LE ISTITUZIONI CENOBITICHE

di GIOVANNI CASSIANO

LIBRO DODICESIMO

LO SPIRITO DELLA SUPERBIA

"Libera traduzione"

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CAPITOLO 1.

Il nostro ottavo ed ultimo combattimento è contro lo spirito di superbia.

Questo male è il conclusivo nella lotta contro i vizi e sembra essere all'ultimo posto; ma, per l'origine ed il tempo, è il primo. Mostro crudele, più indomabile di tutti i precedenti. Si accanisce soprattutto con i perfetti e divora con morsi più terribili quelli che si trovano già quasi al completamento delle virtù.

CAPITOLO 2. Ci sono due tipi di superbia.

Ci sono due tipi di superbia. Il primo è quello di cui si è appena detto che attacca gli uomini spirituali e molto elevati nella perfezione; il secondo tormenta anche i principianti e coloro che sono ancora carnali.

L’uno e l’altro si dirigono con colpevole arroganza, sia contro Dio che contro gli uomini. Tuttavia, il primo si riferisce specialmente a Dio, il secondo agli uomini. Di quest’ultimo ne dirò le origini e le cause nell'ultimo parte di questo libro, secondo la mia capacità e con l'aiuto della Grazia. Per ora è del primo tipo, che tenta soprattutto i perfetti, che mi propongo di trattare brevemente.

CAPITOLO 3. La superbia distrugge tutte le virtù insieme.

Non c’è altro vizio che deprima tutte le virtù e che spogli l'uomo di qualsiasi giustizia e santità, come il male della superbia. Come una malattia generale e pestilenziale, non si accontenta di debilitare un solo membro, completamente o parzialmente, ma corrompe e rovina il corpo intero, cerca di precipitare in una caduta senza rimedio coloro che sono già arrivati al vertice delle virtù ed a farli perire di morte violenta.

Qualsiasi vizio ha i suoi limiti, le sue frontiere, dentro le quali si mantiene; e, benché affligga anche le altre virtù, è contro una di esse che tende specialmente, che cerca di affliggere e contro cui conduce la battaglia. Per fare meglio comprendere ciò che noi diciamo, la golosità, ad esempio, corrompe il rigore della temperanza, il piacere malvagio insozza la castità, la collera devasta la pazienza. E succede a volte che, dediti a tale vizio, non ci si allontani dalle altre virtù; privato soltanto di quella che soccombe agli attacchi del vizio antagonista, si possono mantenere, almeno in parte, le altre virtù. Ma sfortunato colui che è posseduto dalla superbia!

Tiranno selvaggio, dopo essersi impadronito della cittadella sublime delle virtù, rovescia e distrugge da cima a fondo l’intera città, rade al suolo e confonde con sé i muri precedentemente così fieri della santità e non lascia più sussistere nell’anima che gli è soggetta neanche un'immagine di libertà. Più ricca è la sua vittima, più pesante è il giogo di servitù al quale la sottomette, devastandola senza pietà e spogliandola di tutte le sue ricchezze di virtù.

CAPITOLO 4. È la superbia che ha fatto un demone dell'arcangelo Lucifero

Ma ecco chi ci farà conoscere la potenza ed il peso di questa tirannia. L'angelo a cui, per l'eccesso del suo splendore e della sua bellezza, era stato dato il nome di Lucifero, non è stato precipitato del cielo per un altro vizio che quest'ultimo; ferito dal dardo della superbia fu scaraventato negli inferi, lui che era nalla beata e sublime sede degli angeli.

Se un solo pensiero di orgoglio ha potuto fare cadere dai cieli fino in terra una così alta virtù celeste, onorata della prerogativa di una così grande potenza, con quale vigilanza dovremo tenere alta la guardia, noi che siamo vestiti di una carne di fragilità! La grandezza della sua rovina ce lo dimostra abbastanza.
Ma noi possiamo apprendere anche ad evitare il disastroso  virus di questa malattia, cercando bene le cause e l'origine della sua caduta. Nessuna cura, infatti, nessun rimedio alle malattie del cuore, se inizialmente non ci si dedica ad un'acuta indagine sulle loro origini e sulle loro cause. Ma, mentre era rivestito della luminosità divina e splendeva tra tutte le potenze celesti grazie alla liberalità del Creatore, Lucifero credette di possedere tramite la forza della sua natura, e non grazie al sostegno della munificenza divina, lo splendore della saggezza e la bellezza delle virtù, di cui lo aveva decorato una benevolenza del tutto gratuita. Si innalzò nel suo cuore, vantandosi che l'aiuto divino non gli era necessario per perseverare in questa purezza, e si giudicò simile a Dio, come se, alla pari di Dio, non avesse bisogno di nessuno. Ebbe così fiducia nel potere del suo libero arbitrio, che pensò di bastare ampiamente a sé per arrivare al compimento delle virtù e alla perennità della beatitudine suprema.

Questo solo pensiero fece la sua prima caduta. Abbandonato da Dio, di cui credeva di poter fare a meno, sentendosi all'istante insicuro, egli vacillò. Sentì fino al fondo l'infermità della sua natura e perse la beatitudine di cui godeva come dono di Dio.

Perché egli “ha amato le parole che distruggono „, (Sal 52,6) dicendo “Io salirò fino al cielo„ (Is 14,13); ed ha seguito “la lingua d’inganno „, (Sal 52,6) che gli faceva dire di sé “Io sarò simile all’Altissimo, „ (Is 14,13) e di Adamo ed Eva: “Sarete come dei, „ (Gen 3,5). “E’ per questo che Dio lo demolirà per sempre, lo spezzerà e lo strapperà dalla tenda, lo sradicherà dalla terra dei viventi ...„ (Sal 52,7). Allora, “i giusti, vedendo la sua rovina, avranno timore e di lui rideranno, dicendo: Ecco l'uomo che non poneva Dio come suo aiuto, ma che confidava nelle sue grandi ricchezze e si faceva forte della sua vanità. „ (Sal 52, 8-9). Queste parole del resto si rivolgono quindi molto precisamente a chi si lusinga, senza la protezione e l'aiuto di Dio, di compiere il bene sovrano.

CAPITOLO 5. Tutti i vizi hanno avuto origine dalla superbia.

Tale fu la causa della prima caduta e l'origine del vizio primordiale. Fu ancora Lucifero che, dopo la caduta e la trasformazione in serpente, fece germinare nel primo uomo la disposizione e la materia di tutti gli altri vizi. Credendo di potere conquistare con la forza della sua libertà e dalla sua audacia la gloria della Divinità, Adamo perdette persino la gloria che possedeva grazie alla bontà gratuita del Creatore.

