Regola di S. Benedetto

Prologo

 Ascolta, figlio mio, gli insegnamenti del maestro e apri docilmente il tuo cuore; accogli volentieri i consigli ispirati dal suo amore paterno e mettili in pratica con impegno, in modo che tu possa tornare attraverso la solerzia dell'obbedienza a Colui dal quale ti sei allontanato per l'ignavia della disobbedienza.

 Capitolo VII - L'umiltà

Quindi, fratelli miei, se vogliamo raggiungere la vetta più eccelsa dell'umiltà e arrivare rapidamente a quella glorificazione celeste, a cui si ascende attraverso l'umiliazione della vita presente, bisogna che con il nostro esercizio ascetico innalziamo la scala che apparve in sogno a Giacobbe e lungo la quale questi vide scendere e salire gli angeli. Non c'è dubbio che per noi quella discesa e quella salita possono essere interpretate solo nel senso che con la superbia si scende e con l'umiltà si sale. La scala così eretta, poi, è la nostra vita terrena che, se il cuore è umile, Dio solleva fino al cielo;

 Capitolo XX - La riverenza nella preghiera

Bisogna inoltre sapere che non saremo esauditi per le nostre parole, ma per la purezza del cuore e la compunzione che strappa le lacrime. Perciò la preghiera dev'essere breve e pura, a meno che non venga prolungata dall'ardore e dall'ispirazione della grazia divina.


L’occhio e il fuoco

di Guy Bédouelle

Estratto da "Beati i puri di cuore"

"Communio", numero 102, novembre-dicembre 1988 Jaca Book

 

La beatitudine dei cuori puri proclamata da Cristo in Matteo 5,8 è al centro della vocazione cristiana. Essa deve dunque ritrovarsi nella vita religiosa che si presenta come una ricerca esplicita, ed anche come una professione, per compiere questa vocazione. Ma essa si mostrerà alia fine anche in ogni figura dì santità ecclesiale.

Come la luce può essere descritta solo attraverso ciò che illumina (a meno che non si diano definizioni molto tecniche e comprensibili solo da coloro che già ne conoscono il significato), cosi la purezza di cuore non è un concerto astratto o logico, ma si rivela attraverso esperienze divine e sorprendenti, di cui la storia della spiritualità può attestare la ricchezza, Sono dunque le proposte di vita consacrata riconosciute dalla Chiesa, ma anche le vite proposte da essa al l'imitazione dei credenti, che meglio potranno farri comprendete ciò che significa: « Beati i puri di cuore »!

Le Regole: l'ideale programmato

Cosa sono le regole monastiche se non un ideale programmato? Le beatitudini dovrebbero occuparvi un largo spazio, Potrebbe dunque sembrare strano che le più importanti regole monastiche non accordano alla citazione di Mt 5,8 il posto che ci si aspetterebbe, Si deve anzi dire che non la si trova praticamente mai [1], ma non è un paradosso affermare che essa è onnipresente. È quello che accade con la regola di S. Benedetto che s'è imposta da sé almeno tanto quanto essa è stata imposta durante i secoli in cui nacque la Chiesa della cristianità in Occidente,

Al capitolo 40 della sua « piccolissima regola» presentando la vita monastica come un genere di vita che estende ad ogni periodo dell’anno l’osservanza della Quaresima, S. Benedetto precisa quello che essa è: una scuola dove ognuno fa attenzione a mantenere ì propri costumi in una completa purezza, applicando un grande ardore alla preghiera, alla «compunzione » del cuore, e dove ognuno pone i propri desideri spirituali nell'attesa gioiosa del Santo Giorno di Pasqua: ecco perché ognuno offre a Dio nella gioia dello Spirito Santo qualche restrizione, a sua scelta. Vediamo qui emergere due temi che sembrano contradditori a uno sguardo superficiale: la compunzione, questa tristezza soprannaturale attraverso la quale si piangono i propri peccati, e la gioia oblativa.

