ANALISI DELLE ISTITUZIONI CENOBITICHE

di Giovanni Cassiano

Estratto da "ISTITUZIONI CENOBITICHE"

Traduzione e note a cura di Lorenzo Dattrino, 1989, Città Nuova Editrice

 

 

a) Premessa

Il titolo comune, con cui si designa l’opera di Cassiano, suona così come già è stato annunciato: le Istituzioni cenobitiche e i Rimedi contro gli otto vizi capitali, ed è l’autore stesso che lo indica nella Prefazione alle Conferenze. In realtà nel titolo sono intese due opere distinte, e ancora una volta è lo stesso autore a indicarne la distinzione. Così infatti egli scriveva all’inizio del V libro: «Con l’aiuto di Dio sarà dato ora inizio al V libro. Infatti, dopo aver posto termine ai quattro libri delle “Istituzioni dei monasteri”, ora ci disponiamo ad affrontare se, per le vostre preghiere il Signore ce ne concederà la possibilità, la lotta contro gli otto vizi capitali» (Istit. V, 1; e ancora Confer., Prefaz. 1). Si tratta dunque di due argomenti, non soltanto distinti, ma molto dissimili.

Il Leroy, pur escludendo nell’autore un’evoluzione di pensiero, ammette tuttavia l’opportunità di considerare lo scritto di Cassiano come due opere separate. La Prefazione che l’autore ha premesso a ciascuna delle due opere indica con chiarezza il fine che egli s’è proposto di conseguire in ciascuna di esse [1]. Quanto infatti alla prima opera, Cassiano s’è deciso a scrivere unicamente per obbedire alla pressione affettuosa e autorevole del vescovo Castore, il quale desiderava organizzare la vita del monastero da lui fondato, secondo la maniera di vivere propria degli orientali e specialmente degli egiziani (Istit., Prefaz. 3). La risposta di Cassiano corrisponderà dunque anzitutto a questa precisa richiesta, e riguarderà la formazione dei monaci viventi in un monastero di cenobiti.

Sempre secondo il Leroy, dunque, il vescovo Castore non aveva chiesto di più. Ma Cassiano sentì ben presto l’urgenza di integrare quanto aveva già scritto, allargando l’orizzonte della pura vita cenobitica con ulteriori informazioni relative a una vita più perfetta e contemplativa, quale era vissuta dagli eremiti. Fu questa forse una decisione personale, porre mano cioè a un secondo trattato, nel quale esporre l’origine dei vizi principali che attanagliano l’uomo, e i rimedi per correggerli. Se dunque il primo volume aveva un fine preordinato, quello di descrivere la vita propria dei cenobiti, il secondo è molto più largo: non intende abbracciare direttamente la vita eremitica o la vita cenobitica, ma intende e comprende implicitamente l’una e l’altra. Di fatto il numero maggiore degli esempi comprovanti i principi esposti dall’autore sono tratti dagli anacoreti, si tratti di Antonio (V, 4), di Mosè (V, 25), di Pesio (V, 27), di Machete (V, 29), di Teodoro (V, 35), di Archebio (V, 37), di Simeone (V, 39), di Giovanni e di Macario (V, 40), e di Paolo (X, 24-25) [2].

 

b) Le Istituzioni cenobitiche (Libri I-IV)

Nell’introdurci all’esame del contenuto dei primi libri dell’opera di Cassiano sarà utile tener presenti alcune linee direttive per una comprensione più aderente all’intenzione dell’autore. Una delle prime impressioni infatti che si ricevono dalla lettura di questi primi libri è che Cassiano intenda offrire anzitutto una descrizione della vita condotta nei monasteri dell’Egitto e della Palestina da lui visitati, e non di tradurre quanto egli ebbe a sperimentare in una cornice normativa. Una serie di regole vere e proprie soltanto in seguito potrà essere formulata, ma solo come derivazione [3].

E in realtà Cassiano si propose di riformare il monachesimo occidentale, senza istituire un codice di leggi, ma con un mezzo più efficace, dati i tempi, quello di orientare la vita monastica dell’Occidente verso fini chiari e precisi sull’esempio dei monasteri da lui visitati. Egli perciò fonda la sua dottrina sull’esperienza, e ogni principio da lui suggerito trova immediatamente la riprova e l’applicazione nella rievocazione di un aneddoto o nel comportamento di qualche personaggio.

