Regola di S. Benedetto

Capitolo IV - Gli strumenti delle buone opere: 10 Rinnegare completamente se stesso. per seguire Cristo; 11 mortificare il proprio corpo, 12 non cercare le comodità, 13 amare il digiuno.

Capitolo XLIX - La quaresima dei monaci: 2 ... almeno durante la Quaresima ognuno vigili con gran fervore sulla purezza della propria vita, 3 profittando di quei santi giorni per cancellare tutte le negligenze degli altri periodi dell'anno. 4 E questo si realizza degnamente, astenendosi da ogni peccato e dedicandosi con impegno alla preghiera accompagnata da lacrime di pentimento, allo studio della parola di Dio, alla compunzione del cuore e al digiuno.

Capitolo LIII - L'accoglienza degli ospiti: 10 Se non è uno dei giorni in cui il digiuno non può essere violato, il superiore rompa pure il suo digiuno per far compagnia all'ospite. 11 mentre i fratelli continuino a digiunare come al solito.


17. QUANDO DIGIUNI, PROFUMATI IL CAPO

Matteo 6,16-18

 

Fausti Silvano S.I.

Estratto da “Una comunità legge il Vangelo di Matteo

Edizioni Dehoniane Bologna 2001

 

Testo

6,16 Ora, quando digiunate,

          non siate come gli ipocriti, dall’aspetto tetro.

          Infatti si sfigurano il volto

          per figurare agli uomini come digiunatori.

          Amen vi dico:

          hanno già la loro ricompensa.

17    Tu, invece, quando digiuni,

          profumati il capo e lavati il volto,

18    perché non figuri

          agli uomini che digiuni,

           ma al Padre tuo,

           che è nel segreto;

           e il Padre tuo,

           che guarda nel segreto,

           ti restituirà.

 

1. Messaggio nel contesto

«Quando digiuni, profumati il capo», dice Gesù. L’elemosina e la preghiera, scaturite dal cuore del Figlio davanti al Padre, compiono la «giustizia eccessiva» nei confronti dell’altro e dell’Altro. Il digiuno a sua volta la compie nei propri confronti: fa accettare se stessi come figli e il proprio limite come principio di vita.

Digiunare è il contrario di mangiare, vivere. È segno sia di lutto che di conversione. È spesso associato alla preghiera e allo studio della Torah (Dt 8,3). Se la sazietà ottunde, la fame aguzza l’ingegno: quella volontaria poi fa capire che non di solo pane vive l’uomo.

Il digiuno è obbligatorio il giorno dell’espiazione, in cui è proibito «mangiare, bere, lavarsi, profumarsi, calzare i sandali e avere rapporti sessuali» (Mishna). Oltre al digiuno pubblico, prescritto, ci sono quelli privati, di devozione. Il fariseo al tempio, di cui parla Gesù nella parabola, digiuna ben due volte la settimana (Lc 18,12). Le opere supererogatorie procurano fama di persona pia. Ognuno cerca di primeggiare, scegliendo l’ambito dove meglio riesce. Non importa se è la religione o lo sport, l’arte o l’economia, la pace o la guerra, la politica o la malavita: tutto serve per essere «qualcuno» davanti agli altri. L’apparire agli occhi degli uomini è il dna di ogni male, che ha la sua radice nel non sapere chi siamo agli occhi di Dio.

A Gesù chiederanno perché i suoi discepoli non digiunano (9,14s). Risponderà che è il tempo delle nozze, del banchetto messianico, della pienezza di vita che Dio ha promesso. Ma anche loro conoscono un digiuno, che è solo «davanti al Padre». E il primo digiuno «davanti al Padre» è non mangiare i fratelli per assimilarli a sé e non vomitare quanti non riusciamo a digerire.

Come in tutte le opere, Gesù guarda l’intenzione. Il cuore del Figlio è puro, e vede Dio (5,8), perché lui solo cerca. L’ipocrita cerca la propria reputazione, e in tutto trova il proprio io.

Stare davanti agli uomini o al Padre è l’alternativa del nostro modo di essere e di agire: anche in Dio, si può cercare ancora il proprio io (Lc 18,11)!

Il digiuno, come ogni opera buona, può essere esibizione davanti agli uomini, persino davanti a Dio: imbiancatura di un cuore orgoglioso, possessivo e padronale, pieno di morte. È quanto dicevano i profeti, proponendo un altro digiuno, gradito a Dio: operare con giustizia e dividere i propri beni coi poveri (Is 58,1 ss).

Gesù ha digiunato nel deserto. Anche per lui «la fame» è stato luogo di tentazione.

La Chiesa occidentale ha ora attenuato la pratica del digiuno. In una società ridotta a bocca che tutto divora, a tubo digerente che tutto assimila, il digiuno riacquista la sua attualità. E c’è anche un digiuno della mente e del cuore, dell’orecchio e dell’occhio.

