LE CONFERENZE SPIRITUALI

di GIOVANNI CASSIANO

CONFERENZA XIV

PRIMA CONFERENZA DELL'ABATE NESTORE

LA SCIENZA SPIRITUALE


Estratto da "CONFERENZE AI MONACI"

Traduzione e note a cura di Lorenzo Dattrino, 2000, Città Nuova Editrice


 

1. Discorso dell’abate Nestore sulla scienza propria degli uomini religiosi

L’ordine della mia promessa e l’itinerario seguito nel nostro viaggio mi obbliga a dare notizia dell’insegnamento impartitoci dall’abate Nestore, uomo eccellente in tutto e di grandissima scienza. Egli, essendosi accorto che noi ricordavamo alcuni passi della Sacra Scrittura e desideravamo di averne una spiegazione, prese a parlarcene nel modo seguente: «Sono molti in questo mondo i generi delle scienze, e così numerosi quanta è la varietà delle arti e delle professioni. Essendo esse, però, tutte quante, inutili o adatte solo ai vantaggi della vita presente, non v’è però alcuna che non abbia un proprio ordine e un procedimento relativo al proprio contenuto dottrinale in modo da poter essere appresa da quanti ne hanno desiderio. E allora, se quelle arti tendono al loro apprendimento attraverso metodi propri e sicuri, quanto più la disciplina professata dalla nostra religione, la quale tende alla contemplazione arcana dei misteri invisibili e si ripromette non guadagni presenti, ma la ricompensa dei beni eterni, esige un ordine sicuro e razionale. Doppia ne risulta così la scienza: la prima è praktiké, vale a dire attiva, e si acquista con l’emendazione dei costumi e con la purificazione dai vizi; la seconda è theoretiké, e consiste nella contemplazione delle cose divine e nella conoscenza delle verità più sacre.

 

2. L’apprendimento della scienza spirituale

Ne segue pertanto che se uno intende giungere alla scienza teoretica, dovrà necessariamente e anzitutto dedicarsi con ogni impegno e dedizione alla scienza attiva. Infatti la scienza pratica si può possederla anche senza quella teoretica, mentre la scienza teoretica non si può raggiungerla in nessuna maniera senza quella pratica. Si tratta, dopo tutto, di certi gradi così ordinati e distinti fra loro da essere possibile all’uomo ascendere dal grado inferiore a quello superiore. Pertanto, se essi si succedono col criterio da me ora suggerito, sarà possibile giungere al grado successivo, al quale invece non sarà possibile risalire qualora venga a mancare quello inferiore. Invano dunque pretende di arrivare fino alla visione di Dio colui che prima non si distacca dal contagio dei vizi: “Lo Spirito di Dio odia la finzione e non abita in un corpo soggetto ai peccati” (Sap 1,5 e 4).

3. La perfezione attiva si fonda su due principi

Questa scienza attiva dunque si fonda su due princìpi. Il primo è quello di ben conoscere la natura di tutti i vizi e il metodo adatto a sanarli. Il secondo è quello di ben conoscere l’ordine delle virtù e di accordare la nostra mente alla perfezione da esse richiesta, in modo che la mente stessa non vi si assoggetti come asservita e quasi obbligata da una violenta imperiosità, quanto piuttosto allettata e alimentata come da un bene naturale, al punto da affrontare con piacere quella via ardua e ristretta. E in realtà, come potrebbe uno raggiungere la compagine delle virtù, in cui consiste il secondo grado relativo alla disciplina attiva, o addirittura come potrebbe conoscere i misteri delle cose spirituali e celesti, le quali formano il grado più elevato della scienza, se prima egli non è riuscito a comprendere la natura dei suoi vizi e non si è curato di estirparli? Ne segue quindi che, ovviamente, non potrà pretendere di salire a un piano superiore chi non è stato in grado di assicurarsi prima nel piano inferiore, e molto meno comprenderà le cose che gli stanno al di fuori chiunque prima non è stato in grado di comprendere quelle che sono innate nel suo interno.

Occorre comunque sapere che bisogna affaticarsi con ben maggiore impegno nell’espellere i vizi di quanto occorra adoperarsi per acquistare le virtù. Una tale asserzione non è frutto di una mia congettura, ma è un insegnamento dettato da Colui che, unico, conosce le forze e le condizioni delle sue creature. “Ecco, Egli dice, io ti ho costituito oggi sopra i popoli e sopra i regni per sradicare e per demolire, per distruggere e per abbattere, per edificare e per piantare” (Ger 1,10). E di fatto il Profeta dichiarò che quattro sono gli elementi necessari per l’espulsione delle cose nocive, e cioè “sradicare, demolire, distruggere e abbattere”, mentre, per acquistare le virtù e assicurare i requisiti della giustizia, egli fece parola unicamente di queste condizioni: “edificare e piantare". Ne risulta perciò che è ben più difficile divellere e sradicare le innate passioni del corpo e dell’anima di quanto lo sia inserire e piantare le virtù spirituali.

4. La vita attiva s’indirizza verso professioni e impegni

Questa vita attiva dunque, la quale, come ho detto, si fonda su due sistemi, s’indirizza verso molte professioni e impegni. Alcuni infatti fanno consistere il meglio dei loro impegni in vista della segretezza della solitudine e nella purezza del cuore, come si osserva, nei tempi passati, per Elia e per Eliseo, e, ai tempi nostri, per il beato Antonio e per altri, seguaci dell’identico proposito; noi sappiamo che essi hanno conseguito, nel silenzio del deserto, una grande familiarità con Dio; altri invece hanno indirizzato ogni loro impegno all’ammaestramento dei fratelli e alla costruzione vigilantissima di cenobi, come, in tempi recenti, ricordiamo l'abate Giovanni, il quale governò il grande cenobio sorto nelle vicinanze della città che porta il nome di Tmuis (Thmuis, città posta sulla riva destra del Nilo, lungo il Delta, non lontana da Panefisi), e alcuni altri uomini di un medesimo merito, segnalatisi pure per miracoli che ci fanno ricordare i tempi apostolici.

Alcuni si compiacciono di offrire il loro pietoso servizio, destinandolo ad accogliere gli stranieri; per tale prestazione, in tempi passati, anche il patriarca Abramo e Lot piacquero al Signore, e recentemente vi si dedicò il beato Macario, uomo di singolare mansuetudine e pazienza, il quale fu a capo dell’ospedale sorto nei pressi di Alessandria, e lo resse in modo tale da far ritenere che egli non fu affatto inferiore a nessuno di quanti vissero nella solitudine dei deserti. Alcuni scelsero la cura degli infermi; altri si dedicarono alla difesa dei miseri e degli oppressi, applicandosi all’insegnamento o distribuendo elemosine ai poveri, e così tutti quanti emersero tra gli uomini grandi e più elevati per il loro affetto e la loro pietà.

