CAPITOLO SESTO

IL PROBLEMA DELLA FEDE:

I TRE ATTEGGIAMENTI DEI SAGGI

estratto da " L'UOMO SECONDO LA BIBBIA" - A. Gelin - Edizioni Ligel 1968

(Libera traduzione del testo francese)

(Link al file PDF)


 

L’esposizione di questo capitolo riguarda il problema della fede, poiché l'uomo biblico si definisce tramite la fede.

I. L'UOMO BIBLICO SI DEFINISCE TRAMITE LA FEDE

La fede, è il gesto verticale. La Bibbia ci abitua a questo “gesto verticale„, fino nelle situazioni d'emergenza in cui, così spesso, noi vediamo i personaggi biblici.

1. I due aspetti della fede.

La fede si presenta sotto due aspetti, nella Bibbia: l'aspetto sicurezza e l'aspetto slancio.

a) L'aspetto sicurezza. Questo aspetto è tradotto dalla radice ebraica émét. La parola veritas (verità), che ritorna così spesso nella liturgia, traduce abbastanza male émét„. Émét significa solidità: mi appoggio su Dio come su una realtà solida, non su una tavola marcita. Io ho la fede, io mi chiamo un fedele (êmoun): colui che si appoggia su… La parola Amen che appartiene alla stessa radice, significa: è solido! e perciò, è vero!

b) L'aspetto slancio. Quest'ultimo è particolarmente sottolineato nel salterio. Cento volte vi si trova la parola batah che vuole dire avere fiducia, fidarsi di; parola molto più dinamica di “émét„ che evoca piuttosto il riposo, “batah„ corrisponde a “fiducia„ in latino (= fiducia). Prendiamo l'esempio del salmo 131 (130). Si tratta di un “povero„ che, arrivato alla fine delle sue esperienze, non fa più il malvagio e si è affidato a Dio “come un bimbo in braccio a sua madre„. Si percepisce questo slancio di qualcuno che non è smaliziato: un “bimbo„ sul seno di sua madre non è smaliziato. “Batah! „

La fede è ciò nella Bibbia: questa sicurezza e questo slancio.

2. La fede si rivolge al Dio dell’Alleanza.

La fede si rivolge non al Dio dei filosofi, ma al Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, questo Dio che ha viscere, questo Dio che si implica nel divenire umano, questo Dio che si interessa a noi, che corre dietro all'umanità, il Dio delle prodezze, che “è sicuramente tra di noi„!

Ed a questo proposito è interessante certamente osservare questo antichissimo testo inserito nel Deuteronomio (voi sapete che i libri biblici si portano dietro spesso del materiale antico, ed abbiamo probabilmente qui uno dei più vecchi brani della Bibbia). Si tratta della preghiera che l'Israelita pronuncia portando il suo canestro di primizie, non al santuario di Gerusalemme, ma in questi santuari di campagna in cui un levita riceve i suoi doni. È estremamente sorprendente vedere come si presenta questo Credo (poiché questo è). Il Credo è un atto di fede nelle gesta di Yahvé: Yahvé in procinto di agire, o che ha finito di agire, che agisce nel passato. Occorre peraltro leggere tutto il pezzo, con il suo inquadramento che noi non citeremo: vi si ritrova, undici volte sottolineata, l'espressione “Yahvé tuo Dio„; non è un altro, non Baal, ma Yahvé tuo Dio che ti dona i frutti del suolo, non uno qualunque! Si sente con ammirazione, attraverso questo testo, l'azione levitica: sono loro, i leviti che hanno tessuto la rete yahvista in Israele. Ma ascoltiamo l'antico Credo:

Ti presenterai al sacerdote in carica in quei giorni e gli dirai: “Io dichiaro oggi al Signore, tuo Dio, che sono entrato nella terra che il Signore ha giurato ai nostri padri di dare a noi”.

Il sacerdote prenderà la cesta dalle tue mani e la deporrà davanti all’altare del Signore, tuo Dio, e tu pronuncerai queste parole davanti al Signore, tuo Dio:

“Mio padre era un Arameo errante; scese in Egitto, vi stette come un forestiero con poca gente e vi diventò una nazione grande, forte e numerosa. Gli Egiziani ci maltrattarono, ci umiliarono e ci imposero una dura schiavitù. Allora gridammo al Signore, al Dio dei nostri padri, e il Signore ascoltò la nostra voce, vide la nostra umiliazione, la nostra miseria e la nostra oppressione; il Signore ci fece uscire dall’Egitto con mano potente e con braccio teso, spargendo terrore e operando segni e prodigi. Ci condusse in questo luogo e ci diede questa terra, dove scorrono latte e miele. Ora, ecco, io presento le primizie dei frutti del suolo che tu, Signore, mi hai dato”. (Dt 26,3-10).

