LE CONFERENZE SPIRITUALI

di GIOVANNI CASSIANO


 Cassianus Ioannes - Collationes

 

COLLATIO DECIMA QUARTA,

Quae est prima abbatis Nesterotis.

DE SPIRITALI SCIENTIA.

 

Estratto da "Patrologia Latina Database" vol. 49 - J. P. Migne

Ed. Chadwyck-Healey 1996

CONFERENZA XIV

PRIMA CONFERENZA DELL'ABATE NESTORE

LA SCIENZA SPIRITUALE

Estratto da "CONFERENZE AI MONACI"

Traduzione e note a cura di Lorenzo Dattrino, 2000, Città Nuova Editrice

CAPUT PRIMUM.
CAPUT II. Quae via sit ad theoreticen.
CAPUT III. Quod actualis perfectio duplici ratione subsistat.
CAPUT IV. Quod actualis vita erga multas professiones ac studia derivetur.
CAPUT V. De professionis arreptae perseverantia.
CAPUT VI. De infirmorum mobilitate.
CAPUT VII. Exemplum castitatis quo docetur non omnia ab omnibus aemulanda.
CAPUT VIII. De spiritali scientia.
CAPUT IX. Quod de actuali scientia proficiatur ad spiritalem.
CAPUT X. De apprehendenda verae scientiae disciplina.
CAPUT XI. De multiplici intellectu divinarum Scripturarum.
CAPUT XII. Interrogatio, quomodo possit ad oblivionem saecularium carminum perveniri.
CAPUT XIII. Responsio, quo pacto memoriam eorum possimus abolere.
CAPUT XIV. Quod immunda anima neque tradere neque percipere possit scientiam spiritalem.
CAPUT XV. Objectio de eo quod multi immundi scientiam habeant, et sancti non habeant.
CAPUT XVI. Responsio quod mali scientiam veram habere non possunt.
CAPUT XVII. Quibus ratio perfectionis debeat aperiri.
CAPUT XVIII. Quibus de causis spiritualis doctrina infructuosa sit.
CAPUT XIX. Quod plerumque etiam indigni gratiam salutiferi sermonis accipiunt.

1. Discorso dell’abate Nestore sulla scienza propria degli uomini religiosi
2. L’apprendimento della scienza spirituale
3. La perfezione attiva si fonda su due principi
4. La vita attiva s’indirizza verso professioni e impegni
5. La perseveranza nella professione abbracciata
6. La mobilità dei deboli
7. Un esempio della castità destinalo a dimostrare che non tutti gli impegni convengono a tutti
8. La scienza spirituale
9. Occorre partire dalla scienza attiva per arrivare a quella spirituale
10. Il metodo per apprendere la vera scienza
11. I molteplici sensi delle divine Scritture
12. Questione: com'è possibile dimenticare i poemi secolari
13. Risposta: com’è possibile liberare la memoria dai vari intralci
14. L’anima che non è pura non può offrire e nemmeno accogliere la scienza spirituale
15. Obiezione: molti, che non hanno il cuore puro, posseggono la scienza; al contrario, molti santi non la posseggono
16. I cattivi non possono possedere la vera scienza
17. A chi deve essere rivelata la via della perfezione
18. Le cause che rendono infruttuosa la dottrina spirituale
19. Per lo più anche gli indegni ricevono la grazia di parole salutari


CAPUT PRIMUM.
Sponsionis nostrae et itineris ordo compellit, ut abbatis Nesterotis praeclari in omnibus summaeque scientiae viri institutio subsequatur. Qui cum sacrarum Scripturarum nos aliqua memoriae commendasse et eorum intelligentiam desiderare sensisset, talibus nos adorsus est verbis: Multa quidem scientiarum in hoc mundo sunt genera, tanta siquidem earum quanta et artium disciplinarumque varietas est. Sed cum omnes aut omnino inutiles sint, aut praesentis tantum vitae commodis prosint, nulla est tamen quae non habeat proprium doctrinae suae ordinem atque rationem, per quam ab expetentibus possit attingi. Si ergo illae artes ad insinuationem sui certis ac propriis lineis diriguntur, quanto magis religionis nostrae disciplina atque professio, quae ad contemplanda invisibilium sacramentorum tendit arcana, nec praesentis quaestus, sed aeternorum retributionem expetit praemiorum, certo ordine ac ratione subsistit! Cujus quidem duplex est scientia. Prima practice, id est, actualis, quae emendatione morum et vitiorum purgatione perficitur; altera theorice, id est, quae in contemplatione divinarum rerum et sacratissimorum sensuum cognitione consistit.

 


CAPUT II. Quae via sit ad theoreticen.
Quisquis igitur ad theoreticen voluerit pervenire, necesse est ut omni studio atque virtute actualem primum scientiam consequatur. Nam haec practice absque theoretica possideri potest, theoretice vero sine actuali omnimodis apprehendi non potest. Gradus enim quidam ita ordinati atque distincti sunt, ut humana humilitas possit ad sublime conscendere: qui si invicem sibi ea qua diximus ratione succedant, potest ad altitudinem perveniri, ad quam sublato primo gradu non potest transvolari. Frustra igitur ad conspectum Dei tendit, qui vitiorum contagia non declinat: Spiritus namque Dei effugiet fictum, nec habitabit in corpore subdito peccatis (Sap. I).

 

 


CAPUT III. Quod actualis perfectio duplici ratione subsistat.
Haec autem actualis perfectio duplici ratione subsistit. Nam primus ejus modus est, ut omnium natura vitiorum et curationis ratio cognoscatur. Secundus ut ita discernatur ordo virtutum, earumque perfectione mens nostra formetur, ut illis non jam velut coacta et quasi violento imperio subjecta famuletur, sed tamquam naturali bono delectetur atque pascatur, et arduam illam atque angustam viam cum oblectatione conscendat. Quo enim modo, vel virtutum rationem, qui secundus in actuali disciplina gradus est; vel rerum spiritalium et coelestium sacramenta, quae in theoriae gradu sublimiore consistunt, valebit attingere, qui naturam vitiorum suorum nec potuit intelligere, nec nisus est exstirpare? Consequenter enim pronuntiabitur progredi ad excelsiora non posse, qui non evicerit planiora: multoque minus ea quae sunt extrinsecus apprehendet, quisquis intelligere ea quae sibi sunt inserta non quiverit.

 

 

Sciendum tamen est, duplici nobis laboris intentione sudandum, tam in expellendis vitiis quam in virtutibus acquirendis. Et hoc non nostra capimus conjectura, sed illius sententia perdocemur, qui solus officii [ Lips. in marg. opificii] sui vires rationemque cognoscit: Ecce, inquit, constitui te hodie super gentes et super regna, ut evellas et destruas et disperdas et dissipes et aedifices et plantes (Jerem. I). In expulsione enim noxiarum rerum quatuor esse necessaria designavit, id est, evellere, destruere, disperdere, dissipare. In perficiendis vero virtutibus et his quae ad justitiam pertinent acquirendis, aedificare tantummodo atque plantare. Unde liquido patet difficilius convelli atque eradicari inolitas corporis atque animae passiones, quam spiritales exstrui plantarique virtutes.


1. Discorso dell’abate Nestore sulla scienza propria degli uomini religiosi

L’ordine della mia promessa e l’itinerario seguito nel nostro viaggio mi obbliga a dare notizia dell’insegnamento impartitoci dall’abate Nestore, uomo eccellente in tutto e di grandissima scienza. Egli, essendosi accorto che noi ricordavamo alcuni passi della Sacra Scrittura e desideravamo di averne una spiegazione, prese a parlarcene nel modo seguente: «Sono molti in questo mondo i generi delle scienze, e così numerosi quanta è la varietà delle arti e delle professioni. Essendo esse, però, tutte quante, inutili o adatte solo ai vantaggi della vita presente, non v’è però alcuna che non abbia un proprio ordine e un procedimento relativo al proprio contenuto dottrinale in modo da poter essere appresa da quanti ne hanno desiderio. E allora, se quelle arti tendono al loro apprendimento attraverso metodi propri e sicuri, quanto più la disciplina professata dalla nostra religione, la quale tende alla contemplazione arcana dei misteri invisibili e si ripromette non guadagni presenti, ma la ricompensa dei beni eterni, esige un ordine sicuro e razionale. Doppia ne risulta così la scienza: la prima è praktiké, vale a dire attiva, e si acquista con l’emendazione dei costumi e con la purificazione dai vizi; la seconda è theoretiké, e consiste nella contemplazione delle cose divine e nella conoscenza delle verità più sacre.

 

2. L’apprendimento della scienza spirituale

Ne segue pertanto che se uno intende giungere alla scienza teoretica, dovrà necessariamente e anzitutto dedicarsi con ogni impegno e dedizione alla scienza attiva. Infatti la scienza pratica si può possederla anche senza quella teoretica, mentre la scienza teoretica non si può raggiungerla in nessuna maniera senza quella pratica. Si tratta, dopo tutto, di certi gradi così ordinati e distinti fra loro da essere possibile all’uomo ascendere dal grado inferiore a quello superiore. Pertanto, se essi si succedono col criterio da me ora suggerito, sarà possibile giungere al grado successivo, al quale invece non sarà possibile risalire qualora venga a mancare quello inferiore. Invano dunque pretende di arrivare fino alla visione di Dio colui che prima non si distacca dal contagio dei vizi: “Lo Spirito di Dio odia la finzione e non abita in un corpo soggetto ai peccati” (Sap 1,5 e 4).

3. La perfezione attiva si fonda su due principi

Questa scienza attiva dunque si fonda su due princìpi. Il primo è quello di ben conoscere la natura di tutti i vizi e il metodo adatto a sanarli. Il secondo è quello di ben conoscere l’ordine delle virtù e di accordare la nostra mente alla perfezione da esse richiesta, in modo che la mente stessa non vi si assoggetti come asservita e quasi obbligata da una violenta imperiosità, quanto piuttosto allettata e alimentata come da un bene naturale, al punto da affrontare con piacere quella via ardua e ristretta. E in realtà, come potrebbe uno raggiungere la compagine delle virtù, in cui consiste il secondo grado relativo alla disciplina attiva, o addirittura come potrebbe conoscere i misteri delle cose spirituali e celesti, le quali formano il grado più elevato della scienza, se prima egli non è riuscito a comprendere la natura dei suoi vizi e non si è curato di estirparli? Ne segue quindi che, ovviamente, non potrà pretendere di salire a un piano superiore chi non è stato in grado di assicurarsi prima nel piano inferiore, e molto meno comprenderà le cose che gli stanno al di fuori chiunque prima non è stato in grado di comprendere quelle che sono innate nel suo interno.

Occorre comunque sapere che bisogna affaticarsi con ben maggiore impegno nell’espellere i vizi di quanto occorra adoperarsi per acquistare le virtù. Una tale asserzione non è frutto di una mia congettura, ma è un insegnamento dettato da Colui che, unico, conosce le forze e le condizioni delle sue creature. “Ecco, Egli dice, io ti ho costituito oggi sopra i popoli e sopra i regni per sradicare e per demolire, per distruggere e per abbattere, per edificare e per piantare” (Ger 1,10). E di fatto il Profeta dichiarò che quattro sono gli elementi necessari per l’espulsione delle cose nocive, e cioè “sradicare, demolire, distruggere e abbattere”, mentre, per acquistare le virtù e assicurare i requisiti della giustizia, egli fece parola unicamente di queste condizioni: “edificare e piantare". Ne risulta perciò che è ben più difficile divellere e sradicare le innate passioni del corpo e dell’anima di quanto lo sia inserire e piantare le virtù spirituali.

CAPUT IV. Quod actualis vita erga multas professiones ac studia derivetur.
Haec igitur practice quae duobus, ut dictum est, subsistit modis, erga multas professiones studiaque dividitur. Quidam enim summam intentionis suae erga eremi secreta et cordis constituunt puritatem, ut in praeteritis Heliam et Heliseum, nostrisque temporibus beatum Antonium, aliosque ejusdem propositi sectatores, familiarissime Deo per silentium solitudinis cohaesisse cognoscimus. Quidam erga institutionem fratrum et pervigilem coenobiorum curam, omnem studii sui sollicitudinem dederunt; ut nuper abbatem Joannem, qui in vicinia civitatis [ Lips. in marg. in vicina civitate] cui nomen Thmuis grandi coenobio praefuit, ac nonnullos ejusdem meriti viros apostolicis etiam signis claruisse meminimus.

 

 Quosdam xenodochii et susceptionis pium delectat obsequium, per quod etiam in praeteritis Abraham patriarcham et Loth Domino placuisse scimus, et nuper beatum Macarium singularis mansuetudinis ac patientiae virum, qui xenodochio ita apud Alexandriam praefuit, ut nulli eorum qui solitudinis secreta sectati sunt, inferior sit credendus. Quidam eligentes aegrotantium curam, alii intercessionem quae pro miseris atque oppressis impenditur, exsequentes, aut doctrinae instantes, aut eleemosynam pauperibus largientes, inter magnos ac summos viros, pro affectu suo ac pietate viguerunt.