 

5. La perseveranza nella professione abbracciata

Ne segue dunque che a ciascuno ritorna utile e conveniente procurare di giungere al più presto, con somma dedizione e diligenza secondo il disegno da lui formulato e la grazia divina da lui ricevuta, alla perfezione dell’impegno assunto, senza rinunciare alla professione da lui una volta eletta, pur lodando e ammirando le virtù degli altri, persuaso, come insegna l’Apostolo, che uno solo è il corpo della Chiesa, pur essendo molte le sue membra (Rm 12,4 ss.), e convinto così “che abbiamo doni diversi secondo la grazia che ci è stata conferita: il dono della profezia, secondo la misura della fede; il ministero, nell’esercizio del ministero; l’insegnamento, per impartire la dottrina; l’esortazione, per chi deve esortare; chi dona, lo faccia con semplicità; chi presiede, lo faccia con diligenza; chi fa opere di misericordia, le compia con gioia” (Rm 12,6-8).

Infatti nessuna delle varie membra può rivendicare l’ufficio proprio delle altre membra, appunto perché gli occhi non fanno uso del compito proprio delle mani, e il naso di quello proprio delle orecchie. Proprio per questo non tutti sono apostoli, non tutti sono profeti, non tutti sono dottori, non tutti hanno il potere delle guarigioni, non tutti hanno il dono delle lingue e non tutti quello di interpretarle (Cf. 1 Cor 12,28).

6. La mobilità dei deboli

Di fatto, coloro che non sono ancora ben fondati nella professione da loro intrapresa, allorché sentono dire che alcuni vengono esaltati nei loro impegni e per le loro virtù, si sentono così animati da quelle lodi da essere indotti immediatamente a imitare quella condotta; ne risulterà però che l’umana fragilità renderà necessariamente vani quegli sforzi. È infatti impossibile che un solo e medesimo individuo riesca a risplendere contemporaneamente per tutte le virtù da me in precedenza richiamate. Se poi qualcuno intenderà affrontare insieme quelle virtù, necessariamente egli incorrerà in questo risultato, che, mentre intenderà praticarle tutte, non ne compirà effettivamente nessuna, e così, da una tale varia mutazione, ricaverà più danno che utilità. Molte sono le vie che conducono a Dio, e perciò ognuno percorra con irrevocabile impegno nel suo cammino la strada una volta intrapresa, in modo da riuscire perfetto nella professione da lui scelta.

7. Un esempio della castità destinalo a dimostrare che non tutti gli impegni convengono a tutti

A parte la considerazione del danno, da cui ho detto che viene colpito il monaco indottosi ad affrontare impegni diversi da quelli già da lui assunti, anche per un altro motivo può sorgere in lui un rischio mortale, il fatto che talvolta certi impegni, sostenuti convenientemente da alcuni, vengono poi, per malinteso esempio, affrontati da altri, e perciò, quello che per alcuni aveva sortito un buon esito, per altri si risolve in un risultato deleterio. E allora, tanto per citare un esempio, è come se qualcuno volesse imitare la virtù di quell'illustre personaggio che l’abate Giovanni suole proporre, non per offrire un esempio da imitare, quanto piuttosto un modello da ammirare. Un tale, recatosi dal predetto venerando abate, in abito secolare, per offrirgli le primizie raccolte nei suoi campi, trovò, già in presenza dell’abate, un individuo posseduto da un ferocissimo demonio. Quello spirito maligno, dimostrando disprezzo di fronte agli ordini e agli scongiuri dell’abate Giovanni, protestava che mai si sarebbe allontanato da quel corpo da lui posseduto, sottostando alle sue ingiunzioni; poi, atterrito però per l’arrivo di quell’individuo (il secolare), il demonio fuggì, dopo averne pronunciato il nome con una voce piena di riverenza. Il vegliardo, preso da alta ammirazione per quella grazia così evidentemente concessa e, per di più, stupito nel vedere quel nuovo individuo vestito con abiti secolari, cominciò ad informarsi accuratamente della vita e della professione da lui praticata. E poiché il nuovo arrivato dichiarava di essere un secolare e legato col vincolo matrimoniale, il beato Giovanni, riflettendo sull’eccellenza di quella sua virtù e della grazia a lui concessa, volle indagare con più cura quale fosse la sua professione. Egli allora dichiarò di essere un agricoltore e di procurarsi il vitto con il lavoro quotidiano delle sue mani, di non essere consapevole di alcun bene, se non di recarsi al mattino al lavoro nei suoi campi, né di ritornare alla sera nella propria casa se prima non s’era recato nella chiesa a ringraziare, per il vitto quotidiano, Colui che ne era l’elargitore; aggiunse pure di non avere mai sottratto parte dei suoi prodotti, se prima non aveva offerto a Dio le loro primizie e le decime, così come mai aveva condotto i suoi buoi attraverso i campi coltivati degli altri, se prima non aveva egli stesso disteso una reticella sulla loro bocca, affinché i vicini non avessero a subire qualche danno a causa della sua negligenza.

Ma poiché tutte queste informazioni non sembravano ancora idonee all’abate Giovanni, se confrontate con la grazia così grande a lui concessa, e poiché cercava di conoscere il vero segreto dei meriti, per i quali poteva essere conferita quella grazia così grande, questi, indotto per riverenza, di fronte ad una ricerca così sollecitata, confessò che dodici anni prima, pur desiderando di farsi monaco, costretto dalla volontà imperiosa dei suoi genitori, aveva preso moglie, e che essa, senza che nessuno lo sapesse, era stata considerata come una sorella e conservata nello stato verginale. Il vegliardo, udito il fatto, fu preso da tanta ammirazione da dover dichiarare pubblicamente davanti a lui che giustamente il demonio, pur avendo disprezzato lui, non aveva tollerato la presenza del nuovo venuto, e che egli perciò non avrebbe osato aspirare fino a quella virtù, non solo in rapporto all’ardore della prima giovinezza, ma neppure in rapporto alla vita presente, senza compromettere la sua castità.

Quantunque l’abate Giovanni esaltasse questo fatto con la più alta ammirazione, tuttavia non esortò nessuno dei suoi monaci a ripetere lo stesso esperimento, ben sapendo che molte di tali esperienze, affrontate rettamente da altri, hanno recato un grande danno a quanti hanno voluto imitarle, e che perciò non si poteva pretendere di ricevere dal Signore quello che Egli aveva concesso a pochi con sua speciale donazione.

