordiamoci che per l'umiltà e povertà di spirito e di cuore, si giunge a quella gloria ed a quell'abbondanza di beni che vi si godono senza fine.

 

Capitolo LIX

PORRE OGNI NOSTRA SPERANZA E OGNI FIDUCIA SOLTANTO IN DIO

 

  1. O Signore, che cosa è mai la fiducia che ho in questa vita. Quale è il mio più grande conforto, tra tutte le cose che si vedono sotto il cielo? Non sei forse tu, o Signore, mio Dio di infinita misericordia? Dove mai ho avuto bene, senza di te; quando mai ho avuto male con te? Voglio essere povero per te, piuttosto che ricco senza di te; voglio restare pellegrino su questa terra, con te, piuttosto che possedere il cielo, senza di te. Giacché dove sei tu, là è cielo; e dove tu non sei, là è morte ed inferno. Sei tu il mio desiderio ultimo; perciò io ti debbo seguire, con gemiti e lacrime ed alte, commosse preghiere. In una parola, non posso avere piena fiducia in alcuno che mi venga in aiuto nelle varie necessità, fuori che in te soltanto, mio Dio. "La mia speranza" e la mia fiducia sei tu (Sal 141,6); tu, il mio consolatore, il più fedele in ogni momento. "Ognuno va cercando ciò che a lui giova" (Fil 2,21); e tu, o Dio, ti prefiggi soltanto la mia salvezza e tutto volgi in bene per me. Pur quando mi esponi a varie tentazioni e avversità, tutto questo tu lo vuoi per il mio bene, giacché quelli che tu ami usi metterli in vario modo alla prova; e in questa prova io debbo amare e ringraziare, non meno che quando tu mi colmi di celesti consolazioni.

  2. In te, dunque, o Signore Dio, ripongo tutta la mia speranza; in te cerco il mio rifugio; in te rimetto tutte le mie tribolazioni e le mie difficoltà, ché tutto trovo debole e insicuro ciò che io vedo fuori di te. Non mi gioveranno, infatti, i molti amici; non mi saranno di aiuto coloro che vengono a soccorrermi, per quanto forti; non mi potranno dare un parere utile i prudenti, per quanto saggi; non mi potranno dare conforto i libri dei sapienti; non ci sarà una preziosa ricchezza che mi possa dare libertà; non ci sarà un luogo ameno e raccolto che mi possa dare sicurezza, se non sarai presente tu ad aiutarmi, a confortarmi, a consolarmi; se non sarai presente tu ad ammaestrarmi e a proteggermi. In verità, tutte le cose che sembrano fatte per dare pace e felicità non sono nulla e non danno realmente felicità alcuna, se non ci sei tu. Tu sei, dunque, l'ultimo termine di ogni bene, il supremo senso della vita, la massima profondità di ogni parola. Sperare in te sopra ogni cosa è il maggior conforto di chi si è posto al tuo servizio. "A te sono rivolti i miei occhi (Sal 140,80); in te confido, o mio Dio (Sal 24,1s), padre di misericordia" (2Cor 1,3). Benedici e santifica, con la tua celeste benedizione, l'anima mia, affinché essa sia fatta tua santa dimora e sede della eterna gloria; e nulla si trovi in questo tempio della tua grandezza, che offenda l'occhio della tua maestà. Guarda a me, nella tua immensa bontà e nell'abbondanza della tua misericordia; ascolta la preghiera del tuo servo, che va peregrinando in questa terra oscura di morte. Proteggi e custodisci l'anima di questo tuo piccolo servo, nei tanti pericoli della vita di quaggiù; dirigila con la tua grazia per la via della pace, alla patria della eterna luce. Amen.

FINISCE IL LIBRO DELLA CONSOLAZIONE INTERIORE.

RIFLESSIONI E PRATICHE

Il fedele, illuminato dai frequenti colloqui col Signore, richiama alla memoria parecchi passi della sacra Scrittura, alfine di rimanere vieppiù convinto che Dio è il suo tutto, cioè ogni sua speranza, consolazione, forza, consiglio, rifugio e gioia in questa vita, come nell'altra sarà la sua mercede e corona immortale. Dopo aver dunque letto e meditato queste sante massime, si deve concludere che in ogni travaglio tanto interno come esterno, e massimamente nei più gravi, dobbiamo coi santi Maccabei (premessa la penitenza) innalzare a Lui le nostre suppliche umilmente dicendogli:

"Signore, Tu sai i disegni che i nemici dell'anima nostra hanno sopra di noi: Tu conosci i nostri affanni e vedi le lacrime e la desolazione in cui ci troviamo. Come potremo difenderci e tener fronte ad avversari così forti senza il tuo aiuto? a Te dunque noi rivolgiamo i nostri sguardi e tutto il nostro cuore. Tu sei il nostro Dio e puoi soccorrerci; Tu ci sei Padre e lo vuoi; Tu sei il Salvatore degli uomini, e come tale sembra che tu lo debba. Aiutaci dunque, affinché non soccombiamo. Così sia."

 

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21 giugno 2014                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net