CONTEMPLAZIONE E RISPETTO DELLA PERSONA

Conferenza pronunciata all'Università Cattolica di Puerto Rico il 7 ottobre 2004.

ALFREDO SIMON, OSB

Monaco dell'Abbazia di Valle de los Caídos.

Professore di Storia Monastica e Storia della Teologia nel Pontificio Ateneo di Sant’Anselmo (Roma).

(Libera traduzione dallo spagnolo)

 

Quando mi fu indicato il titolo di questa conferenza - “Contemplazione e rispetto della persona„ – mi ritrovai un po' sorpreso perché non è comune collegare questi due termini di “contemplazione„, che ci fa pensare ad un'esperienza spirituale, e “rispetto della persona„, che è più in relazione con l'antropologia, i diritti dell'uomo o la teoria della società. Ma, oltre alla sorpresa iniziale ed alla sfida che mi si presentava, ho pensato che si potessero effettivamente mettere in relazione questi argomenti che, in fondo, hanno più di un punto in comune, anche se quasi nessuno lo sottolinei esplicitamente. Nella mia relazione affronterò tre punti: La persona tra trascendenza e relazione interpersonale, i quattro passi verso la contemplazione, rispetto della persona.

Io sono un monaco ed articolerò la mia conferenza in accordo con la mia esperienza monastica della contemplazione e con la concezione della persona, che deriva da questa, provando a sottolineare l'attualità di queste questioni per la nostra vita e per il nostro mondo di relazioni: che cosa e chi è la persona umana e perché occorre rispettarla? - Cosa è la contemplazione, a cosa serve nella vita e come contribuisce alla nostra configurazione di persone ed al rispetto interpersonale?

 

La persona tra trascendenza e relazione interpersonale

La persona ha molte dimensioni vitali che, seguendo S. Paolo, possiamo elencare come corporale, spirituale, intellettuale e sociale. Abbiamo un corpo, un’anima, abbiamo una facoltà razionale e ci mettiamo in relazione con gli altri. Sono dimensioni in relazione tra di loro. Non esiste una persona che non abbia un corpo e un'intelligenza [1] . Sottolineerò tuttavia due dimensioni, la spirituale e la sociale. La persona umana si proietta, si interpreta, si riconosce, si comprende in un contesto di relazione con gli altri, in continuo confronto con gli altri. La persona si sviluppa principalmente nella convivenza. Una convivenza che si forma e si configura col tempo, con l'esperienza e con il dinamismo della vita. È per questo che José Ortega y Gasset (1883-1955: filosofo e saggista spagnolo. Ndt.) diceva che l'esperienza è “pensare con i piedi„, è la stessa cosa che camminare per la vita. Non si riferisce con quest'espressione ad un tipo di pensiero, ma ad un'esperienza vitale. L'uomo è un essere che convive in un ambito personale di vita. Ciascuno è e si sente figlio o figlia di qualcuno, padre o di madre di qualcuno, fratello o sorella di qualcuno, amico o amica di qualcuno, marito o moglie di qualcuno. La vita ci definisce in gran parte tramite la nostra relazione con gli altri [2] . La vita stessa si sviluppa nel tempo e, di conseguenza, la persona ha una dimensione temporale. Ciò non significa che tutto cambia. Cambiano alcune cose. Siamo “lo stesso„ ma non “il medesimo„. L’identità non è la stessa cosa della medesimezza (mismidad in spagnolo. Ndt.). Pedro è sempre lo stesso Pedro poiché la sua identità non cambia. Ma non è lo stesso Pedro da bambino, da giovane, da adulto e da anziano. Il suo corpo ed il suo modo di ragionare cambiano. Cambia quindi la sua medesimezza. Oltre all'aspetto interpersonale, la relazione tra persona e cosa aiuta a capirci. La differenza tra cosa, uomo e persona è stata definita precisamente soltanto dal cristianesimo; concretamente da parte dei cappadoci [3] . L'essere umano non è soltanto un essere vivo razionale, come hanno pensato i filosofi greci, ma è persona. E nella persona, secondo Zubiri (José Xavier Zubiri Apalategui, 1898-1983: filosofo spagnolo), si distingue l’individualità e la personalità (personeidad e  personalidad in spagnolo. Ndt.) [4] . L’individualità è ciò che si è ed è sempre la stessa, è la sostanza e non cambia, fornisce la base del valore assoluto e della dignità propria ed inviolabile della persona. La personalità si forma nel corso del processo psico-organico, è un divenire costante lungo le circostanze temporali, relazionali e spaziali dell’esistenza [5] .