8. La scienza spirituale

Ritorniamo perciò all’esposizione della scienza, da cui ebbe inizio il nostro discorso. Pertanto, come in precedenza abbiamo rilevato, la vita attiva riguarda molte professioni e impegni, invece la vita contemplativa si suddivide in due parti, l’una perché s’interessa dell’interpretazione storica (delle Scritture), l’altra dell’intelligenza spirituale (Cassiano applica soprattutto alla scienza delle Scritture quanto occorre dire della teoria, ovvero della contemplazione). Anche Salomone, volendo dichiarare la grazia multiforme della Chiesa, così si esprime: “Tutti i suoi di casa hanno doppia veste” (Pr 31,21 LXX). Tre sono i generi della scienza spirituale: la tropologia, l’allegoria e l’anagogia. Di essi nei Proverbi così è detto: “Scrivi queste cose in tre modi sulla estensione del tuo cuore” (Pr 22,20 LXX). Pertanto la storia abbraccia la conoscenza delle cose passate e visibili, e così viene chiamata dall’Apostolo: “Sta scritto infatti che Abramo ebbe due figli, uno dalla schiava e uno dalla donna libera. Ma quello dalla schiava è nato secondo la carne; quello dalla donna libera, in virtù della promessa” (Gal 4,22-23). Appartengono alla allegoria le parole di Paolo che fanno seguito, poiché le cose che realmente erano accadute sono espresse in modo da prefigurare la forma di un ulteriore mistero. Così infatti egli dichiara: “Le due donne rappresentano le due Alleanze; una, quella del monte Sinai, che genera nella schiavitù, è rappresentata da Agar; il Sinai è un monte dell’Arabia e corrisponde alla Gerusalemme attuale che di fatto è chiava insieme ai suoi figli” (Gal 4,24-25). L’anagogia è quella che, partendo dai misteri spirituali, ascende ai segreti del cielo più alti e più sacri, ed è così dichiarata dall’Apostolo: “La Gerusalemme di lassù invece è libera, ed è nostra madre. Sta scritto infatti: Rallegrati, o sterile, che non partorisci; grida nell’allegria, tu che non partorisci, perché molti sono i figli dell’abbandonata, più di quelli della donna che ha marito” (Gal 4,26-27). La tropologia è la spiegazione morale che ha per fine l’emendazione della vita e l’insegnamento pratico, come se intendessimo le due Alleanze, rispettivamente, l’una come espressione della vita attiva, l’altra come scienza contemplativa, o anche, come se noi volessimo interpretare Gerusalemme e Sion come figure dell’anima dell’uomo, secondo la sentenza: “Loda, Gerusalemme, il Signore; loda il tuo Dio, Sion” (Sal 147,12).

Ne deriva dunque che, volendo, le predette quattro figurazioni confluiscono in una sola configurazione, in modo che l’unica e medesima Gerusalemme può essere intesa in quattro forme: secondo la storia, essa sarà la città dei Giudei; secondo l’allegoria, sarà la Chiesa di Cristo; secondo l’anagogia, sarà la città celeste di Dio, la “madre di tutti noi” secondo la tropologia, sarà l’anima umana che di frequente, con questo nome, ora è biasimata, ora è lodata dal Signore. Di questi quattro generi di interpretazione il beato Apostolo così parla: “E ora, fratelli, supponiamo che io venga da voi parlando con il dono delle lingue; in che cosa vi potrei essere utile, se non parlassi a voi in rivelazione o in scienza o in profezia o in dottrina?” (1 Cor 14,6). La rivelazione infatti appartiene all’allegoria: per essa le cose che restano coperte dalla narrazione storica vengono rivelate dal senso e dalla esposizione spirituale, ed è, ad esempio, come se volessimo chiarire quel passo della Scrittura, come “i nostri padri furono tutti sotto la nuvola e tutti furono battezzati in rapporto a Mosè nella nuvola e nel mare”, e come “tutti mangiarono lo stesso cibo spirituale e tutti bevvero la stessa bevanda che scaturiva da una roccia, e quella roccia era il Cristo” (1 Cor 10,1-4).

Questo richiamo, confrontato con la prefigurazione del Corpo e del Sangue, che noi assumiamo ogni giorno, contiene il motivo tutto proprio dell’anagogia. La scienza, similmente richiamata dall’Apostolo, fa parte della tropologia: per essa noi riusciamo a distinguere con criterio prudente tutte le cose in riferimento alla vita attiva, se esse sono utili e oneste, come comporta il precetto del giudizio, la cui decisione è lasciata a noi stessi, di giudicare “se è conveniente che una donna faccia preghiera a Dio col capo coperto” (1 Cor 11,13). Questa forma di interpretazione, come già ho osservato, comporta un’applicazione di valore morale. Parimenti la profezia, collocata dall’Apostolo al terzo posto, comporta l’anagogia, per effetto della quale il discorso viene trasferito alle cose invisibili e future, così come suona il passo seguente: “Vogliamo lasciarvi nell’ignoranza, fratelli, circa quelli che sono morti perché non continuiate ad affliggervi come gli altri che non hanno speranza. Noi crediamo infatti che Gesù è morto e risuscitato; così anche quelli che sono morti, Dio li radunerà per mezzo di Gesù insieme con Lui. Questo vi diciamo sulla parola del Signore: noi che viviamo e saremo ancora in vita per la venuta del Signore, non precederemo quelli che sono morti. Perché il Signore stesso, a un ordine, alla voce dell’arcangelo e al suono della tromba di Dio, discenderà dal cielo. E prima risorgeranno i morti in Cristo” (1 Ts 4,13-16). In questa forma di esortazione appare la figura dell’anagogia. La dottrina invece riferisce il semplice ordine dell’esposizione storica, nella quale non è inteso nessun occulto riferimento al di fuori di quello che risulta dalle stesse parole, come appare nel passo seguente; 'Vi ho trasmesso anzitutto quello che anch'io ho ricevuto, che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, e fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno, e apparve a Cefa” (1 Cor 15,3-5), e ancora: “Iddio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sorto la legge" (Gal 4,4-5); come pure: “Ascolta, Israele: il Signore, tuo Dio, è l’unico Signore” (Dt 6,4).

 

9. Occorre partire dalla scienza attiva per arrivare a quella spirituale

Pertanto, se vi sta a cuore arrivare alla luce della scienza spirituale, non spinti dal vizio di una vana presunzione, ma per la grazia data in vista dell’emendazione, infiammatevi anzitutto del desiderio di quella beatitudine, di cui è detto: "Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio’’ (Mt 5,8), in modo da poter giungere a quel traguardo, di cui parlò l’angelo a Daniele: “I saggi risplenderanno con lo splendore del firmamento; coloro che avranno indotto molti alla giustizia, risplenderanno come le stelle per sempre” (Dn 12,3), così come presso altri profeti è detto: “Accendete in voi il lume della scienza, finché c'è tempo” (Os 10,12 LXX) . E allora, mantenendo costante la premura della lettura (della Scrittura), che io già m’accorgo da voi coltivata, procurate di perfezionare con ogni cura la vostra vita attiva, vale a dire quella morale. Senza di questa infatti non è possibile arrivare alla purezza della contemplazione, di cui già ho parlato; una tale purezza, infatti, la raggiungono soltanto coloro che sono divenuti perfetti, non per effetto degli insegnamenti altrui, ma per l’efficacia della propria condotta e quasi come per ricompensa dopo essersi impegnati con molta dedizione e molte fatiche. E in realtà essi non hanno conseguito quell’intelligenza dalla meditazione della Legge, ma dal frutto della loro operosità, e così perciò possono cantare con il salmista: “Dai tuoi decreti io ricevo intelligenza” (Sal 118,104), come pure, dopo avere soppresse tutte le loro passioni, possono ripetere con fiducia: “Voglio cantare inni a Te e agirò con intelligenza nella via dell’innocenza” (Sal 100,1-2).