Ecco il Credo Israelita! Questo Credo si rivolge esattamente a questo Dio che ha realizzato l'epopea di Israele, che ha compiuto la “redenzione„, cioè l'uscita dell'Egitto. Non dimentichiamo questa caratteristica assolutamente essenziale: che l'Esodo è al centro della pietà di Israele (vedere ancora Sal 81 e 95).

3. Il Dio al quale ci si rivolge può essere raggiunto attraverso dei segni.

Attraverso dei segni, è il Dio Salvatore che si interessa oggi a noi. Questi “segni della fede„ non mancano. Ne siamo circondati fino al momento in cui il Salmo 74, composto durante l'Esilio, dirà tristemente: “Non abbiamo più visto i nostri segni„ (Sal 74,9). Quali sono dunque i suoi segni permanenti?

- È il Tempio, nel quale si rivive ogni anno l'epopea dell’Alleanza; il Tempio che è come il centro della terra (Ez 38) dove Yahvé ha fatto abitare il suo nome (Ger 7).

- È la Regalità teocratica che è stata scelta dal profetismo, dunque da parte di Yahvé (Sal 2,6).

- È la Storia che ci conduce a lui, che è il suo “sacramento„.

- È la Torah, parola viva di Dio.

- Sono ancora le stagioni nella loro stabilità, poiché da quando Yahvé ha arrestato l'azione del suo “arco„ (l'arcobaleno), ed ha depositato la sua macchina per le frecce (= lampi), gli uomini raggiungono Dio (Gn 8,22; At 14,17). In misura maggiore è “il segno della Creazione„ che permette questo dialogo (At 17,26; Rm 1,20).

Questi segni sono permanenti. Ce ne sono altri, ovviamente, che ci svelano il Signore, dei segni che, a volte, non sono enunciabili, che spesso sono chiari soltanto per colui che li riceve, ciò che si chiama nel Vecchio Testamento un ôt, un segno. E questo segno la cui varietà è infinita darà inizio ad un incontro, ad esempio: Samuele dà un segno a Saul nel nome di Dio (1 Sam 9 e 10). Il segno, sarà per Elia una brezza leggera, grazie alla quale un’anima attenta raggiunge Dio. Il segno, dice Giobbe, è il grano che tu fai crescere. Il segno, sono le fasce di un bambino: gli Angeli le diedero come tali ai pastori di Betlemme, per incontrare Dio. Che sia nel Vecchio o nel Nuovo Testamento, tutto è occasione di “gesto verticale„.

4. Gli eroi della fede.

a) Abramo. Per tutta la Bibbia, resterà il “Padre dei credenti„. Abramo è colui che, nelle situazioni più inattese, le più rudi (le più assurde, dice Kierkegaard nel suo libro Timore e Tremore) ha sempre creduto in Dio. “Abramo credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia„. È il famoso testo (Gn 15,6) tramite il quale san Paolo ha collegato tutto il cristianesimo, nella sua vita profonda, ad Abramo.

Abramo la cui l'avventura di credente è stata ben riassunta nella Lettera agli Ebrei, capitolo 11. Abramo è pressoché tranquillo, vive laggiù in Oriente, l'Oriente civilizzato. Non è al centro stesso della civilizzazione, ma è ai margini delle città, nell'immediato sobborgo di Ur o di Haran. Ed ecco che il Signore gli dice: “Vattene dalla tua terra! diventa nomade, va’ all'avventura! „ Abramo credette. E mentre conduceva questa vita avventurosa, nella “terra delle dimore„, come riporta il documento P, cioè la terra dove non si pone la propria dimora, dove non ci si stabilisce, Yahvé gli promise un erede, poiché deve diventare il padre di una grande nazione. E questa promessa è ancora donata alla sua fede: “Sono troppo vecchio per vivere l'avventura del padre di famiglia e Sara è ancora più vecchia, ha novanta anni„. Ridono tutti e due, soprattutto Sara. Questo riso di Abramo ha dato ben fastidio ai rabbini: è uno riso di soddisfazione, non d'incredulità, dicevano. Abramo credette dunque ed ebbe un figlio, l'erede.