 


CAPUT V. De professionis arreptae perseverantia.
Quapropter hoc unicuique utile atque conveniens est, ut secundum propositum quod elegit, sive gratiam quam accepit, summo studio ac diligentia ad operis arrepti perfectionem pervenire festinet; et aliorum quidem laudans admiransque virtutes, nequaquam a sua quam semel elegit professione discedat, sciens, secundum Apostolum, unum quidem esse corpus Ecclesiae, multa autem membra, et habere eam donationes secundum gratiam quae nobis data est differentes, sive prophetiam secundum rationem fidei, sive ministerium in ministrando, sive qui docet in doctrina, sive qui exhortatur in exhortando, qui tribuit in simplicitate, qui praeest in sollicitudine, qui miseretur in hilaritate (Rom. XII).

 

 

Nec enim ulla membra aliorum sibi membrorum possunt ministeria vindicare, quia nec oculi manuum, nec nares aurium utuntur officio: et idcirco non omnes apostoli, non omnes prophetae, non omnes doctores, non omnes gratias habent curationum, non omnes linguis loquuntur, non omnes interpretantur.

 

 


CAPUT VI. De infirmorum mobilitate.
Solent enim hi qui necdum sunt illa quam arripuerunt professione fundati, cum audierint quosdam in diversis studiis ac virtutibus praedicari, ita eorum laude succendi, ut imitari eorum protinus gestiant disciplinam, in quo irritos necessario impendit conatus humana fragilitas. Impossibile namque est unum eumdemque hominem simul universis quas superius comprehendi, fulgere virtutibus. Quas si quis voluerit pariter affectare, in id eum incidere necesse est, ut dum omnes sequitur, nullam integram consequatur; magisque ex hac mutatione ac varietate dispendium capiat quam profectum. Multis enim viis ad Deum tenditur, et ideo unusquisque illam quam semel arripuerit, irrevocabili cursus sui intentione conficiat, ut sit in qualibet professione perfectus.

4. La vita attiva s’indirizza verso professioni e impegni

Questa vita attiva dunque, la quale, come ho detto, si fonda su due sistemi, s’indirizza verso molte professioni e impegni. Alcuni infatti fanno consistere il meglio dei loro impegni in vista della segretezza della solitudine e nella purezza del cuore, come si osserva, nei tempi passati, per Elia e per Eliseo, e, ai tempi nostri, per il beato Antonio e per altri, seguaci dell’identico proposito; noi sappiamo che essi hanno conseguito, nel silenzio del deserto, una grande familiarità con Dio; altri invece hanno indirizzato ogni loro impegno all’ammaestramento dei fratelli e alla costruzione vigilantissima di cenobi, come, in tempi recenti, ricordiamo l'abate Giovanni, il quale governò il grande cenobio sono nelle vicinanze della città che porta il nome di Tmuis (Thumuis, città posta sulla riva destra del Nilo, lungo il Delta, non lontana da Panefisi), e alcuni altri uomini di un medesimo merito, segnalatisi pure per miracoli che ci fanno ricordare i tempi apostolici.

Alcuni si compiacciono di offrire il loro pietoso servizio, destinandolo ad accogliere gli stranieri; per tale prestazione, in tempi passati, anche il patriarca Abramo e Lot piacquero al Signore, e recentemente vi si dedicò il beato Macario, uomo di singolare mansuetudine e pazienza, il quale fu a capo dell’ospedale sorto nei pressi di Alessandria, e lo resse in modo tale da far ritenere che egli non fu affatto inferiore a nessuno di quanti vissero nella solitudine dei deserti. Alcuni scelsero la cura degli infermi; altri si dedicarono alla difesa dei miseri e degli oppressi, applicandosi all’insegnamento o distribuendo elemosine ai poveri, e così tutti quanti emersero tra gli uomini grandi e più elevati per il loro affetto e la loro pietà.

 

5. La perseveranza nella professione abbracciata

Ne segue dunque che a ciascuno ritorna utile e conveniente procurare di giungere al più presto, con somma dedizione e diligenza secondo il disegno da lui formulato e la grazia divina da lui ricevuta, alla perfezione dell’impegno assunto, senza rinunciare alla professione da lui una volta eletta, pur lodando e ammirando le virtù degli altri, persuaso, come insegna l’Apostolo, che uno solo è il corpo della Chiesa, pur essendo molte le sue membra (Rm 12,4 ss.), e convinto così “che abbiamo doni diversi secondo la grazia che ci è stata conferita: il dono della profezia, secondo la misura della fede; il ministero, nell’esercizio del ministero; l’insegnamento, per impartire la dottrina; l’esortazione, per chi deve esortare; chi dona, lo faccia con semplicità; chi presiede, lo faccia con diligenza; chi fa opere di misericordia, le compia con gioia” (Rm 12,6-8).

Infatti nessuna delle varie membra può rivendicare l’ufficio proprio delle altre membra, appunto perché gli occhi non fanno uso del compito proprio delle mani, e il naso di quello proprio delle orecchie. Proprio per questo non tutti sono apostoli, non tutti sono profeti, non tutti sono dottori, non tutti hanno il potere delle guarigioni, non tutti hanno il dono delle lingue e non tutti quello di interpretarle (Cf. 1 Cor 12,28).

6. La mobilità dei deboli

Di fatto, coloro che non sono ancora ben fondati nella professione da loro intrapresa, allorché sentono dire che alcuni vengono esaltati nei loro impegni e per le loro virtù, si sentono così animati da quelle lodi da essere indotti immediatamente a imitare quella condotta; ne risulterà però che l’umana fragilità renderà necessariamente vani quegli sforzi. È infatti impossibile che un solo e medesimo individuo riesca a risplendere contemporaneamente per tutte le virtù da me in precedenza richiamate. Se poi qualcuno intenderà affrontare insieme quelle virtù, necessariamente egli incorrerà in questo risultato, che, mentre intenderà praticarle tutte, non ne compirà effettivamente nessuna, e così, da una tale varia mutazione, ricaverà più danno che utilità. Molte sono le vie che conducono a Dio, e perciò ognuno percorra con irrevocabile impegno nel suo cammino la strada una volta intrapresa, in modo da riuscire perfetto nella professione da lui scelta.

CAPUT VII. Exemplum castitatis quo docetur non omnia ab omnibus aemulanda.
Absque illo dispendio quo feriri monachum diximus, qui mobilitate mentis ad studia cupit transire diversa, etiam hinc periculum mortis incurritur, quod nonnumquam recte quaedam ab aliis gesta, malo ab aliis praesumuntur exemplo; et ea quae nonnullis bene cesserant, perniciosa ab aliis sentiuntur. Nam ut quiddam exempli gratia proferamus, velut si quis illam viri illius imitari virtutem velit, quam solet abbas Joannes, non ad imitationis formulam, sed tantummodo pro admiratione proferre. Nam quidam veniens ad praedictum senem habitu saeculari, cum ei quasdam frugum suarum primitias detulisset, ferocissimo quemdam daemonio arreptum ibidem reperit. Qui cum abbatis Joannis obtestationes ac praecepta despiciens, testaretur se numquam ad illius imperium de corpore, quod obsederat, migraturum, hujus adventu perterritus, cum reverentissima nominis illius inclamatione discessit. Cujus tam evidentem gratiam senex non mediocriter admiratus, eoque amplius obstupescens quod eum saeculari cerneret habitu, coepit ab eo vitae ac professionis ejus ordinem diligenter inquirere. Cumque ille saecularem se atque uxorio vinculo obligatum esse dixisset, beatus Joannes excellentiam virtutis ejus et gratiae mente pertractans, quaenam illi esset conversatio attentius explorabat; ille se rusticum et quotidiano manuum opere victum quaerere, nec ullius boni esse se conscium testabatur, nisi quod numquam ante ad ruris opera mane exercenda procederet, neque vespere domum reverteretur, nisi in Ecclesia pro quotidianae vitae commeatu largitori ejus Deo gratias retulisset, neque se umquam de fructibus suis aliquid usurpasse, nisi prius Deo primitias eorum ac decimas obtulisset, et numquam se boves suos per alienae messis traduxisse confinium, nisi eorum prius ora clausisset, ne vel parum damni per incuriam ejus proximus sustineret.

 

 

 

 Et cum haec quoque abbati Joanni, necdum ad comparationem tantae gratiae, qua eum praelatum sibi esse cernebat, idonea viderentur, atque ab eo quidnam esset illud quod tantae gratiae meritis conferri posset, sciscitans scrutaretur, ille reverentia tam sollicitae inquisitionis astrictus, uxorem se parentum vi imperioque compulsum, cum profiteri monachum vellet, ante undecim annos accepisse confessus est, quam, nemine etiam nunc conscio, sororis loco a se virginem custodiri testabatur. Quod factum cum audisset senex, tanta est admiratione permotus, ut coram ipso publice proclamaret: Non immerito daemonem qui se despexerat, illius non tolerasse praesentiam, cujus ipse virtutem non solum in juventutis ardore, sed ne nunc quidem sine discrimine castitatis auderet appetere.

 

 

Quod factum abbas Joannes licet summa admiratione praetulerit [ Lips. in marg. protulerit], tamen neminem monachorum, ut experiretur, hortatus est, sciens multa recte ab aliis gesta, magnam aliis imitantibus intulisse perniciem, nec usurpari ab omnibus posse, quod paucis Dominus speciali munere contulisset.

 

 


CAPUT VIII. De spiritali scientia.
Sed ad expositionem scientiae de qua sumptum est sermonis exordium revertamur. Itaque, sicut superius diximus, practice erga multas professiones ac studia derivatur. Theoretice vero in duas dividitur partes, id est, in historicam interpretationem, et intelligentiam spiritalem. Unde etiam Salomon cum Ecclesiae multiformem gratiam enumerasset, adjecit: Omnes enim qui apud eam sunt, vestiti sunt dupliciter (Prov. XXXI). Spiritalis autem scientiae genera sunt, tropologia, allegoria, anagoge; de quibus in Proverbiis ita dicitur, Tu autem describe tibi ea tripliciter, super latitudinem cordis tui (Prov. XXII). Itaque historia praeteritarum ac visibilium agnitionem complectitur rerum quae ita ab Apostolo replicatur: Scriptum est enim, quia Abraham duos filios habuit, unum de ancilla, et alium de libera; sed qui de ancilla, secundum carnem natus est; qui autem de libera, per repromissionem (Galat. IV). Ad allegoriam autem pertinent quae sequuntur, quia ea quae in veritate gesta sunt, alterius sacramenti formam praefigurasse dicuntur: Haec enim, inquit, sunt duo testamenta: unum quidem de monte Sina, in servitutem generans, quod [Lips. in marg. quae] est Agar: Sina enim mons est in Arabia, qui comparatur huic, quae nunc est Jerusalem, et servit cum filiis suis. Anagoge vero de spiritalibus mysteriis ad sublimiora quaedam et sacratiora coelorum secreta conscendens, ab Apostolo ita subjicitur: Quae autem sursum est Jerusalem, libera est, quae est mater nostra. Scriptum est enim: Laetare sterilis, quae non paris; erumpe et clama, quae non parturis; quia multi filii desertae magis quam ejus quae habet virum (Ibid.). Tropologia est moralis explanatio, ad emendationem vitae et instructionem pertinens actualem, velut si haec eadem duo Testamenta intelligamus practicen et theoreticen disciplinam; vel certe si Jerusalem aut Sion animam hominis velimus accipere, secundum illud, Lauda, Jerusalem, Dominum; lauda Deum tuum, Sion (Psalm. CXLVII).