Di fatto, nella recitazione dei salmi, comprenderà quello che viene cantato proprio colui che pone i passi del suo cuore puro lungo le vie dell’innocenza. Perciò, se voi volete disporre nel vostro cuore il sacro tabernacolo della scienza spirituale, purificatevi dal contagio di tutti i vizi e dalle influenze del secolo presente. Non è infatti possibile che un’anima, occupata anche per poco nelle faccende del mondo, meriti il dono della scienza o la capacità di produrre frutti spirituali o di divenire tenace prosecutrice delle sante letture. Fate dunque in modo, anzitutto, e specialmente tu, Giovanni, a cui l’età così giovane suggerisce maggiormente l’osservanza di quanto ora sto per dire, che non resti sminuito per un vano sussiego l’impegno della lettura e lo sforzo del tuo desiderio, e perciò imponi alla tua bocca un sommo silenzio. È questa la prima risoluzione della vita attiva, accogliere gli insegnamenti e le decisioni di tutti gli anziani con cuore attento e con la bocca pressoché chiusa, e poi, riponendo tutto nel proprio intimo, decidersi a mettere tutto in pratica anziché disporsi per insegnarlo agli altri.

Da quest’ultima tendenza nasce infatti il danno della vanagloria; dal silenzio invece nascono i frutti della scienza spirituale. Non osare perciò di intervenire durante le conferenze degli anziani, se non fosse perché ignorare qualche cosa sarebbe di danno o perché chiarire qualche notizia necessaria indurrebbe a porre delle interrogazioni; vi sono di quelli infatti che, esaltati dal desiderio della vanagloria, simulano di fare delle interrogazioni al solo scopo di mettere in evidenza quello che essi già conoscono. E in realtà non è possibile che uno, il quale si occupi nell’impegno della lettura allo scopo di acquistarsi le lodi degli uomini, possa poi meritare il dono della vera scienza. Di fatto, chi è vinto da una tale passione, necessariamente sarà sopraffatto da altre passioni, e soprattutto dalla superbia, e perciò, una volta abbattuto nella lotta ingaggiata nella vita attiva e morale, non conseguirà per nulla la scienza spirituale che da essa prende inizio. Costui dunque “sia pronto ad ascoltare, lento a parlare” (Gc 1,19), in modo da non cadere nella colpa già rilevata da Salomone: “Se vedi un uomo veloce nel parlare, sappi che c’è più da sperare in uno stolto che non in lui” (Pr 29,20 LXX), e quindi non presumere di insegnare ad altri con le tue parole quello che prima tu non hai saputo compiere.

Che poi noi dobbiamo attenerci a questo comportamento ce lo ha dimostrato pure nostro Signore, di cui così è detto: “Gesù cominciò a fare queste cose e ad insegnare” (At 1,1). Guardati bene perciò, qualora tu voglia insegnare prima di operare, dall’essere incluso nel numero di coloro, di cui il Signore parla ai discepoli nel vangelo: “Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e insopportabili, e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito” (Mt 23,3-4). Se dunque “colui che trasgredirà uno solo, anche minimo, di questi precetti, e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli” (Mt 5,19), colui che trasgredirà molti gravi precetti e presumerà di farsi maestro agli altri, otterrà certamente, non già di essere considerato minimo nel regno dei cieli, ma di essere ritenuto il maggiore nei supplizi dell’inferno. Perciò devi ben guardarti dall’essere indotto ad insegnare sull’esempio di coloro, i quali, avendo raggiunto la perizia dell’eloquenza e la facilità di parola, poiché riescono ad esporre ornatamente e copiosamente quello che vogliono, si crede, da parte di quanti non sanno giudicare la forza qualitativa di quella eloquenza, che essi possiedano la scienza spirituale. Infatti altra cosa è possedere la facilità nel parlare e lo splendore nel discorrere, e altra cosa è introdursi nel midollo e nell’intimo delle parole celesti, e così completare col purissimo occhio del cuore la profondità e la segretezza dei misteri, che in nessun modo saprebbe raggiungere l’umana dottrina e l’erudizione secolare, ma unicamente la purezza della mente per mezzo dell’illuminazione dello Spirito Santo.

10. Il metodo per apprendere la vera scienza

Tu devi dunque preoccuparti, se desideri acquistare la scienza delle Scritture, di assicurarti anzitutto una immobile umiltà di cuore, la quale conduce, non alla scienza che gonfia (Cf. 1 Cor 8,2), ma alla scienza che illumina per mezzo della completezza della carità. È infatti impossibile che una mente impura acquisti il dono della scienza spirituale. Procura perciò di evitare con ogni cautela che, pur con l’impegno della lettura, sorgano in te, non già il lume della scienza e la gloria eterna promessa per l’illuminazione della vera dottrina, quanto piuttosto motivi di perdizione, prodotti dalla vanità dell’arroganza. Appresso tu dovrai in tutti i modi adoperarti affinché, superata ogni sollecitudine e preoccupazione terrena, ti renda disponibile in modo assiduo e, ancora più, continuo alla sacra lettura della Scrittura, al punto che quella incessante meditazione riempia la tua mente e, per così dire, la conformi a sua propria immagine, rendendola, in certo qual modo, un’arca del Testamento (Cf. Eb 9,4-5), contenente in se stessa le due tavole di pietra, vale a dire la saldezza del duplice Testamento, come pure l’urna d’oro, e cioè la memoria pura e sincera che conservi in sé con fermezza indefettibile la manna ivi nascosta, vale a dire la dolcezza perenne e celeste dei sensi spirituali e di quel pane angelico; conserverà pure la verga di Aronne, cioè il vessillo salvifico del sommo e vero pontefice, Gesù Cristo, che sempre rifiorisce col verde della sua immortale memoria. Gesù Cristo infatti è la verga che, dopo essere stata recisa dalla radice di Jesse (Cf. Is 11,1) rinverdisce con forza maggiore proprio dopo la sua morte.

