Giovanni Cassiano

Le Fonti delle " Istituzioni " e delle "Conferenze "

 

Estratto da " Jean Cassien - Conférences " Vol. I - a cura di Dom E. Pichery

 Sources Chrétiennes n. 42 - Les Éditions du Cerf 1955

(Libera traduzione dal francese)


Cassiano era perfettamente consapevole della novità del suo lavoro e di doversi occupare di individui "di cui nessuno, come dice lui stesso, aveva ancora scritto [1] e che i suoi predecessori "avevano tralasciato senza trattare[2].

Ma, allo stesso tempo, era consapevole di non innovare nulla. Genialmente originale nel disegno della sua opera, nell'arte di scegliere e di adattare ed anche nell'arte di presentare, si considerava solo come il rappresentante di una tradizione e mirava solo a trasmetterla con fedeltà.

Egli era penetrato, infatti, da quel pensiero molto cattolico al quale il suo discepolo, Vincenzo di Lérins, doveva dare un'espressione destinata ad un così grande successo, che nulla ha diritto di cittadinanza nella Chiesa all'infuori di ciò che fu insegnato dagli apostoli e che è poi passato di età in età attraverso una continua catena. Quanto alla dottrina monastica in particolare, egli si avvale costantemente dell'autorità dei Padri e testimonia di voler solo ripetere ciò che ha appreso. "Tu chiedi e mi comandi", dice a Castore, dedicandogli le sue Istituzioni, " di esporre le norme che abbiamo visto osservate nei monasteri d’Egitto e di Palestina, così come in quei luoghi ci sono state trasmesse dai Padri" [3]. Cassiano parlerà quindi di ciò che ha cercato di fare, di ciò che ha sentito, di ciò che ha visto con i suoi occhi, fin dal tempo in cui, ancora giovane, visse tra i Padri e quando le loro esortazioni ed i loro esempi erano uno stimolo quotidiano [4]. Così come si sforzerà di spiegare fedelmente le usanze degli anziani, le regole dei monasteri, in particolare l'origine, le cause ed i rimedi dei vizi principali, secondo i loro insegnamenti [5].

Inoltre, egli è giustamente convinto che una dottrina di vita come questa non può essere compresa o esposta fedelmente se non la si vive. I buoni solitari che egli mette sulla scena, alcune volte si fanno scrupolo di consegnare la loro dottrina a coloro che la desiderano solo con tiepidezza [6], mentre altre volte protestano contro la loro impotenza nel parlare di ciò che non possono più praticare, perché la "la parola del maestro ha forza ed autorità soltanto quando la virtù delle sue azioni la imprimono nel cuore dello scolaro" [7], oppure ancora concludono i loro insegnamenti con la solenne testimonianza di aver preso la loro dottrina "dall'esperienza e non dai precetti verbali" [8]. Cassiano professa a suo nome che una meditazione pigra ed una dottrina interamente verbale non servono a nulla quando si tratta di insegnare, comprendere o tenere a mente queste cose. "Qui, infatti, tutto dipende soltanto dall’esperienza e dalla pratica, e come questi insegnamenti non possono essere trasmessi se non da chi ne ha fatto esperienza, così pure non possono essere né accolti né compresi se non da chi si sarà impegnato per apprenderli con uguale impegno e fatica" [9].

Tuttavia, la tradizione non è puramente orale; essa si è espressa in innumerevoli scritti. Oltre alle note personali che Cassiano aveva potuto conservare delle sue conversazioni con i Padri e della sua esperienza, egli ha attinto pesantemente da più fonti. La questione è stata molto studiata nell'ultimo quarto di secolo; Studiosi come S. Marsili, I. Hausherr, A. Kemmer le hanno dedicato lavori considerevoli e, in larga misura, definitivi; la questione rimane aperta ed il futuro apporterà senza dubbio nuova luce. Nei brano precedenti abbiamo riassunto quanto si possa affermare oggi.