 

2. Lettura del testo

v. 16: Ora, quando digiunate. Mangiare è alimentare la vita, digiunare perderla. Il digiuno ha molti aspetti: riguarda le relazioni con l’altro, con l’Altro, con le cose e con se stessi.

Nei confronti dell’altro, il digiuno è quella limitazione di vita che la presenza dell’altro impone, limite che, dov’è accolto, diviene principio di relazione, comunicazione e comunione.

Nei confronti dell’Altro, il digiuno è come la preghiera del corpo: è accettazione simbolica che l’assoluto non è la propria vita, e tanto meno il cibo che la mantiene, ma Dio stesso e la sua parola.

Nei confronti delle cose, il digiuno è un correttivo necessario alla brama di «possederle»: ci possono essere o non essere, e vanno vissute come relazione all’Altro e agli altri, e non come feticcio.

Nei confronti di se stessi, il digiuno porta a un corretto rapporto con la propria vita e la propria morte: si accetta quello che c’è come dono di Dio, e lo stesso limite come comunione con lui, principio e fine di tutto.

Il digiuno è inoltre necessario per raggiungere la «sobrietà», che consiste nel servirsi delle cose tanto quanto sono utili per amare Dio e il prossimo. Ciò che non è utile a tale scopo, serve a odiare e morire. Nella nostra società consumistica, che riduce la persona a imbuto che tutto ingurgita attraverso i cinque canali dei sensi, il digiuno ha un particolare valore. Oltre la sobrietà nel cibo, c’è quella nell’odorare, gustare, toccare, udire, vedere, e, soprattutto, nel fantasticare: la fantasia è il senso virtuale che sostituisce ogni altro.

I sensi sono gole voraci, insaziabilmente aperte verso ogni oggetto. All’animale servono per la conservazione della specie e dell’individuo, e sono regolati dall’istinto; all’uomo, che è di specie divina, servono per entrare in comunione con l’altro; e non sono regolati dall’istinto. Sono fame infinita, che si sazia solo trovando il cibo per cui sono fatti: l’altro e l’Altro.

L’edonismo nega questa funzione, riducendo il senso a consumo di sensazioni: sente solo se stesso. Il digiuno dei sensi è l’antidoto, che restituisce loro la propria funzione. Non tocco e non gusto tutto, non ascolto e non vedo tutto, mosso dal semplice desiderio di riempirmi di sensazioni. Scelgo di toccare, gustare, ascoltare e vedere nella misura in cui ciò mi aiuta ad amare l’altro.

Oltre la sobrietà dei sensi c’è anche quella, più difficile, della mente e del cuore, per non cadere nell’estetismo e nel narcisismo, frutto di un intelletto e di una volontà che, invece di aprirsi all’altro, si chiudono in se stessi. Anche, e soprattutto, queste facoltà superiori sono per l’altro. Per questo non cerco di capire e volere tutto, ma solo ciò che mi apre all’alterità.

L’uomo o impara a essere signore dei suoi sensi e delle sue facoltà, ordinandoli al fine, o è schiavo del loro appetito. Lo stimolo del piacere di ogni tipo, come una droga, lo spossessa della libertà, portandolo a fare ciò per cui non è fatto e che, in fondo, neanche vuole, e che comunque non lo sazia mai.

Una società consumistica, con grande capacità di suggestione, porta a compimento la schiavitù del piacere apparente, presentando come buono, bello e desiderabile ciò che in realtà non lo è (Gen 3,6). Il digiuno, inteso a raggiungere la sobrietà in tutti i campi, ci libera dall’idolo del piacere apparente, che promette sazietà, ma alimenta solo fame; e ci permette di usare tutto senza esserne usati.

Il digiuno può anche farsi delirio di onnipotenza distruttiva, come nell’anoressia. Bulimia e anoressia nascondono lo stesso volto oscuro: l’assolutizzazione del cibo e del corpo (ma ci sono anche una bulimia e anoressia intellettuali e spirituali). Anoressia e bulimia tendono a coincidere nelle diete ipocaloriche, in cui uno mangiando non mangia, e può riempirsi all’infinito di niente! Carne senza proteine, latte senza panna, dolce senza zucchero, pasta senza amido - ove l’importante è essere sempre più «senza», puro apparire - sono i nuovi idoli, che rendono simili a loro quelli che li adorano (Sal 115,8). Oggi, grazie a internet, è possibile sapere tutto senza capire niente.

Tanta fame è fame non di pane, ma di vita; non di cibo, ma di affetto. Uno vive dell’amore che riceve, della parola che gli comunica l’altro. Una società senza amore e senza parola, senza madre e senza padre, sarà sempre più anoressica e bulimica. L’uomo è un sacco vuoto senza fondo: niente lo può riempire, se non la capacità di leggere l’infinito presente in ogni cosa finita.