Una persona non è una cosa ed ha una dimensione autoteleologica (che ha il proprio fine in sé stessa. Ndt.) che precede il senso prasseologico (La prasseologia o prassiologia è la teoria che si occupa dell'agire umano (praxis) dal punto di vista della sua efficacia. Ndt.) [6] . È come dire che la persona non è un mezzo ma un fine in sé stessa e questo fine non dipende dalla praxis, non può essere uno strumento o un mezzo della sua praxis. Come dice la Gaudium et Spes (n. 24), l’uomo “è la sola creatura che Iddio abbia voluto per se stesso„. E’ ciò che aveva già espresso Kant nel suo secondo imperativo categorico quando disse: agisci in modo che la persona sia sempre il fine e non il mezzo del tuo agire [7] .  La persona non è un puro oggetto, ma che si attua, si realizza nella relazione di simpatia io-tu. In realtà, la persona è l’essere ed il dinamismo, ambedue le cose. L'uomo si richiama principalmente al dialogo, alla comunicazione, alla socievolezza, all’incontro. Ha molti modi per manifestare il rispetto della persona: nel rispetto di un saluto, nella simpatia, nella fiducia, nell'amore. L'atteggiamento contemplativo ci innalza a vedere dietro gli esseri, le cose e, soprattutto, le persone, un po' più della semplice realtà del loro aspetto esterno, della loro materialità. Ci fa vedere il senso, il significato, il valore…[8] . L’incontro tra due persone assume diverse forme: può essere una “discussione„, una “lotta„ per gli alimenti, per il potere, per il prestigio… in questo caso l'altro non è visto come una persona con uno scopo in sé stesso, ma come un oggetto dal quale ci si deve allontanare perché ostacola la soddisfazione del proprio egoismo. A questa relazione, a questo incontro, manca la contemplazione, il senso del mistero e, quindi, l'amore. Il mistero si rivela soltanto nell'amore, e soltanto nell'amore si può conservare il mistero. Lo Spirito Santo, che è amore, rivela ciò che è occulto nell'intimità, nell’interiorità. Nel silenzio si rivela il mistero, il mistero di Dio, il mistero dell'uomo, che nella sua libertà accoglie tale rivelazione. La persona possiede una dignità assoluta, ma questa non proviene dal suo essere, che è finito, ma da qualcosa assoluto in sé stesso, e non da un assoluto in astratto, come un'idea, un valore o una legge, ma da Dio e del fatto che Lui le ha conferito la condizione di persona… attraverso la chiamata, la chiamata ad essere un Tu per Lui, e Lui il Tu per l'uomo.

Ogni persona ha una dimensione trascendente che la differenzia dalle cose e la mette in una relazione potenziale di disinteressata comunione con la verità, il bene e la bellezza. Per i credenti, per noi cristiani, la dimensione religiosa è più chiara, perché crediamo in Dio e ci mettiamo in contatto con lui attraverso la preghiera. Ma ogni persona umana ha questa dimensione trascendente, a stento capace di aprirsi a qualcosa che sta molto al di là di sé stessa. L'uomo cerca, desidera, aspira, anela un al di là perché qualcosa nel suo cuore, nel suo essere, lo spinge a ciò. Non sa forse definirlo bene ma lo sperimenta fortemente in un modo o nell’altro. La persona ha, dunque, un carattere trascendente che la porta a pensare e ad agire con senso e con responsabilità, e ad aspirare ad una felicità infinita che la supera e che la perfeziona allo stesso tempo. Questa trascendenza si esprime quando conosciamo un'altra persona. Quando vediamo un'altra persona non la stiamo conoscendo; in realtà vediamo soltanto il suo corpo, la sua faccia, e questo non è sufficiente. A questa conoscenza esterna, superficiale e generica manca la conoscenza della parte interiore, trascendentale, della persona, quella che più definisce e dice chi è, il suo pensiero, il suo cuore, il suo progetto, la sua aspirazione, ecc. La persona è aperta ed ha una capacità di trascendenza che le permette di superare la sua finitudine costitutiva concretizzata nelle sue azioni più materiali come mangiare, bere, ballare o nella sua preoccupazione per il denaro. Molti aspetti della vita umana sono indizi evidenti della propria costituzione trascendente che si concretizza in esperienze come la creatività artistica e culturale, l'acquisizione di nuove conoscenze, l'amore vero, la donazione personale, l'educazione di un bambino o la retta organizzazione della società [9] . A proposito della creatività estetica, l'altro giorno ho avuto la soddisfazione di visitare il Museo d'Arte di Ponce ed ho potuto avvicinarmi e godere delle opere pittoriche che sono là esposte e che comprendono quasi tutta la storia della pittura; alcune sono dei veri capolavori. All'entrata del museo ho potuto leggere alcune frasi del fondatore del museo: “Non tutto è materiale. Esiste la bellezza, l'espressione della creatività dello spirito umano “.