CAPITOLO 6. L'ultimo nell'ordine della lotta, il vizio della superbia è il primo per il tempo e l'origine.

Così, gli esempi e le testimonianze della Scrittura provano chiaramente che il flagello della superbia, l'ultimo nell'ordine della lotta, è tuttavia il primo per l'origine, principio di tutti i peccati e di tutti i crimini; che, non contento di distruggere come gli altri vizi la virtù che gli è contraria, cioè l'umiltà, fa perire tutte le virtù allo stesso tempo; e non sono soltanto i mediocri, gli immaturi, che esso tenta, ma quelli soprattutto che sono giunti al culmine delle virtù. Tale è del resto il pensiero del profeta, quando dice di questo spirito: “I suoi cibi sono cibi eletti„ (Ab 1,16 - LXX). È per questo che il beato Davide, così attento a conservare il santuario del suo cuore, arriva al punto di esclamare con un’audace fiducia verso Colui al quale non potevano sfuggire i segreti della sua coscienza: “Signore, non si esalta il mio cuore, né i miei occhi guardano in alto; non vado cercando cose grandi, né meraviglie più alte di me; se i miei sentimenti non fossero umili …„ (Sal 131,1-2) e, nuovamente: “Non abiterà dentro la mia casa chi agisce con orgoglio; „ (Sal 101,7). Davide dunque, sapendo quanto questa custodia del cuore sia difficile anche ai perfetti, non suppone affatto di riuscirvi con i suoi sforzi, ma implora nella sua preghiera l'aiuto del Signore, per sfuggire senza danno alle caratteristiche di questo nemico: “Non mi raggiunga il piede dei superbi!„ (Sal 36,12) tanto è colmo di timore e della paura di cadere nella sciagura di cui la Scrittura minaccia i superbi: “Dio resiste ai superbi; „ (Gc 4,6) e di nuovo: “Chiunque esalta il suo cuore, è impuro davanti al Signore .„ (Pr 16,5)

CAPITOLO 7. Grandezza del male della superbia, che merita di avere Dio per avversario.

Quanto è grande il male della superbia, da meritare di avere come avversario, non un angelo, non le virtù contrarie, ma Dio personalmente?

Poiché, notate che non è detto da nessuna parte che il Signore resiste a coloro che sono preda degli altri vizi, ad esempio che Dio resiste ai golosi, ai fornicatori, agli uomini collerici, agli avari. Ciò è detto soltanto per i superbi (Gc 4,6).  È così che gli altri vizi, o ricadono contro il peccatore stesso, o nuocciono soltanto a uomini come noi; ma la superbia si oppone proprio a Dio ed ecco perché merita in modo particolare di averlo per avversario.

CAPITOLO 8. Come Dio ha distrutto la superbia del diavolo grazie alla virtù dell'umiltà.

Dio, il Creatore e medico dell'universo, tenuto conto che il principio di tutti i vizi si trova nella superbia, si è premurato di guarire gli opposti per mezzo degli opposti; ed ha voluto che ciò che era caduto con la superbia, si sollevasse grazie all'umiltà.

Il demonio dice: “Salirò fino al cielo; „ (Is 14,13) il Signore risponde: “La mia anima si è umiliata fino alla polvere .„ (Sal 43,25). Il demonio esclama: “Sarò simile all’Altissimo; „ (Is 14,14) al contrario, il Signore, “pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo,...umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte.„ (Fil 2,6-8). Il demonio dice: “Sopra le stelle di Dio, innalzerò il mio trono; „ Is 14,13) ed il Signore: “Apprendete da me che sono mite e umile di cuore .„ (Mt 11,29). Il demonio: “Non conosco il Signore, e non lascerò partire Israele; „ (Es 5,2) e il Signore: “Se dicessi che non lo conosco, sarei come voi: un mentitore. Ma io lo conosco e osservo la sua parola...„ (Gv 8,55). Il demonio: “I fiumi sono miei, sono mie creature; „ (Ez 29,3) il Signore: “Da me, io non posso fare nulla; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere ..„ (Gv 5,30; 14,10). Il demonio proclama: “Tutti i regni del mondo e la loro gloria sono miei, ed io li dono a chi voglio; „ (Lc 4,6) il Signore, “che era ricco, si è fatto povero, per renderci ricchi con la sua povertà .„ (2 Cor 8,9). Il demonio dice: “Come si raccolgono le uova abbandonate, così ho raccolto tutta la terra. Non vi fu battito d’ala, e neppure becco aperto o pigolìo; „ (Is 10,14) il Signore: “Sono come il pellicano del deserto. Resto a vegliare: sono come un passero solitario sopra il tetto .„ (Sal 102,7-8). Il demonio: “ho fatto inaridire con la pianta dei miei piedi tutti i fiumi ,„ Is 37,25) il Signore: “ Credi che io non possa pregare il Padre mio, che metterebbe subito a mia disposizione più di dodici legioni di angeli?„ (Mt 26,53).

Se osserviamo bene la causa della caduta primordiale e i fondamenti della nostra salvezza, da chi e in quale modo l’una e l’altra sono state costruite, allora la rovina del diavolo e l’esempio del Signore ci insegneranno molto bene come evitare la morte crudele causata dalla superbia.

CAPITOLO 9. Il mezzo per superare la superbia.

Ecco dunque come sfuggire alle trame di questo malefico spirito. Tutte le volte che sentiamo di avere fatto dei progressi nelle virtù, ripetiamo le parole dell'Apostolo: “Non io, ma la Grazia di Dio che è con me. Per Grazia di Dio sono quello che sono. „; (1 Cor 15,10). “È Dio infatti che suscita in voi il volere e l’operare secondo il suo disegno d’amore. „ (Fil 2,13). Del resto, ecco l'autore stesso della nostra salvezza che dice: “Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla„; (Gv 15,5). “Se il Signore non costruisce la casa, invano si affaticano i costruttori. Se il Signore non vigila sulla città, invano veglia la sentinella„; (Sal 127,1). “Invano vi alzate di buon mattino, „ (Ibid. 2) perché “non dipende dalla volontà né dagli sforzi dell’uomo, ma da Dio che ha misericordia. „ (Rm 9,16).

CAPITOLO 10. Nessuno può ottenere con le sue sole forze la perfezione delle virtù né la beatitudine promessa.