II capitolo 20 paria della preghiera che deve essere pura, nell'intenzione, della compunzione con le sue lacrime e per questo stesso fatto della sua concisione (in puritate cordis). Altre regole monastiche occidentali riprendono l'ideale della purezza di cuore, descrivendone i metodi o enumerando le diverse occasioni dove essa è più precisamente richiesta, Così la regola di Tarnant, questo monastero non ben identificato che forse è quello di St. Maurice d'Agaune in Svizzera, chiede ai monaci « di nutrirsi spiritualmente della Parola di Dio e di ogni verità con una coscienza pura (bona conscientia) » [2].

Quella di S. Cesario per i monaci, descrive così la santa emulazione reciproca alla quale bisogna dedicarsi: «Chi vincerà l'altro nell’umiltà, nella carità? Chi sarà il più piccolo, chi avrà maggiore vigilanza per "l'opera di Dio"? Chi avrà più pazienza? Chi sarà silenzioso, dolce, cortese, pentito? » [3]. Se qui non appare l'espressione purezza di cuore, è comunque ad essa che si pensa, nella sua relazione con la beatitudine dei miti e dei pazienti.

Infine, prendiamo il caso della regola di S. Agostino, al di là dello difficoltà critiche che ha posto per lungo tempo. E' la regola dei canonici e degli ordini mendicanti, che evidenzia la vita comunitaria e l'unanimità che essa suppone, e le esigenze di una vita di carità,

Alcuni passaggi sembrano più particolarmente fare riferimento alla purezza di cuore, insistendo sulla castità dello sguardo. « Il vostro sguardo può certo posarsi su una donna, ma non deve fermarsi su nessuna; non pretendete di avere lo sguardo puro, se avete occhi impuri, poiché l’occhio impuro è il messaggero di un cuore impuro... Anche se i corpi rimangono intatti da ogni oltraggio al pudore, così non è per la vera castità, quella del cuore » [4].

Certamente i vocaboli « puro e impuro » traducono qui « pudico e impudico», in una trascrizione di Matteo 5,28: «Chiunque guarda una donna desiderandola, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore », testo del discorso della montagna, che esplicita le beatitudini. Si trova qui manifestato il rapporto fra castità e purezza di cuore, a cui la tradizione presterà molta attenzione, forse troppo esclusivamente.

I Padri del deserto: l'ideale insegnato

L’ideale di santità nel cristianesimo deve molto a questi « atleti di Cristo » che sono i padri del deserto. I loro Apophtegmi [5], tesori di saggezza e di umorismo, danno i tratti essenziali di una psicologia spirituale che non è invecchiata di una virgola, fatto non indifferente per uomini e donne - poiché vi sono anche madri nel deserto - che vivevano nel IV e V secolo. Si può dire che puntavano all'essenziale. Più precisamente se la beatitudine di S. Matteo non è mai citata, per illustrarla troviamo in queste massime ed aneddoti paragoni sorprendenti.

Nel deserto, dice Antonio Abate, che si può definire come l’inventore del deserto, « non vi è che un’unica battaglia da sostenere: quella del cuore, poiché né l’udito, né la parola, né la vista hanno più il loro posto, almeno all’inizio » (Antonio, II).

Il lavoro spirituale consiste dunque nella lotta contro i pensieri la cui sede è il cuore (Mt 15, 18-20).

Questa purezza, ricorda Dom Regnault [6], non è mai mentale, come un vuoto, ma vacuità dell’intelletto, una nudità del pensiero; e nemmeno è una purezza morale, un’impeccabilità, ma è semplicemente il rifiuto di ciò che è estraneo a Dio, poiché « i pensieri impuri separano Dio dall’uomo» (Olympios I): «essa è una inclinazione profonda, uno stato d’animo, una perfetta rettitudine di intenti, una trasparenza, una luminosità dello sguardo interiore che in qualche modo prepara e dispone alla visione di Dio » [7].

Con il loro linguaggio pieno di paragoni, di immagini commoventi i Padri del deserto ritengono che attraverso questa « custodia del cuore », questa « vigilanza interiore », ed anche con le lacrime (Poemen 19), l’uomo stesso possa diventare interamente un occhio che riceve la luce e un fuoco che brucia e purifica.