 

 

 

 

Igitur praedictae quatuor figurae in unum ita si volumus confluunt, ut una atque eadem Jerusalem quadrifariam possit intelligi: secundum historiam civitas Judaeorum, secundum allegoriam Ecclesia Christi, secundum anagogen civitas Dei illa coelestis quae est mater omnium nostrum; secundum tropologiam anima hominis, quae frequenter hoc nomine aut increpatur, aut laudatur a Domino. De his quatuor interpretationum generibus Apostolus ita dicit: Nunc autem, fratres, si venero ad vos linguis loquens, quid vobis prodero, nisi vobis loquar, aut in revelatione, aut in scientia, aut in prophetia, aut in doctrina (II Cor. XIV)? Revelatio namque ad allegoriam pertinet, per quam ea quae tegit historica narratio spirituali sensu et expositione reserantur, ut, verbi gratia, si illud aperire tentemus, quemadmodum patres nostri omnes sub nube fuerint, et omnes in Mose baptizati sint in nube et in mari, et quemadmodum omnes eamdem escam spiritalem manducaverint, et eumdem spiritalem de consequenti petra biberint potum; petra autem erat Christus (I Cor. X);

 

 

quae expositio praefigurationi corporis et sanguinis Christi, quem quotidie sumimus, comparata, allegoriae continet rationem. Scientia vero quae similiter ab Apostolo memoratur, tropologia est, qua universa quae ad discretionem pertinent actualem, utrum utilia vel honesta sint, prudenti examinatione discernimus, ut est illud: Cum apud nosmetipsos judicare praecipimur, utrum deceat mulierem non velato capite orare Deum (I Cor. XI). Quae ratio, ut dictum est, moralem continet intellectum. Item prophetia, quam tertio Apostolus intulit loco, anagogen sonat, per quam ad invisibilia ac futura sermo transfertur, ut est illud: Nolumus autem vos ignorare, fratres, de dormientibus, ut non contristemini, sicut et caeteri qui spem non habent. Si enim credimus quod Christus mortuus est et resurrexit, ita et Deus eos qui dormierunt, per Jesum adducet cum eo. Hoc enim vobis dicimus in verbo Domini, quia nos qui vivimus, qui residui sumus, in adventu Domini non praeveniemus eos qui dormierunt quoniam ipse Dominus in jussu et in voce archangeli, et in tuba Dei descendet de coelo; et mortui qui in Christo sunt, resurgent primi (I Thess. IV). Qua exhortationis specie anagoges figura praefertur. Doctrina vero simplicem historiae expositionis ordinem pandit, in qua nullus occultior intellectus, nisi qui verbis resonat, continetur, sicut est illud: Tradidi enim vobis in primis quod et accepi, quoniam Christus mortuus est pro peccatis nostris, secundum Scripturas, et quia sepultus est, et quia resurrexit tertia die, et quia visus est Cephae (I Cor. XV). Et: Misit Deus Filium suum factum ex muliere, factum sub lege, ut eos qui sub lege erant redimeret (Galat. IV). Sive illud: Audi, Israel, Dominus tuus Deus unus est (Deut. VI).

 

 

 


CAPUT IX. Quod de actuali scientia proficiatur ad spiritalem.
Quapropter si vobis cura est ad spiritalis scientiae lumen, non inanis jactantiae vitio, sed emundationis gratia pervenire, illius primum beatitudinis cupiditate flammamini, de qua dictum est: Beati mundo corde, quoniam ipsi Deum videbunt (Matth. V); ut etiam ad illam de qua angelus ad Danielem ait pervenire possitis: Qui autem docti fuerint, fulgebunt sicut splendor firmamenti; et qui ad justitiam erudiunt multos, quasi stellae in perpetuas aeternitates (Daniel. XII); et in alio propheta: Illuminate vobis lumen scientiae dum tempus est (Ose. X). Tenentes itaque illam quam habere vos sentio diligentiam lectionis, omni studio festinate actualem, id est, ethicam, quam primum ad integrum comprehendere disciplinam Absque hac namque illa quam diximus theoretica puritas non potest apprehendi, quam hi tantum, qui non aliorum docentium verbis, sed propriorum actuum virtute perfecti sunt, post multa operum ac laborum stipendia, jam quasi in praemio consequuntur. Non enim a meditatione legis intelligentiam, sed de fructu operis acquirentes, cum Psalmographo canunt: A mandatis tuis intellexi (Psalm. CXVIII). Et excoctis passionibus universis, fiducialiter dicunt: Psallam et intelligam in via immaculata (Psalm. C).

 

 

 

 

Ille enim psallens intelligit quae canuntur, qui in via immaculata gressu puri cordis innititur. Et idcirco si scientiae spiritali sacrum in corde vestro vultis tabernaculum praeparare, ab omnium vos vitiorum contagione purgate, et curis saeculi praesentis exuite. Impossibile namque est animam quae mundanis vel tenuiter distentionibus occupatur, donum scientiae promereri, vel generatricem spiritualium sensuum, aut tenacem sacrarum lectionum fieri. Observate igitur in primis, et maxime tu, Joannes, cui magis ad custodienda haec quae dicturus sum, aetas adhuc adolescentior suffragatur, ne studium lectionis ac desiderii tui labor vana elatione cassetur, ut indicas summum ori tuo silentium. Hic est enim primus disciplinae actualis ingressus: Omnis quippe labor hominis in ore ipsius (Eccles. VI), et ut omnium seniorum instituta atque sententias intento corde et quasi muto ore suscipias; ac diligenter in pectore tuo condens, ad perficienda ea potius quam ad docenda festines.

 

 

 

Ex hoc enim cenodoxiae perniciosa praesumptio, ex illo autem fructus spiritalis scientiae pullulabunt. Nihil itaque in collatione seniorum proferre audeas, nisi quod interrogare te aut ignoratio nocitura, aut ratio necessariae cognitionis impulerit, ut quidam vanae gloriae amore distenti, pro ostentatione doctrinae, ea quae optime norunt interrogare se simulant. Impossibile enim est eum qui proposito acquirendae laudis humanae, studio lectionis insistit, donum verae scientiae promereri. Nam qui hac passione devictus [ Lips. in marg. devinctus] est, necesse est ut aliis quoque et maxime superbiae vitiis obligetur, et ita in actuali atque ethica congressione prostratus, scientiam spiritalem quae ex ea nascitur minime consequetur. Esto ergo per omnia citus ad audiendum, tardus autem ad loquendum (Jac. I), ne cadat in te illud quod notatur a Salomone: Si videris virum velocem in verbis, scito quia spem habet insipiens magis quam ille (Prov. XXIX).

 

 

 

Nec quemquam verbis docere praesumas, quod opere ante non feceris. Hunc enim nos ordinem tenere debere, etiam exemplis suis Dominus noster instituit, de quo ita dicitur: Quae coepit Jesus facere et docere (Actor. I). Cave ergo ne ante actum prosiliens ad docendum, in illorum numero deputeris, de quibus in Evangelio Dominus ad discipulos suos loquitur: Quae dicunt vobis servate et facite, secundum opera vero eorum nolite facere: dicunt enim et non faciunt. Alligant autem onera gravia et importabilia, et imponunt ea super humeros hominum; ipsi autem digito suo nolunt ea movere (Matth. XXIII). Si enim ille qui unum mandatum minimum solvens docuerit sic homines, minimus vocabitur in regno coelorum (Matth. V); qui multa et majora negligens docere praesumpserit, consequens profecto est ut jam non minimus in regno coelorum, sed in gehennae supplicio maximus habeatur. Et ideo cavendum tibi est ne illorum ad docendum inciteris exemplis, qui peritiam disputandi ac sermonis affluentiam consecuti, quia possunt ea quae voluerint ornate copioseque disserere, scientiam spiritalem possidere creduntur ab his qui vim ejus et qualitatem discernere non noverunt. Aliud namque est facilitatem oris et nitorem habere sermonis, et aliud venas ac medullas coelestium intrare dictorum, ac profunda et abscondita sacramenta purissimo cordis oculo contemplari, quod nullatenus humana doctrina, nec eruditio saecularis, sed sola puritas mentis per illuminationem sancti Spiritus obtinebit.

7. Un esempio della castità destinalo a dimostrare che non tutti gli impegni convengono a tutti

A parte la considerazione del danno, da cui ho detto che viene colpito il monaco indottosi ad affrontare impegni diversi da quelli già da lui assunti, anche per un altro motivo può sorgere in lui un rischio mortale, il fatto che talvolta certi impegni, sostenuti convenientemente da alcuni, vengono poi, per malinteso esempio, affrontati da altri, e perciò, quello che per alcuni aveva sortito un buon esito, per altri si risolve in un risultato deleterio. E allora, tanto per citare un esempio, è come se qualcuno volesse imitare la virtù di quell'illustre personaggio che l’abate Giovanni suole proporre, non per offrire un esempio da imitare, quanto piuttosto un modello da ammirare. Un tale, recatosi dal predetto venerando abate, in abito secolare, per offrirgli le primizie raccolte nei suoi campi, trovò, già in presenza dell’abate, un individuo posseduto da un ferocissimo demonio. Quello spirito maligno, dimostrando disprezzo di fronte agli ordini e agli scongiuri dell’abate Giovanni, protestava che mai si sarebbe allontanato da quel corpo da lui posseduto, sottostando alle sue ingiunzioni; poi, atterrito però per l’arrivo di quell’individuo (il secolare), il demonio fuggì, dopo averne pronunciato il nome con una voce piena di riverenza. Il vegliardo, preso da alta ammirazione per quella grazia così evidentemente concessa e, per di più, stupito nel vedere quel nuovo individuo vestito con abiti secolari, cominciò ad informarsi accuratamente della vita e della professione da lui praticata. E poiché il nuovo arrivato dichiarava di essere un secolare e legato col vincolo matrimoniale, il beato Giovanni, riflettendo sull’eccellenza di quella sua virtù e della grazia a lui concessa, volle indagare con più cura quale fosse la sua professione. Egli allora dichiarò di essere un agricoltore e di procurarsi il vitto con il lavoro quotidiano delle sue mani, di non essere consapevole di alcun bene, se non di recarsi al mattino al lavoro nei suoi campi, né di ritornare alla sera nella propria casa se prima non s’era recato nella chiesa a ringraziare, per il vitto quotidiano, Colui che ne era l’elargitore; aggiunse pure di non avere mai sottratto parte dei suoi prodotti, se prima non aveva offerto a Dio le loro primizie e le decime, così come mai aveva condotto i suoi buoi attraverso i campi coltivati degli altri, se prima non aveva egli stesso disteso una reticella sulla loro bocca, affinché i vicini non avessero a subire qualche danno a causa della sua negligenza.

Ma poiché tutte queste informazioni non sembravano ancora idonee all’abate Giovanni, se confrontate con la grazia così grande a lui concessa, e poiché cercava di conoscere il vero segreto dei meriti, per i quali poteva essere conferita quella grazia così grande, questi, indotto per riverenza, di fronte ad una ricerca così sollecitata, confessò che dodici anni prima, pur desiderando di farsi monaco, costretto dalla volontà imperiosa dei suoi genitori, aveva preso moglie, e che essa, senza che nessuno lo sapesse, era stata considerata come una sorella e conservata nello stato verginale. Il vegliardo, udito il fatto, fu preso da tanta ammirazione da dover dichiarare pubblicamente davanti a lui che giustamente il demonio, pur avendo disprezzato lui, non aveva tollerato la presenza del nuovo venuto, e che egli perciò non avrebbe osato aspirare fino a quella virtù, non solo in rapporto all’ardore della prima giovinezza, ma neppure in rapporto alla vita presente, senza compromettere la sua castità.

Quantunque l’abate Giovanni esaltasse questo fatto con la più alta ammirazione, tuttavia non esortò nessuno dei suoi monaci a ripetere lo stesso esperimento, ben sapendo che molte di tali esperienze, affrontate rettamente da altri, hanno recato un grande danno a quanti hanno voluto imitarle, e che perciò non si poteva pretendere di ricevere dal Signore quello che Egli aveva concesso a pochi con sua speciale donazione.

8. La scienza spirituale

Ritorniamo perciò all’esposizione della scienza, da cui ebbe inizio il nostro discorso. Pertanto, come in precedenza abbiamo rilevato, la vita attiva riguarda molte professioni e impegni, invece la vita contemplativa si suddivide in due parti, l’una perché s’interessa dell’interpretazione storica (delle Scritture), l’altra dell’intelligenza spirituale (Cassiano applica soprattutto alla scienza delle Scritture quanto occorre dire della teoria, ovvero della contemplazione). Anche Salomone, volendo dichiarare la grazia multiforme della Chiesa, così si esprime: “Tutti i suoi di casa hanno doppia veste” (Pr 31,21 LXX). Tre sono i generi della scienza spirituale: la tropologia, l’allegoria e l’anagogia. Di essi nei Proverbi così è detto: “Scrivi queste cose in tre modi sulla estensione del tuo cuore” (Pr 22,20 LXX). Pertanto la storia abbraccia la conoscenza delle cose passate e visibili, e così viene chiamata dall’Apostolo: “Sta scritto infatti che Abramo ebbe due figli, uno dalla schiava e uno dalla donna libera. Ma quello dalla schiava è nato secondo la carne; quello dalla donna libera, in virtù della promessa” (Gal 4,22-23). Appartengono alla allegoria le parole di Paolo che fanno seguito, poiché le cose che realmente erano accadute sono espresse in modo da prefigurare la forma di un ulteriore mistero. Così infatti egli dichiara: “Le due donne rappresentano le due Alleanze; una, quella del monte Sinai, che genera nella schiavitù, è rappresentata da Agar; il Sinai è un monte dell’Arabia e corrisponde alla Gerusalemme attuale che di fatto è chiava insieme ai suoi figli” (Gal 4,24-25). L’anagogia è quella che, partendo dai misteri spirituali, ascende ai segreti del cielo più alti e più sacri, ed è così dichiarata dall’Apostolo: “La Gerusalemme di lassù invece è libera, ed è nostra madre. Sta scritto infatti: Rallegrati, o sterile, che non partorisci; grida nell’allegria, tu che non partorisci, perché molti sono i figli dell’abbandonata, più di quelli della donna che ha marito” (Gal 4,26-27). La tropologia è la spiegazione morale che ha per fine l’emendazione della vita e l’insegnamento pratico, come se intendessimo le due Alleanze, rispettivamente, l’una come espressione della vita attiva, l’altra come scienza contemplativa, o anche, come se noi volessimo interpretare Gerusalemme e Sion come figure dell’anima dell’uomo, secondo la sentenza: “Loda, Gerusalemme, il Signore; loda il tuo Dio, Sion” (Sal 147,12).