Tutti questi elementi sono protetti da due Cherubini, vale a dire dalla purezza della scienza storica e spirituale. “Cherubino” infatti significa “la pienezza della scienza”. Essi proteggono in continuità il propiziatorio di Dio, e cioè la tranquillità della tua anima, e la custodiscono immune da tutti gli assalti degli spiriti malvagi. E così la tua mente, elevata fino a raggiungere non solo l’arca della divina Alleanza, ma pure il rango del regno sacerdotale, assorbita nella conoscenza della scienza spirituale per effetto dell’aspirazione derivata in lei dalla sua indefettibile purezza, adempirà il precetto rivolto al pontefice dal Legislatore: “Non uscirà dal santuario per non profanare il santuario di Dio” (Lv 21,12), ed è quanto dire, il suo cuore, nel quale il Signore promette di abitare costantemente, dicendo: “Abiterò in mezzo a loro e camminerò in mezzo a loro” (2 Cor 6,16).

Perciò occorre affidare con tutta diligenza alla nostra memoria e richiamare senza tregua il complesso delle Scritture.

Una tale continuità di meditazione ci apporterà un duplice frutto: anzitutto, che mentre l’attenzione della mente è occupata nella lettura e nell’apprendere quegli insegnamenti, necessariamente essa non sarà accattivata dai lacci dei pensieri nocivi; in secondo luogo, mentre noi ci sforziamo di assicurare quei passi alla nostra memoria, essendo però la nostra mente in quei momenti molto occupata, non riusciremo a comprenderli; in seguito però, una volta liberi da tutte le intrusioni delle occupazioni diurne, e soprattutto quindi durante la meditazione della notte, allorché in silenzio li richiameremo, riesaminandoli con maggiore chiarezza, è allora che ci si rivelerà l’intelligenza di quei passi così oscuri, che, nella veglia, non eravamo riusciti a percepire neppure con leggera supposizione, e proprio in quell’ora, pur essendo noi dediti al riposo della notte e come immersi nel torpore del sonno.

 

11. I molteplici sensi delle divine Scritture

Ne segue perciò che, per effetto di un tale studio e per il progresso della nostra mente, anche la visione delle Scritture comincerà a modificarsi e la bellezza d’una comprensione più profonda in un certo senso progredirà con il progredire della mente. Gli aspetti delle Scritture infatti si adattano alla capacità dell’intelligenza umana, e così appariranno terreni a chi è vittima della carne, e divini agli uomini spirituali, in modo che coloro, ai quali in precedenza quella visione appariva involuta per una certa nebbia brumosa, non saranno certo in grado di intuirne la sottigliezza e neppure di sostenerne il fulgore. E allora, affinché quanto io mi sto sforzando di costruire appaia più chiaro con il ricordo di qualche esempio, basterà riportare una sola testimonianza della Legge, per effetto della quale io possa dimostrare che pure tutti i precetti divini sono estesi a tutto il genere umano secondo la misura del nostro stato.

Così è scritto nella Legge: “Non fornicare” (Es 20,14). Questo precetto viene osservato salutarmente, secondo il semplice suono delle lettere, dall’uomo ancora in preda alle passioni vergognose. Ma da colui che già si è svincolato da questa condotta limacciosa e dalle affezioni impure, questo precetto sarà osservato con criterio spirituale, in modo da astenersi non solo dal culto degli idoli, ma anche dalle superstizioni praticate dai gentili, quindi dagli auguri, dalle divinazioni, dall’osservanza di tutti i segni, dei giorni e dei tempi; e questo in modo che egli non si lasci compromettere dalle congetture derivate da certe parole e da certi nomi, aventi per fine di guastare la sincerità della nostra fede. Si dice infatti che anche Gerusalemme si è macchiata per tale fornicazione, essendosi prostituita “in ogni luogo elevato e sotto ogni albero verde” (Ger 3,6)). Anche il Signore le rinfaccia questa colpa, dicendole per mezzo del Profeta: “Si presentino e ti salvino gli astrologi che osservavano le stelle, e ti pronosticavano ogni mese, osservandole, quello che ti sarebbe accaduto” (Is 47,13).

Anche altrove il Signore accusa il suo popolo di fornicazione, dicendo: “Uno spirito di fornicazione li ha ingannati, ed essi si sono prostituiti, allontanandosi dal loro Dio” (Os 4,12). Chiunque pertanto avrà evitato questa duplice fornicazione, dovrà evitarne pure una terza, indicata nelle superstizioni della Legge, tutte proprie del Giudaismo. Di esse così parla l’Apostolo: “Voi osservate giorni, mesi, stagioni e anni” (Gal 4,10), e ancora: “Così è prescritto: Non prendere, non gustare, non toccare” (Col 2,21). Senza dubbio queste parole sono state dette con riferimento alle superstizioni della Legge; se però qualcuno finisce per cadere in esse, certamente, una volta allontanatosi, così peccando, da Cristo, non meriterà di udire dall’Apostolo queste parole: “Io vi ho promesso a un unico sposo, per presentarvi quale vergine casta a Cristo” (2 Cor 11,2), e invece saranno dirette a lui, sempre dalla voce dell’Apostolo, le parole che seguono: “Io temo che, come il serpente nella sua malizia sedusse Eva, così i vostri pensieri vengano traviati dalla loro semplicità, che è in Cristo Gesù" (2 Cor 11,3).

Chi poi riuscirà ad evitare anche l’immondezza di questa fornicazione, potrebbe incorrere nella quarta, la quale si contrae, perpetrando l’adulterio tutto proprio della professione ereticale. Di essa così parla lo stesso Apostolo: “Io so che dopo la mia partenza entreranno fra voi lupi rapaci, che non risparmieranno il gregge; perfino in mezzo a voi sorgeranno alcuni a insegnare dottrine perverse per attirare discepoli dietro di loro” (At 20,29-30). E se qualcuno riuscirà ad evitare anche questa colpa, si guardi bene dal cadere in un peccato più sottile, nel vizio cioè di quella fornicazione che consiste nella divagazione dei pensieri, proprio perché ogni pensiero, non solo turpe, ma anche ozioso e, anche per poco, lontano da Dio, viene considerato dall’uomo perfetto come una impudentissima fornicazione».

 

12. Questione: com'è possibile dimenticare i poemi secolari

A questo punto io, turbato dapprima per una interna compunzione, e poi uscito in gravi gemiti, così presi a dire: «Questi rilievi, da ora abbondantemente espressi, mi hanno apportato un senso di scoraggiamento maggiore di quello provato fino al presente, e la ragione è questa: oltre quei richiami generici, propri dell’animo, dai quali non dubito che si lasciano attrarre gli spiriti ancora deboli, s’aggiunge un impedimento particolare ostile alla mia salvezza a causa di quella cultura letteraria, pur esigua, che mi sembra d’essermi procurata: per essa l’impegno del pedagogo e la mia dedizione alla lettura mi occuparono talmente che ora la mia mente, come pervasa da quei poemi, non fa che ripensare alle inezie di quelle favole e alle narrazioni di quelle guerre, del cui pascolo essa ebbe a nutrirsi fin da ragazzo nei miei primi studi; ed ora, nel tempo della preghiera, nella recitazione dei salmi e quando chiedo perdono per i miei peccati, mi sorprende la memoria indiscreta di quei poemi e mi si rappresenta quasi davanti agli occhi l’immagine di quei bellicosi eroi, sicché la visione di tali fantasmi, con le loro continue illusioni, non permette alla mia mente di aspirare alla contemplazione delle cose celesti al punto che non riesco neppure a ricacciarli via con pianti effusi ogni giorno».