Nessuno, per quanto lo desideri e per quanto corra, può avere una volontà così ben dotata ed un cammino così certo, tanto che, pur restando nella carne in lotta contro lo spirito, sappia giungere da solo al premio senza uguale della perfezione e alla palma della purezza e dell'integrità. Per meritare di raggiungere ciò che è oggetto dei suoi desideri ardenti ed il fine della sua corsa gli occorre la protezione della Misericordia divina. Poiché “ogni buon regalo e ogni dono perfetto vengono dall’alto e discendono dal Padre, creatore della luce„; (Gc 1,17). “Che cosa possiedi che tu non l’abbia ricevuto? E se l’hai ricevuto, perché te ne vanti come se non l’avessi ricevuto? „ (1 Cor 4,7).

CAPITOLO 11. L'esempio del buon ladrone e di Davide provano ciò.

Se ci ricordiamo del ladrone, introdotto nel paradiso per la sua unica confessione, capiremo che non fu affatto merito della sua vita che gli valse una così grande beatitudine, ma che lo ottenne come dono di Dio misericordioso (Cf. Lc 23, 40-43). Ricordiamo ancora i due crimini, così gravi, così enormi, del re Davide, cancellati da una sola parola di pentimento. Neppure in quel caso noi vediamo che il merito dello sforzo umano uguaglia il perdono di un tale colpa; ma fu la Grazia di Dio che sovrabbondò. Cogliendo l'occasione di un pentimento sincero, distrugge questo peso immenso del peccato basandosi su di una sola parola in cui esprimeva una perfetta confessione (Cf. 2 Sam 12,13).

Infine, esaminando il principio della nostra vocazione e della salvezza degli uomini, ci rendiamo conto che non fu affatto grazie a noi né grazie alla virtù delle nostre opere, per parlare come l'Apostolo, ma fu grazie al dono di Dio che fummo salvati (Ef 2, 8-9). Quale evidenza che la pienezza della perfezione “non dipende dalla volontà né dagli sforzi dell’uomo, ma da Dio che ha misericordia„ (Rm 9, 16)! È lui che ci ha resi vittoriosi dei vizi, senza che il merito dei nostri sforzi o della nostra corsa fosse alla pari con tale risultato; lui che ci consentì di soggiogare la carne, nostra compagna, e di scalare la ripida cima dell'integrità, allorché lo sforzo della nostra volontà non vi poteva proprio arrivare. Nessuna afflizione corporale, nessuna contrizione di cuore è degna di conquistare la castità dell'uomo interiore, né saprebbe, col solo sforzo umano e senza l'aiuto dall'alto, ottenere questa così grande virtù della purezza, connaturale solo agli angeli e che è propria dei cieli. Il compimento di ogni bene deriva dalla Grazia di Dio che, nella sua liberalità infinita, accorda la perennità della beatitudine ed un'immensità di gloria al debole sforzo della nostra volontà ed al nostro breve e di poco conto cammino.

CAPITOLO 12. Non c’è sforzo che si possa comparare con la beatitudine promessa.

Tutta la nostra vita presente svanisce, quando si guarda alla perennità della gloria futura. I dolori scompaiono davanti a quest'immensa beatitudine; ridotti a nulla, svaniscono come il fumo e, come una cenere portata via dal vento, non compaiono più.

 CAPITOLO 13. Insegnamento dei Padri sul modo di giungere alla purezza.

E’ arrivato il momento di esprimere il pensiero dei Padri per mezzo delle stesse parole di cui si servono. I Padri non hanno affatto descritto la via di perfezione, né i suoi caratteri essenziali con le vane parole della presunzione. Ma la possedevano realmente e secondo la virtù della Spirito. Quindi lo hanno insegnato con le loro esperienze e con esempi sicuri.

Essi dicono dunque che è impossibile purificarsi interamente dai vizi carnali se non si comprende che tutto il nostro lavoro ed i nostri sforzi non possono bastare per una perfezione così alta se, in virtù delle proprie disposizioni, della propria integrità, della propria esperienza, molto più che per gli insegnamenti degli altri, si riesce a riconoscere che questa perfezione rimane fuori della nostra portata senza la misericordia e l'aiuto di Dio. I digiuni, le vigilie, la lettura, la solitudine, il ritiro, tutte le fatiche infine e la sollecitudine che ci si darebbe per giungere al premio splendido e sublime della purezza e dell'integrità, non meritano da soli di ottenerlo. Mai la fatica né l'impegno dell'uomo potrà uguagliare il dono di Dio; è la misericordia che lo concede ai nostri desideri.

CAPITOLO 14. Dio dà il suo aiuto a chi si impegna con fatica.

Non dico ciò per disprezzo degli sforzi umani, né per sviare chiunque sia dalla sua laboriosa operosità. Ma affermo costantemente, secondo la percezione dei Padri, non la mia, che, da un lato, non si giunge alla perfezione senza tutti questi esercizi e che, d'altra parte, questi esercizi non permettono di portarla a compimento senza la Grazia di Dio.

Noi diciamo che lo sforzo umano non potrebbe conseguirla senza l'aiuto di Dio; ma nello stesso tempo proclamiamo che la Misericordia e la Grazia divina sono accordate soltanto a coloro che si impegnano e faticano col sudore della fronte. Per parlare con le parole dell'Apostolo, la Misericordia e la Grazia divina sono concesse a coloro che le desiderano e che corrono per ottenerle. Ed è anche ciò che canta, in nome di Dio, il salmo 89: “Ho portato aiuto a un prode, ho esaltato un eletto tra il mio popolo„ (Sal 89,20).

Noi diciamo infatti, secondo la parola del Salvatore, “Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto” (Mt 7,7); ma le nostre richieste, le nostre ricerche, la nostra insistenza rimangono insufficienti, se la misericordia divina non dà ciò che chiediamo, non apre alle nostre istanze, non ci fa trovare ciò che cerchiamo. Essa è pronta, non appena la nostra buona volontà le offre l'occasione, a ricambiarci tutti questi benefici. Poiché Dio desidera, e ci spera più di noi, la nostra perfezione e la nostra salvezza. In breve, il beato Davide sa così bene che non può ottenere con il suo solo impegno il successo del suo lavoro e dei suoi sforzi, che chiede per due volte al Signore di dirigere le sue opere: “rendi salda per noi l’opera delle nostre mani, l’opera delle nostre mani rendi salda.; „ (Sal 90,17) e dice ancora: “conferma, o Dio, quanto hai fatto per noi!.„ (Sal 68,29).