Il Padre Bessarione, in punto di morte, dice « il monaco deve essere come i cherubini e i serafini: unicamente un occhio » (Bessarione II). Il Padre Lot andò a visitare il Padre Giuseppe e gli disse: « Prego, medito e quando posso mi purifico dai miei pensieri. Cosa devo fare di più? »; allora il vecchio gli disse: « Se tu lo vuoi, diventa interamente come di fuoco» (Giuseppe di Panépho 7). «Il pezzo di legno che serve ad attizzare i tralci finisce per essere interamente consumato dal fuoco, allo stesso modo l’uomo purifica la sua anima nel timore di Dio » ( Macario 12).

Lo scopo della vita diventa dunque quello di essere infiammati di purezza. Il Padre Sarra prega perché il suo cuore sia puro verso tutti (Sarra 12), e il Padre Theonas vuole riempire il proprio spirito di Dio. Questo duplice movimento, che è quello del duplice comandamento dell’amore verso Dio e verso gli uomini, conduce a poter fare propria con verità la parola dell’Apostolo: «per i puri, tutto è puro» (Tt 1, 15). Poiché realmente essi sono divenuti progressivamente veri uomini di Dio. Solo Dio è puro, a tal punto che la scrittura stessa dichiara: « i cieli non sono puri ai suoi occhi » (Gb 15, 15) (Zenone 4).

I Padri del deserto trovano dunque la verità del loro essere non nelle grandi visioni mistiche, ma nella purezza del cuore che rivela loro la loro bassezza, il loro niente, « perché il loro cuore è unico e semplice, e guarda solo verso Dio» [8]. « Beati i cuori puri, poiché vedranno Dio! ».

Giovanni Cassiano è stato colui che ha introdotto il pensiero dei padri del deserto nel monachesimo occidentale. Non c’è da stupirsi dunque che, nelle sue Istituzioni e Conferenze, egli abbia dato un posto importante alla purezza di cuore. Per Cassiano, «essa è la condizione stessa del progresso spirituale (Inst I, 11, 1 e XIV, 1-2).

Ci si avvicina ad essa col digiuno, la si ottiene col rifiuto delle nostre tendenze omicide: essa è al centro del messaggio evangelico. «  Imparare la beatitudine dei puri, ecco la vera scienza » (Conf, XIV, 9), Tutti gli esempi presi dai padri, di cui S. Giovanni Cassiano si fa erede, vanno in questo senso. Per il Padre Theodoro, la conoscenza delle scritture sante non dipende dallo studio intellettuale, essa proviene dalla purezza di cuore (Inst. V, 33 e 34).

Lo stesso vale per il Padre Mosè, almeno secondo quanto Cassiano riferisce nelle Conferenze (I, 5): la purezza di cuore è l'asse secondo cui tutto, nella vita monastica, trova equilibrio: « tutto ciò che può farci raggiungere questo scopo della purezza di cuore, seguiamolo con tutte le nostre forze; ma tutto quello che ci allontana, rifiutiamolo come pericoloso e malvagio, poiché è per essa che lavoriamo e soffriamo ».

Questo unico scopo al quale ogni osservanza, ogni preghiera fa riferimento, in realtà non è che un altro nome della carità (Conf. 1, 5}. Attraverso la purezza di cuore è posseduta la perfezione della carità apostolica {Inst, IV, 43), Questo ritorno al centro spiega come la vita dei santi irradi una tale luce, partecipazione alla purezza stessa di Dio, esattamente come la carità è il suo Nome proprio.

I Santi: l'ideale vissuto

Prendiamo qui solo tre esempi fra i Santi venerati dalla Chiesa, ma scegliamo tre giganti della vita cristiana, tre fondatori che hanno segnato con la loro opera la vita spirituale, precisamente fondandosi su queste regole primitive di cui abbiamo parlato e sull'eredità ancestrale dei Padri del deserto: la loro opera è come se fosse la traduzione medioevale e occidentale di uno stesso ideale.