Ma la massima espressione del suo essere trascendente è la dimensione religiosa in cui l'uomo entra in contatto con Dio. Il cristiano, che crede in Cristo, può comprendere senza grande difficoltà la sua dimensione trascendente attraverso la conoscenza della rivelazione. Dio ha voluto manifestarsi, rivelarsi, e farsi conoscere dall'uomo in modo che questo possa raggiungere la sua pienezza e la sua felicità, perfetta ed infinita, per cui è stato originariamente creato. Dio si è comunicato attraverso la sua Parola in modo che lo possiamo conoscere e così Dio è entrato in dialogo con l'uomo. Questa è la più grande meraviglia nella storia dell'umanità, senza confronto con qualsiasi altra scoperta umana ... Poiché l'uomo ha potuto conoscere Dio, ha potuto conoscere sé stesso ed ha potuto conoscere il bene personale ed interpersonale o sociale. Se guardiamo le prime pagine della Bibbia, in particolare il cap. 3 della Genesi, possiamo vedere che le prime parole pronunciate da Dio direttamente all'uomo sono al fine di stabilire un dialogo con lui e, ancora di più, per trovare l'uomo, "Dove sei?" (Gen 3,9). Scoprire che l'uomo è cercato da Dio, anche se Dio non ha bisogno di lui, costituisce un'esperienza religiosa fondamentale. L'uomo si scopre come immagine di Dio. Sentirsi cercato da Dio, amato da Dio è la radice del nostro incontro con Dio, della contemplazione, ed è a sua volta l'origine della nostra ricerca di Dio ed il fondamento del nostro essere persona e, di conseguenza, del rispetto radicale e massimo che dobbiamo alla nostra persona ed a quella degli altri.

All'origine, dunque, è la parola di Dio. Più al di là della nostra possibilità, troviamo che Dio stesso mette in noi il seme iniziale della contemplazione e della nostra capacità di svilupparci come persone e fino all'altezza delle massime potenzialità umane che scopriamo nel nostro interno, siano esse intellettuali, artistiche, mistiche, sociali, morali o comunicative… Il Concilio Vaticano II nella Dei Verbum [10] ha esposto il ruolo fondamentale che esercita la Sacra Scrittura nella vita della Chiesa (cap. VI) in tutte le sue manifestazioni, la spiritualità, la pastorale, la teologia… “alimento dell’anima, fonte pura ed eterna della vita spirituale„ (n. 21), “anima della teologia„ (n. 24), fondamento del pensiero cristiano. Nella parola di Dio ci si rivela il vero volto di Dio ed il vero essere della persona come immagine di Dio, la qualità ed il valore della sua vita e, quindi, il supremo rispetto che merita. Dio è amore - secondo la definizione dell'evangelista Giovanni - e la persona è amore. Un'idea corretta dell'amore influenza la nostra concezione di persona ed il rispetto che le si deve. Dalla parola di Dio possiamo estrarre qualcosa di fondamentale per la nostra vita, un'idea corretta di Dio, della persona e dell'amore. Soprattutto nel Vangelo scopriamo il cosa ed il come di queste idee basilari. Importa anche il come, cioè la lingua e lo stile che ha utilizzato Gesù per dirci chi è Dio e chi siamo noi. Gesù ha dato origine ad un nuovo modo di vivere e di pensare, ad un nuovo stile di relazione interpersonale e ad un nuovo modo di guardare il mondo e di guardare l'altro. Giovanni Paolo II ha affermato che il problema principale del mondo contemporaneo è l'assenza di interiorità e di contemplazione. Parliamo un po' di contemplazione.

 

I quattro passi verso la contemplazione

La contemplazione ha origine nella parola di Dio [11] e, secondo la tradizione monastica benedettina, segue un processo di quattro fasi che sono diventate classiche e che vanno dalla lectio divina fino alla contemplazione:

Lectio (lettura della Sacra Scrittura)

Meditatio (meditazione)

Oratio (preghiera)

Contemplatio (contemplazione)

Il primo nella storia che ha parlato della lectio divina è stato Origene (185-253), che è stato una figura importante della chiesa primitiva di lingua greca, fondatore o ispiratore dell'interpretazione allegorica della Scrittura che è stata sviluppata ad Alessandria, in Egitto, e che ha influenzato durante molti secoli tutta l'interpretazione cristiana della Scrittura. Durante l'anno 238 scrisse una lettera al suo discepolo Gregorio Taumaturgo nel quale gli raccomandava la lettura delle divine Scritture per piacere a Dio, la ricerca e la comprensione del significato che esse hanno, per comprendere il quale era necessaria la preghiera. Origene sottolinea la perseveranza nella lettura divina anche quando ci troveremo come davanti ad una porta chiusa, vale a dire davanti ad un passaggio nel quale non comprendiamo il significato di ciò che leggiamo. La chiave per aprire la porta, cioè per comprendere il significato che può sembrare occulto, è la preghiera, facendo allusione alle parole del Vangelo “bussate e vi sarà aperto„ (Mt 7,7).