CAPITOLO 15. Da chi dobbiamo apprendere la via della perfezione.

Se noi vogliamo giungere realmente ed in verità alla pienezza delle virtù, dobbiamo scegliere per maestri e per guide, non coloro che possono soltanto trasmetterci in parole vane i sogni della loro immaginazione, ma coloro che, avendone fatto l'esperienza, sono anche capaci di insegnarcela, di dirigerci, di mostrarci la via sicura per arrivarvi. Questi ultimi testimoniavano che la fede ve li aveva condotti, piuttosto che il merito dei loro sforzi. Inoltre, la loro purezza di cuore conferiva loro soprattutto questo vantaggio, di riconoscersi sempre più afflitti dei loro peccati.

Infatti il rimorso degli errori commessi aumentava di giorno in giorno, nella misura che cresceva la purezza della loro anima; di continuo si alzavano dei sospiri dal fondo del loro cuore, avendo la sensazione della loro impotenza ad evitare le colpe ed i difetti, causate da tutto un mondo di pensieri appena percepibili. Quindi essi proclamavano di non sperare affatto nella ricompensa della vita futura col merito delle loro opere, ma grazie alla Misericordia del Signore. La loro circospezione di cuore non costituiva un vantaggio nei confronti degli altri poiché non la attribuivano al loro zelo, ma alla Grazia divina. La negligenza di coloro che erano più deboli e dei tiepidi non costituiva per loro un argomento per lusingarsi; ma piuttosto cercavano di stabilirsi in una costante umiltà, apprezzando coloro che sapevano essere esenti da peccato e che già godevano della beatitudine eterna nel regno dei cieli. Questo pensiero faceva loro allo stesso tempo evitare la rovina della superbia e li motivava ad impegnarsi e ad affliggersi, poiché comprendevano l'impossibilità di giungere, nella loro condizione e con il peso della carne, alla purezza di cuore, oggetto dei loro desideri.

CAPITOLO 16. Non possiamo, senza la misericordia e l'ispirazione di Dio, intraprendere la fatica per raggiungere la perfezione.

Fedeli alle loro tradizioni ed alle loro massime, affrettiamoci verso la purezza, applicandoci ai digiuni, alla preghiera, alla contrizione del cuore e del corpo, ma in modo da non rovinare tutti questi sforzi con il gonfiore della superbia.

Occorre persuaderci che non è soltanto la perfezione che non possiamo ottenere col nostro impegno e la nostra fatica; anche gli stessi esercizi ai quali ci affidiamo in vista di giungervi, voglio dire le nostre opere, i nostri sforzi, le nostre abitudini, non possiamo compierli senza l'aiuto della Protezione di Dio e senza la Grazia della sua Ispirazione, dei suoi Rimproveri, delle sue Esortazioni: Grazia che ha l’abitudine di spargere con indulgenza nei nostri cuori, sia tramite un altro, sia da parte Sua, quando ci viene a visitare.

CAPITOLO 17. Diverse testimonianze ci mostrano con evidenza che non possiamo fare nulla riguardo a ciò che ha relazione con la nostra salvezza, senza l'aiuto di Dio

Occorre insomma che l'Autore della nostra salvezza venga ad istruirci su ciò che dobbiamo non soltanto pensare, ma confessare, in tutto ciò che facciamo: “Da me, io non posso fare nulla” (Gv 5,30) egli dice, “ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere. „ (Gv 14,10).

Parlando in nome della natura umana che ha assunto, nostro Signore dichiara di non potere nulla fare; e noi, che siamo soltanto cenere e fango, crederemmo di non avere bisogno dell'aiuto di Dio per le cose che riguardano la nostra salvezza! Apprendiamo dunque anche noi, nella percezione della nostra infermità e dell'aiuto che Dio ci dà in qualsiasi cosa, a proclamare con i santi: “Mi avevano spinto con forza per farmi cadere, ma il Signore è stato il mio aiuto. Mia forza e mio canto è il Signore, egli è stato la mia salvezza„; (Sal 118,13-14) “Se il Signore non fosse stato il mio aiuto, in breve avrei abitato nel regno del silenzio. Quando dicevo: «Il mio piede vacilla», la tua fedeltà, Signore, mi ha sostenuto. Nel mio intimo, fra molte preoccupazioni, il tuo conforto mi ha allietato„ (Sal 94,17-19).

Nel vedere il nostro cuore fortificarsi nel timore del Signore e nella pazienza, diciamo: “il Signore fu il mio sostegno; mi portò al largo„ (Sal 18,19-20). Quando sentiremo che la sapienza aumenta in noi grazie al nostro progresso nelle opere, confessiamo: “Signore, tu dai luce alla mia lampada; il mio Dio rischiara le mie tenebre. Con te mi getterò nella mischia, con il mio Dio scavalcherò le mura„ (Sal 18,29-30). Allora noi riconosceremo che abbiamo imparato la forza della sopportazione e che la via delle virtù è diventata agevole e senza fatica. Aggiungiamo allora: “Il Dio che mi ha cinto di vigore e ha reso integro il mio cammino, mi ha dato agilità come di cerve e sulle alture mi ha fatto stare saldo, ha addestrato le mie mani alla battaglia„ (Sal 18,33-35).

Avendo ottenuto la discrezione, e, per essa, la forza di mandare in rovina i nostri avversari, gridiamo verso il Signore: “I tuoi insegnamenti mi hanno sorretto fino alla fine e quegli stessi mi istruiranno. Hai spianato la via ai miei passi, i miei piedi non hanno vacillato “(Sal 18,36-37 Vulg.). E poiché la tua scienza, o Signore, e la tua virtù mi hanno così rafforzato, continuerò il salmo con fiducia, e dirò: “Ho inseguito i miei nemici e li ho raggiunti, non sono tornato senza averli annientati. Li ho colpiti e non si sono rialzati, sono caduti sotto i miei piedi„ (Sal 18,38-39). Ma la memoria ci ricorda la nostra infermità e ci rammenta che, in una carne fragile, noi non possiamo trionfare su nemici così perfidi quanto lo sono i vizi, senza l'aiuto divino. Allora diremo: “Per te abbiamo respinto i nostri avversari, nel tuo nome abbiamo annientato i nostri aggressori. Nel mio arco infatti non ho confidato, la mia spada non mi ha salvato, ma tu ci hai salvati dai nostri avversari, hai confuso i nostri nemici„ (Sal 44,6-8). “Tu mi hai cinto di forza per la guerra, hai piegato sotto di me gli avversari. Dei nemici mi hai mostrato le spalle: quelli che mi odiavano, li ho distrutti„ (Sal 18,40-41).