Situazione difficile: correre i rischi del padre di famiglia a quest'età! (Io prendo il testo così come è, non razionalizzo). Ma ecco che quest'erede (situazione ancora più pesante), deve essere sacrificato; Abramo è invitato a sacrificarlo (seguiamo la Lettera agli Ebrei): è un’intimazione divina, un'ispirazione che gli viene, come uno stimolo religioso, in questo paese in cui si sacrificano i primogeniti. Ed egli si arrende, credendo contro ogni speranza; e suo figlio gli è restituito.

Tale è la fede di Abramo: si capisce, di conseguenza, come sia stata una fede “tipica„. Si rimane fedeli nell’osservarla, nel mantenerla: Gn 15,6 non è stato scritto al tempo di Abramo, ma al tempo della tradizione Yahvista, verso il secolo prima di Gesù Cristo.

b) Isaia. Noi abbiamo scelto Isaia, tenendoci sullo stesso terreno che per Abramo. Si tratta di una fede che non è un affare personale (nel senso che, per l'eroe della fede, sarebbe questione del suo proprio destino), si tratta del destino del popolo. La loro fede si proietta là: Abramo è un “padre„, Isaia è un profeta, un commentatore dell'evento, si dovrebbe anche dire uno “scatenatore„ dell'evento. Isaia è il “profeta della fede„, poiché Abramo è il “padre dei credenti„. Lo slogan di Isaia? Eccolo: “Se non credete, non resterete saldi„ (Is 7,9 b). Senza credere, non c’è vita! E la fede, per lui, consiste nell’abbandonare tutti i sostegni che avrebbero reso la vita nazionale comoda; ed a girarsi verso ciò che egli chiama: “le acque che scorrono piano (a Sion)„ (Is 8,6), queste acque di Siloe, simbolo di Yahvé. La fede, significa ancora girarsi verso questo Tempio, ben modesto dopo tutto, dove si trova una “pietra„ piena di istruzioni per i credenti.

Perciò ascoltate la parola del Signore,
uomini arroganti,
signori di questo popolo che sta a Gerusalemme.
Voi dite: «Abbiamo concluso un’alleanza con la morte,
e con gli inferi abbiamo fatto lega.
Il flagello del distruttore, quando passerà,
non ci raggiungerà,
perché ci siamo fatti della menzogna un rifugio
e nella falsità ci siamo nascosti».
Pertanto così dice il Signore Dio:
«Ecco, io pongo una pietra in Sion,
una pietra scelta,
angolare, preziosa, saldamente fondata
(Is 28,14-16).

Ma cosa c’è scritto su questa pietra, o meglio, quale è il suo nome? “Chi crede non si turberà„ (Is 28,16). Sempre questo “slogan„ della fede da Isaia.

Avere la fede è cosa molto buona! Ma vedremo Isaia in situazioni così critiche come Abramo? Si è trovato in queste situazioni! E’ successo nei giorni più tristi della storia di Israele, prima del grande assedio del 587; siamo nel 701: Giuda si era ridotto sempre più, gli eserciti assiri assediavano Gerusalemme al punto che la caduta era imminente. Gli emissari del re d’Assiria venivano fino ai piedi delle mura, deridendo le persone che, dicevano, erano ridotte a mangiare i loro escrementi ed a bere “l'acqua dei loro piedi„ (cioè la loro urina). È in questo momento che la fede di Isaia si esalta. Ecco ciò che dice Yahvé riguardo al re di Assur:

Non entrerà in questa città, proteggerò questa città per salvarla, per amore di me e di Davide mio servo

(Is 37,33-35).

È un grande momento quello in cui, nella durezza della situazione, la fede fa il suo gesto verticale.

5. La fede nell'uomo alle prese con il suo destino.

Abbiamo preso come modelli di fede, Abramo ed Isaia, che erano degli eroi nazionali, padri del popolo. Prendiamo ora la fede nell'uomo alle prese con il suo destino.

a) Giobbe e la sua fede. Non importa sapere se il libro di Giobbe è storico o non storico, di chiedersi se ci sia stato, sui confini di Édom, una specie di Beduino arricchito, denominato Giobbe! Il personaggio Giobbe, così come è descritto nel libro di Giobbe, è soprattutto una figura letteraria dei “poveri„; è in questa luce che prende tutto il suo significato.