Ne deriva che la condotta di uno o l’esempio di un altro non rimangono ancorati e circoscritti nella sfera della singolarità, ma devono intendersi riferiti e riportati perché possano servire di norma per tutti. Egli stesso non ne fa mistero, e dichiara apertamente, prima di introdurre, per esempio, il racconto della vita dell’abate Pinufio, tale suo intendimento. «Questo richiamo, egli scrive, varrà, con la sua lettura, non soltanto a istruire i più giovani, ma anche a incoraggiare gli anziani a praticare in modo perfetto la virtù dell’umiltà» (Istit. IV, 30,1).

Non raramente l’esempio da imitare è preso da personaggi biblici, una fonte, alla quale Cassiano si rifà continuamente per fissare la sua dottrina cenobitica. Per l’utilizzazione dell’esegesi scritturistica, nei limiti dell’interpretazione di preferenza letterale, l’autore si attiene specialmente a Basilio; invece, per il richiamo alla Scrittura nell’interpretazione più particolarmente allegorica, egli si attiene più frequentemente a Evagrio Pontico [4].

L’argomento dei primi quattro libri tratta rispettivamente dell’abito dei monaci (I), della preghiera (II e III), e della formazione degli aspiranti alla vita monastica (IV).

(Il testo entra nel dettaglio dei primi quattro libri, che qui tralascio. Ndr.)

 

c) I Rimedi contro gli otto vizi capitali

Già il titolo così significativo della seconda parte delle Istituzioni suppone la lotta che il monaco deve sostenere per giungere alla perfetta purificazione del cuore. L’impegno assunto da Cassiano in questa trattazione è dunque quello di insegnare la tattica da usare per combattere i singoli vizi. Egli parte dal principio che tutti i vizi sono fra loro connessi e solidali. E allora occorrerà che il monaco adotti la tattica tutta propria dei gladiatori del circo: essi affrontano subito gli avversari più arditi e più forti (Conf. V, 14). L’insegnamento che ne deriva immediatamente risulta più che evidente: occorre superare, prima di tutto, i vizi dominanti in modo che anche gli altri restino debilitati (Con/. XXII, 3). È vero però che ogni persona si differenzia dall’altra, e la vita condotta da uno non è quella vissuta da un altro. La tattica di combattimento perciò, suggerita da Cassiano, suppone anzitutto una buona conoscenza di se stessi, in modo da individuare il vizio peggiore, e così passare al combattimento (Conf. V, 27). È superfluo rilevare la dottrina qui esposta da Cassiano come una delle maggiori direttive ereditate da tutta l’ascetica posteriore. L’esame particolare, suggerito a quanti professano la vita religiosa, trova in Cassiano uno dei primi maestri: proporsi un obiettivo di combattimento ben preciso e limitato e una tattica perseverante e ben centrata, da variare però secondo il progresso ottenuto e la conoscenza sempre più profonda che ognuno acquista di se stesso [5].

Gli accorgimenti opportuni, da adottare per vincere e correggere i singoli vizi, Cassiano li espone negli otto libri (V-XII) destinati a questo fine nelle sue Istituzioni. Vi troviamo indicazioni generiche, come per esempio, il rilievo che nel deserto, per l’eremita, la gola, la lussuria e l’avarizia trovano meno materia per compiacere le loro tendenze (Istit. VI, 3); ma, per lo più, le strategie da lui proposte servono per tutti, eremiti e cenobiti.

L’idea complessiva esposta in questa seconda parte delle Istituzioni deriva indubbiamente dalla concezione della demonologia propria di Evagrio Pontico. Si tratta, dopo tutto, di tener presente il legame che associa quel tale vizio a quel tale demonio. Ne segue che la lotta contro quei tali vizi, a cui si riduce l’ascesi, altro non è, in realtà, che il combattimento contro «gli spiriti» maligni di quegli stessi vizi. I titoli infatti degli otto libri delle Istituzioni portano quest’insegna: lo spirito della golosità, lo spirito della fornicazione, ecc. Tuttavia non è in questa parte precisa che Cassiano risolve le due questioni fondamentali, del modo, cioè, come di fatto si esercita l’azione dei demoni sulle nostre anime, e quale risulta la loro natura. Tale dottrina è esposta nelle due Conferenze VII e Vili.