Questa pratica della lettura della Scrittura collegata alla preghiera è stata molto comune durante l'epoca patristica e fu consolidata dai maestri della spiritualità monastica fino alla sistematizzazione classica effettuata da Guigo II il Certosino (+1188) con le sue quattro fasi di lettura, meditazione, preghiera e contemplazione. In tal modo descrisse tutto l'itinerario spirituale dell’anima verso Dio utilizzando le metafore dei sensi corporali udito, olfatto, vista, gusto e tatto per attribuire loro analogicamente un significato mistico. Attualmente Giovanni Paolo II raccomanda espressamente la lectio divina nella sua Carta Apostolica Novo Millennio Ineunte (n. 39) del 6-1-2001 in quanto esperienza che rende l'ascolto della Parola un incontro vitale [12] . Era stata precedentemente raccomandata anche dal Catechismo della Chiesa Cattolica (1992) - n. 1177; 2708 - e da parte della Commissione Biblica Pontificia nel suo documento “L'interpretazione della Bibbia nella Chiesa„ (1993), n. 49.

Cosa è allora la lectio divina? Non è una semplice lettura, come potrebbe essere quella che facciamo leggendo il periodico mentre pranziamo, o una rivista sull'autobus o un romanzo prima di dormire. Non assomiglia neppure alla lettura culturale o scientifica che risponde generalmente ad un interesse intellettuale. La lectio divina è in realtà la lettura e l'ascolto orante, personale o comunitario, della parola di Dio. Costituisce così tutta un’esperienza di tutto il mio essere personale, simile a quella che si legge nel Deuteronomio (6,5) relativa all'amore di Dio con tutto il cuore, con tutta la mente, con tutta l’anima, con tutte le forze. Il contatto con la parola di Dio non può essere superficiale perché tocca qualcosa di profondo della mia persona, del mio essere, della mia storia, della mia fiducia. Di conseguenza la lettura divina, come esperienza trascendente, comincia con l'ascolto. Un ascolto qualificato, che sa distinguere la parola di Dio e le molteplici parole degli uomini. È più importante ascoltare che parlare. (I rabbini dicono che Dio ci ha dotati di due orecchie ed una bocca - e non di due bocche ed un orecchio per indicare che dobbiamo ascoltare il doppio di ciò che diciamo). “Quando leggiamo noi ascoltiamo Dio, quando preghiamo parliamo a Lui„ (sant’Ambrogio). La Parola chiama, invita ed interpella. L'esperienza della Parola, tuttavia, termina e non può essere separata da ciò che costituisce il suo culmine, cioè l'azione liturgica. Scrittura ed Eucaristia, Parola e Sacramento (Dei Verbum 21Sacrosanctum Concilium 9). Era tradizionalmente praticata in modo personale; ora viene praticata anche in gruppi ed in comunità. Vediamo brevemente ognuno dei quattro passi:

1. Il primo momento è la lectio o lettura di una pagina della Bibbia. È una lettura rallentata nella quale si prova a comprendere ciò che dice il testo ed il suo significato, il messaggio che trasmette. Questo primo passo è stato anche chiamato “lettura spirituale„ o lettura “sapienziale„. Si tratta di ascoltare attentamente ciò che Dio dice nella Parola, senza cercare altro scopo al di fuori della Parola stessa. La Parola trasmette la storia della salvezza ed ognuno di noi fa anche parte della storia salvifica. Se uno vuole conoscere il suo presente, il suo passato ed il suo futuro, lo troverà nella parola di Dio. Ma questo è ciò che occorre scoprire. E cosa è questa storia? È nel fondo la storia dell’Alleanza, di una relazione d'amore di Dio con noi, nella quale, come nella vita stessa, c'è incontro e scontro (ricordiamo il popolo di Israele), accordo e disaccordo (pensiamo a Marta e Maria), bene e male (David), grazia e peccato (Pietro), presenza e nascondimento (Mosè), verità e menzogna (Giuda), vita e morte (Lazzaro), potenza e debolezza (Paolo), felicità e disgrazia (Giobbe), luce ed oscurità (Giovanni), giorno e notte (Samuele), canto e pianto (Maria Maddalena). Una storia, in definitiva, sempre dialettica che accompagna l'esistenza umana personale e sociale.

2. Il secondo passo è la meditatio o meditazione della pagina biblica e la ricerca di ciò che mi dice personalmente la Parola. Questo passo era anche chiamato ruminatio o ruminare la Parola, volendo indicare così la riflessione personale della Parola, il “rimasticarla„ a somiglianza di ciò che fanno i ruminanti, le mucche, quando digeriscono ciò che mangiano. Sarebbe metaforicamente assaporare la Parola, gustarla, masticarla. In questo momento ognuno fa sua ed assimila la Parola personalmente, come gli alimenti che si mangiano ed il corpo li assimila. Quando cerco il significato del testo per la mia vita entro in una relazione personale tra la Parola e la vita nella quale la Parola feconda la mia vita e, al contrario, la mia vita incarna la Parola. Applico la Parola alla mia vita per far piacere a Dio, illuminare la mia vita e svilupparla come persona umana. La Parola illumina ed interpreta la mia vita come storia della salvezza. Devo lasciarmi interpretare dalla Parola.