Successivamente il Giobbe del poeta biblico ha perso i suoi beni e la sua famiglia. Gli è lasciata soltanto sua moglie: e, come spesso nella Bibbia, ella è là per stimolarlo anziché alleviarlo. Gli è stata tolta la propria salute: ha contratto non so che tipo di elefantiasi. Egli ha perso la sua reputazione… ha perso anche la sua “teologia„, cioè quest'ultimo appoggio che ci permette di comprendere qualcosa di ciò che ci succede. Ha perso la sua teologia, la teologia imperfetta dell'epoca che collega in accoppiata: peccato-sofferenza, virtù-felicità. No! Dice Giobbe, io non ci capisco nulla! Egli ha perso quest'ultimo appoggio: eccolo allora assolutamente nell'assurdo, nella durezza di una situazione senza uscita.

Cosa fa dunque? Egli ritrova la fede, la fede pura, che è adesione a Dio, a Dio stesso, a Dio intravisto senza i segni, senza le consolazioni, senza le retribuzioni di Dio: “Ipsissimus Deus!„ Dio stesso, nulla al di fuori di lui! Egli ha salvato la religione, ha salvato la fede. Il capitolo 42 ce lo mostra, infine “sfinito„, silenzioso. “Ho davvero molto chiacchierato, ho detto delle bestialità! Ed ora io taccio!„

Davvero ho esposto cose che non capisco, cose troppo meravigliose per me, che non comprendo …. Perciò mi ricredo e mi pento sopra polvere e cenere (Gb 42,1-6).

b) E questa fede di Giobbe, è la fede dei “poveri di Yahvé„, esattamente la stessa. Leggete ad esempio il Salmo 88: voi vedrete questa fede, questa fede del “tipo„ che non ne può più, che non ha più una speranza, che “bestemmia„. Ma se non avesse più fede del tutto, costui tacerebbe. No! occorre che egli gridi. Se grida, è per essere ascoltato. Il “sangue di Abele„ si esprime, grida! Occorre leggere ancora i salmi 131,73… tutta questa platea, tutta questo seguito infinito (1).

II. L'ITINERARIO DEI SAGGI DI ISRAELE

Noi attribuiamo molta importanza a questa seconda parte che ci farà penetrare nel segreto della fede di Israele attraverso una specie di contro-prova: esamineremo il comportamento abbastanza curioso di questi Saggi di Israele che si sono convertiti sempre più perfettamente alla fede dell’Alleanza. Proviamo a ripercorrere questo curioso itinerario in tre tappe.

1. Prima tappa: i Saggi prima dell'esilio.

I Saggi (hakamim) sono coloro che eccellono nel “consiglio„ (esa) (Ger 18,18), cioè nell'impiego della loro ragione. Hanno fatto le loro scuole. Per capirli occorre evocare il loro clima originario, quest'atmosfera di “università„, che si trova attestata, fin dall'anno 3.000 tanto in Egitto che nel Sumer; in quest'ultimo paese, esistevano delle “università„ laiche e delle “università„ annesse ai templi.

a) Vi si apprendeva principalmente a “fare carriera„. In Egitto, tutti i funzionari dello Stato passavano per queste scuole. Si poteva allora diventare intendente, capo dei lavoratori, collettore di imposte, messaggero, ambasciatore. Si imparavano molte lingue e le persone uscite da queste scuole erano gli agenti designati dei rapporti internazionali.

b) Di fronte ai problemi umani, c'era una morale umanistica che si approfondiva e che ci si trasmetteva. Poiché la morale non è un monopolio biblico, il Decalogo stesso è in rapporto con una morale internazionale, una morale umana. È ancora un’altra cosa il Decalogo: esso è, certamente, la legge di una nazione che è in gestazione, che ha bisogno di avere il suo ritmo, le sue leggi sacre, ma c'è nel Decalogo stesso, la consacrazione di una morale internazionale.

c) L'insegnamento infine era religioso. Si parlava della “divinità„. A volte anche con aspetti monoteistici: il dio, si diceva…

d) Ovviamente si sapeva scrivere: si diventava scriba (sopher). Ed anche, quando si avevano prese delle lezioni in Canaan, si sapeva scrivere più rapidamente che altrove. Lo scriba cananeo (dunque pre-Israelita) si chiamava “scriba agile„, scriba rapido. Ed era così tanto un elogio che gli scribi egiziani avevano fatto passare questo termine nella loro lingua, l’avevano trascritto tale e quale, senza tradurlo. Lo “scriba agile„ era una merce d'esportazione. Al tempo dei Cananei, prima dell'arrivo di Israele (si era ancor più civilizzati allora che al tempo di Israele), una città si chiamava Kiriat-Sefer, “Città del libro„ (kiryat = la città, Cf. Cartagine: la città nuova); o forse: “Città dello scriba„ (Gs 15,15).

