Regola di S. Benedetto

Capitolo IV - Gli strumenti delle buone opere:

1 Prima di tutto amare il Signore Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutte le forze; 2 poi il prossimo come se stesso... 31 amare i nemici, 32 non ricambiare le ingiurie e le calunnie, ma piuttosto rispondere con la benevolenza verso i nostri offensori,... 72 pregare per i nemici nell'amore di Cristo, 73 nell'eventualità di un contrasto con un fratello, stabilire la pace prima del tramonto del sole.

 


AMORE PER I PROPRI NEMICI

Benoît Standaert, O.S.B.

Estratto e tradotto da "Spirituality: an art of living: a monk’s alphabet of spiritual practices"

Collegeville, Minnesota : Liturgical Press, 2018


 

L'amore per i propri nemici è un tema centrale nel Vangelo di Gesù. Anche in Paolo e nella Prima Lettera di Pietro, come pure nel breve testo ecclesiastico antico detto la Didaché, viene annunciato con forza il messaggio: Amate i vostri nemici, pregate per quelli che vi perseguitano, benedite quelli che vi maledicono, ed anche " digiunate per i vostri persecutori»,  [1] in cui «digiunate» denota una forma ancora più intensa di preghiera e di intercessione.

Quando guardiamo dove viene proposta questa istruzione e come è inquadrata, dobbiamo ammettere che non è solo un piccolo capitolo in più nell'insegnamento di Gesù o degli apostoli. Ha un posto centrale nel Grande Discorso di Luca (Lc 6, 20-49) e, nel Discorso della Montagna di Matteo, occupa per così dire il vertice della scala arrivando alla fine dei cinque opposti e proprio prima della chiamata alla perfezione: «Siate dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5,48) [2]. Nella Didaché, o Dottrina dei Dodici Apostoli, questi imperativi sono posti proprio all'inizio, come principi fondamentali per lo stile di vita cristiano. Quindi nessuno può semplicemente metterli da parte e dire: sì, va bene per le élite, per i "perfetti", ma non sono io e non è qualcosa di cui devo preoccuparmi troppo. Siamo di fronte a qualcosa di fondamentale. Chi sorvola su questo punto ignora il nucleo della nostra sapienza cristiana.

Questo è ben compreso nella letteratura monastica: l'amore per i propri nemici è uno dei suoi temi preferiti. È spesso chiamato la vera pietra di paragone della nostra fede; finché siamo incapaci di quel tipo di amore, non abbiamo nulla da mostrare per la nostra libertà spirituale o per il nostro vero amore per il prossimo. Forse siamo sorpresi: i monasteri non sono luoghi di pace e di amicizia? Perché è proprio lì che si parla tanto e così insistentemente di "amore per i propri nemici"? In Grecia, anche sul sacro Monte Athos il russo Starets Saint Silouan (Ndr: 1866 – 1938, monaco ortodosso orientale di origine russa. Si veda anche la nota 8) ha scritto molte pagine su quell'amore! Quindi sembra che proprio lì debba aver avuto qualche esperienza di inimicizia.

Chi si trova in stato di odio, di inimicizia, di disprezzo o di oppressione non può fare i conti con quella parola di Gesù: il nemico è riuscito ad esaurire le ultime riserve di benevolenza e di amabilità. La prima cosa che dobbiamo notare è che l'amore per i propri nemici è un'impossibilità morale. Ma qui Gesù non sta parlando di moralità. Chiede un'altra cosa: dobbiamo dare quello che non abbiamo. Noi siamo immersi nel campo del misticismo.

Amare il proprio nemico pone un doloroso paradosso. Ma Gesù ha già scandagliato l'altro lato del paradosso quando ha rivolto ai suoi discepoli il comando: «Affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli» (Mt 5,44). «egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni», senza distinzione (Mt 5,45). "Ed [egli] fa piovere sui giusti e sugli ingiusti", indipendentemente dalle differenze (Matteo 5,45). "Poiché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi" (Lc 6,35).

Gesù vede che Dio è indifferente a tutte le differenze che conosciamo o avanziamo per distinguerci dagli altri. Il suo sguardo, segnato dall'abbondante generosità di Dio, gli permette di coniare questi nuovi paradossi: ama chi ti odia, prega per chi ti perseguita, benedici chi vuole maledirti. Perché Dio è Dio e noi vogliamo essere suoi degni figli!