Altrettanto desideroso di ascoltare e di vedere, Cassiano non trascurò di consultare un'intera letteratura che poco apprezzava: l'Historia monachorum, che Rufino aveva tradotto in latino [10] , una recensione molto antica degli Apoftegmi o Sentenze dei Padri [11] , la Storia lausiaca del suo amico Palladio, che incontrò a Costantinopoli e con il quale fece poi il viaggio a Roma. Qui Cassiano difese, davanti al papa Innocenzo I, san Giovanni Crisostomo, che era stato mandato in esilio con l'accusa di origenismo. Egli si astiene dall'imitare queste opere: "Non cercherò minimamente di intessere il mio racconto con la narrazione di miracoli e prodigi divini; e sebbene tra i nostri anziani non solo ne abbiamo uditi raccontare molti e di incredibili, ma ne abbiamo anche visti compiere con i nostri stessi occhi. Tuttavia, tralascio tutto questo genere di racconti che, oltre alla meraviglia che suscitano, non contribuiscono minimamente ad istruire chi legge sulla vita perfetta" [12]Inoltre, noi gli siamo grati per non aver rinnovato l'ampia raccolta di aneddoti, di  pratiche a volta molto strane o di fatti meravigliosi, ma di aver prestato tutta la sua attenzione alla scienza monastica, e per aver ricordato che la carità è più degna di ammirazione dei carismi miracolosi [13] .

Ma qui arriviamo ad una questione di tutt'altra importanza. Egli conobbe Macario l'Egiziano e visse a lungo nella "congregazione" dell'Abate Pafnuzio, che era la prima fondazione monastica di Macario ed in cui si respirava la sua influenza. Cassiano cita da lui "un comandamento molto salutare[14] ed i suoi discepoli avevano probabilmente già raccolto e sviluppato la sua dottrina sulla preghiera, di cui avremo un'eco nelle Conferenze 9 e 10.

È più che probabile che Cassiano abbia visitato Evagrio a Nitriae ciò che è evidente è che si è copiosamente ispirato alle sue opere, specialmente per quanto riguarda la preghiera e la teoria degli otto vizi principali.

Per Evagrio, come per il suo ambiente di Scete, Cassiano si collega al grande seminatore di idee che fu Origene. Certamente ne ha letto il Periarchôn, pur guardandosi attentamente dai suoi errori. I punti di contatto sono numerosi. Innanzitutto, la sua religione nei confronti della Scrittura non poteva che crescere stando in contatto con un uomo per il quale non esisteva un altro libro oltre alla Bibbia [15]. Fu presso di lui che trovò questo pensiero, sottolineato nella sua conferenza 14, che la vita eterna può essere definita come una perfetta contemplazione della Scrittura [16]; ma anche quest'altro, che "noi non possiamo mangiare il pane che viene dal cielo (Gv 6,33) e che fortifica il cuore dell’uomo (Sal 103,15), senza aver prima versato il sudore della nostra fronte" [17]. Perché, se questa è un'affermazione familiare all'infaticabile lavoratore ed al profondo cristiano che fu Origene, è dovuto al fatto che solo la fame spirituale, la ricerca umile, laboriosa ed orante possono trionfare sulle oscurità che si trovano nella parola divina. Ancora Origene è all'origine dei vari sensi scritturali, perché egli ha saputo raccogliere le varie forme di tipologia e le ha ordinate in una sequenza metodica; i significati spirituali erano allora dispersi presso gli scrittori precedenti [18]. Inoltre, la distinzione che opera Cassiano tra interpretazione storica ed intelligenza spirituale ed i tre generi che egli annovera nella scienza spirituale, cioè la tropologia, l'allegoria e l'anagogia [19], sono proprio secondo il suo pensiero [20]. D'altra parte, Cassiano non dice una parola sull'efficacia della vita sacramentale per la contemplazione: dobbiamo forse in ciò riconoscere nuovamente lo spirito di Origene che, senza negare certamente il valore dei riti, da loro meno importanza rispetto alla dottrina ed alla conoscenza? Ecco ciò che rafforza la sfumatura intellettualistica che abbiamo già sottolineato nel loro misticismo. La demonologia del primo libro del Periarchôn la si ritrova con la maggior parte delle sue caratteristiche nelle conferenze 7 e 8. Un aspetto della vita spirituale, di cui Origene ha trovato alcune indicazioni negli Stoici, ma che egli ha poi analizzato con grande cura nella stessa opera [21], si riferisce al discernimento degli spiriti; Evagrio prende in prestito da Origene questa elaborata dottrina; Cassiano la riprende a sua volta. Ci si potrebbe anche chiedere se non abbia preso ugualmente da Origene l'idea del paragone degli abili cambiavalute che sanno discernere l'errore dalla verità. [22]. La stessa prestigiosa influenza la si può ancora notare su più di un punto della dottrina o del vocabolario, forse persino nella teoria delle bugie perché Origene sosteneva apertamente la legittimità della menzogna educativa [23].