È presso i Saggi che la sovranità nascente di Israele cercherà i suoi funzionari. I Saggi furono i costruttori dello Stato Israelita. Si vede alla corte di Davide una scriba d'origine babilonese. Occorre rinunciare a quest'idea che al tempo di Davide ci fosse una qualunque forma di “razzismo„ in Israele; c'era un miscuglio di popolazioni (la “razza ebraica„, è ancora un'invenzione di Hitler). Dopo l'esilio, sì, ad un certo momento, ci fu un'esperienza di razzismo a base religiosa, ma non al tempo di Davide. La sovranità Israelita si costruisce apparentemente sul tipo amministrativo egiziano.

Gli “scribi„ sono “religiosi„ certamente, ma come è stato preavvertito prima, essi non prenderanno la loro ispirazione profonda nella tradizione sacrale: sono degli yahvisti “grossolani„, oserei  dire. Sì o no, costruiremo uno Stato? Se si costruisce uno Stato occorre un esercito professionale: e Davide andrà a cercare il nocciolo del suo esercito presso i Filistei. E poi, si costruiscano fortezze, si formi una flotta, ci si prepari alla guerra, si leghino alleanze, il re abbia molte donne per avere molti figli e sposarli nelle corti vicine o lontane. Questa è politica! I Saggi sono dei politici, degli astuti. E la saggezza, al tempo di Davide e di Salomone, potrebbe tradursi spesso con: abilità, abilità politica, o anche astuzia politica. Essere saggio, significa essere uno scaltro, non implicitamente un uomo morale.

Di conseguenza la tensione non può mancare di prodursi: ci sarà battaglia tra la tradizione sacrale e la tradizione umanista ed internazionale dei Saggi. Questa saggezza è un “corpo estraneo„ da “digerire„. Chi sarà il “digerente”?

Vediamo dapprima come la si combatte. Ascoltiamo soprattutto Isaia e poi Geremia.

- Isaia non può “soffrire„ i Saggi. La parola “saggezza„ che si trova in ogni concordanza, è particolarmente ricca di significati peggiorativi. Quando egli parla dell'Egitto, la patria dei Saggi, dei burocrati, bisogna ascoltare Isaia che li attacca con violenza:

Quanto sono stolti i prìncipi di Tanis!

I più saggi consiglieri del faraone formano un consiglio insensato.

Come osate dire al faraone:

«Sono figlio di saggi, figlio di re antichi»?

Dove sono, dunque, i tuoi saggi?

Ti rivelino e manifestino

quanto ha deciso il Signore degli eserciti

a proposito dell’Egitto.

Hanno fatto traviare l’Egitto

i capi delle sue tribù.

Il Signore ha mandato in mezzo a loro

uno spirito di smarrimento

 (Is 19,11-14).

E’ una critica non soltanto dei saggi lontani, ma di quelli che ha sotto gli occhi. Poiché c'è una lotta tra lui, Isaia, che vorrebbe essere l' “Eminenza grigia„ del re e gli altri che sono là, alla corte, e che il re finisce sempre per seguire. Il re Achaz fa un’ispezione dei suoi canali per vedere se ci sarà acqua in caso di assedio. Inutile, dice Isaia : “Se non credete, non sopravviverete„ (Is 1,9 b).

Guai a voi, figli ribelli

– oracolo del Signore –

che fate progetti senza di me,

vi legate con alleanze che io non ho ispirato,

così da aggiungere peccato a peccato.

Siete partiti per scendere in Egitto

senza consultarmi,

per mettervi sotto la protezione del faraone

e per ripararvi all’ombra dell’Egitto.

La protezione del faraone sarà la vostra vergogna

(Is 30,1-3).

- Geremia avrà gli stessi accenti. “Chi vuole fare il saggio? che ascolti me, Yahvé!(Vedere Ger 8,8-9 e 9,22-23.) Noi vediamo dunque dove san Paolo ha preso questo tema di 1 Cor 1 che gli è caro: “Dove è il saggio?„

 

- Il tema del cavallo. Ma, attraverso una “parabola„ biblica, proviamo a vedere ciò che era in gioco in questa lotta.