Ne deriva dunque che, volendo, le predette quattro figurazioni confluiscono in una sola configurazione, in modo che l’unica e medesima Gerusalemme può essere intesa in quattro forme: secondo la storia, essa sarà la città dei Giudei; secondo l’allegoria, sarà la Chiesa di Cristo; secondo l’anagogia, sarà la città celeste di Dio, la “madre di tutti noi” secondo la tropologia, sarà l’anima umana che di frequente, con questo nome, ora è biasimata, ora è lodata dal Signore. Di questi quattro generi di interpretazione il beato Apostolo così parla: “E ora, fratelli, supponiamo che io venga da voi parlando con il dono delle lingue; in che cosa vi potrei essere utile, se non parlassi a voi in rivelazione o in scienza o in profezia o in dottrina?” (1 Cor 14,6). La rivelazione infatti appartiene all’allegoria: per essa le cose che restano coperte dalla narrazione storica vengono rivelate dal senso e dalla esposizione spirituale, ed è, ad esempio, come se volessimo chiarire quel passo della Scrittura, come “i nostri padri furono tutti sotto la nuvola e tutti furono battezzati in rapporto a Mosè nella nuvola e nel mare”, e come “tutti mangiarono lo stesso cibo spirituale e tutti bevvero la stessa bevanda che scaturiva da una roccia, e quella roccia era il Cristo” (1 Cor 10,1-4).

Questo richiamo, confrontato con la prefigurazione del Corpo e del Sangue, che noi assumiamo ogni giorno, contiene il motivo tutto proprio dell’anagogia. La scienza, similmente richiamata dall’Apostolo, fa parte della tropologia: per essa noi riusciamo a distinguere con criterio prudente tutte le cose in riferimento alla vita attiva, se esse sono utili e oneste, come comporta il precetto del giudizio, la cui decisione è lasciata a noi stessi, di giudicare “se è conveniente che una donna faccia preghiera a Dio col capo coperto” (1 Cor 11,13). Questa forma di interpretazione, come già ho osservato, comporta un’applicazione di valore morale. Parimenti la profezia, collocata dall’Apostolo al terzo posto, comporta l’anagogia, per effetto della quale il discorso viene trasferito alle cose invisibili e future, così come suona il passo seguente: “Vogliamo lasciarvi nell’ignoranza, fratelli, circa quelli che sono morti perché non continuiate ad affliggervi come gli altri che non hanno speranza. Noi crediamo infatti che Gesù è morto e risuscitato; così anche quelli che sono morti, Dio li radunerà per mezzo di Gesù insieme con Lui. Questo vi diciamo sulla parola del Signore: noi che viviamo e saremo ancora in vita per la venuta del Signore, non precederemo quelli che sono morti. Perché il Signore stesso, a un ordine, alla voce dell’arcangelo e al suono della tromba di Dio, discenderà dal cielo. E prima risorgeranno i morti in Cristo” (1 Ts 4,13-16). In questa forma di esortazione appare la figura dell’anagogia. La dottrina invece riferisce il semplice ordine dell’esposizione storica, nella quale non è inteso nessun occulto riferimento al di fuori di quello che risulta dalle stesse parole, come appare nel passo seguente; 'Vi ho trasmesso anzitutto quello che anch'io ho ricevuto, che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, e fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno, e apparve a Cefa” (1 Cor 15,3-5), e ancora: “Iddio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sorto la legge" (Gal 4,4-5); come pure: “Ascolta, Israele: il Signore, tuo Dio, è l’unico Signore” (Dt 6,4).

 

9. Occorre partire dalla scienza attiva per arrivare a quella spirituale

Pertanto, se vi sta a cuore arrivare alla luce della scienza spirituale, non spinti dal vizio di una vana presunzione, ma per la grazia data in vista dell’emendazione, infiammatevi anzitutto del desiderio di quella beatitudine, di cui è detto: "Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio’’ (Mt 5,8), in modo da poter giungere a quel traguardo, di cui parlò l’angelo a Daniele: “I saggi risplenderanno con lo splendore del firmamento; coloro che avranno indotto molti alla giustizia, risplenderanno come le stelle per sempre” (Dn 12,3), così come presso altri profeti è detto: “Accendete in voi il lume della scienza, finché c'è tempo” (Os 10,12 LXX) . E allora, mantenendo costante la premura della lettura (della Scrittura), che io già m’accorgo da voi coltivata, procurate di perfezionare con ogni cura la vostra vita attiva, vale a dire quella morale. Senza di questa infatti non è possibile arrivare alla purezza della contemplazione, di cui già ho parlato; una tale purezza, infatti, la raggiungono soltanto coloro che sono divenuti perfetti, non per effetto degli insegnamenti altrui, ma per l’efficacia della propria condotta e quasi come per ricompensa dopo essersi impegnati con molta dedizione e molte fatiche. E in realtà essi non hanno conseguito quell’intelligenza dalla meditazione della Legge, ma dal frutto della loro operosità, e così perciò possono cantare con il salmista: “Dai tuoi decreti io ricevo intelligenza” (Sal 118,104), come pure, dopo avere soppresse tutte le loro passioni, possono ripetere con fiducia: “Voglio cantare inni a Te e agirò con intelligenza nella via dell’innocenza” (Sal 100,1-2).

Di fatto, nella recitazione dei salmi, comprenderà quello che viene cantato proprio colui che pone i passi del suo cuore puro lungo le vie dell’innocenza. Perciò, se voi volete disporre nel vostro cuore il sacro tabernacolo della scienza spirituale, purificatevi dal contagio di tutti i vizi e dalle influenze del secolo presente. Non è infatti possibile che un’anima, occupata anche per poco nelle faccende del mondo, meriti il dono della scienza o la capacità di produrre frutti spirituali o di divenire tenace prosecutrice delle sante letture. Fate dunque in modo, anzitutto, e specialmente tu, Giovanni, a cui l’età così giovane suggerisce maggiormente l’osservanza di quanto ora sto per dire, che non resti sminuito per un vano sussiego l’impegno della lettura e lo sforzo del tuo desiderio, e perciò imponi alla tua bocca un sommo silenzio. È questa la prima risoluzione della vita attiva, accogliere gli insegnamenti e le decisioni di tutti gli anziani con cuore attento e con la bocca pressoché chiusa, e poi, riponendo tutto nel proprio intimo, decidersi a mettere tutto in pratica anziché disporsi per insegnarlo agli altri.

Da quest’ultima tendenza nasce infatti il danno della vanagloria; dal silenzio invece nascono i frutti della scienza spirituale. Non osare perciò di intervenire durante le conferenze degli anziani, se non fosse perché ignorare qualche cosa sarebbe di danno o perché chiarire qualche notizia necessaria indurrebbe a porre delle interrogazioni; vi sono di quelli infatti che, esaltati dal desiderio della vanagloria, simulano di fare delle interrogazioni al solo scopo di mettere in evidenza quello che essi già conoscono. E in realtà non è possibile che uno, il quale si occupi nell’impegno della lettura allo scopo di acquistarsi le lodi degli uomini, possa poi meritare il dono della vera scienza. Di fatto, chi è vinto da una tale passione, necessariamente sarà sopraffatto da altre passioni, e soprattutto dalla superbia, e perciò, una volta abbattuto nella lotta ingaggiata nella vita attiva e morale, non conseguirà per nulla la scienza spirituale che da essa prende inizio. Costui dunque “sia pronto ad ascoltare, lento a parlare” (Gc 1,19), in modo da non cadere nella colpa già rilevata da Salomone: “Se vedi un uomo veloce nel parlare, sappi che c’è più da sperare in uno stolto che non in lui” (Pr 29,20 LXX), e quindi non presumere di insegnare ad altri con le tue parole quello che prima tu non hai saputo compiere.

Che poi noi dobbiamo attenerci a questo comportamento ce lo ha dimostrato pure nostro Signore, di cui così è detto: “Gesù cominciò a fare queste cose e ad insegnare” (At 1,1). Guardati bene perciò, qualora tu voglia insegnare prima di operare, dall’essere incluso nel numero di coloro, di cui il Signore parla ai discepoli nel vangelo: “Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e insopportabili, e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito” (Mt 23,3-4). Se dunque “colui che trasgredirà uno solo, anche minimo, di questi precetti, e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli” (Mt 5,19), colui che trasgredirà molti gravi precetti e presumerà di farsi maestro agli altri, otterrà certamente, non già di essere considerato minimo nel regno dei cieli, ma di essere ritenuto il maggiore nei supplizi dell’inferno. Perciò devi ben guardarti dall’essere indotto ad insegnare sull’esempio di coloro, i quali, avendo raggiunto la perizia dell’eloquenza e la facilità di parola, poiché riescono ad esporre ornatamente e copiosamente quello che vogliono, si crede, da parte di quanti non sanno giudicare la forza qualitativa di quella eloquenza, che essi possiedano la scienza spirituale. Infatti altra cosa è possedere la facilità nel parlare e lo splendore nel discorrere, e altra cosa è introdursi nel midollo e nell’intimo delle parole celesti, e così completare col purissimo occhio del cuore la profondità e la segretezza dei misteri, che in nessun modo saprebbe raggiungere l’umana dottrina e l’erudizione secolare, ma unicamente la purezza della mente per mezzo dell’illuminazione dello Spirito Santo.

CAPUT X. De apprehendenda verae scientiae disciplina.
Festinandum igitur tibi est, si ad veram Scripturarum scientiam vis pervenire, ut humilitatem cordis immobilem primitus consequaris, quae te non ad illam quae inflat, sed ad eam quae illuminat scientiam charitatis consummatione perducat. Impossibile namque est immundam mentem donum scientiae spiritalis adipisci. Et idcirco omni cautione devita ne tibi per studium lectionis, non scientiae lumen, nec illa perpetua quae per illuminationem doctrinae promittitur gloria, sed instrumenta perditionis de arrogantiae vanitate nascantur. Deinde hoc tibi est omnimodis enitendum, ut, expulsa omni sollicitudine et cogitatione terrena, assiduum te ac potius jugem sacrae praebeas lectioni, donec continua meditatio imbuat mentem tuam et quasi in similitudinem sui formet, arcam quodammodo ex ea faciens Testamenti, habentem in se scilicet duas tabulas lapideas, id est, duplicis Instrumenti perpetuam firmitatem; urnam quoque auream, hoc est, memoriam puram atque sinceram, quae reconditum in se manna perpetua tenacitate conservet, spiritalium scilicet sensuum et angelici illius panis perennem coelestemque dulcedinem; nec non etiam virgam Aaron, id est, summi verique pontificis nostri Jesu Christi salutare vexillum, immortalis memoriae semper viriditate frondescens. Haec namque est virga quae posteaquam de radice Jesse succisa est, vivacius mortificata revirescit. Haec autem omnia duobus cherubim, id est, historicae et spiritalis scientiae plenitudine proteguntur. Cherubim enim interpretatur scientiae multitudo, quae propitiatorium Dei, id est, placiditatem pectoris tui jugiter protegent, et a cunctis spiritalium nequitiarum incursibus obumbrabunt. Et ita mens tua non solum in arcam divini Testamenti, verum etiam in regnum sacerdotale provecta, per indissolubilem puritatis affectum, quodammodo absorpta spiritalibus disciplinis, illud implebit pontificale mandatum, quod a legislatore ita praecipitur: Et de sanctis non egredietur, ne polluat sanctuarium Dei (Levit. XXI), id est, cor suum, in quo jugiter habitaturum se Dominus repromittit, dicens: Inhabitabo in eis, et inter illos ambulabo (Levit. XXVI; II Cor. VI).

 

 

Quamobrem diligenter memoriae commendanda est et incessabiliter recensenda sacrarum series Scripturarum.

 

Haec etenim meditationis jugitas duplicem nobis confert fructum. Primum quod dum in legendis ac parandis lectionibus occupatur mentis intentio, necesse est ut nullis noxiarum cogitationum laqueis captivetur; deinde quod ea quae creberrima repetitione percursa, dum memoriae tradere laboramus, intelligere id temporis obligata mente non quivimus, postea ab omnium actuum ac visionum illecebris, praecipueque nocturna meditatione taciti revolventes, clarius intuemur, ita ut occultissimorum sensuum, quos ne tenui quidem vigilantes opinatione percepimus, quiescentibus nobis et vel soporis stupore demersis, intelligentia reveletur.