3. Il terzo passo è lo oratio o preghiera nella quale si intensifica la relazione con Dio. Qui io parlo a Dio, rispondo a ciò che Lui mi ha detto con la sua Parola. Posso parlargli in molti modi: nel silenzio interiore o supplicando, adorando, riconoscendo, ringraziando, elogiando, cantando, invocando lo Spirito Santo, chiedendo perdono, sperando… Lo Spirito Santo e la Parola meditata illuminano la mente nella preghiera.

4. L'ultimo passo è la contemplatio o contemplazione che non si riferisce, come a volte intendiamo questo termine, ad un momento d'estasi come hanno avuto alcuni santi, come santa Teresa di Gesù ed altri, in cui si elevavano in estasi o sospendevano i propri sensi. La contemplazione è un'esperienza nella quale uno si lascia riempire ed impregnare dalla Parola gratuitamente e senza altri interessi né pensieri. Cessano le parole ed uno vede, ama, contempla con gioia interiore e luminosa la bellezza della Parola, si unisce a Dio stesso e si lascia penetrare dall'azione della grazia che si trasmette e trasforma la persona. Qui si sente e si gusta la bellezza di essere figlio di Dio, famiglia di Dio e, così, si cresce nella fiducia e nella fede.

Guigo II il Certosino ha parlato di questo processo con una metafora molto utilizzata nella tradizione monastica: le quattro fasi sarebbero come una “scala„ che collega la terra al cielo con quattro gradini che rappresentano ogni fase spirituale. Guigo li definisce così: “La lettura cerca la dolcezza della vita beata, la meditazione la trova, la preghiera la chiede, la contemplazione la gusta„ [13] . Guigo prende come base una frase di Gesù nel vangelo di san Matteo (5,8):

“Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio„, per spiegare che là non si parla dei puri di corpo ma di cuore, che è più spirituale e più interiore. Questa frase, dice, è come un grappolo di uva appetitoso che uno desidera gradire. D'altra parte, stabilisce un parallelismo tra le quattro fasi ed i sensi corporali (udito, olfatto, gusto, tatto e vista) ai quali attribuisce un significato simbolico nelle fasi dell'esperienza spirituale che conducono alla contemplazione [14] . L'udito è associato alla prima fase di lettura, perché nella lettura della Parola uno si pone all'ascolto di Dio. Dio ci parla attraverso la sua Parola ed ognuno sente ed ascolta. L'olfatto acquisisce il significato mistico della meditazione e della preghiera, cioè delle fasi seconda e terza, nelle quali si inizia a sentire la “soavità del profumo„ che annuncia la presenza dello Sposo, cioè di Cristo. Il profumo libera una fragranza che si sente a distanza, ed in modo simile la presenza, attraverso l'olfatto spirituale, è percepita anche se non la si vede e favorisce il desiderio. La meditazione e la preghiera hanno questa funzione. Il gusto indica direttamente la contemplazione. Il gusto spirituale denota l'esperienza contemplativa, l'unione mistica con Dio che produce la gioia di sentire spiritualmente la soave presenza di Dio in un'esperienza inenarrabile, traboccante, confortante, pacificante, vivificante, interamente spirituale. La vista si riferisce alla stessa esperienza del gusto ma da un altro punto di vista. Essendo un'esperienza ineffabile, il gusto indica l'aspetto più emozionale e la vista l'aspetto più visivo e conoscitivo dell'illuminazione che è percepita dalla coscienza. Si vede attraverso la luce. Come risultato, emerge un'esperienza contemplativa illuminante. È un modo di “vedere„ Dio in un certo modo, fino a che si arriva alla “visione„, alla luce definitiva nella vita eterna.

La contemplazione costituisce dunque un itinerario spirituale della persona basato sulla Sacra Scrittura e che porta nella sua ultima fase ad un'esperienza gioiosa e luminosa di grazia ed unione con Dio. È un esercizio che, se è praticato con regolarità, produce frutti di una grande esperienza spirituale di bellezza, di amore, di luce, di vita eterna, che, in definitiva, unifica la persona in una crescita interiore chiamata “santificazione„ o “divinizzazione„ (Padri greci) nella quale interviene lo Spirito Santo. O, come si esprime san Gregorio Magno: “Conosciamo, mediante l'amore, la bellezza del nostro creatore offerta alla nostra contemplazione, alla quale tendiamo„ [15] . Nel suo Commento al Cantico dei Cantici, Gregorio parla di una scala di tre gradini nella sua considerazione della morale e delle cose del mondo per arrivare alla contemplazione di Dio:

“Prima certamente viene il mettere in ordine il comportamento; poi il considerare tutte le cose presenti come se non fossero; ed in terzo luogo viene il guardare le cose pure con una celeste e interiore penetrazione di cuore. Così, per questi gradi dei libri si fa una scala verso la contemplazione di Dio: perché, mentre prima le cose oneste del mondo sono gestite bene, in seguito vengono disprezzate anche le cose oneste del mondo, infine si contemplano le cose intime di Dio fino all'estremo [16] .

