Charles de Foucauld: un nuovo modo di vivere il Vangelo
P. Gabriele Ferrari - Saveriano
Da “Settimana News” (settimananews.it) – 11 aprile 2022
A cura della Provincia Italiana Settentrionale
Sacerdoti del Sacro cuore
di Gesù - Dehoniani - Bologna
All’approssimarsi del giorno della canonizzazione di Charles de Foucauld
(Fratel Carlo di Gesù), il prossimo 15 maggio 2022 – era stato proclamato
beato il 13 novembre 2005 da papa Benedetto XVI –, non possiamo non
chiederci come mai e perché quest’uomo è diventato un santo così attraente e
simpatico nell’universo della santità cristiana del nostro tempo.
La vita di
fr. Carlo de Foucauld è stata relativamente breve, solo 58 anni, di cui
ventotto di vita mondana e anche dissoluta (1858-1886) e trent’anni vissuti
al seguito del suo «beneamato fratello Gesù» (1886-2016), conclusisi
violentemente, ucciso da banditi locali il 1° dicembre 1916.
Dopo la
conversione culminata nell’incontro con l’abbé Huvelin il 28 ottobre 1886
nel confessionale della chiesa di Sant’Agostino a Parigi, egli intraprende
un singolare percorso spirituale che lo porterà a una forma inedita di
santità e di vita consacrata.
Egli ha
tentato diversi cammini spirituali, dalla Trappa alla vita solitaria a
servizio di un convento a Nazareth e a Gerusalemme, alla formazione
sacerdotale alla vita nel deserto nordafricano di Beni Abbés e di
Tamanrasset, sempre alla ricerca di una vita che gli permettesse di rivivere
la vita umile, povera e nascosta di Gesù negli anni di Nazareth.
Innamorato
di Gesù e del mistero dell’incarnazione, egli è convinto che, una volta
conosciuto Gesù, non può far altro che mettersi a imitarlo. Per questo fr.
Carlo cerca di incarnarsi, a sua volta, nell’umano più semplice e più
feriale, nel lavoro umile e nella comunione di vita con gli altri,
riempiendo la sua giornata di ascolto della Parola e di lunghe adorazioni
davanti al ss.mo Sacramento. Egli si è così avvicinato alle persone più
semplici e povere senza fare distinzioni di razza o religione, modello di
quella fraternità universale che papa Francesco ha proposto nell’enciclica
sulla fraternità e l’amicizia sociale Fratelli tutti: «Voleva essere
“il fratello universale”. Ma solo identificandosi con gli ultimi arrivò ad
essere fratello di tutti. Che Dio ispiri questo ideale in ognuno di noi» (n.
287).
La vita e la
morte di fr. Carlo sono diventati «un parametro su cui misurare un modo
nuovo di essere testimoni di Cristo e del suo Vangelo e un modo nuovo di
essere “martiri”» (Fratel MichaelDavide, Charles de Foucauld, San
Paolo 2016, p. 151).
Non è
possibile presentare qui il cammino umano e spirituale di Charles de
Foucauld il quale, partendo da un’educazione religiosa e borghese e dal
normale rifiuto di essa al momento dell’adolescenza, passando per la vita
militare, giunge ad una crisi esistenziale che lo conduce a ritrovare la sua
radice cristiana. Da essa è venuta la vita ascetica e mistica di fr. Carlo
di Gesù, monaco atipico che vive nel deserto, in mezzo ai non cristiani,
seguendo un progetto di vita che affascina ancora coloro che lo conoscono.
Qui si
possono mostrare solo alcuni degli aspetti più significativi della sua
spiritualità ai quali anche noi possiamo ispirarci nell’intento di vivere la
parola di Gesù: «Imparate da me che sono mite e umile di cuore e troverete
riposo per la vostra vita» (Mt 11,29), tre atteggiamenti che sono molto
attuali in questo momento della storia del mondo e della Chiesa, in
particolare della missione ad gentes.
Un uomo
innamorato di Gesù e del Vangelo
Dal 28
ottobre 1886 Carlo de Foucauld si sente, come Paolo (Fil 3,12) catturato da
Gesù e comprende che ormai non può fare altro che vivere per Dio. La sua
vita diventa allora una continua adorazione del suo Mistero.
Innamorato
di Dio e, specificamente, di Gesù, il Dio che si è fatto uomo, Carlo
dedicherà tutto sé stesso alla conoscenza e all’imitazione del suo
«beneamato Fratello e Signore Gesù».