Poiché il più grande nemico risiede spesso nel nostro stesso cuore, può essere utile costruire, secondo la veneranda tradizione, una piccola scala a cinque gradini che ci porti al gradino più alto: il vero amore per il nemico. Matteo ci ha mostrato come farlo in una serie di opposte costruzioni. Inizia in basso con l'elementare "Non ucciderai" e termina in alto con "Amate i vostri nemici" (Mt 5,21-44).

 

Primo gradino: "Occhio per occhio, dente per dente" (Es 21,24)

Nel nostro ambiente cristiano spesso riteniamo primitivo e disumano questo antico principio giuridico biblico. Ma in realtà sappiamo a malapena di cosa si tratta. Altrimenti, dovremmo ammettere che noi stessi non ci avviciniamo alla pratica di ciò che è scritto qui. Questo perché il modo di procedere del principio presuppone tre condizioni:

a) Per rispettare la regola ci deve essere una terza persona, un giudice. In altre parole, non ti appoggerai mai alla legge per strappare un dente a qualcuno che ha strappato uno dei tuoi. Non è così che funziona il principio!

b) La terza persona, il giudice, determina a nome della collettività l'entità del danno e poi infligge al colpevole una pena per risarcire il danneggiato.

c) Appena pagata la pena, il conto è saldato: nessuno serba più rancore; le persone coinvolte, invece, possono ora guardarsi negli occhi.

Ogni gradino richiede maturità ed obiettività da parte di tutte e tre le persone coinvolte. Rispettiamo questa procedura operativa fin dall'infanzia: essa andrà a beneficio di tutti.

 

Secondo gradino: "E amerai il tuo prossimo come te stesso:

Io sono il Signore "

 

Io sono il Signore.

Non coverai nel tuo cuore odio contro il tuo fratello;

rimprovera apertamente il tuo prossimo, così non ti caricherai di un peccato per lui.

Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso.

Io sono il Signore. (Lv 19,16-18)

 

Questo testo è incorniciato da un doppio "Io sono il Signore". Così il paragrafo costituisce un'unità. L'intero capitolo inizia con: "Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo" (Lv 19,2). Questa è un'applicazione del Codice di Santità del Levitico, il cuore del libro, ed anche il cuore dei cinque libri della Torah di Mosè. Non c'è da stupirsi che Gesù abbia scelto esattamente questa frase per raffigurare il nucleo della Torah!

Nel testo sopra citato le frasi si susseguono: l'ascoltatore passa da una all'altra frase. Ed il testo termina con l’esito ed il risultato finale, "e tu amerai". Nella vostra riflessione potete aggiungere la seguente sottigliezza: solo allora, dopo aver compiuto le cose precedenti, sarete in grado di amare il vostro prossimo come voi stessi. Nota che "il prossimo" riceve nomi diversi: "tuo fratello" e "i figli del tuo popolo". La relazione cresce e si adatta ad ogni nuovo gradino.

a) Inizia con l'odio. Dobbiamo essere in grado di nominarlo, non negarlo o sopprimerlo. Se l'odio sgorga nel tuo cuore, non nutrirlo contro tuo fratello. Non portare odio. Nell'ambiente cristiano, l'odio è spesso soppresso troppo in fretta. Non abbiamo imparato a riconoscerlo nel nostro cuore ed a lavorare con esso.

b) Rimprovera il tuo prossimo. Ciò presuppone che siamo corresponsabili all'interno di una famiglia o di una nazione, e che lo facciamo solo dopo aver imparato a scacciare l'odio dal nostro stesso cuore. Inoltre, se non eseguiamo questa riprovazione, siamo complici e ci carichiamo delle trasgressioni altrui.

c) Non ti vendicherai e non serberai rancore. Qui accade qualcos'altro oltre al puro odio: qualcuno è stato insultato da un altro, ha subíto un'ingiustizia per mano di un altro. Il senso di vendetta si risveglia nel corpo. Ebbene, dice il legislatore, non vendicarti e non serbare rancore. Così, in questa massima saggia e ponderata, impari a distinguere nel tuo cuore l'odio dalla vendetta. Ti dà la possibilità di sperimentare ciò che questo senso sta suscitando in te, così come l'intera gamma di sentimenti che ne derivano. E poi impara a liberarti da ogni idea di vendetta e, certamente, a non nutrire mai la vendetta nutrendola.

d) Ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono il Signore. Questo amore è il frutto maturo di un intero processo, qui sottolineato dalla congiunzione "ma amerai". L'amore a cui qui si fa riferimento è, infatti, una forma pienamente attualizzata dell'«amore per i nemici» di cui parla Gesù nel Vangelo. Vale a dire, ami colui per il quale hai provato odio spontaneo od un impulso di vendetta perché quella persona ti aveva ferito od insultato. Questo non è un caso unico nell'Antico Testamento. Altrove si raccomanda l'amore per i propri nemici, ma forse non ci siamo mai soffermati a considerarlo. Così, la legge di Mosè insegna: " Quando incontrerai il bue del tuo nemico o il suo asino dispersi, glieli dovrai ricondurre" (Es 23,4; cfr. Dt 22,1-4; Pr 25,21, " Se il tuo nemico ha fame, dagli pane da mangiare”).

 

Terzo gradino: "La vendetta è Mia"

In effetti, accadono cose che reclamano vendetta. Le abbiamo già incontrate nel gradino precedente del capitolo 19 del Levitico. Paolo scrive nella sua Lettera ai Romani: «Non fatevi giustizia da voi stessi, carissimi, ma lasciate fare all’ira divina. Sta scritto infatti: Spetta a me fare giustizia, io darò a ciascuno il suo, dice il Signore» (Rm 12,19; si veda Dt 32,35).

La vendetta è di Dio, quando la vuole, come la vuole. Chi soffre innocentemente rinuncia alla vendetta, non afferra la spada, ma la lascia a Dio. La nostra fede basata sulla Bibbia ci dice che Egli non tollera che un uomo o una donna poveri siano oppressi e sfruttati. Tutto il libro dei Salmi stimola il cuore umano a invocare con coraggio la giustizia salvifica di Dio. Se non possiamo aspettarcelo da Dio, che cosa succede allora? In che mondo vivremmo? " Può essere tuo alleato un tribunale iniquo, che in nome della legge provoca oppressioni?" (Sal 94 (93),20). No, non può essere.

Quando nel Vangelo Gesù racconta la storia della povera vedova che continua a far valere i suoi diritti davanti al giudice iniquo, dà per scontato che abbia senso rivolgersi a Dio con altrettanta franchezza, anche per importunarlo. Nella sua fede è convinta che Dio non tarderà a concedere giustizia (cfr. Lc 18,1-6).

Paolo deve anche affrontare imprevisti che richiedono vendetta. Li menziona nelle lettere, avverte gli altri della minaccia di falsi fratelli, ma lascia a Dio il giudizio e la rivalsa. Chiede persino che non se ne tenga conto contro di loro. Il seguente brano ne è un perfetto esempio:

 

Alessandro, il fabbro, mi ha procurato molti danni: il Signore gli renderà secondo le sue opere (cfr. Sal 62 (61),12). Anche tu guardati da lui, perché si è accanito contro la nostra predicazione. Nella mia prima difesa in tribunale nessuno mi ha assistito; tutti mi hanno abbandonato. Nei loro confronti, non se ne tenga conto. Il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché io potessi portare a compimento l’annuncio del Vangelo e tutte le genti lo ascoltassero: e così fui liberato dalla bocca del leone (cfr. Sal 22 (21),14). Il Signore mi libererà da ogni male e mi porterà in salvo nei cieli, nel suo regno; a lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen. (2 Tm 4,14-18).

 

Negli incontri difficili, conflittuali e persino malvagi, il cuore dell'apostolo prega vivamente con i versi dei Salmi; affida tutto al giudizio ed al castigo di Dio. Alla fine, le uniche cose che regnano sono il regno e la gloria di Dio.

 

Quarto gradino: "Non rendete male per male..., ma...

rispondete augurando il bene" (1Pt 3,9)

Pregare, benedire, digiunare e supplicare per il benessere altrui a proprie spese: questo ci nobilita nel profondo. Come disse il carolingio Rabàno Mauro (Ndr: 780 circa – 856 - erudito carolingio, abate di Fulda, arcivescovo di Magonza), "L'amore per i nostri nemici purifica il cuore e cancella i nostri peccati quotidiani".

A questo gradino della scala si può scoprire molto nel proprio cuore, vale a dire come trattare positivamente un'altra persona nonostante l'atteggiamento negativo di quella persona. "Sviluppa in te stesso le propensioni del tuo nemico", scrive il domenicano francese Padre Sertillanges (Ndr: Antonin-Dalmace Sertillanges, 1863 – 1948, filosofo e teologo francese), "Ama le sue buone caratteristiche… Scopri tutto ciò che tu e lui potete fare insieme, ama ciò che lui – in modo del tutto appropriato – ama, oppure valorizza quell'aspetto della verità a cui è attaccato".