Di questi due uomini a cui deve tanto, Evagrio e Origene, Cassiano non ha nominato il nome nemmeno una volta. Questo assoluto silenzio sarebbe sorprendente in qualcuno così straordinario per la fedeltà del cuore, se non potesse essere spiegato da gravi ragioni di prudenza. Cassiano aveva abbastanza visto il danno causato dalla tempesta origenista e ne aveva sofferto abbastanza da non voler suscitare nuovi disordini. A qual fine compromettere, citando un nome che in quel momento non poteva essere suggerito, una dottrina che riteneva eccellente e veramente proveniente da Dio, di cui desiderava ardentemente il successo?

Queste sono le fonti principali dalle quali egli ha preso in prestito al di fuori dalla Sacra Scrittura. Vale la pena ricordare, tuttavia, San Giovanni Crisostomo, che non solo ebbe, come è stato affermato di recente [24]una felice influenza sulla formazione del suo spirito, ma di cui lesse gli scritti; Sant'Agostino, del quale conobbe almeno il De mendacio; San Basilio e San Girolamo, che egli menzionò con grande onore nella prefazione alle Istituzioni. Sono state anche rilevate due allusioni al Pastore di Erma [25], dei riferimenti a sant'Ireneo [26], quasi nulla della letteratura secolare, tranne dei riferimenti manifesti al De amicitia di Cicerone nella Conferenza 16.

Ma come vero discepolo dei suoi più grandi maestri, ha voluto formarsi alla scuola di Dio: la sua fonte per eccellenza è stata la Sacra Scrittura. Utilizzava la versione di san Girolamo, di cui teneva il massimo conto, ed altre versioni ancora più vecchie; si ispirò anche al testo greco in diversi luoghi. Per citare così abbondantemente e così opportunamente, il testo sacro, e spesso a memoria, era necessario che lo possedesse fino ad un punto che ci stupisce e che provoca una giusta ammirazione. La sua ricompensa è grande: ha dovuto a questa religiosa meditazione la potenza e la ricchezza della sua esposizione ma, più profondamente, il suo senso così alto e puro delle realtà soprannaturali.


[1] Conferenza 11, Prefazione.

[2] Istituzioni, Prefazione.

[3] Ibid.

[4] Ibid.

[5] Ibid.

[6] Conf. 1. c. 1.

[7] Conf., 11. c. 4.

[8] Conf., 12. c. 16.

[9] Istit., Prefazione c.5.

[10] Cfr. Reitzenstein, Historia monachorum.

[11] Cfr. Bousset, Apophtegmata.

[12] Istit.,  Prefazione.

[13] Conf., 15. c. 2.

[14] Istit.,  libro 5, c. 41. (Questo è il testo del comandamento che cita: "Il monaco, diceva, deve praticare il digiuno come se dovesse vivere cento anni e frenare le passioni della sua anima, dimenticare gli insulti, respingere la tristezza, il disprezzo del dolore e dei danni subiti, come se dovesse morire quello stesso giorno". Ndt.)

[15] Cfr. Daniélou, Origène, 288.

[16] Periarchon, 2, 11, 5.

[17] Conf., 23. c. 11.

[18] Cfr. Daniélou, Origène, 167.

[19] Conf., 14. c. 8.

[20] Cfr. De Lubac, Histoire et Esprit, 178-179.

[21] Periarchôn, 3, 2, 4.

[22] Conf., 1. c. 20; Origene, Hom. Ezech., 7.2.

[23] Hom. Jer., 18, 16; Periarch. 3, 1, 32.

[24] Oven Chadwick, John Cassian.

[25] Conf., 8. c. 17; 13, c. 12.

[26] M. Olphe-Gaillard, Dict. de spirit., 2, 225.

 


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21 marzo 2018                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net