Al pensiero che è impossibile vincere con le nostre armi, diciamo. “Afferra scudo e corazza e sorgi in mio aiuto. Impugna lancia e scure contro chi mi insegue; dimmi: «Sono io la tua salvezza» „ (Sal 35,2-3). “Hai addestrato le mie braccia a tendere l’arco di bronzo. Tu mi hai dato il tuo scudo di salvezza„ (Sal 18,35-36). “Non con la spada, infatti, i nostri padri conquistarono la terra, né fu il loro braccio a salvarli; ma la tua destra e il tuo braccio e la luce del tuo volto, perché tu li amavi„ (Sal 44,4). Infine, riguardando con un cuore attento e riconoscente i benefici ricevuti da Dio, per i vittoriosi combattimenti combattuti, per la luce della scienza e per la regola della discrezione che abbiamo ricevuto da Lui, per il motivo che ci ha rivestiti delle sue armi ed ci ha fornito la cintura della sua forza, per avere posto in fuga i nostri nemici e per averci dato la forza di sconfiggerli, “come polvere che il vento porta via,„ (Sal 18,43) gridiamo verso  di Lui dal fondo del cuore: “Ti amo, Signore, mia forza, Signore, mia roccia, mia fortezza, mio liberatore, mio Dio, mia rupe, in cui mi rifugio; mio scudo, mia potente salvezza e mio baluardo. Invoco il Signore, degno di lode, e sarò salvato dai miei nemici. „ (Sal 18,2-4).

CAPITOLO 18. La Grazia di Dio ci protegge, non soltanto nell'atto della creazione naturale, ma nella conduzione quotidiana del mondo.

Dobbiamo rendere grazie a Dio, innanzitutto certamente per averci creati esseri ragionevoli e dotati del libero arbitro, per averci fatto la liberalità della grazia battesimale, accordato la conoscenza e l'aiuto della legge; ma anche per i vantaggi quotidiani della sua Provvidenza a nostro riguardo: per il fatto che ci mette al sicuro dai nostri avversari, perché coopera con noi affinché possiamo trionfare sui vizi della carne e ci protegge dai pericoli, anche a nostra insaputa. Ci fortifica contro la caduta nel peccato, ci dona il suo aiuto e la sua luce; ci fa capire e scorgere fin dove arriva il suo sostegno, che alcuni vorrebbero limitare alla legge; ci ispira segretamente il pentimento per le nostre negligenze e le nostre mancanze; si degna di visitarci con punizioni salutari; ci trae in salvo, a volte nostro malgrado, ci guida a fare migliori frutti col nostro libero arbitro, che ha una tendenza così facile al vizio, e lo volge al cammino della virtù con le sue manifestazioni.

CAPITOLO 19. Questa fede nella Grazia di Dio viene dagli antichi Padri.

E’ questa la vera umiltà nei confronti di Dio. E’ questa l’autentica fede dei più antichi Padri ed essa continua incontaminata fino ad oggi nei loro successori. Le virtù apostoliche che, grazie a loro, si sono manifestate così spesso, provvedono un’indubbia prova agli infedeli ed agli increduli, così come anche a noi. Essi hanno conservato in un cuore semplice la semplice fede dei pescatori. Non è lo spirito del mondo che l'ha fatta loro elaborare per mezzo di sillogismi dialettici e di un'eloquenza ciceroniana, ma l'esperienza di una vita senza macchia, una condotta molto pura e la correzione dei loro vizi. Per dirla in un modo migliore, essi compresero con indizi ben visibili che in quel tipo di vita è compresa la natura della stessa perfezione. Senza di essa non si può conoscere né la pietà verso Dio, né la correzione dei vizi, né l’emendamento dei costumi, né il perfezionamento delle virtù.

CAPITOLO 20. Di colui che, per una bestemmia, fu consegnato ad uno spirito immondo.

Io so di qualcuno del numero dei fratelli – e piacque al cielo che io non lo avessi conosciuto, poiché, dopo ciò che racconterò, si lasciò imporre il fardello dell’ordinazione presbiteriale di cui io stesso sono onorato! - che fece ad uno dei vegliardi più impeccabili la confessione di tentazioni particolarmente ripugnanti. Infatti egli, andando contro la consuetudine della natura, era infiammato più dal desiderio di subire l’ignominia di intollerabili e libidinose passioni, anziché di farle pesare su altri. Il vegliardo, da medico spirituale ed effettivo, penetrò immediatamente nella causa intima di questa malattia e nella sua origine. Tirando un sospiro profondo dice: “Mai il Signore avrebbe permesso che voi foste consegnato ad uno spirito di questa perversità, se non aveste bestemmiato contro di Lui. „ A queste parole, l'altro cade prosternato ai suoi piedi. Colpito da un estremo stupore, vedendo scoperti i segreti della sua anima, come se Dio li avesse rivelati, confessò che aveva bestemmiato contro il Figlio di Dio con un empio pensiero.

Da questo fatto è evidente che colui che è posseduto dello spirito di superbia o che bestemmia contro Dio, a causa dell'ingiuria che fa a Colui dal quale si deve sperare il dono della purezza, si vede privato dell'integrità della perfezione e non merita più di possedere la santità della castità.

21. Esempio di Ioas, re di Giuda, che ci mostra la punizione meritata per la sua superbia.

Leggiamo nel libro dei Paralipomeni (2 Cr 24,17) un esempio a sostegno di ciò che abbiamo appena detto. Ioas il re di Giuda, all'età di sette anni era stato messo sul trono dal grande sacerdote Ioiada. Finché visse questo pontefice, si comportò bene in qualsiasi cosa, e fu degno di elogi, secondo la testimonianza della Scrittura. Ma, dopo la morte di Ioiada, ecco ciò che la Scrittura racconta della sua superbia e della sua caduta vergognosa:Dopo la morte di Ioiada, i comandanti di Giuda andarono a prostrarsi davanti al re, che allora diede loro ascolto. Costoro trascurarono il tempio del Signore, Dio dei loro padri, per venerare i pali sacri e gli idoli. Per questa loro colpa l’ira di Dio fu su Giuda e su Gerusalemme” (2 Cr 24,17-18). E poi ancora, “All’inizio dell’anno successivo salì contro Ioas l’esercito degli Aramei (dei Siriani. LXX). Essi vennero in Giuda e a Gerusalemme, sterminarono fra il popolo tutti i comandanti e inviarono l’intero bottino al re di Damasco. L’esercito degli Aramei era venuto con pochi uomini, ma il Signore mise nelle loro mani un grande esercito, perché essi avevano abbandonato il Signore, Dio dei loro padri. Essi fecero giustizia di Ioas. Quando furono partiti, lo lasciarono gravemente malato (2 Cr 24,23-25).