 

 


CAPUT XI. De multiplici intellectu divinarum Scripturarum.
Crescente autem per hoc studium innovatione mentis nostrae, etiam Scripturarum facies incipiet innovari, et sacratioris intelligentiae pulchritudo quodammodo cum proficiente proficiet. Pro capacitate enim humanorum sensuum, earum quoque species coaptatur, et vel terrena carnalibus, vel divina spiritalibus apparebit, ita ut hi quibus antea videbatur crassis quibusdam nebulis involuta, nec subtilitatem ejus deprehendere, nec fulgorem valeant sustinere. Sed ut hoc ipsum quod astruere nitimur, aliquo clarius pandatur exemplo, unum legis testimonium protulisse sufficiat, per quod etiam omnia praecepta coelestia secundum mensuram status nostri ad omne hominum genus probemus extendi.

 

 

Scriptum est in lege: Non fornicaberis (Exod. XX). Hoc ab homine carnalium adhuc obscenitatum passionibus obligato secundum simplicem litterae sonum salubriter custoditur. Ab eo autem qui jam ab hac actione lutulenta et impuro discessit affectu, necesse est idipsum spiritaliter observari, ut scilicet non solum a caeremoniis idolorum, sed etiam ab omni superstitione gentilium et auguriorum omniumque signorum et dierum ac temporum observatione discedat, vel certe ne quorumdam verborum aut nominum conjecturis, quae sinceritatem fidei nostrae polluunt, implicetur. Hac enim fornicatione etiam Jerusalem dicitur constuprata, quae fornicata est in omni colle sublimi, et sub omni ligno frondoso (Jerem. III). Et quam Dominus iterum increpans per prophetam: Stent, inquit, et salvent te augures coeli, qui contemplabantur sidera et supputabant menses, ut ex eis annuntiarent ventura tibi (Isaiae XLVII).

 

 

 

De qua fornicatione et alibi arguens eos Dominus, ait: Spiritus fornicationis decepit eos, et fornicati sunt a Deo suo (Ose. IV). Quisquis vero a gemina hac fornicatione discesserit, habebit tertiam quam devitet, quae in lege et Judaismi superstitionibus continetur. De quibus Apostolus: Dies, inquit, observatis et menses et tempora et annos (Galat. IV). Et iterum: Ne tetigeris, ne gustaveris, neque conjecturaveris (Coloss. II). Quae de superstitionibus legis dicta esse non dubium est, in quas si quis inciderit, proculdubio moechatus a Christo, ab Apostolo non meretur audire: Despondi enim vos uni viro virginem castam exhibere Christo (II Cor. XI); sed illud ad eum quod sequitur voce ejusdem Apostoli dirigetur: Timeo autem vos, ne sicut serpens seduxit Evam astutia sua, ita corrumpantur sensus vestri a simplicitate quae est in Christo Jesu (Ibid.).

 

 

Quod si immunditiam hujus quoque fornicationis effugerit, habebit quartam quae haeretici dogmatis adulterio perpetratur. De qua idem B. Apostolus: Ego, inquit, scio, quia post discussionem meam intrabunt lupi graves in vos, non parcentes gregi, et ex vobis ipsis surgent viri loquentes perversa, ut abducant discipulos post se (Actor. XX).

Hanc etiam qui potuerit declinare, caveat ne subtiliore peccato in fornicationis vitium collabatur, quae scilicet in cogitationum pervagatione consistit, quia omnis cogitatio non solum turpis, sed etiam otiosa, a Deo quantulumcumque discedens, a perfecto viro immundissima fornicatio deputatur.

 

 


CAPUT XII. Interrogatio, quomodo possit ad oblivionem saecularium carminum perveniri.
Germanus: Ad haec ego occulta primum compunctione permotus, ac deinde graviter ingemiscens, Haec, inquam, omnia quae copiosissime digessisti majora mihi intulerunt desperationis augmenta quam hactenus sustinebam. Quippe cui praeter illas generales animae captivitates, quibus non dubito infirmos quosque pulsari extrinsecus, speciale impedimentum salutis accedit, pro illa quam tenuiter videor attigisse notitia litterarum, in qua me ita vel instantia paedagogi, vel continuae lectionis maceravit intentio, ut nunc mens mea poeticis velut infecta carminibus, illas fabularum nugas historiasque bellorum quibus a parvulo primis studiorum imbuta est rudimentis, orationis etiam tempore meditetur, psallentique, vel pro peccatorum indulgentia supplicanti aut impudens poematum memoria suggeratur, aut quasi bellantium heroum ante oculos imago versetur, taliumque me phantasmatum imaginatio semper eludens, ita mentem meam ad supernos intuitus aspirare non patitur, ut quotidianis fletibus non possit expelli.

10. Il metodo per apprendere la vera scienza

Tu devi dunque preoccuparti, se desideri acquistare la scienza delle Scritture, di assicurarti anzitutto una immobile umiltà di cuore, la quale conduce, non alla scienza che gonfia (Cf. 1 Cor 8,2), ma alla scienza che illumina per mezzo della completezza della carità. È infatti impossibile che una mente impura acquisti il dono della scienza spirituale. Procura perciò di evitare con ogni cautela che, pur con l’impegno della lettura, sorgano in te, non già il lume della scienza e la gloria eterna promessa per l’illuminazione della vera dottrina, quanto piuttosto motivi di perdizione, prodotti dalla vanità dell’arroganza. Appresso tu dovrai in tutti i modi adoperarti affinché, superata ogni sollecitudine e preoccupazione terrena, ti renda disponibile in modo assiduo e, ancora più, continuo alla sacra lettura della Scrittura, al punto che quella incessante meditazione riempia la tua mente e, per così dire, la conformi a sua propria immagine, rendendola, in certo qual modo, un’arca del Testamento (Cf. Eb 9,4-5), contenente in se stessa le due tavole di pietra, vale a dire la saldezza del duplice Testamento, come pure l’urna d’oro, e cioè la memoria pura e sincera che conservi in sé con fermezza indefettibile la manna ivi nascosta, vale a dire la dolcezza perenne e celeste dei sensi spirituali e di quel pane angelico; conserverà pure la verga di Aronne, cioè il vessillo salvifico del sommo e vero pontefice, Gesù Cristo, che sempre rifiorisce col verde della sua immortale memoria. Gesù Cristo infatti è la verga che, dopo essere stata recisa dalla radice di Jesse (Cf. Is 11,1) rinverdisce con forza maggiore proprio dopo la sua morte.

Tutti questi elementi sono protetti da due Cherubini, vale a dire dalla purezza della scienza storica e spirituale. “Cherubino” infatti significa “la pienezza della scienza”. Essi proteggono in continuità il propiziatorio di Dio, e cioè la tranquillità della tua anima, e la custodiscono immune da tutti gli assalti degli spiriti malvagi. E così la tua mente, elevata fino a raggiungere non solo l’arca della divina Alleanza, ma pure il rango del regno sacerdotale, assorbita nella conoscenza della scienza spirituale per effetto dell’aspirazione derivata in lei dalla sua indefettibile purezza, adempirà il precetto rivolto al pontefice dal Legislatore: “Non uscirà dal santuario per non profanare il santuario di Dio” (Lv 21,12), ed è quanto dire, il suo cuore, nel quale il Signore promette di abitare costantemente, dicendo: “Abiterò in mezzo a loro e camminerò in mezzo a loro” (2 Cor 6,16).

Perciò occorre affidare con tutta diligenza alla nostra memoria e richiamare senza tregua il complesso delle Scritture.

Una tale continuità di meditazione ci apporterà un duplice frutto: anzitutto, che mentre l’attenzione della mente è occupata nella lettura e nell’apprendere quegli insegnamenti, necessariamente essa non sarà accattivata dai lacci dei pensieri nocivi; in secondo luogo, mentre noi ci sforziamo di assicurare quei passi alla nostra memoria, essendo però la nostra mente in quei momenti molto occupata, non riusciremo a comprenderli; in seguito però, una volta liberi da tutte le intrusioni delle occupazioni diurne, e soprattutto quindi durante la meditazione della notte, allorché in silenzio li richiameremo, riesaminandoli con maggiore chiarezza, è allora che ci si rivelerà l’intelligenza di quei passi così oscuri, che, nella veglia, non eravamo riusciti a percepire neppure con leggera supposizione, e proprio in quell’ora, pur essendo noi dediti al riposo della notte e come immersi nel torpore del sonno.

 

11. I molteplici sensi delle divine Scritture

Ne segue perciò che, per effetto di un tale studio e per il progresso della nostra mente, anche la visione delle Scritture comincerà a modificarsi e la bellezza d’una comprensione più profonda in un certo senso progredirà con il progredire della mente. Gli aspetti delle Scritture infatti si adattano alla capacità dell’intelligenza umana, e così appariranno terreni a chi è vittima della carne, e divini agli uomini spirituali, in modo che coloro, ai quali in precedenza quella visione appariva involuta per una certa nebbia brumosa, non saranno certo in grado di intuirne la sottigliezza e neppure di sostenerne il fulgore. E allora, affinché quanto io mi sto sforzando di costruire appaia più chiaro con il ricordo di qualche esempio, basterà riportare una sola testimonianza della Legge, per effetto della quale io possa dimostrare che pure tutti i precetti divini sono estesi a tutto il genere umano secondo la misura del nostro stato.

Così è scritto nella Legge: “Non fornicare” (Es 20,14). Questo precetto viene osservato salutarmente, secondo il semplice suono delle lettere, dall’uomo ancora in preda alle passioni vergognose. Ma da colui che già si è svincolato da questa condotta limacciosa e dalle affezioni impure, questo precetto sarà osservato con criterio spirituale, in modo da astenersi non solo dal culto degli idoli, ma anche dalle superstizioni praticate dai gentili, quindi dagli auguri, dalle divinazioni, dall’osservanza di tutti i segni, dei giorni e dei tempi; e questo in modo che egli non si lasci compromettere dalle congetture derivate da certe parole e da certi nomi, aventi per fine di guastare la sincerità della nostra fede. Si dice infatti che anche Gerusalemme si è macchiata per tale fornicazione, essendosi prostituita “in ogni luogo elevato e sotto ogni albero verde” (Ger 3,6)). Anche il Signore le rinfaccia questa colpa, dicendole per mezzo del Profeta: “Si presentino e ti salvino gli astrologi che osservavano le stelle, e ti pronosticavano ogni mese, osservandole, quello che ti sarebbe accaduto” (Is 47,13).

Anche altrove il Signore accusa il suo popolo di fornicazione, dicendo: “Uno spirito di fornicazione li ha ingannati, ed essi si sono prostituiti, allontanandosi dal loro Dio” (Os 4,12). Chiunque pertanto avrà evitato questa duplice fornicazione, dovrà evitarne pure una terza, indicata nelle superstizioni della Legge, tutte proprie del Giudaismo. Di esse così parla l’Apostolo: “Voi osservate giorni, mesi, stagioni e anni” (Gal 4,10), e ancora: “Così è prescritto: Non prendere, non gustare, non toccare” (Col 2,21). Senza dubbio queste parole sono state dette con riferimento alle superstizioni della Legge; se però qualcuno finisce per cadere in esse, certamente, una volta allontanatosi, così peccando, da Cristo, non meriterà di udire dall’Apostolo queste parole: “Io vi ho promesso a un unico sposo, per presentarvi quale vergine casta a Cristo” (2 Cor 11,2), e invece saranno dirette a lui, sempre dalla voce dell’Apostolo, le parole che seguono: “Io temo che, come il serpente nella sua malizia sedusse Eva, così i vostri pensieri vengano traviati dalla loro semplicità, che è in Cristo Gesù" (2 Cor 11,3).

Chi poi riuscirà ad evitare anche l’immondezza di questa fornicazione, potrebbe incorrere nella quarta, la quale si contrae, perpetrando l’adulterio tutto proprio della professione ereticale. Di essa così parla lo stesso Apostolo: “Io so che dopo la mia partenza entreranno fra voi lupi rapaci, che non risparmieranno il gregge; perfino in mezzo a voi sorgeranno alcuni a insegnare dottrine perverse per attirare discepoli dietro di loro” (At 20,29-30). E se qualcuno riuscirà ad evitare anche questa colpa, si guardi bene dal cadere in un peccato più sottile, nel vizio cioè di quella fornicazione che consiste nella divagazione dei pensieri, proprio perché ogni pensiero, non solo turpe, ma anche ozioso e, anche per poco, lontano da Dio, viene considerato dall’uomo perfetto come una impudentissima fornicazione».