II primo è S. Benedetto stesso, patriarca del monaci d'occidente, che muore nella metà del VI secolo, mentre gli altri due esempi ci porteranno nel XIII secolo che segna una specie di apogeo della cristianità, con S. Domenico e S. Francesco d’Assisi. Faremo riferimento solo ai primi racconti che ci narrano le loro vite e i loro miracoli e che hanno come caratteristica comune quella di essere stati composti da altri Santi che hanno vissuto sul loro esempio: per S. Benedetto, il 2° libro dei Dialoghi dì S. Gregorio il Grande; per S, Domenico, il Libellus del suo immediato successore a capo dell’Ordine dei predicatori, il beato Giordano di Saxe; e infine, per S. Francesco, le Leggende che S. Bonaventura consacra alla memoria del suo fondatore.

S. Benedetto

S. Gregorio il Grande (†604) morì circa mezzo secolo dopo la morte di S. Benedetto da Norcia (†550), del quale aveva seguito la regola, prima di diventare Papa. Nei suoi celebri Dialoghi, Gregorio descrive le vite eroiche degli uomini santi di cui si conserva il ricordo in Italia poiché « alcuni sono più infiammati d’amore per la patria celeste attraverso esempi viventi che attraverso dei testi » (I, Prologo, 9).

È così che egli giunge a parlare lungamente di S. Benedetto ad un interlocutore (che ha una funzione di replica simile a quella dell’interlocutore di Socrate nei dialoghi di Platone) nel secondo libro che è la fonte principale della nostra conoscenza del venerabile abate.

Non ci attendiamo qui una biografia nel significato tradizionale del termine, né l’analisi didattica di una dottrina o di una psicologia spirituale. Vi troviamo degli avvenimenti sicuramente reali, delle annotazioni spirituali, una tipologia teologica, ma all’interno di un genere letterario agiografico che vede e rivede tutto in seno al mistero divino. Infatti, l’unico intento che l’uomo può avere su questa terra è quello di ritrovare la patria divina che il peccato originale gli ha fatto perdere. Dunque, per S. Gregorio il Paradiso, l’Eden originale era precisamente quello dove regnava la purezza di cuore: « Nel suo paradiso, l’uomo aveva preso l’abitudine di assaporare le parole di Dio, di essere presente nell’anima dei beati, grazie alla sua purezza di cuore e all’altezza della sua visione» (IV, 1, 1). Attraverso il peccato, egli entra «nella cecità dell’esilio»: come dicono i Padri del deserto, gli è necessario ritrovare la visione, purificando quell’occhio che un tempo gli dava accesso all’invisibile. È proprio la fatica della santità attraverso la purezza di cuore « purificando l’occhio dell’anima con una fede pura ed una preghiera profonda» (IV, 7). Così, per una specie d’analogia con quello che Dio è in se stesso, si acconsente di nuovo « con la purezza e la semplicità del pensiero » ad essere intesi dal Creatore presso il quale questa munditia cordis è potente (III, 15, 13) ed è « come se si vedesse l’invisibile » (Ebr. 11,27).

S. Benedetto si applica dunque, attraverso l’opera monastica, a divenire interamente questo occhio di cui gli Apoftegmi hanno parlato: « egli abitò in se stesso perché sempre in guardia e vigilante su se stesso, vedendosi sempre sorto l'occhio del Creatore, esaminandosi sempre, egli non svilì l'occhio della sua anima gettando sguardi verso l'estemo» (II, 3, 7), La « custodia del cuore» s'accompagna sempre alla ritrosia dello sguardo in rapporto al creato. Ma così essa dona una sorprendente audacia in rapporto alle stesse leggi sante e a Dio stesso.