Vedi quali ignominie e quali disgrazie sono attirate dalla superbia? Chi si innalza e si affatica affinché gli rendano omaggio come a Dio, “è abbandonato - dice l'Apostolo - a passioni infami … ed alla sua intelligenza depravata ed egli ha commesso azioni indegne (Rm 1, 26-28), e perché, come dice la Scrittura, “il Signore ha in orrore ogni cuore superbo “(Pr 16, 5). Ioas, che si era lasciato andare all'orgoglio, fu consegnato alla più grande confusione, affinché questa umiliazione che provava nella sua carne gli facesse comprendere l’impurità che l'orgoglio aveva causato nel suo cuore e che non voleva riconoscere. La malattia del suo corpo manifestava quella del suo cuore, e questa vergogna esteriore provava l'impurità dell'orgoglio di cui doveva arrossire interiormente. 

CAPITOLO 22. Ogni anima superba è ingannata e sottomessa alle potenze del male.

Ogni anima posseduta dalla piaga della superbia, cade in potere dell’intelligenza dei Siri, cioè viene consegnata alle potenze del male e diventa prigioniera delle passioni della carne. Nel momento stesso in cui è umiliata dai vizi terrestri, si riconoscerà impura; mentre prima si esaltava nella sua tiepidezza, incapace di capire che questo senso di orgoglio la rendeva immonda agli occhi di Dio. L'umiliazione avrà quest'altro effetto ancora, di strapparla dalla sua tiepidezza. Confusa nel vedersi caduta così in basso e dall’ignominia delle passioni carnali, si volgerà ormai con un più vivo slancio al fervore dello spirito.

CAPITOLO 23. La perfezione si può acquisire soltanto con la virtù d'umiltà.

È dunque una cosa dimostrata fino all'evidenza: si raggiunge il fine della perfezione e della purezza soltanto con una vera umiltà. Umiltà, che ciascuno testimonierà in primo luogo ai suoi fratelli, ma anche a Dio, persuaso che, senza la sua protezione ed il suo aiuto in ogni momento, gli è assolutamente impossibile ottenere la perfezione a cui ambisce e verso la quale egli corre con tutto il suo ardore.

CAPITOLO 24. Chi colpisce la superbia spirituale e chi la superbia carnale.

Ho trattato finora, con la Grazia di Dio ed il mio talento mediocre, della superbia spirituale e penso di averlo fatto in modo sufficiente. Questo tipo di superbia colpisce soprattutto i perfetti. Infatti, è soltanto un piccolo numero che conosce e prova questo tipo di superbia. La ragione è che sono in pochi a cercare la purezza perfetta di cuore e quindi a raggiungere questa fase del combattimento contro i vizi; e sono in pochi quelli che si purificano dei vizi precedenti, di cui abbiamo esposto allo stesso tempo la natura ed i rimedi nei singoli capitoli. L'orgoglio spirituale dunque attacca soltanto coloro che, dopo avere trionfato sugli altri vizi, sono quasi vicini al vertice della virtù.

Il nemico sottile, che non ha potuto superarli nei combattimenti carnali, cerca di precipitarli e stenderli a terra con una caduta spirituale, felice di spogliarli così di tutti i loro meriti passati, acquisiti con tanta fatica. Per noi, che siamo ancora vincolati alle passioni terrestri, disdegna di tentarci in questo modo; ma è con un’esaltazione più grossolana e, se oso dire, carnale, che ci fa cadere. Fedele alla mia promessa, credo necessario dire anche qualche parola di quest'ultimo vizio, che mette particolarmente in pericolo i cuori così poco avanzati come me, soprattutto i giovani ed i principianti.

CAPITOLO 25. Descrizione della superbia carnale.

La superbia carnale entra nel cuore del monaco all’inizio della sua rinuncia al mondo segnata dalla tiepidezza e dall’esitazione. Essa non gli permette più di scendere dai sentimenti vanitosi che aveva nel mondo alla vera umiltà di Cristo, ma comincia col renderlo disubbidente e difficile e gli impedisce di essere dolce ed affabile. L'uguaglianza con i fratelli e la vita comune non sono assolutamente fatte per lui. Per nessun motivo si spoglia, secondo l'ordine del nostro Dio e Salvatore, dei suoi beni terrestri. La rinuncia al mondo non è che un segno di morte e di crocifissione; questa rinuncia non potrebbe stabilirsi né crescere su altre basi all’infuori della convinzione di essere morto spiritualmente agli atti di questo mondo e del pensiero che si può, tutti i giorni, morire corporalmente. La superbia carnale, al contrario, fa sperare in una lunga vita; rappresenta all'immaginazione numerose e durature malattie; inoltre, dopo essersi spogliato di tutto, gli suscita confusione e vergogna il fatto di vedersi sostenuto dagli altri e non più dai suoi mezzi. Infine si persuade che è ben meglio procurarsi gli alimenti e gli abito per mezzo dei propri beni, piuttosto che con quelli degli altri, proprio come dice la Scrittura: “Si è più beati nel dare che nel ricevere! „ (At 20,35): ma il loro cuore ottuso e tiepido non permetterà mai a tali persone di comprenderne il vero significato.

CAPITOLO 26. Partito in malo modo, il monaco va ogni giorno di male in peggio.

La diffidenza li circonda e nella loro diabolica infedeltà, dimenticano la scintilla di fede di cui sembravano animati all'inizio della loro conversione. Di conseguenza, li si vede più desiderosi che mai di conservare le sostanze che avevano iniziato a distribuire. Come uomini che non avranno più la possibilità di ricostituirle, se venissero a perderle, per conservarle utilizzano un’irrefrenabile avarizia. Oppure, ciò che è peggio ancora, riprendono ciò che hanno lasciato; a meno che, terza iniquità e la più triste di tutte, accumulano dei beni che non possedevano prima della loro rinuncia. Usciti dal secolo, dimostrano di non avere acquisito nulla di più del titolo e della denominazione di monaco. Ma, cominciando così male e in contrasto con tutte le regole, si alzerà una costruzione ancora più difettosa, composta di tutti i vizi e costruita su delle pessime basi. L'unico risultato sarà che trascinerà la miserabile anima in una tristissima rovina.