Il digiuno per dieta, se non è necessario alla salute, è ancora segno dell’assolutizzazione del proprio corpo, e porta a deviazioni.

 

non siate come gli ipocriti Ogni azione buona può essere stravolta nel suo contrario dalla ricerca del proprio io.

 

dall’aspetto tetro. Il viso e l’occhio, invece di diffondere la luce del cuore, comunicano oscurità e tristezza.

 

si sfigurano il volto per figurare. Ci si sfigura per figurare, ci si nasconde per farsi vedere, ci si oscura per apparire! L’intento è che gli altri notino che stiamo facendo una cosa buona e ci apprezzino!

 

hanno già la loro ricompensa. Ottengono ciò che vogliono: una bella immagine di sé davanti agli altri.

 

v. 17: Tu, invece, quando digiuni, profumati il capo ecc. Nel digiuno ci si cosparge il capo di cenere, non di profumo: la cenere è segno di morte e il profumo di vita. Inoltre non ci si lava, perché lavarsi è rigenerarsi. Gesù ordina al discepolo un digiuno che è profumo di vita e rigenerazione.

 

v. 18: perché non figuri agli uomini che digiuni, ma al Padre tuo. Davanti agli uomini ricevo l’immagine, l’idolo del mio io; davanti a Dio ricevo il mio essere me stesso, a sua immagine.

Il digiuno davanti a lui mi fa riconoscere suo figlio, che tutto riceve da lui, anche me stesso e addirittura lui stesso. Il mio digiuno definitivo - la mia morte - sarà il saziarmi pienamente della sua presenza. Già fin d’ora, grazie a questo digiuno, sono libero di camminare verso quella felicità alla quale sento di essere destinato. Perché ho detto a Dio: «Sei tu il mio Signore!» (Sal 16,2).

 

il Padre tuo, che guarda nel segreto, ti restituirà. Il Padre mi restituirà la mia realtà, che è lui stesso, a immagine del quale sono fatto.

 

3. Pregare il testo

a. Entro in preghiera come suggerito nel metodo [1].

b. Mi raccolgo immaginandomi nel mio digiuno ultimo.

c. Chiedo ciò che voglio: capire cos’è la vita e tutto ciò che contiene: non sono idoli, ma doni di Dio da vivere con libertà e gratitudine di figli.

d. Traendone frutto, medito sul testo.

 

Da notare:

significato del cibo e del digiuno;

come vivere i miei bisogni e i miei limiti, il mio bisogno di vita e la mia morte;

consumismo ed edonismo: faccio ciò che mi piace;

«sobrietà» dei sensi, della mente e del cuore.

 

4. Testi utili

Sal 16; 103; 51; Is 58; Mt 9,10-17.

 


[1] Questo è il metodo indicato a pagina 15 del libro:

 

METODO PER PREGARE IL TESTO

Entro in preghiera

  

Trovo la pace

-     con un momento di silenzio;

-     respiro lentamente;

-     penso che incontrerò il Signore;

-     chiedo perdono delle offese fatte;

-     perdono di cuore le offese ricevute.

 

Mi metto alla presenza di Dio

-     faccio un segno di croce;

-     per lo spazio di un Padre nostro guardo come Dio mi guarda;

-      inizio la preghiera in ginocchio o come più mi aiuta;

-     nel nome di Gesù chiedo al Padre lo Spirito Santo perché il mio desiderio e la mia volontà, la mia intelligenza e la mia memoria siano ordinati solo a lode e servizio suo.

 

Mi raccolgo

IMMAGINO il luogo in cui si svolge la scena da considerare.

 

Chiedo al Signore ciò che voglio

È IL DONO che quel brano di vangelo mi vuol fare: corrisponde a quanto Gesù fa o dice in quel racconto.

 

Medito e contemplo la scena

Leggo il testo lentamente, punto per punto, sapendo che dietro ogni parola c’è il Signore che parla a me usando:

-      la memoria per ricordare;

-      l’intelligenza per capire e applicare alla mia vita;

-      la volontà per desiderare, chiedere, ringraziare, amare, adorare.

Non avrò fretta: non occorre far tutto;

è importante sentire e gustare interiormente;

sosto dove e finché trovo frutto, ispirazione, pace e consolazione;

avrò riverenza più grande quando, smettendo di riflettere,

inizio a parlare col Signore.

 

Concludo

Colloquio col Signore, da amico ad amico su ciò che ho meditato.

FINISCO con un Padre nostro.

Esco lentamente dalla preghiera.

 

Dopo aver pregato, rifletto brevemente su com’è andata, chiedendomi:

-     sono riuscito a osservare il metodo?

-    ho avuto qualche difficoltà? perché?

-  quale frutto o quali mozioni spirituali ho avuto?

 

 


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10 luglio 2025                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net