Il celebre episodio dell'incontro di Benedetto con sua sorella Scolastica (II, 33) può certamente essere interpretato come una sorta di dimostrazione pratica della potenza della purezza di cuore su Dio [9]. Ma qui non si tratta di Benedetto ma di sua sorella, la cui semplicità arriva ad ottenere il bene che richiede, aldilà della lettera della Regola. Ricordiamo come Scolastica, per non interrompere i colloqui sulla vita celeste con suo fratello, il quale non poteva trascorrere la notte fuori dal monastero, ottenne l’irruzione di un violento temporale. La conclusione di S. Gregorio, nella sua brevità e laconicità, non fa che ammirare la forza dispiegata da questa purezza, « Secondo la parola di S. Giovanni: Dio ò amore e, con un giudizio veramente equo, Scolastica fu più potente (di S. Benedetto), poiché ella amò di più » (II, 33, 5).

Ancora una volta la purezza non fa che esprimere la dimensione della carità e attraverso dò rende capaci di unirsi a Dio che è amore.

S. Domenico

Il Libellus sugli esordi dell'ordine dei Predicatori che Giordano di Saxe scrisse verso il 1235-1234, ossia 12 anni dopo la morte di Domenico (†1221), possiede già i tratti di un lavoro da storico come noi l'intendiamo. Ma vi troviamo una densità teologica, un radicamento scritturale che indica che il successore di S. Domenico vuole fare tutt'altro che un semplice lavoro d’erudizione. Egli intende evocare gli anni durante i quali le benedizioni si sono estese sulla nuova fondazione dei Predicatori, e all'interno di questa descrizione, fare emergere l'affascinante personalità del fondatore [10].

E' da sottolineare il fatto che la sola opera sulla formazione del giovane Domenico che il Libellus nomina espressamente sono le Conferenze di Cassiano, accompagnate dal seguente commento: « Con l’aiuto della grazia, questo libro lo fece giungere ad un livello di purezza di coscienza difficile da conseguire (puritas conscientiae), ad una grande apertura sulla contemplazione e al colmo della perfezione» (L. 13). Vi riconosciamo un riferimento ai testi di Cassiano citati e si potrebbe far conto su uno sviluppo organizzato del significato di questa purezza di coscienza. Non significa nulla, ma il Libellus, come d’altronde le deposizioni al processo di canonizzazione, praticamente contemporanee, ci delineano una sorta di fenomenologia della purezza di cuore, un ritratto approssimativo che non può essere più vivo e toccante.

Il clima generale che si respira è la perfetta purezza di vita di Domenico, quella che il Libellus chiama la sua « innocenza di vita », attraverso cui egli brillava come la stella del mattino fra le nuvole (L. 11). Purezza del corpo e prudenza: a più riprese, l’agiografo richiama la verginità del fondatore, a cui Domenico, non senza un po’ dì vergogna, farà addirittura allusione sul letto di morte, nel momento stesso in cui mette in guardia un’ultima volta i suoi fratelli contro «le frequentazioni sospette delle donne... per coloro che non sono del tutto purificati» (Is 1,25),

Inoltre, purezza dei costumi: ì fratelli che l'anno confessato, sono convinti che in tutta la sua vita egli non abbia commesso nessun peccato mortale [11]. Purezza d’intenti: « nemmeno il minimo sospetto di dissimulazione o di ipocrisia traspariva dalle sue parole o dalle sue azioni » (L. 107). Era proprio tutto questo che lo rendeva così caro, così cortese e gentile e che conquistava l’affetto di tutti. I frutti dì una tale santità erano effettivamente tangibili, ancora più manifesti e più grandiosi di tutti i miracoli da lui compiuti, secondo le parole di Giordano di Saxe, grazie « alla perfezione morale che regnava in lui e all’impeto di fervore divino che lo trasportava » (L, 103).