CAPITOLO 27. Descrizione dei vizi che sono generati dalla malattia della superbia.

Il monaco indurito da tali passioni e che inizia con una tiepidezza così abominevole, andrà necessariamente di male in peggio ogni giorno e terminerà la sua triste esistenza con una più triste fine. Affascinato dalla sua antica cupidigia, schiavo di un'avarizia sacrilega, per riprendere il pensiero dell'Apostolo, che dichiara che “l'avarizia è un'idolatria„ (Col 3,5) e “la radice di tutti i mali„, (1 Tm 6,10), non sarà mai capace di dare posto nel suo cuore alla semplice e vera umiltà di Cristo. Quel monaco si glorifica invece della nobiltà della sua nascita o si gonfia della dignità di cui era rivestito nel secolo, che ha lasciato col corpo, ma non con lo spirito; oppure ancora si inorgoglisce delle ricchezze che conserva per sé e per la sua rovina.

Non sarà più soddisfatto di portare il giogo del monastero e di lasciarsi istruire sotto la disciplina di un anziano. Non soltanto non si degna di osservare nessuna regola di sottomissione o di obbedienza, ma le sue stesse orecchie sono ribelli alla dottrina della perfezione. Il suo disgusto per ogni parola spirituale arriva a tal punto che, se si fa per caso qualche conferenza di questo genere, i suoi occhi rimangono durante questo tempo incapaci di concentrarsi e si girano di qua e di là, come quelli di uno lento a capire, oppure guardano di lato in modo insolito. Invece di sospiri salutari, egli raschia senza ragione la sua gola secca e sputa senza necessità. Le sue dita giocano, si muovono in fretta e tracciano segni come un uno uomo che scrive; le sue membra si agitano in tutti i sensi. Finché dura la conferenza, sembra che sia seduto su vermi brulicanti o su acutissime spine.

D'altra parte, qualunque cosa dica il conferenziere per l’edificazione degli ascoltatori, la ritiene destinata ad evidenziare le sue mancanze. Per tutto il tempo in cui si esaminano i problemi della vita spirituale, preoccupato delle sue supposizioni, non si preoccupa per niente del profitto che ne potrebbe trarre, ma cerca con cuore ansioso il perché di ogni parola, oppure calcola silenziosamente dentro di sé cosa vi potrebbe opporre. Di un insegnamento così benefico, egli non coglie assolutamente nulla e non trae alcun profitto per correggersi. In questo modo, anziché essergli utile, la conferenza piuttosto gli nuoce e diventa motivo di un più grande peccato. Poiché i rimproveri della sua coscienza lo persuadono che tutto è diretto contro lui e di conseguenza si indurisce maggiormente nella sua ostinazione e viene ancor più duramente istigato dagli stimoli della rabbia. A causa di ciò, lo si vede alzare il tono della voce. La sua parola diventa caparbia, le sue risposte sono amare e sediziose, il suo passo risente dell'orgoglio e dell'agitazione. La sua lingua diventa facile, i suoi modi di parlare sono provocatori e non prova gusto nel tacere, a meno che abbia qualche rancore contro un fratello. Allora il suo silenzio non è affatto indice di compunzione né di umiltà, ma di superbia e di risentimento. E non si distinguerebbe facilmente ciò che c'è più di odioso in lui, se la sua allegria ricolma ed impertinente, o la sua serietà sinistra e virulenta. Nell’allegria un parlare inopportuno, un riso frivolo e stupido e un’arroganza senza freno né regola. Nella serietà un silenzio pieno di rabbia e di veleno con la sola intenzione di conservare e fare durare più a lungo il suo rancore contro suo fratello, non di mostrare la sua umiltà né la sua pazienza. Gonfiato come è d'arroganza, rattrista tutti con una facilità stupefacente, ma disdegna di abbassarsi fino a dare riparazione ad un suo fratello offeso. Ancor più, se gli si offre la riparazione, lo si trova pieno di rifiuto e di disprezzo. Oltre al fatto che la soddisfazione di suo fratello non lo tocca e non lo appaga, la sua indignazione cresce per il fatto di essere stato da lui prevenuto in umiltà: l’abbassamento volontario e l’appagamento, che di solito mettono fine ai pensieri diabolici, non fanno che accendere nel suo cuore un incendio più violento.

CAPITOLO 28. Dell'orgoglio di un fratello.

Ho sentito dire, in questa regione, di un fatto che non posso raccontare senza fremere ed arrossire allo stesso tempo.

Un giovane novizio era stato ripreso dal suo abate con queste parole: “Perché hai conservato per ben poco tempo l'umiltà della tua rinuncia e cominci ad allontanartene ed a gonfiarti di una superbia diabolica?”. Il giovane rispose con grande insolenza: “Mi sono forse umiliato per un certo tempo, per rimanere sempre sottomesso? „ A questa risposta, di un'audacia sfrenata e criminale, l’anziano rimane stupefatto. La voce gli mancò, come se avesse inteso queste parole della bocca dell'antico Lucifero e non di un uomo. Non poté articolare nemmeno un suono contro un'audacia così sfrontata, ma si accontentò di gemere e di sospirare dal fondo del suo cuore, pur meditando silenziosamente in sé stesso ciò che è detto del nostro Signore e Salvatore: “Pur essendo nella condizione di Dio, umiliò sé stesso, facendosi obbediente„, non come questo monaco, posseduto dallo spirito e dall'orgoglio del diavolo, “per un certo tempo„, ma “fino alla morte„. (Fil 2,6;8).

CAPITOLO 29. Indizi dai quali si riconosce la presenza della superbia carnale nell’anima.

Riassumendo brevemente ciò che abbiamo detto di questa forma di superbia io vorrei raccogliere, per quanto possibile, alcuni dei segni chi la distinguono. Sarà vantaggioso per quelli che hanno sete di essere istruiti sulla perfezione, di vederne i caratteri descritti in un certo qual modo partendo dagli atteggiamenti dell'uomo esteriore. Riconsidero dunque in poche parole la stessa dottrina, per permetterci di abbracciare in un colpo d'occhio gli indizi dai quali possiamo distinguerla e riconoscerla. Una volta messe a nudo e portate in superficie le sue radici, ciascuno sarà in grado di vederle coi propri occhi e di farne una conoscenza approfondita; in seguito avrà tanta più facilità nello sradicarle o nell’evitarle. Così pure, se si vuole sfuggire a questa malattia disastrosa, non bisogna attardarsi ad osservare le sue violenze perniciose ed i suoi attacchi pericolosi, quando si sono già rafforzati, ma occorre prevenirle (come abbiamo detto) con uno discernimento prudente e sagace, non appena si sono riconosciuti i suoi sintomi premonitori. Infatti, come abbiamo premesso, dall’atteggiamento esteriore dell’uomo si può conoscere il suo stato interiore.