 

13. Risposta: com’è possibile liberare la memoria dai vari intralci

Nestore: «Da questa stessa difficoltà, dalla quale sorge per te il maggiore ostacolo per uscirne fuori, potrà sortire ben presto il rimedio efficace, solo che tu trasferisca lo stesso costante impegno, da te dedicato agli studi profani, alla lettura e alla meditazione delle Scritture. Necessariamente infatti la tua mente sarà occupata dall’influsso di quei poemi per tutto quel tempo in cui con simile impegno e assiduità, essa non accoglierà in se stessa altri interessi, e così, in luogo di espedienti infruttuosi e terreni, produca frutti spirituali e divini. Una volta che tu riesca a concepire una tale progettazione e a nutrirtene in modo reale ed efficace, potrai ridurre sensibilmente i pensieri precedenti o addirittura cacciarli via del tutto. La mente dell’uomo non può rimanere vuota di ogni pensiero, e perciò, nel tempo in cui essa non è occupata da impegni spirituali, necessariamente rimarrà vincolata da quelli curati in precedenza.

Di fatto, per tutto il tempo in cui essa non avrà un altro fine, a cui dedicarsi in continuità, necessariamente riprenderà gli interessi coltivati fin dall’infanzia e così attenderà ancora a quei compiti, da essa curati con prolungata abitudine e riflessione. E affinché la scienza spirituale si rafforzi con saldezza perenne e di essa tu possa godere non solo per breve tempo, come coloro che t'attingono non per proprio impegno, ma per rapporti c quasi, per così dire, per respiro d’aria, affinché dunque tale scienza risulti, in un certo qual modo, inviscerata nei tuoi sensi, ti conviene attenerti con ogni cura al seguente comportamento: anche se in questo nostro incontro ascolterai cose che per avventura già ben conosci, non accoglierle con disprezzo e con fastidio per il solo fatto che già ti sono note, ma affidale al tuo cuore con quella avidità, con la quale le parole desiderabili della salvezza devono essere affidate alle nostre orecchie ed essere proferite continuamente dalla nostra bocca. Infatti, per quanto di frequente avvenga l’incontro con l’esposizione delle cose sante, per l’anima assetata della vera scienza mai la sazietà procurerà ripugnanza; essa, al contrario, accettando ogni volta quell’incontro come nuovo e desiderato, quanto più frequentemente ne avvertirà il contenuto, con tanta maggiore avidità l’ascolterà e ne parlerà, e dalla sua ripetizione riceverà conferma di quella scienza già da lei coltivata, anziché fastidio dalla sua frequente reiterazione. Risulta infatti indizio evidente di una mente tiepida e superba accogliere fastidiosamente e negligentemente la medicina delle parole salvifiche, anche se accompagnate dall’impegno di una eccessiva assiduità: “L’anima, che risulta già sazia, disprezza il miele; ma all’anima che si trova nel bisogno, anche le cose amare sembrano dolci" (Pr 27,7 LXX). Se dunque tali insegnamenti saranno accolti con diligenza, una volta nascosti e contrassegnati nell’intimo della tua mente e assicurati dal silenzio, in futuro, come certi vini soavemente olezzanti e allietanti il cuore dell’uomo, maturati dall’anzianità della meditazione e dalla longevità della pazienza, verranno riesposti e tirati fuori con il loro grande profumo dal fondo del tuo animo e, come una fonte perenne, fluiranno dalle vene dell’esperienza e dagli irrigui meati delle virtù, ed effonderanno onde continue come da un certo abisso del tuo cuore.

Avverrà infatti per te quello che nei Proverbi è detto per colui che aveva compiuto tutto questo con le sue opere: “Bevi l’acqua della tua cisterna e quella che zampilla dal tuo pozzo; le tue sorgenti scorrano per te al di fuori e i tuoi ruscelli si effondano nelle pubbliche piazze” (Pr 5,15-16 LXX); così pure Isaia: “Sarai come un giardino irrigato e come una sorgente, le cui acque non inaridiscono. Per tuo mezzo saranno riedificati i luoghi abbandonati da secoli e farai risorgere i fondamenti posti di generazione in generazione, e perciò sarai chiamato riparatore di siepi e restauratore di vie nella sicurezza” (Is 58,11-12). Sarà riferita a te la beatitudine promessa dallo stesso Profeta: “Il Signore farà in modo che non si allontani più da te il tuo maestro. I tuoi occhi vedranno il tuo maestro, i tuoi orecchi sentiranno questa parola dopo di te: Questa è la strada, percorretela senz’andare né a destra né a sinistra” (Is 30,20-21). Avverrà così che non solo ogni indirizzo e meditazione del tuo cuore, ma perfino tutte le divagazioni e le distrazioni dei tuoi pensieri si risolvano per te in un ripensamento santo e incessante della legge divina.

 

14. L’anima che non è pura non può offrire e nemmeno accogliere la scienza spirituale

È impossibile, come già ho avuto modo di dire, che possa conoscere e insegnare la scienza spirituale chi non ne ha fatto esperienza. E in realtà, se uno non è in grado neppure di accoglierla, come potrebbe comunicarla ad altri? Anche se egli presumerà di insegnarne qualche parte, senza dubbio le sue parole giungeranno inefficaci e inutili solo alle orecchie di quanti le ascoltano, ma non potranno penetrare nel loro cuore a causa della deficienza delle sue opere e della infruttuosità, tutta sua propria, della sua vanità, poiché il suo discorso non sorge dal tesoro d’una buona coscienza, ma dalla vana presunzione della sua ostentazione.

È impossibile infatti che un’anima, senza essere pura, riesca a raggiungere la scienza spirituale, nonostante si sforzi caparbiamente nella continuità delle sue letture. Di fatto, nessuno versa in un vaso maleodorante qualche unguento costoso o dell’ottimo miele o, comunque, qualche liquore prezioso. Infatti sarà più facile che un vaso, già pregno di un tanfo insopportabile, corrompa un profumo anche se odoratissimo, anziché sia il vaso ad accogliere da quel profumo qualche porzione di soavità e di gradimento, poiché ben più presto le cose monde vengono corrotte di quanto le corrotte siano purificate. E allora ne segue che il vaso del nostro cuore, se prima non viene purificato da ogni fetidissimo contagio dei vizi, non meriterà di accogliere quell’unguento di benedizione, di cui è detto per mezzo del Profeta: “È come l’olio sul capo, che scende sulla barba di Aronne, che scende sull’orlo della sua veste” (Sal 132,2), e neppure conserverà inalterata la scienza spirituale e le espressioni delle Scritture, le quali sono “più dolci del miele e di un favo di miele” (Sal 18,11). “Quale rapporto infatti può esservi tra la giustizia e l’iniquità, o quale unione tra la luce e le tenebre? Quale intesa tra Cristo e Belial”? (2 Cor 6,14-15. Belial (=nullità, inutilità) è parola ebraica per indicare gli idoli e satana)».