 

12. Questione: com'è possibile dimenticare i poemi secolari

A questo punto io, turbato dapprima per una interna compunzione, e poi uscito in gravi gemiti, così presi a dire: «Questi rilievi, da ora abbondantemente espressi, mi hanno apportato un senso di scoraggiamento maggiore di quello provato fino al presente, e la ragione è questa: oltre quei richiami generici, propri dell’animo, dai quali non dubito che si lasciano attrarre gli spiriti ancora deboli, s’aggiunge un impedimento particolare ostile alla mia salvezza a causa di quella cultura letteraria, pur esigua, che mi sembra d’essermi procurata: per essa l’impegno del pedagogo e la mia dedizione alla lettura mi occuparono talmente che ora la mia mente, come pervasa da quei poemi, non fa che ripensare alle inezie di quelle favole e alle narrazioni di quelle guerre, del cui pascolo essa ebbe a nutrirsi fin da ragazzo nei miei primi studi; ed ora, nel tempo della preghiera, nella recitazione dei salmi e quando chiedo perdono per i miei peccati, mi sorprende la memoria indiscreta di quei poemi e mi si rappresenta quasi davanti agli occhi l’immagine di quei bellicosi eroi, sicché la visione di tali fantasmi, con le loro continue illusioni, non permette alla mia mente di aspirare alla contemplazione delle cose celesti al punto che non riesco neppure a ricacciarli via con pianti effusi ogni giorno».

 

CAPUT XIII. Responsio, quo pacto memoriam eorum possimus abolere.
Nesteros: De hac ipsa re unde tibi purgationis maxima nascitur desperatio, citum satis atque efficax remedium poterit oboriri, si eamdem diligentiam atque instantiam quam te in illis saecularibus studiis habuisse dixisti, ad spiritalium Scripturarum volueris lectionem meditationemque transferre. Necesse est enim mentem tuam tamdiu illis carminibus occupari, quamdiu sibi aliqua quae intra semetipsam recolat, simili studio et assiduitate conquirat, ac pro illis infructuosis atque terrenis, spiritualia atque divina parturiat. Quae cum profunde alteque conceperit, atque in illis fuerit enutrita, vel expelli priores sensim poterunt, vel penitus aboleri. Vacare enim cunctis cogitationibus humana mens non potest, et ideo quamdiu spiritualibus studiis non fuerit occupata, necesse est eam illis quae pridem didicit implicari.

 

 Quamdiu enim non habuerit quo recurrat, et indefessos exerceat motus, necesse est ut ad illa quibus ab infantia imbuta est, collabatur, eaque semper revolvat quae longo usu ac meditatione concepit. Ut igitur haec in te scientia spiritalis perpetua soliditate roboretur, nec ea jam temporarie perfruaris, sicut illi qui eam non suo studio, sed aliena relatione contingunt, et velut aereo, ut ita dixerim, odore percipiunt, sed ut sensibus tuis inviscerata quodammodo et perspecta atque palpata condatur, illud omni observantia custodire te convenit, ut etiamsi ea quae optime nosti, forte audieris in collatione proferri, non ex hoc quod tibi jam nota sint, aspernanter fastidioseque suscipias, sed ea cordi tuo illa aviditate commendes, qua debent desiderabilia salutis verba, vel auribus nostris indesinenter infundi, vel de nostro ore jugiter proferri. Quamvis enim adhibeatur sanctarum rerum crebra narratio, numquam tamen animae, sitim verae scientiae sustinenti, satietas generabit horrorem, sed ea quotidie velut nova ac desiderata suscipiens, quanto frequentius hauserit, tanto avidius vel audiet, vel loquetur, et confirmationem potius perceptae scientiae ex eorum repetitione quam ullum ex frequenti capiet collatione fastidium. Evidens namque est tepidae ac superbae mentis indicium, si verborum salutarium medicinam, quamvis studio nimiae assiduitatis ingestam, fastidiose negligenterque suscipiat. Anima enim quae in satietate est, favis illudit; animae autem egenti etiam amara dulcia videntur (Prov. XXVII). Si itaque haec diligenter excepta, et in recessu mentis condita atque indicta, fuerint taciturnitate signata, postea ut vina quaedam suave olentia et laetificantia cor hominis, cum sensus canitie et patientiae fuerint vetustate decocta, cum magna sui fragrantia de vase tui pectoris proferentur, et tamquam perennis fons de experientiae venis et irriguis virtutum meatibus redundabunt, fluentaque continua velut de quadam abysso tui cordis effundent.

 

 

Eveniet namque in te illud quod in Proverbiis ad illum dicitur qui haec opere consummavit: Bibe aquas de tuis vasis, et de puteorum tuorum fonte supereffluant tibi aquae de tuo fonte, in tuas autem plateas pertranseant aquae tuae (Prov. V). Ac secundum Isaiam prophetam, eris quasi hortus irriguus, et sicut fons aquarum, cujus non deficient aquae, et aedificabuntur in te deserta a saeculis, fundamenta generationis et generationis suscitabis, et vocaberis aedificator sepium, avertens semitas iniquitatum (Isaiae LVIII). Illa etiam tibi beatitudo proveniet, quam idem propheta promittit; Et non faciet Dominus avolare a te ultra doctorem tuum, et erunt oculi tui videntes praeceptorem tuum, et aures tuae audient verbum post tergum monentis. Haec via, ambulate in ea, neque ad dextram neque ad sinistram (Isaiae XXX). Atque ita fiet ut non solum omnis directio ac meditatio cordis tui, verum etiam cunctae evagationes atque discursus cogitationum tuarum, sint tibi divinae legis sancta et incessabilis ruminatio.

 

 

 


CAPUT XIV. Quod immunda anima neque tradere neque percipere possit scientiam spiritalem.
Impossibile est autem haec, sicut praefati sumus, inexpertum quemquam vel agnoscere vel docere. Nam qui ne ad percipiendum quidem capax est, quomodo erit idoneus ad tradendum? De quibus tamen etiamsi aliquid docere praesumpserit, inefficax proculdubio et inutilis usque ad aures tantummodo audientium ejus sermo perveniet, cor autem eorum penetrare non poterit, inertia operum et infructuositate suae proditus vanitatis; quia non de thesauro bonae promitur conscientiae, sed de inani jactantiae praesumptione.

 

 

 Impossibile namque est immundam animam quantalibet desudaverit lectionis instantia, adipisci scientiam spiritalem. Nemo enim in vas fetidum atque corruptum unguentum aliquod nobile aut mel optimum, aut pretiosi quidquam liquoris infundit. Facilius enim quamvis odoratissimum myrum semel horrendis imbuta fetoribus testa contaminat, quam ut aliquid ex eo suavitatis aut gratiae ipsa concipiat; quia multo citius munda corrumpuntur, quam corrupta mundantur. Ita igitur et vas pectoris nostri nisi prius fuerit ab omni fetidissima vitiorum contagione purgatum, non merebitur suscipere illud benedictionis unguentum de quo dicitur per Prophetam: Sicut unguentum in capite quod descendit in barbam, barbam Aaron, quod descendit in oram vestimenti ejus (Psal. CXXXII); nec illam scientiam spiritalem et eloquia Scripturarum, quae dulciora sunt super mel et favum (Psal. XVIII), impolluta servabit. Quae enim participatio justitiae cum iniquitate? Aut quae societas luci cum tenebris? Quae autem conventio Christi ad Belial (II Cor. VI)?

 

 


CAPUT XV. Objectio de eo quod multi immundi scientiam habeant, et sancti non habeant.
Germanus: Definitio ista nequaquam videtur nobis veritate fulciri, aut probabili ratione subnixa. Cum enim omnes qui fidem Christi aut nequaquam suscipiunt, aut impia dogmatum pravitate corrumpunt, immundi cordis esse manifestum sit, quomodo multi Judaeorum atque haereticorum, vel etiam catholicorum qui diversis vitiis involvuntur, perfectam Scripturarum scientiam consecuti, de spiritalis doctrinae magnitudine gloriantur; et econtra sanctorum virorum innumera multitudo, quorum cor ab omni peccatorum contagione purgatum est, simplicis fidei puritate contenta [ Lips. in marg. contecta], profundioris scientiae ignorat arcana? Quemadmodum ergo stabit ista sententia quae scientiam spiritalem soli cordis tribuit puritati?

13. Risposta: com’è possibile liberare la memoria dai vari intralci

Nestore: «Da questa stessa difficoltà, dalla quale sorge per te il maggiore ostacolo per uscirne fuori, potrà sortire ben presto il rimedio efficace, solo che tu trasferisca lo stesso costante impegno, da te dedicato agli studi profani, alla lettura e alla meditazione delle Scritture. Necessariamente infatti la tua mente sarà occupata dall’influsso di quei poemi per tutto quel tempo in cui con simile impegno e assiduità, essa non accoglierà in se stessa altri interessi, e così, in luogo di espedienti infruttuosi e terreni, produca frutti spirituali e divini. Una volta che tu riesca a concepire una tale progettazione e a nutrirtene in modo reale ed efficace, potrai ridurre sensibilmente i pensieri precedenti o addirittura cacciarli via del tutto. La mente dell’uomo non può rimanere vuota di ogni pensiero, e perciò, nel tempo in cui essa non è occupata da impegni spirituali, necessariamente rimarrà vincolata da quelli curati in precedenza.

Di fatto, per tutto il tempo in cui essa non avrà un altro fine, a cui dedicarsi in continuità, necessariamente riprenderà gli interessi coltivati fin dall’infanzia e così attenderà ancora a quei compiti, da essa curati con prolungata abitudine e riflessione. E affinché la scienza spirituale si rafforzi con saldezza perenne e di essa tu possa godere non solo per breve tempo, come coloro che t'attingono non per proprio impegno, ma per rapporti c quasi, per così dire, per respiro d’aria, affinché dunque tale scienza risulti, in un certo qual modo, inviscerata nei tuoi sensi, ti conviene attenerti con ogni cura al seguente comportamento: anche se in questo nostro incontro ascolterai cose che per avventura già ben conosci, non accoglierle con disprezzo e con fastidio per il solo fatto che già ti sono note, ma affidale al tuo cuore con quella avidità, con la quale le parole desiderabili della salvezza devono essere affidate alle nostre orecchie ed essere proferite continuamente dalla nostra bocca. Infatti, per quanto di frequente avvenga l’incontro con l’esposizione delle cose sante, per l’anima assetata della vera scienza mai la sazietà procurerà ripugnanza; essa, al contrario, accettando ogni volta quell’incontro come nuovo e desiderato, quanto più frequentemente ne avvertirà il contenuto, con tanta maggiore avidità l’ascolterà e ne parlerà, e dalla sua ripetizione riceverà conferma di quella scienza già da lei coltivata, anziché fastidio dalla sua frequente reiterazione. Risulta infatti indizio evidente di una mente tiepida e superba accogliere fastidiosamente e negligentemente la medicina delle parole salvifiche, anche se accompagnate dall’impegno di una eccessiva assiduità: “L’anima, che risulta già sazia, disprezza il miele; ma all’anima che si trova nel bisogno, anche le cose amare sembrano dolci" (Pr 27,7 LXX). Se dunque tali insegnamenti saranno accolti con diligenza, una volta nascosti e contrassegnati nell’intimo della tua mente e assicurati dal silenzio, in futuro, come certi vini soavemente olezzanti e allietanti il cuore dell’uomo, maturati dall’anzianità della meditazione e dalla longevità della pazienza, verranno riesposti e tirati fuori con il loro grande profumo dal fondo del tuo animo e, come una fonte perenne, fluiranno dalle vene dell’esperienza e dagli irrigui meati delle virtù, ed effonderanno onde continue come da un certo abisso del tuo cuore.

Avverrà infatti per te quello che nei Proverbi è detto per colui che aveva compiuto tutto questo con le sue opere: “Bevi l’acqua della tua cisterna e quella che zampilla dal tuo pozzo; le tue sorgenti scorrano per te al di fuori e i tuoi ruscelli si effondano nelle pubbliche piazze” (Pr 5,15-16 LXX); così pure Isaia: “Sarai come un giardino irrigato e come una sorgente, le cui acque non inaridiscono. Per tuo mezzo saranno riedificati i luoghi abbandonati da secoli e farai risorgere i fondamenti posti di generazione in generazione, e perciò sarai chiamato riparatore di siepi e restauratore di vie nella sicurezza” (Is 58,11-12). Sarà riferita a te la beatitudine promessa dallo stesso Profeta: “Il Signore farà in modo che non si allontani più da te il tuo maestro. I tuoi occhi vedranno il tuo maestro, i tuoi orecchi sentiranno questa parola dopo di te: Questa è la strada, percorretela senz’andare né a destra né a sinistra” (Is 30,20-21). Avverrà così che non solo ogni indirizzo e meditazione del tuo cuore, ma perfino tutte le divagazioni e le distrazioni dei tuoi pensieri si risolvano per te in un ripensamento santo e incessante della legge divina.