 Ecco dunque gli indizi con i quali si manifesta la superbia carnale di cui abbiamo accennato. C’è del clamore nel parlare del superbo, dell'amarezza nel suo silenzio, nella sua gaiezza un riso assordante e insensato, nella sua serietà una tristezza irragionevole, del rancore nelle sue risposte; parla con faciloneria e gli sfuggono parole a vanvera, senza senso. Lo si trova sprovvisto di pazienza, estraneo alla carità, audace nell'infliggere ingiurie agli altri, pusillanime nel sopportarle lui stesso, difficile nell'obbedienza, a meno che non quadri con i suoi desideri ed i suoi capricci, implacabile davanti alle esortazioni, restio a rinunciare alla volontà propria, tenace nel non sottomettersi a quella altrui. Cerca sempre di fare prevalere la sua decisione; non acconsente mai a cedere a quella degli altri. Incapace nell’accettare consigli adeguati, confida nel suo parere in qualsiasi cosa, piuttosto che nel giudizio degli anziani.

CAPITOLO 30. Chi rimane asservito alla superbia, desidera comandare gli altri.

Di caduta in caduta, resta soggiogato alla superbia ed arriva a prendere in avversione la disciplina del monastero. Sostiene che la collettività dei fratelli è un ostacolo alla sua perfezione e che è loro colpa se non possiede il bene della pazienza e dell'umiltà. Quindi accarezza il desiderio di abitare una cella solitaria. Oppure si lusinga di dover guadagnare molte anime e si crede così in dovere di costruire in fretta un monastero e di radunare coloro che avrà la missione di istruire e di formare: da cattivo discepolo si trasforma in maestro ancora più odioso. Nella tiepidezza inevitabile e perniciosa dove la sua esaltazione di pensiero lo ha precipitato, non è realmente né monaco né secolare. Tuttavia, ciò che è peggiore, si ripromette di raggiungere la perfezione in uno stato ed un genere di vita così meschini.

CAPITOLO 31. In che modo possiamo sconfiggere la superbia e giungere alla perfezione.

Se vogliamo elevare il nostro edificio spirituale in modo che sia perfetto e gradito a Dio, affrettiamoci a dargli per fondamenta, non i capricci della nostra volontà, ma gli austeri precetti della dottrina evangelica. Queste basi possono essere soltanto il timore di Dio e l'umiltà, che proviene dalla dolcezza e dalla semplicità di cuore. Ma l'umiltà non si può ottenere senza spogliarsi di tutto. Senza questa premessa, non è possibile né il bene dell'obbedienza, né la forza della pazienza, né la pace della dolcezza, né la perfezione della carità; e senza di esse il nostro cuore non potrà mai essere la dimora dello Spirito Santo, secondo ciò che il Signore dichiara da parte del suo profeta: “Su chi riposerà il mio Spirito, se non sull'uomo calmo e umile e che trema alla mia parola? „ oppure, secondo gli originali fedeli al testo ebraico: “Su chi volgerò lo sguardo? Sull’umile e su chi ha lo spirito contrito e su chi trema alla mia parola„ (Is 66,2).

CAPITOLO 32. Come è possibile, con una vera umiltà, eliminare la superbia, devastatrice di tutte le virtù

E’ dunque così che l'atleta di Cristo, che combatte secondo le regole il combattimento spirituale con il desiderio di vedersi coronare da parte del Signore, si affretta a distruggere con tutti i mezzi questa bestia selvaggia della superbia, devastatrice di ogni virtù. Egli deve essere persuaso che, finché rimane nel suo cuore, non c’è vizio dal quale possa essere libero e che, per quanto possa avere qualche ombra di virtù, questa perirebbe per effetto del suo veleno. Non c’è nessuna possibilità che l’edificio delle virtù sorga nella nostra anima, se inizialmente non poniamo nel nostro cuore le basi della vera umiltà. Solo questo fondamento, fermamente stabilito, sosterrà il vertice della perfezione e della carità.

In questo modo, come abbiamo già detto, testimonieremo dal fondo del nostro cuore ai nostri fratelli un'umiltà sincera e non cercheremo mai di affliggerli o di ferirli. Ma noi non vi potremo mai arrivare, a meno di stabilirci, per amore di Cristo, nella sincera rinuncia, che consiste in uno spogliamento totale dei nostri beni ed in un’assoluta indigenza; in seguito noi abbracceremo il bene dell'obbedienza e della sottomissione con cuore semplice e senza alcuna finzione, in modo tale che non resti più in noi altra volontà all’infuori dell'ordine dell'abate. E queste cose, a loro volta, diventano possibili soltanto se ci si considera come morti a questo mondo, meglio ancora come uno sciocco e come un pazzo che deve eseguire senza riflessione tutti gli ordini degli anziani, considerandoli come sacrosanti e promulgati da Dio stesso.

CAPITOLO 33. Rimedi contro la malattia della superbia

Questa disposizione d’animo sarà presto e senza dubbio seguita da uno condizione d'umiltà realmente tranquilla e costante. Noi ci giudicheremo inferiori a tutti e sopporteremo con grande pazienza tutto ciò che ci potranno fare di ingiurioso, di triste e di dannoso, come se provenisse dai nostri superiori. Ed in verità ci sarà facile, non dico soltanto sopportare queste offese, ma considerarle come cosa di poco e di nessun conto, se meditiamo nel nostro spirito le sofferenze del nostro Signore e dei santi. Penseremo poi che tanto più leggere rispetto alle loro sono le ingiurie che ci raggiungono, quanto più siamo distanti dal loro merito e dalla loro vita. Rifletteremo sul fatto che presto emigreremo da questo mondo e, dopo questa corta esistenza, condivideremo la loro sorte.

Questo pensiero trionferà non solo sulla superbia, ma su tutti i vizi in generale. Dopo di ciò, prendiamo in considerazione fermamente l'umiltà verso Dio. Consisterà nel riconoscere che, senza il suo aiuto e la sua grazia, noi non possiamo nulla di ciò che riguarda la perfezione delle virtù: ma dobbiamo anche credere realmente che il fatto di averlo capito, è ancora un dono di Dio.

 


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5 agosto 2015                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net