La prima volta che si incontrò il cavallo, fu dalle parti di Asor nel nord della Palestina, al tempo in cui Giosuè combatteva per la conquista (Gs 11). Armato della fede, si guadagnò la vittoria. La guadagnarono così tanto bene, che si catturarono carri e cavalli. Il cavallo era introdotto nel Vicino Oriente fin dall'anno 2000. E gli Israeliti, in ritardo sulla civilizzazione, nel XIII° secolo prima di Gesù Cristo non avevano che i loro piccoli asini grigi. Cosa fare di questi cavalli? L'oracolo di Yahvé consultato dice loro: “Tagliate i loro garretti„. Si tagliarono dunque i garretti dei cavalli.

Ma ci si civilizzò ben in fretta. Qualche tempo dopo, sotto Salma (Cf. 1 Cr 2,10-11: Ndt), si fecero grandi stalle per i cavalli, non ci si immaginava più un re che uscisse senza l’apparato della propria cavalleria. Sulle frontiere, si disposero delle stazioni (militari) di cambio dei cavalli, che si chiamavano: “recinti per cavalli„. I re si affidavano ai cavalli!

Non sempre tuttavia! Un vecchio salmo, il Salmo 20, ci fa ascoltare la preghiera del re che è sicuro di Yahvé, un buon re, il re secondo l’Alleanza:

Ora so che il Signore dà vittoria al suo unto (“consacrato” nella Bibbia CEI. Ndt) (2),

gli risponde dal suo cielo santo

con la forza vittoriosa della sua destra.

Chi fa affidamento sui carri, chi sui cavalli:

noi invochiamo il nome del Signore, nostro Dio.

Quelli si piegano e cadono,

ma noi restiamo in piedi e siamo saldi.

Da’ al re la vittoria, Signore;

rispondici, quando t’invochiamo. (Sal 20,7-10).

 

Bene! è un momento di preghiera. Ma in pratica? Nella pratica, la abbiamo visto, ci si affida ai cavalli. Ed il cavallo è soltanto un simbolo dell'appoggio puramente umano. Ma i profeti sono là, custodi della tradizione sacrale (3), custodi della fede.

Ecco ciò che dice Osea, nella preghiera che mette in bocca ad Israele:

Assur non ci salverà,

non cavalcheremo più su cavalli,

né chiameremo più “dio nostro”

l’opera delle nostre mani,(Os 14,4).

L'idolatria, le alleanze, i cavalli, tutto ciò si mantiene. Il cavallo è un simbolo! Il Salmo 33 che appartiene alla tradizione sacrale (posteriore tuttavia alla grande epoca) esclama:

Un’illusione è il cavallo per la vittoria,

e neppure un grande esercito può dare salvezza.

Ecco, l’occhio del Signore è su chi lo teme, (Sal 33,17-18).

Ecco ancora una serie di consigli al re, che ci riporta il Deuteronomio, un libro levitico che sfrutta la tradizione sacrale: il re deve essere nelle mani dei leviti, il re deve fare tutti i giorni la sua “orazione„ nella Torah, il re non deve essere troppo avido di danaro, né avere troppe donne (simbolo della potenza), né troppi cavalli… Eccoci: il cavallo, tema simbolico! (Dt 17,14-20).

Ed Isaia, infine, dirà queste cose meglio ancora, nel suo splendido poema del capitolo 2,12-16:

Poiché il Signore degli eserciti ha un “giorno”

contro ogni superbo e altero,

contro chiunque si innalza, per abbatterlo,

contro tutti i cedri del Libano alti ed elevati,

contro tutte le querce del Basan,

contro tutti gli alti monti,

contro tutti i colli elevati,

contro ogni torre eccelsa,

contro ogni muro fortificato,

contro tutte le navi di Tarsis (4)

e contro tutto ciò che affascina gli occhi (“tutte le imbarcazioni di lusso”. Secondo Bibbia CEI. Ndt) (5).

Sarà piegato l’orgoglio degli uomini,

sarà abbassata l’alterigia umana.

Tali sono dunque i Saggi: degli yahvisti “grossolani„, possiamo dire.