 

14. L’anima che non è pura non può offrire e nemmeno accogliere la scienza spirituale

È impossibile, come già ho avuto modo di dire, che possa conoscere e insegnare la scienza spirituale chi non ne ha fatto esperienza. E in realtà, se uno non è in grado neppure di accoglierla, come potrebbe comunicarla ad altri? Anche se egli presumerà di insegnarne qualche parte, senza dubbio le sue parole giungeranno inefficaci e inutili solo alle orecchie di quanti le ascoltano, ma non potranno penetrare nel loro cuore a causa della deficienza delle sue opere e della infruttuosità, tutta sua propria, della sua vanità, poiché il suo discorso non sorge dal tesoro d’una buona coscienza, ma dalla vana presunzione della sua ostentazione.

È impossibile infatti che un’anima, senza essere pura, riesca a raggiungere la scienza spirituale, nonostante si sforzi caparbiamente nella continuità delle sue letture. Di fatto, nessuno versa in un vaso maleodorante qualche unguento costoso o dell’ottimo miele o, comunque, qualche liquore prezioso. Infatti sarà più facile che un vaso, già pregno di un tanfo insopportabile, corrompa un profumo anche se odoratissimo, anziché sia il vaso ad accogliere da quel profumo qualche porzione di soavità e di gradimento, poiché ben più presto le cose monde vengono corrotte di quanto le corrotte siano purificate. E allora ne segue che il vaso del nostro cuore, se prima non viene purificato da ogni fetidissimo contagio dei vizi, non meriterà di accogliere quell’unguento di benedizione, di cui è detto per mezzo del Profeta: “È come l’olio sul capo, che scende sulla barba di Aronne, che scende sull’orlo della sua veste” (Sal 132,2), e neppure conserverà inalterata la scienza spirituale e le espressioni delle Scritture, le quali sono “più dolci del miele e di un favo di miele” (Sal 18,11). “Quale rapporto infatti può esservi tra la giustizia e l’iniquità, o quale unione tra la luce e le tenebre? Quale intesa tra Cristo e Belial”? (2 Cor 6,14-15. Belial (=nullità, inutilità) è parola ebraica per indicare gli idoli e satana)».

 

15. Obiezione: molti, che non hanno il cuore puro, posseggono la scienza; al contrario, molti santi non la posseggono

GERMANO: «La vostra illazione non ci sembra sorretta dalla verità e neppure sostenuta da ragione probabile. Ammesso infatti che tutti coloro che rifiutano la fede di Cristo o per lo meno la corrompono con l’empia deformità dei loro dogmi, risultano immondi di cuore, come va allora che molti tra i Giudei e tra gli eretici e perfino tra i cattolici, pur essendo avvolti tra molteplici vizi, hanno raggiunto una completa conoscenza delle Scritture e si vantano della loro dottrina spirituale, mentre un grande numero di uomini santi, il cui cuore è mondo da ogni contagio di peccati, soddisfatti della pietà derivata dalla semplicità della loro fede, ignora i segreti di una scienza più profonda? Come si regge allora questa vostra conclusione, che attribuisce la scienza spirituale unicamente alla purezza del cuore?».

 

CAPUT XVI. Responsio quod mali scientiam veram habere non possunt.
Nesteros: Haud recte virtutem definitionis explorat, qui non omnia diligenter prolatae sententiae verba perpendit. Praediximus namque hujusmodi homines disputandi tantum habere peritiam, et elocutionis ornatum, caeterum Scripturarum venas et arcana spiritalium sensuum intrare non posse.

Etenim vera scientia non nisi a veris Dei cultoribus possidetur, quam is utique non habet populus, cui dicitur: Audi, popule stulte, qui non habes cor, qui habetis oculos et non videtis, et aures et non auditis (Jerem. V). Et iterum: Quia tu scientiam repulisti, et ego repellam te, ne mihi sacerdotio fungaris (Ose. IV). Cum enim in Christo omnes thesauri sapientiae et scientiae absconditi esse dicantur (Coloss. III), quomodo is qui Christum invenire contempsit, aut inventum sacrilego ore blasphemavit, aut certe catholicam fidem immundis operibus polluit, veram scientiam assecutus esse credendus est? Spiritus enim Dei disciplinae effugiet fictum, nec habitabit in corpore subdito peccatis (Sapient. I). Non ergo alias ad scientiam spiritalem nisi hoc ordine pervenitur, quem unus prophetarum eleganter expressit, dicens: Seminate vobis ad justitiam, metite spem vitae, illuminate vobis lumen scientiae (Ose. X).

 

Primum ergo seminandum nobis est ad justitiam, hoc est, ut actualem perfectionem operibus justitiae propagemus; deinde metenda est nobis spes vitae, id est, virtutum spiritualium fructus, expulsione vitiorum carnalium congregandi, et ita illuminare nobis lumen scientiae poterimus. Quem ordinem etiam Psalmographus teneri debere decernit, dicens: Beati immaculati in via, qui ambulant in lege Domini, beati qui scrutantur testimonia ejus (Psal. CXVIII). Non enim prius dixit: Beati qui scrutantur testimonia ejus, et post intulit: Beati immaculati in via; sed prius, inquit, beati immaculati in via: per hoc evidenter ostendens, neminem recte posse ad perscrutanda Dei testimonia pervenire, nisi prius per actualem conversationem in via Christi immaculatus incedat. Hi ergo, quos dixisti, non istam quam immundi habere non possunt, sed τῆς ψευδωνύμου, hoc est, falsi nominis scientiam possident, de qua beatus Apostolus: O, inquit, Timothee, depositum custodi, devitans profanas vocum novitates, et oppositiones falsi nominis scientiae (I Tim. VI), quod in Graeco dicitur: ἐκτρεπόμενος τὰς βεβήλους κενοφωνίας καὶ ἀντιβάσεις τῆςψευδωνύμου γνώσεως..

 

De istis ergo qui imaginem quamdam scientiae videntur acquirere, vel de his qui cum sacrorum voluminum lectioni ac memoriae Scripturarum diligenter insistant, carnalia tamen vitia non relinquunt, in Proverbiis eleganter exprimitur: Sicut inauris aurea in naribus suis, ita mulieri male moratae species (Prov. XI). Quid enim prodest quempiam ornamentum eloquiorum coelestium et illam pretiosissimam Scripturarum speciem consequi, si eam, lutulentis operibus vel sensibus inhaerendo, quasi immundissimam terram subigendo confringat, aut coenosis libidinum suarum polluat volutabris? Fiet enim ut id quod recte utentibus decori esse consuevit, non solum istos ornare non possit, verum etiam majoris coeni colluvione sordescat. Ex ore enim peccatore non est pulchra laudatio (Eccli. XV): Cui dicitur per Prophetam, Quare tu enarras justitias meas, et assumis testamentum meum per os tuum (Psal. XLIX)? De hujusmodi animabus, quae nequaquam stabiliter timorem Domini possidentes (de quo dicitur, Timor Domini disciplina et sapientia est ) Scripturarum acquirere sensum de jugi earum meditatione conantur, satis proprie in Proverbiis memoratur: Ut quid fuerint [Lips. in marg. ad quid sunt] divitiae insipienti? Possidere enim sapientiam excors non poterit (Prov. XV, sec. LXX). In tantum vero ab illa eruditione saeculari quae carnalium vitiorum sorde polluitur, vera haec et spiritalis scientia submovetur, ut eam in nonnullis elinguibus ac pene illitteratis sciamus nonnumquam mirabiliter viguisse. Quod in apostolis multisque etiam sanctis viris evidentissime comprobatur, qui non inani philosophorum delectabantur luxuria, sed veris spiritalis scientiae fructibus curvabantur. De quibus et in Actibus Apostolorum scriptum est: Videntes autem Petri constantiam et Joannis, et comperto quod homines essent sine litteris et idiotae, admirabantur (Actor. IV). Et idcirco si tibi curae est ad ejus immarcescibilem fragrantiam pervenire, cunctis primum conatibus elabora, ut a Domino puritatem castitatis obtineas. Nullus enim in quo adhuc carnalium passionum et maxime fornicationis dominatur affectus, spiritalem poterit scientiam possidere. In corde enim bono requiescet sapientia; et qui timet Deum, inveniet scientiam cum justitia (Prov. XIV). Hoc autem quo praediximus ordine ad spiritalem scientiam perveniri, etiam beatus Apostolus docet. Nam cum universarum virtutum suarum non solum catalogum texere, verum etiam ordinem earum vellet exponere, ut quae quam sequeretur vel quae quam parturiret exprimeret, post aliquanta intulit, dicens: In vigiliis, in castitate, in scientia, in longanimitate, in suavitate, in Spiritu sancto, in charitate non ficta (I Cor. VI). In qua conjugatione virtutum evidentissime nos voluit erudire, de vigiliis atque jejuniis ad castitatem, de castitate ad scientiam, de scientia ad longanimitatem, de longanimitate ad suavitatem, de suavitate ad Spiritum sanctum, de Spiritu sancto ad charitatis non fictae praemia pervenire. Cum igitur hac disciplina atque hoc ordine tu quoque perveneris ad scientiam spiritalem, habebis proculdubio, sicut diximus, nec sterilem, nec inertem, sed vivam fructuosamque doctrinam, semenque salutaris verbi, quod cum a te fuerit audientium cordibus commendatum, subsequens Spiritus sancti imber largissimus fecundabit, ac secundum id quod pollicitus est propheta, dabitur pluvia semini tuo, ubicumque seminaveris in terra, et panis frugum terrae tuae erit uberrimus et pinguis (Isaiae XXX).

 

 


CAPUT XVII. Quibus ratio perfectionis debeat aperiri.
Cave etiam ne haec quae tam lectione quam experientiae sudore didiceris, cum te aetas maturior provexerit ad docendum, vanae gloriae seductus amore, immundis hominibus passim ingeras, illudque quod sapientissimus Salomon interdixit, incurras: Noli applicare impium ad pascua justi, neque seducaris saturitate ventris; non enim expediunt stulto deliciae, nec opus est sapientia ubi deest sensus (Prov. XIX). Magis enim ducitur insipientia; quia, servus durus non emendabitur verbis. Si enim intellexerit, non obediet (Prov. XXIX). Et, In aures imprudentis noli quidquam dicere, ne forte irrideat sapientes sermones tuos (Prov. XXIII). Et, Ne dederitis sanctum canibus, neque miseritis margaritas vestras ante porcos, ne forte conculcent eas pedibus suis, et conversi disrumpant vos (Matth. VII).

 

 

Oportet itaque ut hujusmodi hominibus spiritalium sensuum contegens sacramenta efficaciter canas: In corde meo abscondi eloquia tua ut non peccem tibi (Psal CXVIII). Sed dicis forsitan: Et quibus divinarum Scripturarum dispensanda sunt sacramenta? Docet te sapientissimus Salomon: Date, inquit, ebrietatem his qui in tristitia sunt, et vinum bibere his qui in doloribus sunt, ut obliviscantur paupertatis, et dolorum suorum non meminerint amplius (Prov. XXXI), id est, his qui pro poenitudine actuum pristinorum moerore atque tristitia deprimuntur, spiritalis scientiae jucunditatem, velut vinum quod laetificat cor hominis (Psal. CIII), affluenter infundite, eosque salutaris verbi crapula refovete, ne forte jugitate moeroris ac lethali desperatione demersi, abundantiore absorbeantur tristitia qui ejusmodi sunt (II Cor. II). De illis vero qui in tepore ac negligentia constituti, nullo cordis sui dolore mordentur, ita dicitur: Nam, qui suavis et sine dolore est, in egestate erit (Prov. XXI). Quanta potes igitur cautione devita ut ne vanae gloriae amore detentus, illius quem propheta collaudat, particeps esse non possis, qui pecuniam suam non dedit ad usuram (Psal. XIV). Omnis enim qui eloquia Dei (de quibus dicitur (Psal. XI), Eloquia Domini eloquia casta, argentum igne examinatum, probatum terrae, purgatum septuplum ) humanae laudis amore dispensat, pecuniam suam erogat ad usuram, non solum nulla pro hac laude praemia, sed etiam supplicia meriturus. Ob hoc enim pecuniam Domini maluit profligare, ut ex ea temporalem consequeretur ipse mercedem, non ut Dominus, sicut scriptum est, veniens, reciperet quod suum est cum usura (Lucae XIX).

 

 


CAPUT XVIII. Quibus de causis spiritualis doctrina infructuosa sit.
Duabus autem ex causis inefficacem spiritalium rerum constat esse doctrinam. Nam aut ille qui docet inexperta commendans, vano verborum sono instruere nititur auditorem; aut certe nequam ac vitiis refertus auditor salutarem spiritalis viri sanctamque doctrinam obturato corde non recipit. De quibus dicitur per prophetam, Excaecatum est cor populi hujus, et auribus graviter audierunt, et oculos suos concluserunt, nequando videant oculis suis, et auribus suis audiant, et corde intelligant, et convertantur, et sanem illos (Isaiae VI).