Questo ardore lo portava a Dio tramite una incessante preghiera, quel Dio che egli chiamava, con l’ultimo versetto del Salmo 58 secondo la Volgata, « mia misericordia! », ma lo portava anche verso il prossimo, verso tutti senza eccezione, i quali lo rendevano pieno di compassione, termine che Giordano per due volte mette in relazione con il fuoco (L. 10 e 100): Domenico brucia di compassione. In S. Domenico si trova l’equilibrio soprannaturale fra la divorante passione di zelo per le anime e la serenità, poiché « la testimonianza della sua buona coscienza rischiarava sempre con grande gioia il suo viso» (L. 103). Tale è il miracolo « più eclatante », della sua purezza di cuore, incandescente, che Matisse ha avuto la genialità di rendere manifesto con l'ovale completamente avvolto dalla luce che sostituisce il viso del suo S- Domenico in S. Paul de Vence.

S. Francesco

Paradossalmente, S. Domenico, che era un chierico, sensibile all'apostolato dell’intelligenza, non ha lasciato praticamente nessuno scritto e le sue prime biografie sono rare e sobrie, mentre S. Francesco d'Assi ai (†1226), la cui spiritualità era « laica» e poco intellettuale, ha lasciato delle Regole, delle Preghiere, sema contare le Lettere; e il suo culto ha rapidamente beneficiato di molte biografie: evidentemente è la movimentata storia del suo Ordine, dopo la sua morte, che spiega questo fatto.

Fra le «vite» di S. Francesco l’opera doppia di S. Bonaventura (†1274), la Legenda major e la Legenda minor, anche se sono dettate dalle circostanze, godono di un prestigio incomparabile, anche in considerazione della genialità del loro autore, ed è giusto riconoscerli come autentici poemi lirici e teologici [12]. Negli scritti dello stesso S. Francesco, la purezza di cuore è legata al culto d'amore che l’uomo deve manifestare al suo Dio. « Nella santa carità che è Dio, prego tutti i fratelli, tanto i ministri quanto gli altri... di servire, nel miglior modo possibile, il Signore Dio con un cuore puro e con uno spirito puro, ecco quello che egli chiede innanzitutto» (Regola XXII, 25, 29). L'esigenza, ripetuta nella seconda Lettera ai fedeli (14, 19, 53), trae origine dall’ordine del Signore alla Samaritana (Gv 4, 23-24).

Secondo S. Bonaventura, la principale preoccupazione di S. Francesco, che è sempre « all’erta » (Is 21, 8}, era quella di vivere nella purezza dell’uomo interiore, come in quella dell’uomo esteriore, vale a dire per l'anima, come per il corpo (LM 5, 3 e 5, 9). Come S. Benedetto prima di luì, « il nostro amante della castità » adotta modi bruschi per preservare il « fratello asino » dalle tentazioni della voluttà, ma questa determinazione gli viene dalla purezza di cuore.

Preghiera, contemplazione, dono delle lacrime, gusto c intelligenza delle Scritture sono presentati da S. Bonaventura sia come cause, sia come effetti della purezza di cuore. Un duplice movimento le conduce insieme: è la purezza di cuore che dà accesso a questi doni, i quali a loro volta la fortificano, la fecondano e la dilatano. Così la preghiera « purifica gli ardori dell’anima per centrarli con più fermezza su Colui che è l'unico, il vero, il Supremo Bene » (LM 12, 1). Ma reciprocamente è la « limpidezza del cuore » che apre a S. Francesco le profondità della Sacra Scrittura: «il suo spirito, puro da ogni macchia, trovava l'accesso dei misteri nascosti ». Anzi, contro gli Spirituali, S. Bonaventura ricorda il rapporto che esiste fra verità, purezza e semplicità: Francesco voleva che i progressi nella conoscenza della verità non facessero che seguire quelli che i suoi fratelli dovevano fare nella purezza (LM 11, 1). La semplicità è sorella della saggezza, ma nella tradizione francescana, essa la precede.

L’esperienza del dono delle lacrime che S. Francesco ha vissuto, addirittura rischiando di perdere la vista, è raccontata da S. Bonaventura in modo molto caratteristico: « Egli non smetteva mai di purificare sempre più gli sguardi della sua anima con ruscelli di lacrime…, e preferiva perdere la vista piuttosto che impedirsi (pena l’estinzione in lui di ogni devozione) le lacrime che permettono di vedere Dio, poiché rendono più puro lo sguardo interiore » (LM 5, 8 ripreso testualmente dalla Legenda minor 3,3).