2. Seconda tappa: L'esilio e la conversione dei Saggi.

Siamo all'esilio. Attorno al re (re che non è troppo trattato male del resto, poiché si sono trovate, ai piedi della torre di Ishtar a Babilonia, le tavolette dove apparivano le sue forniture in olio di sesamo per lui ed i suoi figli), attorno al re c'erano dei funzionari, tutto il resto dello Stato in rovina che era partito in cattività, coloro che si chiamano nel libro di Geremia, i “principi„: principi reali, ma anche alti funzionari, sacerdoti, tutto l’armamentario dello Stato.

In cattività dove tutto queste persone non avevano molto da fare, i sacerdoti si misero a studiare le loro tradizioni, i profeti a studiare la vocazione di Israele, ed i Saggi ascoltarono; essi si fecero i discepoli di questi leviti e di questi profeti; infine si convertirono. E la loro conversione è attestata da alcuni capitoli dei Proverbi (da 1 a 9). Questi capitoli sono pieni di prestiti da libri della tradizione pura sacrale: in particolare dal Deuteronomio, che fu terminato durante l'esilio — da Geremia che esercitò, durante l'esilio, tutta la sua influenza postuma — e infine al secondo Isaia (cap. dal 40 al 55).

I Saggi avevano portato nell’esilio tutti i loro tesori, tutta la loro saggezza: questa vecchia saggezza così interessante con i suoi consigli circostanziati di buona educazione e di morale, di politica e di “religione„… Dopo l'esilio, quando vollero fare un'introduzione a tutta questa letteratura di saggezza che avevano salvato, essi fecero una specie di grande passaggio, molto bello, di “stile„ profetico, voglio dire preso in prestito dai profeti e dai leviti (i nostri capitoli 1 a 9 dei Proverbi). Si tratta della conversione dei Saggi. Sopravvenuta durante l'esilio, questa conversione continuerà.

Come enunciarlo? I Saggi diventarono “yahvisti al cento per cento„. Si interessarono non più semplicemente alla loro saggezza umanistica ed internazionale, che era la loro specialità, ma alla storia di Israele, alle speranze di Israele.

Il più interessante di tutti questi saggi è incontestabilmente Ben Sira (200 circa A.C.): perché è un “incrocio„ di culture, perché è loquace ed ha detto tutto, la saggezza internazionale, ma soprattutto l'altra, quella dell’Alleanza. Ben Sira, ci offre una “Storia Santa„! (cap. 44 e ss.). La storia in particolare dei sacerdoti, questi sacerdoti che sono così sublimi quando li vede attraverso Simon, il grande sacerdote che lui ha conosciuto. Simon è il “suo„ grande sacerdote, lo ha visto affacciarsi dal Tempio, dal santuario dietro al velo (Sir 50,5: Ndt), il giorno dell'Espiazione, pronto a dare la benedizione al popolo riunito.

Il Tempio è il suo centro d'interesse, con le cerimonie che vi si celebrano, i sacerdoti che vi si incontrano. È proprio là vicino, peraltro, che ha la sua casa d'istruzione. Fa una preghiera passando presso il santuario (Sir 51). È capace di comporre salmi, secondo le regole. I Saggi compositori di salmi, i Saggi “editori„ del salterio sicuramente: se si trova una cosa che è nella tradizione sacrale, è proprio quella; Ben Sira inizia a sperare, si pone in questa grande corrente della speranza messianica (Sir 36).

3. Terza tappa: il martirio dei Saggi.

La conversione dovette essere proprio completa, poiché, sotto la persecuzione di Antioco IV Epifane, molti diventarono martiri. Fu la prima persecuzione religiosa, la prima in cui gli Ebrei furono attaccati in quanto servi di Yahvé, non in quanto Ebrei (non è un pogrom “razzista„: è una persecuzione religiosa). Il re greco Antioco IV Epifane fece mettere nel Tempio una statua certamente di Zeus; in ogni caso osò mettere sull'altare degli olocausti un altare a Zeus. E poi, gli si fece colare sopra del sangue, lo si macchiò, si rese impuro l'altare di Yahvé. Fu spaventoso, e questi fatti sono all'origine della sommossa dei Maccabei.

Ma, cosa curiosa, questi eventi saranno descritti da un Saggio, quello che ha scritto il libro di Daniele (prendendo come patrocinatore, come pseudonimo, il nome di Daniele che era un nome antico, un nome dell'esilio). È dunque un Saggio che ci descriverà con precisione questa sommossa religiosa di persone dell’Alleanza. E questa sommossa, ci chiede Daniele, sapete chi la conduce? Voi credete i Maccabei? No! Siamo noi, i Saggi! I Saggi sono qui diventati “intellettuali impegnati„ al servizio dell’Alleanza. Saranno i primi martiri dell’Alleanza. E questo libro di Daniele è come il loro “manifesto„.