Passa lunghe
ore in adorazione del ss.mo Sacramento, legge il Vangelo, lo medita, lo
trascrive e, soprattutto, cerca di viverlo. Desidera crescere nella
conoscenza di Gesù per amarlo, imitarlo, obbedirgli, lasciandosi incontrare
e toccare da Gesù nella certezza di poter vedere e toccare in lui il «Verbo
della vita» (1Gv 1,1). Scrive infatti al suo amico Gabriel Tourdes: «Ecco il
segreto della mia vita: ho perduto il mio cuore per questo Gesù di Nazareth
crocifisso 1900 anni fa e passo la mia vita a cercare di imitarlo per quanto
possa la mia debolezza» (7 marzo 1902).
Lo stile di
vivere, di preghiera e di adorazione, è una scelta personale di fr. Carlo,
che tuttavia non gli impedisce – anzi – lo porta a entrare in profondità nel
cuore, nella cultura e nella storia delle persone in mezzo alle quali, come
il Verbo di Dio, ha messo la sua abitazione (cf. Gv 1,14). Non per un
interesse solo etnografico, ma per poter conoscere la ricchezza dei doni
riversativi da Dio come preparazione evangelica.
L’adorazione
del mistero di Gesù e l’amore per il popolo diventano il contenuto della sua
preghiera e della contemplazione.
Leggere oggi
le sue meditazioni sul Vangelo, frutto delle sue lunghe ore di preghiera e
di adorazione davanti al ss.mo Sacramento nel silenzio dell’eremo, è una
esperienza affascinante e coinvolgente. Sono parole semplici ma profonde che
invitano a rifare un personale cammino di accostamento della sacra Scrittura
per fare della Parola di Dio il nutrimento della propria vita spirituale e
il criterio per le scelte della vita e della missione di ogni discepolo
anche e, soprattutto, oggi. Papa Francesco non invita forse la nostra Chiesa
a ritornare al Vangelo?
Come a
Nazareth: trovare Dio nella vita nascosta e feriale
Un secondo
aspetto caratteristico di fr. Carlo di Gesù è vivere la vita di Nazareth.
Egli sceglie di vivere nel deserto in mezzo ai poveri a servizio di una
piccola tribù nomade: i Tuareg. Lo fa per assomigliare a Gesù che ha vissuto
i primi trent’anni della sua vita nell’oscura borgata di Nazareth, facendo
il falegname per guadagnarsi il pane di tutti i giorni.
La vita di
fr. Carlo, come quella di Gesù, normale nella sua ordinarietà, è fatta di
cose semplici, di accoglienza di chi incontra, di lavoro compiuto con cura e
precisione, di relazioni fraterne con i compaesani nell’ascolto, nell’aiuto
e nella condivisione della vita. Una vita povera, semplice, ordinaria, che
non lo allontana da quella dei suoi Tuareg.
Ma fr. Carlo
è convinto che essa, come quella vissuta da Gesù nei suoi trent’anni a
Nazareth, è una vita che, vissuta davanti a Dio, ha un valore salvifico come
i tre anni di vita pubblica.
Questa sua
intuizione aiuta anche noi, cristiani di oggi, a riscoprire il valore
nascosto tra le pieghe della quotidianità e delle normali relazioni della
vita di tutti i giorni, mentre troppo spesso consideriamo valida solo quella
vita che è fatta di attività e di presenza visibile e volta all’efficienza
immediata.
Fr. Carlo
sa, invece, che proprio nei gesti semplici e ordinari della vita di ogni
giorno possono germogliare l’amore, la cura, il senso profondo che Gesù vi
ha immesso vivendo per trent’anni come un uomo qualsiasi.
Ogni gesto
vissuto alla presenza di Dio diventa, per fr. Carlo, un gesto d’amore e
d’incontro con Dio, carico quindi di eternità! Scrive infatti all’abbé
Huvelin, suo padre spirituale: «Questa piccola vita di Nazareth che sono
venuto a cercare… una vita di lavoro e di preghiere… [è quella che] faceva
nostro Signore» (22 settembre 1893).
Conseguentemente, lo stile di vita di fr. Carlo vuole essere quello della
bontà, della vicinanza, della prossimità all’altro. Si propone di imitare
Gesù e, come lui, desidera testimoniare il volto buono di Dio: «Il mio
apostolato dev’essere l’apostolato della bontà», scrive alla cugina Marie il
12 maggio 1902.