Si ha qui il riaffermarsi della relazione fra la purezza di cuore e la visione di Dio, come la beatitudine di S. Matteo promette, con questa opposizione tra la vista fisica e la visione di Dio. Ciò che conta è lo sguardo interiore: « la lucerna del corpo, è il tuo occhio... Bada dunque che la luce che è in te, non sia tenebre » (Le 11, 34-36). Così ritroviamo il tema dell'occhio attraverso il quale i puri di cuore accedono alla visione. Ma vi è ugualmente in S. Bonaventura il tema del fuoco divino che assale il santo: quello che egli eloquentemente chiama « l’incendio d’amore) » (LM 9, 3 e 3). Evocando i santi che Francesco venerava, li chiama, ispirandosi al profeta Ezechiele (28, 14), «pietre di fuoco) » che egli vuole imitare. A più riprese torna l'espressione della « fiamma d’amore » che rischiara « le profonde caverne del senso », per parlare come S. Giovanni della Croce,

Queste lacrime, questo sconvolgimento di tutto il cuore volto verso Dio non sono per Francesco né tristezza, né turbamento, e non impediscono che gioia e serenità splendano sul suo viso. « La sua limpida coscienza gli permetteva di lasciarsi pervadere da una gioia tale che il suo spirito esultava continuamente in Dio» (L. min, 3, 3), Questa è l'essenza della gioia francescana che porta alla gioia perfetta nell’umiliazione, alla conformità con Cristo, all’« ospitalità dello Spirito Santo » (LM 11,2),

Così la purezza dì cuore conduce Francesco ad una vita « tanto più straordinaria quanto è più normale », come dice ancora S. Bonaventura (LM 13, 20), Noi dobbiamo dunque concludere che essa ha tutte le caratteristiche della carità, di cui possiamo dire infatti che è uno sguardo e un fuoco, proprio come questi modi di dire della tradizione cristiana ci hanno insegnato.

La beatitudine dei cuori puri è il segreto dei santi: segreto aperto a tutti, manifestato dalla loro vita, dal loro insegnamento, dal loro ideale e nello stesso tempo racchiuso, rannicchiato nella profondità del loro essere.

La purezza di cuore è onnipotente [13], si potrebbe dire disarmante nella sua semplicità. Infatti essa è un approccio a quello stato di integrità che ci è stato restituito dal Cristo resuscitato [14], fatto che gli conferisce la sua caratteristica di gioia soprannaturale. Essa non ha nulla dì astratto o di moralizzante poiché racchiude le esigenze di quella carità che « non cerca il suo interesse.,, non tiene conto del male… si compiace della verità.., tutto crede, tutto spera, tutto sopporta » (1 Cor. 13, 4-7). Essa è una pregustazione del cielo ed è per questo che non avrà mai fine» (1 Cor, 13, 8),

Comprendiamo allora perché i puri dì cuore vedranno Dio, poiché quello che imparano già a vedere come in uno specchio, lo riconosceranno allora faccia a faccia (1 Cor, 13, 12), Ci uniamo cosi all'insegnamento dì Cassiano nella prima delle sue Conferenze che unisce di fatto tutti gli elementi che la tradizione spirituale ha messo in evidenza. Commentando Romani 6, 22: «voi raccogliete come frutto la santità e come destino la vita eterna », su questa terra egli assegna al sacerdote e al cristiano l'obiettivo per raggiungere questo destino: la santità che è precisamente la purezza di cuore (Conf. 1,5), Ancora, essa è per lui la carità cosi come la troviamo descritta nell’inno della prima Lettera ai Corinti (citata in questa occasione: 1, 6 e 7 e 11), Essa porta alla contemplazione (1, 8), poiché fa di noi un occhio, uno sguardo; infine essa è sorgente incredibile di gioia, quella offerta dallo Spirito Santo (1, 13) che ci infiamma con il suo fuoco. Tale è il destino del nostro cuore (1, 8): aderire a Cristo, o meglio ancora in latino inhaerere: non esiste miglior termine per indicare l'attaccamento, l'intimità con il Signore, di cui godono fin da quaggiù gli amici di Dio, per mezzo della beatitudine della purezza di cuore.