“La Parola di Dio, come dice Giovanni Paolo II, è la fonte prima di tutta la spiritualità cristiana„  [17] . O, come ricorda il C. Vaticano II, Dio parla agli uomini come amici (Gv 15,14-15) per invitarli ed ammetterli alla comunione con Lui [18] .

Rispetto della persona

La contemplazione ci introduce in una percezione nuova ed adeguata della rivelazione divina ed umana. Ci illumina sul nostro essere persone e, soprattutto, produce in noi un modo nuovo di guardare il mondo e di concepire le relazioni umane. Conoscendoci a fondo, noi conosciamo anche gli altri e si originano tra noi relazioni nuove basate sull'ammirazione e sul rispetto del “tesoro„ che Dio ha messo nel cuore di ogni persona umana. Le cose, il loro desiderio, il desiderio di possedere, di comperare, di consumare, possono appannare la percezione di ciò che siamo. D'altra parte, le relazioni interpersonali modificano di fatto la nostra personalità, ci migliorano o ci peggiorano. Il nostro essere come persone rimane intatto, ma la nostra personalità, il nostro sviluppo morale, no [19] . Oltre alle relazioni interpersonali, il rispetto della persona è una conseguenza del nostro comportamento morale che si manifesta nelle nostre “virtù„ o nei nostri “vizi„, nei nostri costumi buoni o cattivi. Senza fede e senza conoscenza della parola di Dio perdiamo una profonda visione della nostra interiorità e della fonte di rispetto che essa costituisce. È difficile rispettare profondamente l'altro senza questa prospettiva. Senza conoscere la persona in profondità ed in tutto il suo valore, partendo dalla contemplazione, è impossibile rispettarla, riconoscerla ed ammirarla nella misura che si merita. La Parola permette anche un'esperienza personale fondamentale come è il trovare sé stesso e la chiamata radicale che sentiamo verso la comunione con Dio. Il desiderio di Dio, il desiderio di trasformarci in Dio, è un regalo dello Spirito che portiamo dentro, molto dentro.

In Cristo abbiamo il modello e il perfetto culmine di ciò che noi siamo e di ciò che sono le nostre relazioni personali. Ogni cristiano ha in Lui uno “specchio„ dove potersi esaminare come figura trasparente del nuovo modo di vivere, di pensare e di relazionarsi che si deduce dalla contemplazione del mistero di Dio rivelato in Cristo. Nel Gesù del Vangelo abbiamo vari esempi di come Gesù si relazionava, di come Lui rispettava la gente: si mise in relazione, di fatto, con i peccatori, con gli anziani, con i poveri, con gli uomini, con le donne, con i lavoratori, con i bambini, con i suoi amici… La contemplazione ci facilita la conoscenza profonda, vitale con l'essere stesso di Gesù ed anche la conoscenza di noi stessi. Da qui noi siamo nella disposizione di vivere la nuova relazione con l'altro, il nuovo sguardo sull’altro che si basa sul rispetto della persona. Ma il rispetto è soltanto l’inizio della relazione. Il rispetto è l'atteggiamento di un cristiano che nell'altro vede anche l'immagine di Dio che egli scopre, con la contemplazione, in sé stesso, e che vede nell'altro il figlio di Dio che egli scopre anche in sé stesso. In questo modo un cristiano quando vede un'altra persona la rispetta e la ammira. Diamo un’occhiata al modo di mettersi in relazione di Gesù. Gesù quando si mette in relazione con un'altra persona, inizialmente la rispetta, ma in seguito l’ama, nel disinteresse e nella gratuità di un amore che è donazione, per terminare nel grande “segno„ che è il servizio. Ricordiamo la scena della lavanda dei piedi dei suoi discepoli nell'ultima cena. Che cosa significa questa scena? Non credo sia un segno di igiene o di cortesia, e neanche d'umiltà o di carità. In realtà, è il segno del suo potere che è l'amore ed il servizio all'altro. Questa è la chiave di lettura di tutto il vangelo nella nuova relazione interpersonale che Gesù ha inaugurato nel mondo. Questa è la relazione di rispetto interpersonale veramente umana che porta al bene, che porta alla felicità. Al contrario, vedere l'altro con l'interesse di ottenere un profitto a proprio vantaggio e del suo sfruttamento per il proprio benessere è la conseguenza dell'egoismo che portiamo dentro di noi come principio del male e che distrugge le relazioni umane giuste, rispettose, di amore e di servizio reciproco. Ugualmente contrario ad una relazione umana degna si potrebbe dire del fatto di vedere l’altro o l’altra come oggetto di soddisfazione dei miei istinti sensuali. La falsità, l’inganno o l’inganno di sé stessi attorno a Dio od a noi stessi danneggia, pregiudica le nostre relazioni ed offusca, oscura, di conseguenza, il rispetto della persona.