16. I cattivi non possono possedere la vera scienza

NESTORE: «Non correttamente interpreta il valore della mia conclusione chi non pesa esattamente tutte le parole della illazione da me avanzata. Io ho dichiarato che quei tali possiedono soltanto la perizia e la facoltà di ben discorrere, ma non hanno la capacità di entrare nelle vene delle Scritture e nei segreti di quei sensi spirituali.

Infatti la vera scienza non è posseduta se non dai veri cultori di Dio, e non è certamente posseduta da quel popolo, a cui sono rivolte queste parole: “Ascolta, o popolo privo di senno! Pur avendo gli occhi, non vedete, e pur avendo orecchi, non udite!” (Ger 5,21), e ancora: “Tu hai rifiutato la mia scienza, e allora io rifiuterò te, affinché tu non eserciti il mio sacerdozio” (Os 4,6). E di fatto, poiché è detto che in Cristo “sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza” (Col 2,3), come potrebbe uno che ha avuto in disprezzo il cercare Cristo, oppure, dopo averlo trovato, lo bestemmia con bocca sacrilega, ovvero, sicuramente, contamina con le sue opere immonde la fede cattolica, come potrebbe far credere d’avere raggiunto la vera scienza? “Lo Spirito di Dio infatti rifugge dalla finzione e non abita in un corpo soggetto al peccato” (Sap 1,5 e 4). Ne segue dunque che alla scienza spirituale non si arriva, se non con il criterio delineato elegantemente dal Profeta con queste parole: “Seminate per voi secondo giustizia, e mieterete la speranza della vita; illuminate per voi il lume della scienza” (Os 10,12 LXX).

Anzitutto dunque noi dobbiamo seminare secondo giustizia, vale a dire, propagare la perfezione ascetica per mezzo delle opere della giustizia; quindi dovremo mietere la speranza della vita, vale a dire raccogliere i frutti delle virtù spirituali con il cacciar via i vizi carnali; e così potremo illuminare in noi il lume della scienza. Anche il salmista dichiara che si deve tener presente questo criterio: “Beati coloro che sono senza macchia nella loro via e che camminano nella legge del Signore. Beati coloro che scrutano le sue testimonianze" (Sal 118,1-2). Egli non disse prima: “Beati coloro che scrutano le sue testimonianze”; al contrario, prima dichiara: “Beati coloro che sono senza macchia nella loro via”, dimostrando con queste parole che nessuno può giungere a scrutare le testimonianze di Dio rettamente, se prima non cammina senza macchia nella via di Cristo, attenendosi ad una vita ascetica. Coloro dunque, dei quali voi mi avete parlato, non sono in grado di possedere questa scienza, negata a quanti non sono puri; essi possiedono una scienza pseudónumon, vale a dire una scienza di falso nome, della quale così parla il beato Apostolo: "O Timoteo, custodisci il deposito, evitando le novità profane di certe voci e le obiezioni d’una scienza di falso nome" (1 Tm 6,20), il che in greco cosi suona tàs antithéseis tês pseudónumon gnóseos.

Dì costoro dunque, i quali sembrano in grado di acquistare qualche apparenza di scienza, oppure di coloro che insistono premurosamente nella lettura dei testi sacri e nel ricordare le Scritture, e tuttavia non rinunciando ai vizi della carne, è detto elegantemente nei Proverbi: “Quale è un anello d'oro al naso d'un suino, tale è la bellezza per una donna di mala vita" (Pr 11,22 LXX). Infatti che cosa giova ad uno possedere l’ornamento delle elocuzioni celesti e la bellezza preziosissima delle Scritture, se poi, assentendo ad opere immonde e ai suoi propri sensi, si mette tutto sotto i piedi come una terra luridissima, e tutto imbratta con le brutture fangose delle sue libidini? Avverrà allora che egli non solo non potrà adornare quello che solitamente torna di decoro a quanti ne usano rettamente, ma, in più, egli lo renderà abbruttito con le sozzure del suo assai sordido fango. “Non è bella la lode che esce dalla bocca del peccatore” (Sir 15,9), e a lui così è detto per mezzo del Profeta: “Perché vai ripetendo i miei decreti e hai sempre in bocca la mia alleanza?” (Sal 49,16). Di tali anime, le quali, non possedendo il timore di Dio, - di esse, infatti, è detto: “Il timore del Signore è scienza e sapienza * (Pr 15,33 LXX) -, si sforzano comunque di penetrare il senso delle Scritture con una continua meditazione, così è detto con sufficiente proprietà nei Proverbi: “A che serve il danaro in mano dello stolto? L’uomo privo di intelligenza non potrà possedere la sapienza » (Pr 17,16 LXX).

La scienza vera e spirituale è talmente lontana da codesta erudizione secolare, inquinata dalla sordidezza dei vizi carnali, da doverla talvolta riconoscere presente, da parte nostra, in alcuni, i quali sono senza pratica di eloquio e pressoché illetterati. E questo risulta, con tutta evidenza, vigente negli apostoli come pure in molti santi uomini, i quali non si esaltavano, (come certi alberi), per il loro inutile fogliame, ma si incurvavano sotto il carico dei reali frutti della loro scienza spirituale. E di essi che così è scritto negli Atti degli Apostoli: “Vedendo la franchezza di Pietro e di Giovanni, e considerando che essi erano senza istruzione e popolani, rimanevano stupefatti” (At 4,13). Perciò, se ti sta a cuore di assaporare quella incorruttibile fragranza, procura anzitutto di ottenere con ogni sforzo dal Signore la purezza della castità. Nessuno, in cui domini ancora l’affezione delle passioni carnali, e specialmente della fornicazione, potrà possedere la scienza spirituale. “In un cuore buono risiederà la sapienza” (Pr 14,33), e ancora: “Chi teme il Signore, troverà la scienza con la giustizia” (Sir 32,20).

Anche il beato Apostolo insegna che si giunge alla scienza spirituale con l’ordine da me in precedenza indicato. Infatti, volendo comporre non solo l’ordine di tutte le sue virtù, ma anche il loro ordine successivo, e cioè sia la virtù che succedeva alla precedente, ma anche quella da essa immediatamente originata, così conclude: “Nelle veglie, nei digiuni, nella castità, nella scienza, nella longanimità, nella mansuetudine, nello Spirito Santo, nell’amore sincero” (2 Cor 6,6); con questa elencazione egli intese comprendere con tutta evidenza che dalle veglie e dai digiuni si giunge alla castità, dalla castità alla scienza, dalla scienza alla longanimità, dalla longanimità alla mansuetudine, dalla mansuetudine allo Spirito Santo, dallo Spirito Santo al premio dell’amore sincero. E allora, siccome per mezzo di questa disciplina e con quest’ordine tu pure giungerai alla scienza spirituale, certamente possederai, come già ho asserito, una dottrina, non sterile e incerta, ma vivida e ricca di frutti, e così il germe della parola salvifica, da te estesa al cuore di quanti ti ascolteranno, sarà assai largamente fecondata dalla rugiada dello Spirito Santo, secondo quanto ebbe a promettere il Profeta: “Sarà concessa la pioggia alla tua semente in qualunque terra tu l’abbia seminata, e il pane prodotto dalle messi della tua terra, sarà per te abbondantissimo e sostanzioso” (Is 30,23).

 

17. A chi deve essere rivelata la via della perfezione

C’è di più. Quanto tu avrai appreso dalle tue letture e dalla tua operosa esperienza, allorché l’età più matura ti avrà posto nell’occasione di dover insegnare agli altri, guardati bene, una volta sedotto dall’amore della vanagloria, dal diffonderlo qua e là a uomini indegni per la vita da essi condotta, in modo da non incorrere nella colpa così indicata dal sapientissimo Salomone: “Non condurre l’empio nei pascoli del giusto e non lasciarti adescare dalla sazietà del ventre” (Pr 24,15 LXX). Infatti “allo stolto non convengono le delizie” (Pr 19,10 LXX), e “non v’è bisogno di sapienza, dove non v’è l’intelligenza, perché vi si fa mostra della insipienza" (Pr 18,2 LXX). “Il servo refrattario non si corregge a parole; anche se comprenderà, si rifiuterà di obbedire” (Pr 29,19 LXX). E ancora: “Non parlare agli orecchi di uno stolto, affinché egli non disprezzi le tue sagge parole” (Pr 23,9), come pure: "Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino con le loro zampe e poi si voltino a sbranarvi” (Mt 7,6).

Occorre dunque nascondere a uomini tali i misteri dei sensi spirituali, in modo che tu possa cantare efficacemente: “Ho nascosto le tue parole nel mio cuore per non offenderti con il mio peccato” (Sal 118,119).

Ma tu forse mi obietterai: Ma allora a chi devono essere dichiarati i misteri delle divine Scritture? Ti risponderà il sapientissimo Salomone: “Date bevande inebrianti a chi è nella tristezza, e vino a chi ha l’amarezza nel cuore, affinché dimentichino la loro povertà e non ricordino più le loro pene” (Pr 31,6-7 LXX), ed è quanto dire: “Offrite abbondantemente la giocondità della scienza spirituale, come vino che allieta il cuore dell’uomo” (Sal 103,15), a coloro, i quali si sentono dolorosamente e tristemente depressi per il pentimento del loro passato comportamento; voi dovete rianimarli col versamento della vostra parola salutare, affinché, disanimati come forse sono dalla continuità del dolore e da un mortale avvilimento, “quanti si trovano in quello stato, non soccombano sotto un dolore troppo forte” (2 Cor 2,7). Invece, per coloro che, fermi ormai nella loro tiepidezza e nella loro negligenza, non sono morsi da nessun dolore del loro cuore, così viene detto: “Colui che vive nelle dolcezze e senza dolore, soffrirà la povertà” (Pr 14,23 LXX). E allora, con la maggiore cautela che ti è possibile, evita di lasciarti prendere dall’amore della vanagloria, così da non essere escluso dalle lodi rivolte dal Profeta a colui “che presta danaro senza fare usura” (Sal 14,5). Infatti, chiunque dispensa le perle di Dio, delle quali è detto: “I detti del Signore sono puri, argento raffinato nel crogiuolo, purificato sette volte” (Sal 11,7), per amore delle lodi umane, eroga ad usura il proprio danaro e così, non solo proprio per questo, non meriterà alcuna lode, quanto piuttosto la punizione. Di fatto egli ha preferito disseminare il danaro del Signore per assicurarsi con quel mezzo un compenso temporaneo, e non perché il Signore, come sta scritto, “ritornando, potesse ritirare il suo danaro con interesse” (Mt 25,27).

 

18. Le cause che rendono infruttuosa la dottrina spirituale

Per due cause risulta inefficace la dottrina delle cose spirituali. Infatti, o colui che insegna si sforza di istruire il proprio uditore, comunicando però le cose senza esperienza e solo col suono delle sue parole, oppure, e senza dubbio, l’uditore, uomo perverso e pieno di vizi, non è in grado di percepire nel suo cuore del tutto sordo la dottrina santa e salutare da parte di quell’uomo spirituale. Di gente simile così è detto per mezzo del Profeta: “Il cuore di questo popolo si è accecato ed è divenuto duro d’orecchi; ha chiuso i suoi occhi per non vedere con i suoi propri occhi, e non intendere con le sue proprie orecchie, in modo che il suo cuore non comprenda e così non si convertano, ed io non li possa guarire” (Is 6,10 LXX).

 

CAPUT XIX. Quod plerumque etiam indigni gratiam salutiferi sermonis accipiunt.
Nonnumquam tamen dispensatoris nostri Dei, qui omnes homines vult salvos fieri, et ad agnitionem veritatis venire (I Tim. II), munifica liberalitate conceditur ut is qui indignum se praedicationi evangelicae reprehensibili conversatione praebuit, pro salute multorum spiritalis doctrinae gratiam consequatur. Quibus autem modis etiam charismata curationum ad expellendos daemones a Domino concedantur, consequens est ut simili disputatione pandamus, quam consurgentes ad refectionem in vesperam reservemus, quia efficacius semper corde concipitur quidquid sensim et absque nimio labore corporis intimatur.

19. Per lo più anche gli indegni ricevono la grazia di parole salutari

Tuttavia, talora, la generosa liberalità di Dio, nostro benefattore, “il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità” (1 Tm 2,4), dispone che proprio colui che non si è reso degno di predicare il vangelo con una vita irresponsabile, acquisti la grazia della dottrina spirituale in vista della salvezza di molti. In quali modi pertanto siano concessi perfino i carismi delle guarigioni, affinché dal Signore siano cacciati via i demoni, è evidente che noi dovremo esaminarli in una trattazione simile a questa, da riservare per la serata, dopo che avremo provveduto per la nostra refezione, poiché è pur vero che con la mente si riceve sempre più efficacemente tutto quello che ci viene impartito gradatamente e senza affaticare eccessivamente il nostro corpo».

 

 


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28 maggio 2016                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net