(Traduzione di Margherita Di Meo)

Nota biografica

Guy Bédouelle è nato nel 1940. Entra nell’ordine dei Domenicani nel 1965. E' professore alla Facoltà di Teologia di Friburgo (Svizzera). è membro del comitato di redazione di Communio francese. Fra le sue opere, citiamo: Dominique ou la grâce de la Parole, Paris, Fayard-Mame 1982 e con Patrick le Gal: «Le divorce»  du roi Henry VIII. Etudes et documents, Ginevra, Droz, 1987.

 


NOTE:

[1] Vedere ad esempio Règles monastiques d'Occident, IVème-VIème siècles, d'Augustin à Ferréol, « Vie monastique 9 », Bellefontaine, 1980; o Les Règles des saints Péres. «Sources Chrétiennes» 297 e 298 di A. de Vogüé.

[2] PL 66, col. 577.

[3] PL 67, col. 1101 (XIX). Si troverà una simile enumerazione descrittiva in La Regola di S. Macario « che ebbe sotto la propria giurisdizione 5000 monaci », n. 2, SC 257, pp. 373-375, e nella «Règle orientale», n, 32, SC 259, p. 487.

[4] PL 32, col. 1380-1381. Allo stesso modo la Règle de Tarnant dichiara: «Non pensate di avere gli occhi puri se avete l'animo impuro, perché l'occhio impuro è indicativo di un cuore impuro » (PL 66, col. 984).

[5] Usiamo qui Les sentences des Pères du désert. Collection alphabétique, tradotto e presentato da Dom Lucien Regnault, Solesmes, 1981. Vedi anche Jean-Claude Guy, Paroles des anciens. Apophtegmes des pères du désert, collection Points Sagesse I, Paris, Le Seuil, 1976.

[6] Dom Lucien Regnault, Les Pères du désert à travers leurs apophtegmes. Solesmes, 1987, p. 177.

[7] Ibidem, p. 175.

[8] Ibidem, p. 180, citando il N. 362 della collezione Coislin des Apophtegmes.

[9] Adalbert de Vogüé, La rencontre de Benoît et de Scholastique. Essai d'interprétation, «Revue d'histoire de la spirituali», 48 (1972), pp. 257-27J. Cfr. «Sources Chrétiennes» 260, pp. 230-235.

[10] Citiamo qui l’opera più recente su S. Domenico, breve, densa, profonda, scritta dal P. Jean-René Bouchet, provinciale dei domenicani per la Province de France, alcune settimane prima di morire improvvisamente a 51 anni: Saint Dominique, Paris, Le Cerf, 1988. Per la traduzione del testo del Lìbellus, vedere M.H. Vicaire, S. Dominque et ses frères, Paris, Le Cerf, 1967.

[11] Processo di canonizzazione. Testimonianze di Bologna, deposizioni di Frère Etienne e di Frère Rogier de Penna.

[12] L'edizione migliore è quella dei PP. Théophile Desbonnets e D. Vorreux, Saint François d'Assise. Documents, Paris, Editions franciscaines, 1968.

[13] Un esempio dell'onnipotenza della purezza di cuore, che non sembrerà qui fuori luogo, è dato da A. Manzoni, ne I promessi sposi (1825), Nei capitoli XX e XXI, Lucia, rapita dai briganti, si confida con Dio, con semplicità e abbandono alla Provvidenza, perdonando prima ai suoi nemici. Questa purezza tocca misteriosamente il cuore dell’Innominato e inizia il processo della conversione.

[14] W. Tunynk, Vision de paix. Studio sulla vita monastica benedettina, Paris, Editions de la source, 1968, pp.23-31.


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5 giugno 2018                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net