La contemplazione implica un ascolto, un silenzio, una meditazione, un discernimento. La parola di Dio è libera ed ha il suo ritmo, il suo tempo, il suo modo di agire che è diverso dalle parole umane che hanno le loro previsioni calcolate, a volte con forme retoriche e fini manipolatori. Ogni pagina biblica sorprende, affascina, rinnova, fortifica, illumina e ci permette sempre di riconoscersi in Dio ed in noi stessi. La contemplazione ci introduce dunque nel mondo inevitabile della nostra conoscenza profonda e perciò nella conoscenza di noi stessi e degli altri, essendo così la via che permette un atteggiamento reale di rispetto verso me stesso e verso l'altro. Ognuno, per primo, deve rispettare sé stesso, nel caso contrario non può rispettare l'altro. La contemplazione ci fa scoprire il tesoro, l'immagine divina, che portiamo dentro di noi, io e l'altro, e ci fa conoscere la persona nelle sue aspirazioni, nelle sue esperienze. Guardarsi come in uno specchio nella parola di Dio [20] attraverso l'itinerario e l'esperienza della contemplazione ci permette di guardarci e di riconoscerci così come siamo, fragili e limitati, ma fatti ad immagine di Dio e portatori intenzionalmente di un rispetto infinito verso noi stessi e verso gli altri. La nostra realtà è dialettica, è di vita e di morte, di luce e di oscurità, di potenza e di debolezza, ma la parola di Dio è l’unica che è capace di parlarci con verità di Dio e di noi stessi, di permetterci di contemplare la bellezza affascinante di Dio alla luce del quale consideriamo anche la nostra. Dalla Parola scaturisce di fatto un nuovo modo di vivere che sorge dalla nuova fraternità costituita dalle persone rigenerate dalla stessa Parola. Il rispetto della persona e l'alta qualità di relazioni umane che genera, ha bisogno di una base solida, vera e permanente che lo sostiene e che può essere trovato pienamente soltanto attraverso la fede e la contemplazione della Parola.

Perez de Laborda (Alfonso Pérez de Laborda (San Sebastián, 1940) filosofo e teologo spagnolo) ha parlato dell'uomo come metafora di Dio [21] in un tentativo di comprendere il linguaggio “iconico„ che utilizziamo spesso quando proviamo a comprendere l'uomo. Concretamente egli si riferisce ad un capolavoro della teologia monastica medioevale come il Commento al Cantico dei Cantici di san Bernardo. In quest'opera si trova, in tutta la sua provocazione ed attraverso tutto un linguagio poetico e mistico, tutta la profondità che prova l'uomo nel suo desiderio di Dio. San Bernardo offre una meditazione affettiva, “più dolce del miele e di un favo stillante „ (Sal 19(18),11), di tutto l'itinerario dell'amore umano verso Dio.

Troviamo là i simboli del desiderio e dell'amore: il bacio, le labbra, la bocca… i sentimenti, l'evocazione simbolica dell'intimità dell’anima che cerca Dio, l'effusione della gioia e della luce che provoca l'unione mistica con Dio. Bernardo è capace di configurare in una linguaggio simbolico la sua esperienza di desiderio, di amore ed unione con Dio. Utilizza i simboli dell'amore matrimoniale per descrivere la sua esperienza. Ma si riferisce anche al bacio che Dio ha dato all'umanità quando Cristo si è incarnato e si è fatto uomo. L’umano ed il divino svolgono il loro ruolo: lo sposo è Dio, la sposa è l’anima umana. L'amore divino trasforma la persona in un'esperienza trascendente unica ed al di fuori di ogni sospetto. È un'esperienza di estasi.

Termino con le parole di sant’Anselmo, un grande pensatore ed un grande mistico, che parlava così della contemplazione: “Che io ti cerchi col mio desiderio, ti desideri con la mia ricerca, ti trovi col mio amore, e ti ami col mio trovarti... Davvero, Signore, questa è la luce inaccessibile dove abiti (1 Tm 6,16), poiché veramente non vi è nessun'altra realtà che possa penetrarla... Il mio intelletto non può arrivare fino a lei. Splende troppo:... È abbagliato dal fulgore, è vinto dalla grandezza, è schiacciato dalla immensità, è confuso dalla ampiezza di quella luce.... Quanto sei remota dal mio sguardo, da me che pur sono così presente al tuo sguardo! “ (Proslogion 1). (Estratto da “Anselmo d’Aosta, Opere filosofiche” – Ed. Laterza 1969. Ndt.).