La differenza che intercorre nell’interpretazione della presenza demoniaca fra la trattazione di Evagrio e quella di Cassiano dipende dal fatto che Evagrio tiene presente la situazione, in cui si trovano più particolarmente gli anacoreti, mentre Cassiano vede più direttamente le condizioni dei cenobiti. E certo comunque che Cassiano si è ispirato all’opera di Evagrio ( Trattato pratico, cc. 6-14), ma forse, più ancora, all’altra opera di Evagrio, giunta a noi sotto lo pseudonimo di Nilo, Gli otto spiriti della malizia.

L’elenco dei vizi era dunque già in Evagrio (Trattato pratico, c. 6). In conformità con la concezione platonica, molto diffusa tra i padri greci, Cassiano così distingue le radici dei vizi (Conf. XXIV, 15):

a) l’orgoglio e la vanagloria s’attaccano alla parte razionale dell’anima;

b) la golosità, la lussuria e l’avarizia risiedono nella parte concupiscibile dell’anima;

c) la collera, la tristezza e l’accidia nella parte irascibile.

Egli sostiene che i vizi più temibili sono proprio quelli che meno dipendono dal corpo [6].

La vittoria sui vizi ha come risultato l’introduzione delle virtù ad essi corrispondenti. Infatti il Creatore ha disposto nell’animo dell’uomo i germi delle passioni per dei fini utili (Istit. VII, 3; Vili, 9; IX, 10). La malizia d’ogni passione consiste nell’eccesso che si oppone direttamente alla moderazione e al giusto mezzo, proprio della virtù [7]. Perciò la vita del cenobita deve tendere all’acquisto della scienza pratica, la quale si fonda su due capisaldi come su due gradi: prima di tutto, la conoscenza dei singoli vizi da superare e dei loro rimedi; in secondo luogo, la conoscenza delle virtù che ad essi corrispondono e il loro progressivo acquisto. Nella Conf. I, cc. 13-14, Cassiano dichiara che nell’uomo non possono albergare contemporaneamente il vizio e la virtù contraria. Nella sua coscienza è l’uomo stesso che decide a chi concedere la sovranità: al diavolo o a Cristo [8].

Per il nostro autore superare il demonio e correggere i vizi approda a uno stesso risultato. «Non è un nemico esterno, egli scrive, quello che noi dobbiamo temere; il vero nemico è dentro di noi, ed è contro di noi che ogni giorno viene intrapresa una guerra intestina. Superato quel nemico, gli avversari esterni saranno indeboliti, e tutto sarà in pace e in sua soggezione per il soldato di Cristo. Non avremo bisogno di temere avversari dal di fuori, se i nemici interni saranno sottomessi allo spirito» (Istit. V, 20).

Cassiano, comunque, è persuaso che, per vincere i vizi, è necessario uno sforzo doppio in confronto di quello che occorre per acquistare le virtù.

(Il testo entra nel dettaglio degli otto vizi capitali, che qui tralascio. Ndr.)


[1] Cfr. J. Leroy, Les Préfaces des écrits monastiques de J. Cassien, "Revue d'Ascétique et de Mystique", 42, 1966, p 162 e seguenti)

[2] J. Leroy, Les Préfaces, p. 165-167.

[3] Cfr. A. de Vogüé; Les sources des quatre premiers livres des Institutions de J. Cassien, "Studia Monastica, 27, 1985, p 242.

[4] Cfr. A. de Vogüé; Les sources, p. 310-311.

[5] Cf. M. Olphe-Galliard, Cassien, in DSp, II, Paris 1953, col 249.

[6] G. Tibiletti, Giovanni Cassiano, Formazione e Dottrina, "Augustininum", 17, 1977, p. 362.

[7] Cf. M. Olphe-Galliard, in DSp, II, Paris 1953, col. 238.

[8] Cf. M. Olphe-Galliard, in DSp, II, Paris 1953, col. 236.


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10 febbraio 2017        a cura di Alberto "da Cormano"      Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net