 

15. Obiezione: molti, che non hanno il cuore puro, posseggono la scienza; al contrario, molti santi non la posseggono

GERMANO: «La vostra illazione non ci sembra sorretta dalla verità e neppure sostenuta da ragione probabile. Ammesso infatti che tutti coloro che rifiutano la fede di Cristo o per lo meno la corrompono con l’empia deformità dei loro dogmi, risultano immondi di cuore, come va allora che molti tra i Giudei e tra gli eretici e perfino tra i cattolici, pur essendo avvolti tra molteplici vizi, hanno raggiunto una completa conoscenza delle Scritture e si vantano della loro dottrina spirituale, mentre un grande numero di uomini santi, il cui cuore è mondo da ogni contagio di peccati, soddisfatti della pietà derivata dalla semplicità della loro fede, ignora i segreti di una scienza più profonda? Come si regge allora questa vostra conclusione, che attribuisce la scienza spirituale unicamente alla purezza del cuore?».

 

16. I cattivi non possono possedere la vera scienza

NESTORE: «Non correttamente interpreta il valore della mia conclusione chi non pesa esattamente tutte le parole della illazione da me avanzata. Io ho dichiarato che quei tali possiedono soltanto la perizia e la facoltà di ben discorrere, ma non hanno la capacità di entrare nelle vene delle Scritture e nei segreti di quei sensi spirituali.

Infatti la vera scienza non è posseduta se non dai veri cultori di Dio, e non è certamente posseduta da quel popolo, a cui sono rivolte queste parole: “Ascolta, o popolo privo di senno! Pur avendo gli occhi, non vedete, e pur avendo orecchi, non udite!” (Ger 5,21), e ancora: “Tu hai rifiutato la mia scienza, e allora io rifiuterò te, affinché tu non eserciti il mio sacerdozio” (Os 4,6). E di fatto, poiché è detto che in Cristo “sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza” (Col 2,3), come potrebbe uno che ha avuto in disprezzo il cercare Cristo, oppure, dopo averlo trovato, lo bestemmia con bocca sacrilega, ovvero, sicuramente, contamina con le sue opere immonde la fede cattolica, come potrebbe far credere d’avere raggiunto la vera scienza? “Lo Spirito di Dio infatti rifugge dalla finzione e non abita in un corpo soggetto al peccato” (Sap 1,5 e 4). Ne segue dunque che alla scienza spirituale non si arriva, se non con il criterio delineato elegantemente dal Profeta con queste parole: “Seminate per voi secondo giustizia, e mieterete la speranza della vita; illuminate per voi il lume della scienza” (Os 10,12 LXX).

Anzitutto dunque noi dobbiamo seminare secondo giustizia, vale a dire, propagare la perfezione ascetica per mezzo delle opere della giustizia; quindi dovremo mietere la speranza della vita, vale a dire raccogliere i frutti delle virtù spirituali con il cacciar via i vizi carnali; e così potremo illuminare in noi il lume della scienza. Anche il salmista dichiara che si deve tener presente questo criterio: “Beati coloro che sono senza macchia nella loro via e che camminano nella legge del Signore. Beati coloro che scrutano le sue testimonianze" (Sal 118,1-2). Egli non disse prima: “Beati coloro che scrutano le sue testimonianze”; al contrario, prima dichiara: “Beati coloro che sono senza macchia nella loro via”, dimostrando con queste parole che nessuno può giungere a scrutare le testimonianze di Dio rettamente, se prima non cammina senza macchia nella via di Cristo, attenendosi ad una vita ascetica. Coloro dunque, dei quali voi mi avete parlato, non sono in grado di possedere questa scienza, negata a quanti non sono puri; essi possiedono una scienza pseudónumon, vale a dire una scienza di falso nome, della quale così parla il beato Apostolo: "O Timoteo, custodisci il deposito, evitando le novità profane di certe voci e le obiezioni d’una scienza di falso nome" (1 Tm 6,20), il che in greco cosi suona tàs antithéseis tês pseudónumon gnóseos.

Dì costoro dunque, i quali sembrano in grado di acquistare qualche apparenza di scienza, oppure di coloro che insistono premurosamente nella lettura dei testi sacri e nel ricordare le Scritture, e tuttavia non rinunciando ai vizi della carne, è detto elegantemente nei Proverbi: “Quale è un anello d'oro al naso d'un suino, tale è la bellezza per una donna di mala vita" (Pr 11,22 LXX). Infatti che cosa giova ad uno possedere l’ornamento delle elocuzioni celesti e la bellezza preziosissima delle Scritture, se poi, assentendo ad opere immonde e ai suoi propri sensi, si mette tutto sotto i piedi come una terra luridissima, e tutto imbratta con le brutture fangose delle sue libidini? Avverrà allora che egli non solo non potrà adornare quello che solitamente torna di decoro a quanti ne usano rettamente, ma, in più, egli lo renderà abbruttito con le sozzure del suo assai sordido fango. “Non è bella la lode che esce dalla bocca del peccatore” (Sir 15,9), e a lui così è detto per mezzo del Profeta: “Perché vai ripetendo i miei decreti e hai sempre in bocca la mia alleanza?” (Sal 49,16). Di tali anime, le quali, non possedendo il timore di Dio, - di esse, infatti, è detto: “Il timore del Signore è scienza e sapienza * (Pr 15,33 LXX) -, si sforzano comunque di penetrare il senso delle Scritture con una continua meditazione, così è detto con sufficiente proprietà nei Proverbi: “A che serve il danaro in mano dello stolto? L’uomo privo di intelligenza non potrà possedere la sapienza » (Pr 17,16 LXX).

La scienza vera e spirituale è talmente lontana da codesta erudizione secolare, inquinata dalla sordidezza dei vizi carnali, da doverla talvolta riconoscere presente, da parte nostra, in alcuni, i quali sono senza pratica di eloquio e pressoché illetterati. E questo risulta, con tutta evidenza, vigente negli apostoli come pure in molti santi uomini, i quali non si esaltavano, (come certi alberi), per il loro inutile fogliame, ma si incurvavano sotto il carico dei reali frutti della loro scienza spirituale. E di essi che così è scritto negli Atti degli Apostoli: “Vedendo la franchezza di Pietro e di Giovanni, e considerando che essi erano senza istruzione e popolani, rimanevano stupefatti” (At 4,13). Perciò, se ti sta a cuore di assaporare quella incorruttibile fragranza, procura anzitutto di ottenere con ogni sforzo dal Signore la purezza della castità. Nessuno, in cui domini ancora l’affezione delle passioni carnali, e specialmente della fornicazione, potrà possedere la scienza spirituale. “In un cuore buono risiederà la sapienza” (Pr 14,33), e ancora: “Chi teme il Signore, troverà la scienza con la giustizia” (Sir 32,20).