Anche la
nostra vita, comunque e ovunque essa si svolga, può perseguire questa
finalità: cercare che ogni evento e ogni incontro faccia trasparire un
briciolo della bellezza dell’amore di Dio apparso in Gesù: solo questa,
infatti, è «la bellezza che salverà il mondo» (F. Dostoevskij in L’idiota).
Essere un
«fratello universale»
La scelta di
fr. Carlo di vivere con i Tuareg per offrire loro la sua amicizia in modo
gratuito sull’esempio di Gesù, che amava tutti e tutti accostava,
soprattutto chi aveva bisogno della sua presenza, ha dilatato il suo cuore
così che volentieri egli dichiarava di sentirsi e di voler essere «fratello
universale». Alla cugina Marie de Bondy scriveva: «Voglio abituare tutti gli
abitanti, cristiani, mussulmani, ebrei e non credenti a guardarmi come loro
fratello, il fratello universale… Cominciano a chiamare la mia casa “la
fraternità” (la Khaoua, in arabo), e questo mi è caro» (7 gennaio
1902).
Il primo
passo per essere fratello di tutti, per Carlo, era quello di incarnarsi
profondamente (per quanto possibile…) nel mondo culturale dei suoi fratelli,
condividere lo stile della loro vita, le loro attese e le loro sofferenze.
Nel tempo
passato in Algeria durante il suo servizio militare, egli aveva avuto
occasione di osservare e studiare la cultura dei popoli berberi fino ad
acquisire una vera competenza in questo campo. Questo gli ha dato la
possibilità e gli strumenti per accostare con intelligenza la cultura delle
popolazioni in mezzo alle quali viveva, in un tempo in cui non si dava molta
importanza alle culture non occidentali, pensando che solo l’Europa potesse
vantare una cultura!
A partire
dalla carità di Cristo, attinta quotidianamente nell’adorazione e nella
lettura orante del Vangelo, fr. Carlo di Gesù sentiva crescere in sé il
desiderio di dedicarsi sempre più a Dio e ai fratelli.
Nell’adorazione la presenza di Dio si fa reale, e in quel momento di intima
preghiera egli porta alla presenza di Dio quanti incontrava ogni giorno e le
tante persone con le quali mantiene relazioni epistolari. Egli non solo
lavora per assomigliare a Gesù e guadagnarsi il pane, ma apre la sua
abitazione per accogliere le persone che, sempre più numerose, si presentano
sulla soglia della sua casa, a partire dai Tuareg, tutti rigorosamente
musulmani, ai militari francesi presenti nella colonia fino ai turisti che
già allora viaggiavano nel deserto. A tutti offre una parola e, se
richiesto, un aiuto.
È
straordinario il numero di lettere che egli ha scritto in quei pochi anni
dal suo eremo, tutte intrise della sua fede. A tutti, infatti, offre la
presenza di Dio che ha scoperto nella preghiera e nella meditazione del
Vangelo: un Dio buono, che non giudica e non condanna, che non vuol
conquistare nessuno alla fede, che spinge alla promozione e al bene
dell’altro, un Dio che si fa fratello e ci chiede di fare altrettanto.
«È
impossibile amare Dio, voler amare Dio senza amare, voler amare gli uomini:
più si ama Dio, più si amano gli uomini. L’amore di Dio, l’amore degli
uomini è tutta la mia vita, sarà tutta la mia vita, lo spero», scrive al suo
amico Henry Duveyrier, il 24 aprile 1890.
Fr. Carlo si
impegna con rigore e dedizione nell’aiuto materiale e spirituale di quanti
incontra: accoglie, ascolta, dialoga, offre cibo e medicine… si fa amico e
fratello di tutti, perché vuole farsi fratello di tutti, a imitazione del
suo (e nostro) Signore e Fratello, Gesù di Nazareth… fino al giorno in cui,
per la sua fedeltà a rimanere in mezzo ai fratelli musulmani, giunge al dono
di sé nel sacrificio della vita, il 1° dicembre 1916.
La sua
maniera di essere cristiano in mezzo a coloro che non sono e non intendono
diventare cristiani è diventato un nuovo paradigma della missione ad
gentes, per questo tempo segnato dalla cultura del sospetto e della
diffidenza, mentre si cerca di liberarla dalle incrostazioni colonialiste
che l’hanno deturpata e resa ostica alle generazioni attuali.
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20 settembre 2022 a cura di Alberto "da Cormano" alberto@ora-et-labora.net