Agostino (354-430), che più volte affronta esplicitamente questo tema, dice a proposito della preghiera: «Per quanto ti riguarda, prega perché tu riesca ad amare i tuoi nemici. Per quanto riguarda l'altro, non pregare perché lui ama Dio, ma affinché lui possa amare Dio» [3].

Il lavoro su me stesso può essere realizzato guardando in profondità l'altro, che vivo come mio nemico od avversario. La spiritualità orientale e occidentale ci mostra diversi possibili paradigmi. Consideriamo i seguenti tre:

a) "Considera il tuo nemico come il tuo maestro." Un antico sutra, citato dal Dalai Lama (Ndr. Tenzin Gyatso – nato a Taktser, 6 luglio 1935 - è un monaco buddhista tibetano, nonché il XIV e attuale Dalai Lama del Tibet), afferma: "Se ho aiutato qualcuno al meglio delle mie capacità, e se quella persona mi insulta nel più scandaloso dei modi, posso allora considerare quella persona come il mio più grande maestro". Nel suo commento, il Dalai Lama spiega così il testo: "Se ai nostri amici piace la nostra compagnia e ci sono vicini, niente può renderci consapevoli dei nostri sentimenti o pensieri negativi. Solo se qualcuno ci osteggia e ci critica, possiamo avere accesso alla vera conoscenza di noi stessi e possiamo discernere la qualità del nostro amore. In questo, i nostri nemici sono i nostri più grandi insegnanti. Ci forniscono l'opportunità di mettere alla prova la nostra capacità, la nostra tolleranza, il nostro rispetto per gli altri. Quando noi, invece di nutrire odio per i nostri nemici, li amiamo di più, allora non siamo lontani dal raggiungere lo stato di Buddha, la coscienza illuminata, che è la meta cui tendono tutte le religioni. [4]

b) "Considera il tuo nemico come il tuo medico ed il tuo benefattore", dice Abba Zosimo nella Palestina del sesto secolo. Insegna: "Il nemico? Mi è stato mandato da Gesù per guarire la mia carne malata, per liberare dalla vanagloria la mia anima malata e per bruciarla con il ferro rovente. Grazie al nemico è diventato impossibile non guardare in faccia il nostro orgoglio o non scoprire la nostra aggressività, il nostro impulso di vendetta, il nostro odio... Grazie a lui impariamo a nominare una ad una tutte le passioni che abitano in noi e che ci consumano... Loro, i nostri nemici — sono i nostri veri benefattori: ci assicurano il Regno dei cieli». Tutta la vita dell'abate Zosimo gira quasi costantemente attorno all'unico tema di fare buon uso di quel nemico invincibile: chi lo fa con successo sarà condotto alla vera dolcezza ed umiltà di cuore di Gesù. "Accetta che lui sia il tuo medico e permettigli con gratitudine di guarirti." [5]

c) "Considera il tuo nemico tuo fratello e vedilo come il tuo futuro compagno in cielo". Considera il tuo nemico come tuo fratello, dice più volte Agostino nei suoi commenti alla Scrittura (Discorso (Sermo) 56 e Commento alla prima lettera di san Giovanni, Omelia 8, cap. 4; 10-11). Tutta la tradizione ricorda l'esempio per eccellenza di Stefano morente, per la conversione di Saulo di Tarso. «Sostenuto dalla forza della carità vinse Saulo che infieriva crudelmente, e meritò di avere compagno in cielo colui che ebbe in terra persecutore.» (dai “Discorsi” di Fulgenzio di Ruspe (Ndr: Fulgenzio di Ruspe (468 circa – 533) è stato un vescovo e santo berbero, vescovo di Ruspe in Tunisia all'epoca occupata dai Vandali), omelia per la festa di santo Stefano, nel breviario del 26 dicembre).