Anche il beato Apostolo insegna che si giunge alla scienza spirituale con l’ordine da me in precedenza indicato. Infatti, volendo comporre non solo l’ordine di tutte le sue virtù, ma anche il loro ordine successivo, e cioè sia la virtù che succedeva alla precedente, ma anche quella da essa immediatamente originata, così conclude: “Nelle veglie, nei digiuni, nella castità, nella scienza, nella longanimità, nella mansuetudine, nello Spirito Santo, nell’amore sincero” (2 Cor 6,6); con questa elencazione egli intese comprendere con tutta evidenza che dalle veglie e dai digiuni si giunge alla castità, dalla castità alla scienza, dalla scienza alla longanimità, dalla longanimità alla mansuetudine, dalla mansuetudine allo Spirito Santo, dallo Spirito Santo al premio dell’amore sincero. E allora, siccome per mezzo di questa disciplina e con quest’ordine tu pure giungerai alla scienza spirituale, certamente possederai, come già ho asserito, una dottrina, non sterile e incerta, ma vivida e ricca di frutti, e così il germe della parola salvifica, da te estesa al cuore di quanti ti ascolteranno, sarà assai largamente fecondata dalla rugiada dello Spirito Santo, secondo quanto ebbe a promettere il Profeta: “Sarà concessa la pioggia alla tua semente in qualunque terra tu l’abbia seminata, e il pane prodotto dalle messi della tua terra, sarà per te abbondantissimo e sostanzioso” (Is 30,23).

 

17. A chi deve essere rivelata la via della perfezione

C’è di più. Quanto tu avrai appreso dalle tue letture e dalla tua operosa esperienza, allorché l’età più matura ti avrà posto nell’occasione di dover insegnare agli altri, guardati bene, una volta sedotto dall’amore della vanagloria, dal diffonderlo qua e là a uomini indegni per la vita da essi condotta, in modo da non incorrere nella colpa così indicata dal sapientissimo Salomone: “Non condurre l’empio nei pascoli del giusto e non lasciarti adescare dalla sazietà del ventre” (Pr 24,15 LXX). Infatti “allo stolto non convengono le delizie” (Pr 19,10 LXX), e “non v’è bisogno di sapienza, dove non v’è l’intelligenza, perché vi si fa mostra della insipienza" (Pr 18,2 LXX). “Il servo refrattario non si corregge a parole; anche se comprenderà, si rifiuterà di obbedire” (Pr 29,19 LXX). E ancora: “Non parlare agli orecchi di uno stolto, affinché egli non disprezzi le tue sagge parole” (Pr 23,9), come pure: "Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino con le loro zampe e poi si voltino a sbranarvi” (Mt 7,6).

Occorre dunque nascondere a uomini tali i misteri dei sensi spirituali, in modo che tu possa cantare efficacemente: “Ho nascosto le tue parole nel mio cuore per non offenderti con il mio peccato” (Sal 118,119).

Ma tu forse mi obietterai: Ma allora a chi devono essere dichiarati i misteri delle divine Scritture? Ti risponderà il sapientissimo Salomone: “Date bevande inebrianti a chi è nella tristezza, e vino a chi ha l’amarezza nel cuore, affinché dimentichino la loro povertà e non ricordino più le loro pene” (Pr 31,6-7 LXX), ed è quanto dire: “Offrite abbondantemente la giocondità della scienza spirituale, come vino che allieta il cuore dell’uomo” (Sal 103,15), a coloro, i quali si sentono dolorosamente e tristemente depressi per il pentimento del loro passato comportamento; voi dovete rianimarli col versamento della vostra parola salutare, affinché, disanimati come forse sono dalla continuità del dolore e da un mortale avvilimento, “quanti si trovano in quello stato, non soccombano sotto un dolore troppo forte” (2 Cor 2,7). Invece, per coloro che, fermi ormai nella loro tiepidezza e nella loro negligenza, non sono morsi da nessun dolore del loro cuore, così viene detto: “Colui che vive nelle dolcezze e senza dolore, soffrirà la povertà” (Pr 14,23 LXX). E allora, con la maggiore cautela che ti è possibile, evita di lasciarti prendere dall’amore della vanagloria, così da non essere escluso dalle lodi rivolte dal Profeta a colui “che presta danaro senza fare usura” (Sal 14,5). Infatti, chiunque dispensa le perle di Dio, delle quali è detto: “I detti del Signore sono puri, argento raffinato nel crogiuolo, purificato sette volte” (Sal 11,7), per amore delle lodi umane, eroga ad usura il proprio danaro e così, non solo proprio per questo, non meriterà alcuna lode, quanto piuttosto la punizione. Di fatto egli ha preferito disseminare il danaro del Signore per assicurarsi con quel mezzo un compenso temporaneo, e non perché il Signore, come sta scritto, “ritornando, potesse ritirare il suo danaro con interesse” (Mt 25,27).

 

18. Le cause che rendono infruttuosa la dottrina spirituale

Per due cause risulta inefficace la dottrina delle cose spirituali. Infatti, o colui che insegna si sforza di istruire il proprio uditore, comunicando però le cose senza esperienza e solo col suono delle sue parole, oppure, e senza dubbio, l’uditore, uomo perverso e pieno di vizi, non è in grado di percepire nel suo cuore del tutto sordo la dottrina santa e salutare da parte di quell’uomo spirituale. Di gente simile così è detto per mezzo del Profeta: “Il cuore di questo popolo si è accecato ed è divenuto duro d’orecchi; ha chiuso i suoi occhi per non vedere con i suoi propri occhi, e non intendere con le sue proprie orecchie, in modo che il suo cuore non comprenda e così non si convertano, ed io non li possa guarire” (Is 6,10 LXX).

 

19. Per lo più anche gli indegni ricevono la grazia di parole salutari

Tuttavia, talora, la generosa liberalità di Dio, nostro benefattore, “il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità” (1 Tm 2,4), dispone che proprio colui che non si è reso degno di predicare il vangelo con una vita irresponsabile, acquisti la grazia della dottrina spirituale in vista della salvezza di molti. In quali modi pertanto siano concessi perfino i carismi delle guarigioni, affinché dal Signore siano cacciati via i demoni, è evidente che noi dovremo esaminarli in una trattazione simile a questa, da riservare per la serata, dopo che avremo provveduto per la nostra refezione, poiché è pur vero che con la mente si riceve sempre più efficacemente tutto quello che ci viene impartito gradatamente e senza affaticare eccessivamente il nostro corpo».

 


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30 maggio 2016                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net