Abadía de Santa Cruz

E-28209 Valle de los Caídos (Madrid)

España


NOTE:

[1] San Tommaso riassume così questo concetto nella Summa Theologica: “Idem ipse homo est qui percipit se intelligere et sentire; sentire autem non est sine corpore” (parimenti l'uomo percepisce se stesso come entità intelligente e sensibile; la sensibilità però non esiste senza il corpo). Ndt.

[2] Cf. K. WOJTYLA, El hombre y su destino, Madrid 1998, pp. 47, 79.

[3] Cf. X. ZUBIRI, El hombre y Dios, Madrid 1984, p. 323.

[4] Secondo Zubiri la personalità (personalidad) è il carattere della persona in senso operativo, mentre personeità (personeidad) è il carattere costitutivo della persona, cioè, la sua realtà strutturalmente «propria». Ciò che cambia — con la terminologia di Zubiri — è la « personalidad », cioè l'atteggiamento generale dell'uomo di fronte alla vita e alle cose. Ciò che permane, invece, è la « personeidad », termine inventato dallo stesso Zubiri per indicare quel qualcosa — per cui una persona è persona — che la creatura umana possiede fin dal primo momento della sua concezione e che non varia mai. Ndt.

[5] Cf. J. L. LEMOS MONTANET, La persona a la luz de la encíclica Fides et Ratio, en AA.VV., Antropología y fe cristiana, Santiago de Compostela 2003.

[6] Cf. El hombre y su destino, p. 193. Sobre el concepto de experiencia, pp. 31-32.

[7] Cfr. Kant I., Grundlagen der Metaphysik der Sitte (1785), trad. it. Fondazione della metafisica dei costumi in Scritti morali di Chiodi P., Unione tipografico-editrice torinese, Torino, 1970, p.88: "Agisci in modo da trattare l'umanità, sia nella tua persona sia in quella di ogni altro, sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo". Ndt.

[8] Cf. R. GUARDINI, Mundo y persona, Madrid 2000, pp. 114-118.

[9] Cf. J. MARÍAS, Antropología metafísica, Madrid 1995. A. LÓPEZ QUINTÁS, Inteligencia creativa. El descubrimiento personal de los valores, Madrid 2002.

[10] DV 21-26.

[11]  Cf. G. CAPPELLETTO (ed.), Ascoltate “oggi” la sua voce. La Parola di Dio nella vita della Chiesa, Padova 2003. G. M. COLOMBÁS, La lectura de Dios, Zamora 1982. M. MASINI, La lectio divina, Madrid 2001. A. M. MARTÍN FERNÁNDEZ-GALLARDO, La Scala Claustralium de Guigo II el Cartujo. Experiencia y Método de la lectio divina, Zamora 1994. M. MAGRASSI, Bibbia e preghiera. La lectio divina, Milano 1987. C. VAGAGGINI (ed.), La preghiera nella Bibbia e nella tradizione patristica e monastica, Cinisello Balsamo 1964.

[12] Cf. B. STUDER, L’esegesi patristica, un incontro con Cristo: osservazioni sull’esegesi dei Padri latini, «Augustinianum» 30 (2000), pp. 321-344.

[13] A. M. MARTÍN FERNÁNDEZ-GALLARDO, La Scala Claustralium, cap 3.

[14] Ibid., cap 4, 5.

[15] “Per amorem agnoscimus auctoris nostri contemplandam speciem, quam sequamur”, Mor. X, VIII, 13, OGM I/2, p. 144. (OGM= Opere di Gregorio Magno, lat.-it., Roma 1990-2001).

[16] “Prius quippe est mores conponere; postmodum omnia, quae adsunt, tamquam non adsint considerare; tertio vero loco munda cordis acie superna et interna conspicere. His itaque librorum gradibus quasi quandam ad contemplationem Dei scalam fecit: ut, dum primum in saeculo bene geruntur honesta, postmodum etiam honesta saeculi despiciantur, ad extremum etiam Dei intima conspiciantur”, In Cant. 9, SCh 314, p. 84. GREGOIRE LE GRAND, Commentaire du Cantique des Cantiques, ed. R. Belonger, Sources Chrétiennes 314, Paris 1984. Cf. MÜLLER, S., “Fervorem discamus amoris”. Das Hohelied und seine Auslegung bei Gregor dem Großen, St. Ottilien 1991. (Testo italiano estratto da: "L'eredità spirituale di Gregorio Magno tra Occidente e Oriente" a cura di Innocenzo Gargano OSB Carm - Il Segno dei Gabrielli editori, 2005. Ndt.).

[17] GIOVANNI PAOLO II, Vita consecrata, 1996, n. 94.

[18] Dei Verbum 2.

[19] G. BASTI, Filosofia dell’uomo, Bologna 1995, pp. 313, 345.

[20] AELREDO DI RIEVAULX, Lo specchio della carità, Milano 1999, p. 215.

[21] Cf. A. PÉREZ DE LABORDA, Sobre quién es el hombre, Madrid 2000, pp. 173-176.


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16 giugno 2017                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net