Tommaso Moro (Ndr. Sir Thomas More, latinizzato in Thomas Morus e poi italianizzato in Tommaso Moro (1478 – 1535), è stato un santo, umanista, scrittore e politico cattolico inglese) aveva riflettuto profondamente sull'esempio di Stefano quando venne a conoscenza della sentenza inflittagli dal re d'Inghilterra, Enrico VIII. Tommaso Moro fu condannato al patibolo. In uno dei suoi ultimissimi discorsi ai suoi giudici, avrebbe detto:

 

No, signori, non ho più niente da aggiungere se non che - come si legge negli Atti degli Apostoli - San Paolo era presente e consenziente alla morte di santo Stefano ed ebbe in custodia le vesti di coloro che lo lapidavano: eppure ora sono entrambi santi in Paradiso, e lassù saranno amici per sempre. Così, io fermamente confido - e con tutto il cuore lo chiederò nelle mie preghiere -che, benché voi, monsignori, siate qui in terra i giudici della mia condanna, possiamo un giorno ritrovarci tutti insieme nella gioia del Paradiso, per la nostra eterna salvezza. E allo stesso modo io prego Dio Onnipotente di proteggere e difendere la Maestà del re e di concedergli il suo buon consiglio. [6]

  

Qualche secolo prima di Tommaso Moro, Anselmo di Canterbury (Ndr. Anselmo d'Aosta, noto anche come Anselmo di Canterbury o Anselmo di Le Bec (Aosta, 1033 o 1034 – Canterbury, 21 aprile 1109), è stato un teologo, filosofo e arcivescovo cattolico franco) scrisse una lunga preghiera sull'amore per i propri nemici. Vorremmo citare alcune righe di questa famosa preghiera. Visto dalla prospettiva di Dio, il nemico è ugualmente un compagno di servizio, destinato alla gloria quanto noi e, da questo stesso alto punto di vista, non siamo meno compagni peccatori di quello che ora vediamo come nostro avversario o nemico. Chi tiene lo sguardo fisso su Dio e attende solo la sua gloria trova parole e pensieri che parlano dolcemente e sinceramente anche degli altri, anche se quegli altri sono nemici personali:

 

Il tuo servo ti supplica per questi tuoi co-servitori affinché smettano di insultare la bontà di un Signore così grande e amoroso per causa mia (propter me), ma che, per causa tua (propter te), si riconcilino con Te e si dichiarino in accordo con me secondo la tua volontà. Questa è la vendetta (vindicta) che il mio intimo cuore desidera: che, per quanto riguarda questi nemici, come me servi e peccatori (conservi, conpeccatores), noi unanimi, con amore quale nostro maestro, seguiamo il nostro Signore di tutti per il bene comune. [7]

 

Forse potremo almeno tenere nel cuore questo pensiero dei padri la prossima volta che ci troveremo in un feroce litigio: ricordiamoci della festa promessa e non malediciamo mai un altro, con i pensieri o con le parole, come se non volessimo vedere quella persona seduta al futuro tavolo del banchetto che verrà. Altrimenti corriamo il grande rischio di non essere invitati a sederci noi stessi a quel tavolo.

 

Quinto gradino: "Pregate per i vostri nemici per amore di Cristo"

Il nostro padre Benedetto scrive nella sua Regola che dobbiamo pregare per i nostri nemici in Christi amore, per amore di Cristo, e non altrimenti (RB 4,72). Starets Silouan (Ndr. Si veda la nota 8) ripete costantemente: "Non siamo in grado di amare i nostri nemici se non attraverso la grazia dello Spirito Santo". Questa non è opera umana. Qui stiamo arrivando al vero momento mistico di quell'amore. Non siamo noi ad amare i nostri nemici, ma Cristo in noi, per opera dello Spirito Santo, che ha riversato nei nostri cuori l'amore di Dio (Rm 5,5; cfr. anche Gal 2,20: «Non vivo più io, ma Cristo vive in me").

Negli scritti di questo santo russo del Monte Athos leggiamo altre catechesi sull'amore intenzionale per i propri nemici. Giovanni Crisostomo (Ndr. Giovanni Crisostomo (Antiochia di Siria, 344/354 – Comana Pontica, 14 settembre 407) è stato un vescovo e teologo greco antico) osserva da qualche parte che "amare i nemici ci rende simili a Cristo". Tutta la tradizione concorda. Consentiamo a Starets Silouan del Monte Athos di fornire qualche spiegazione aggiuntiva:

 

Abba Paissio [8] pregò per uno dei suoi discepoli che aveva rinnegato Cristo e, mentre stava pregando, il Signore gli apparve e disse:

"Paissio, per chi preghi? Non sai che questo discepolo mi ha sconfessato?" Ma il santo continuò a provare compassione per il discepolo ed allora il Signore gli disse: "Paissio, con il tuo amore sei diventato simile a Me!" Solo così troveremo la pace; Non c'è altro modo. Se qualcuno prega molto e digiuna spesso, ma non ha amore per i suoi nemici, non può possedere la pace del cuore. Ed io stesso non avrei potuto parlare di ciò se quell'amore non mi fosse stato rivelato dallo Spirito Santo. [9]

 

Isacco il Siro (VII secolo), una fonte lontana che alimentò anche Starets Silouan, annotò in modo simile:

 

[Un cuore misericordioso] è l'ardore del cuore che brucia per il bene dell'intera creazione... Esso offre continuamente lacrime di preghiera anche per gli animali irragionevoli, per i nemici della verità e per coloro che gli fanno del male, affinché possano essere protetti e ricevere misericordia. Ed allo stesso modo prega addirittura per la famiglia dei rettili per la grande compassione che arde senza misura nel suo cuore, a somiglianza di Dio. [10]

 

Questi sono i precetti, disposti sotto forma di scala. Nell'intimo del nostro cuore sentiamo che Gesù ci sta dicendo qualcosa che tocca la nostra più intima libertà e che affonda le sue radici che nel cuore di Dio. Nessuna morale è qui proclamata, solo una lezione mistica. Come ci insegnano i santi, senza lo Spirito Santo, senza l'interiorizzazione di Cristo, una persona non riuscirà ad amare i suoi nemici. La somiglianza del nostro amore con quello di Dio avviene nel e per mezzo del fuoco della sua grazia. Allo stesso modo, Padre Christian de Chergé, il priore del monastero trappista di Tibhirine nelle montagne dell'Atlante (in Algeria) assassinato nel 1996 (Ndr. assieme a sei confratelli), ci comunica, in una lettera testamentaria, (anticipando il suo assassinio) dove spera di essere condotto dal comune Dio e da Allah:

 

Venuto il momento, vorrei avere quell’attimo di lucidità che mi permettesse di sollecitare il perdono di Dio e quello dei miei fratelli in umanità, e nel tempo stesso di perdonare con tutto il cuore chi mi avesse colpito... [11]

 

Padre Christian de Chergé conclude pregando che, a Dio piacendo, lui ed il suo assassino possano "ritrovarsi, ladroni beati, in paradiso, se piace a Dio, Padre nostro, di tutti e due".

 

 


[1] La Didaché, disponibile su https://ora-et-labora.net/regoladidacheindice.html.

[2] Ndr: Le citazioni bibliche sono state tradotte tramite la Bibbia CEI ed. 2008.

[3] Ndr. Nel testo di Agostino “Commento alla Lettera di Giovanni” - cap. 10, non ho trovato la citazione esatta, ma solo questa frase che richiama il testo: “Tu non ami in lui ciò che è, ma ciò che desideri che sia (non enim amas in illo quod est; sed quod vis ut sit).

[4] Jean-Yves Leloup, "Un maître spirituel, le Dalai Lama", Vie Spirituelle, n. 134 (1980): 368.

[5] Cfr. Zosima, Colloqui, in Parole del deserto. Detti inediti di Iperechio, Stefano di Tebe e Zosima (Magnano: Ed. Qiqajon, 1992), 101-24.

[6] Estratto da "San Tommaso Moro", a cura di Giuseppe Petrilli - Ed. A. Martello 1972.

[7] J.P. Migne, Patrologiae Latinae cursus completus Vol. 158: 908-910 - Anselmo di Canterbury - Orazione XXIV - A Cristo - A favore dei nemici.

[8] Padre Paisios (Pharasa, 1924 – Souroti, 1994) è stato un monaco greco cristiano della Chiesa ortodossa. Particolarmente venerato in Grecia, è stato monaco del Monte Athos. Il 13 gennaio 2015 padre Paisios è stato iscritto nel registro dei santi della Chiesa ortodossa su approvazione del Santo Sinodo del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli. (Fonte Wikipedia)

[9] Archimandrita Sophrony, Starets Silouane, Moine du Mont Athos. Vie, doctrine, écrits (Sisteron, ed. Presence, 1989), 292.

[10] Il testo inglese (qui tradotto liberamente in italiano) è tratto da “The Ascetical Homilies of Saint Isaac the Syrian” (Omelie ascetiche di sant'Isacco il Siro), 344.

[11] Testamento spirituale del Padre Christian de Chergé” tratto dal sito https://ora-et-labora.net/ecumenismotibhirine1994.html.

 


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18 marzo 2023                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net