È al capitolo 11 di Daniele che un Saggio ci descrive, in stile profetico, naturalmente, e parlando al futuro, gli eventi che vive attualmente. Siamo nel 165 A.C., non è ancora la vittoria: occorre ancora un anno perché sia raggiunta; per il momento, si è in piena persecuzione con Antioco che non esita a fare martiri. Ascoltiamo l'autore:

 Con lusinghe egli (Antioco) sedurrà coloro che avranno tradito l’Alleanza, ma quanti riconoscono il proprio Dio si fortificheranno e agiranno. I più saggi tra il popolo ammaestreranno molti, ma cadranno di spada, saranno dati alle fiamme, condotti in schiavitù e depredati per molti giorni. Mentre così cadranno, riceveranno (6) un piccolo aiuto: molti però si uniranno a loro, ma senza sincerità. Alcuni saggi cadranno perché fra loro vi siano di quelli purificati, lavati, resi candidi fino al tempo della fine, che dovrà venire al tempo (Dn 11,32-35).

E se passiamo al capitolo 12,3, ci viene a dire che ci sarà una resurrezione a favore dei martiri, ed i martiri erano i Saggi! Saggi, martiri, risuscitati! È nel libro di Daniele che si arriva a questo sviluppo splendido (organico del resto) dei motivi di fondo dell’Alleanza. Si risusciterà per partecipare al Regno di Dio a Gerusalemme. I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento; i maestri di giustizia, coloro che avranno indotto molti alla giustizia, (7) risplenderanno come le stelle per sempre„ (Dn 12,3). E l'autore, portando a termine il suo libro, si mette nei ranghi dei candidati-risuscitati: “Tu, (dice Dio) va’ pure alla tua fine e riposa: ti alzerai per la tua sorte alla fine dei giorni„ (Dn 12,13).

Ecco dunque che abbiamo appena percorso questo itinerario dei Saggi. Ci avrà certamente fatto ben comprendere, come controprova, ciò che era la fede del Vecchio Testamento.

 

NOTE

(1). Cf. A. Gelin, Les pauvres que Dieu aime, coll. « Foi Vivante», n° 41, Éd. du Cerf, Paris, 1967.

(2). Al suo Unto = “colui che è stato asperso con l'olio dell’unzione„, consacrato.

(3). Nel mio piccolo libro L'âme d’Israël dans le Livre, coll. « Je sais, je crois », Arthème Fayard, Paris, 1960, ho provato ad insistere su ciò: i profeti sono dei “conservatori„, conservatori della tradizione sacrale di Israele.

(4). Le navi che vanno in Spagna (i “transatlantici„ dell'epoca!).

(5). Io penso che occorra tradurre: contro tutte le imbarcazioni di lusso (come infatti traduce Bibbia CEI. Ndt).

(6). Ciò riguarda i Maccabei: le persone che maneggiano la spada credono di fare molto! ma no! non forniscono che un debole aiuto. Siamo noi, essi vogliono dire, noi gli “intellettuali impegnati„, che siamo i veri combattenti.

(7). Questo brano ci richiama questo “maestro di giustizia„ che, forse nello stesso periodo, o dopo alcuni anni, fonderà la setta di Qumran. (Nella traduzione CEI la definizione “I maestri di giustizia” è omessa. Ndt)

 

BIBLIOGRAFIA

Lumière et Vie, n° 22 : « Qu’est-ce que la foi ? »

H. Duesberg, Les scribes inspirés, Paris, 1939.

A. Robert, « Les attaches littéraires de Pr 1-9 », dans Revue Biblique, 1934-1935.

P. Bonnard, La Sagesse en Personne annoncée et venue, Jésus-Christ, coll. « Lectio divina », n° 44, Éd. du Cerf, Paris, 1966.


Ritorno all'indice di "L'UOMO SECONDO LA BIBBIA"

Ritorno alla Bibbia


| Ora, lege et labora | San Benedetto | Santa Regola | Attualità di San Benedetto |

| Storia del Monachesimo | A Diogneto | Imitazione di Cristo |


22 aprile 2015  a cura di Alberto "da Cormano" Grazie dei suggerimenti alberto@ora-et-labora.net