LIBRO DI TOBIA
INTRODUZIONE
E CHIAVI DI LETTURA DEL LIBRO
Luca Mazzinghi
Estratto da “TOBIA: IL CAMMINO DELLA COPPIA”
Ed. Qiqajon – Comunità di Bose 2004
1. Che cosa c’è nel libro di Tobia?
Tobia non è tra i testi della Bibbia più letti e conosciuti. Il libro non è
considerato canonico né dall’ebraismo né dalle chiese riformate; completamente
assente dai testi biblici proclamati dalla chiesa cattolica nelle liturgie
festive, Tobia è appena più noto attraverso la recita del cantico del capitolo
13 che ritorna, nella liturgia cattolica, nelle Lodi del mattino. È forse più
facile aver conosciuto questo libro attraverso le non rare immagini artistiche
che, immancabilmente, ci presentano la scena del giovane Tobia accompagnato
dall’angelo, spesso insieme al pesce del capitolo 6 e al cane: si pensi, ad
esempio, al bel quadro del Botticini che adorna la sacrestia della cattedrale di
Santa Maria del Fiore, a Firenze (si tratta di un’iconografia tipica dell’arte
fiorentina tra il XIV e il XVI secolo; cf., tra gli altri, i dipinti
raffiguranti il giovane Tobia opera di Filippino Lippi e del Pollaiolo).
L’argomento del libro di Tobia è, per il lettore moderno, apparentemente
piuttosto banale. Il protagonista, Tobi, è un anziano ebreo deportato a Ninive,
in Assiria, insieme alla moglie Anna e al figlio Tobia; Tobi è un uomo molto
religioso e caritatevole, e tuttavia è colpito da una grande disgrazia: egli
diventa cieco e, nella sua sventura, prega Dio di farlo morire. Il libro ci
presenta, improvvisamente, un’altra storia parallela, quella della giovane Sara,
figlia di Raguel e Edna, abitante nella città di Ecbatana, molto distante da
Ninive. Sara ha avuto sette mariti che le sono stati tutti uccisi da un cattivo
demonio di nome Asmodeo; disperata, prega anch’essa Dio di farla morire. Dio
ascolta le preghiere di entrambi e manda un angelo, Raffaele, a salvare tutti e
due.
In questo frangente, il vecchio Tobi si ricorda di aver depositato del denaro
presso un lontano amico che, guarda caso, non abita troppo distante dalla città
di Sara (della cui storia Tobi non sa ancora nulla). Tobi decide così di inviare
il figlio Tobia a prendere quel denaro; nel suo viaggio Tobia è accompagnato da
un amico, Azaria, che è in realtà l’angelo Raffaele sotto sembianze umane; ma
questo né Tobi né Tobia lo sanno. Arrivati a Ecbatana, Azaria/Raffaele propone a
Tobia di sposare la giovane Sara, cosa che Tobia fa, riuscendo a vincere il
demonio Asmodeo con l’aiuto di un pesce pescato durante il viaggio.
Il libro termina con un lieto fine: Tobia recupera il denaro del padre, ritorna
a Ninive con la moglie Sara, guarisce la cecità del padre Tobi, ancora con
l’aiuto del pesce. Padre e figlio scoprono soltanto allora la vera identità
angelica di Azaria, e il libro si chiude con un canto di lode a Dio e con il
racconto della morte, prima di Tobi, poi, molti anni dopo, di Tobia.
Fin qui la storia, come si presenta a un lettore frettoloso. Lo scopo di questo
commento non è altro che quello di far vedere come una storia del genere,
apparentemente distante dai nostri gusti, conservi ancora tutto il suo valore e,
per il credente, continui ad essere una parola che Dio ci offre e che vale per
la nostra vita, oggi. Prima di affrontare la lettura del libro di Tobia è
necessario, tuttavia, essere in possesso di alcune chiavi di lettura
indispensabili per una migliore comprensione del testo. È questo lo scopo delle
poche pagine che seguono.
2. Storia, favola o altro?
Gli autori moderni si sono interrogati a lungo sul “genere letterario” del libro
di Tobia, ovvero sulla forma letteraria che l’autore del libro ha utilizzato, su
quale tipo di opera egli intendeva offrire al suo pubblico. Si tratta di
un’opera storica? Per molto tempo si è tentato di difendere l’autenticità
storica di Tobia, soprattutto a partire dal fatto che nella sezione iniziale del
libro (Tb 1,3-3,6) il vecchio Tobi parla in prima persona, come se scrivesse le
proprie memorie. In realtà, è ormai chiaro che lo sfondo storico del libro -
ovvero il regno assiro al tempo di Sennacherib e Asshardon, tra l’ottavo e il
settimo secolo a.C. - è senz’altro fittizio e non corrisponde in alcun modo a
dati storici reali. Il libro, ad esempio, confonde tra loro i nomi dei re assiri
ed è del tutto inesatto sui dati geografici; Ninive, ad esempio, si trova a est
del fiume Tigri, così come la città di Rage dove Tobia e Azaria sono diretti: è
dunque impossibile che essi debbano attraversare il fiume (Tb 6,1-5), che resta
sempre a ovest del loro percorso; così è impossibile che la distanza tra Rage e
Ecbatana, circa 300 km, venga completata da Tobia in due soli giorni, per di più
a piedi (Tb 5,6)!
Alla luce di queste e altre simili osservazioni si è pensato così che il nostro
libro non fosse niente di più che una novella a carattere morale ed edificante.
In realtà, se è vero che la veridicità storica del libro di Tobia è pressoché
inesistente - anche se il narratore mostra di conoscere, almeno nelle linee
generali, la storia del periodo assiro -, il libro di Tobia deve essere
considerato come
un racconto a carattere sapienziale.
La sapienza, nella Bibbia di Israele, è la capacità di saper vivere, di saper
mettere a frutto criticamente la propria esperienza alla luce della fede nel Dio
di Israele. Tobia non è un testo sapienziale come lo sono il libro dei Proverbi,
Giobbe, il Qoelet, il Siracide, ma è comunque un racconto che riflette su questo
incontro tra esperienza della vita e fede.
Ciò significa, in pratica, che l’autore, o meglio, il
narratore
come d’ora in poi dovremo chiamarlo, ha inteso scrivere una storia fittizia,
costruita però su uno sfondo storico verosimile, non solo per insegnare al suo
pubblico qualche norma morale, ma, in modo particolare, per offrire ai suoi
ascoltatori una narrazione bella e coinvolgente, nella quale ognuno è in grado
di ritrovare una parte della propria storia e imparare così a cambiare la
propria vita, proprio alla luce di questo racconto. Non dimentichiamo che
nell’antichità i libri non si leggevano, ma si ascoltavano; non si deve parlare
tanto di “lettori”, quanto di “ascoltatori”, di un pubblico che nel suo insieme
viene coinvolto e provocato.
Qual è, tuttavia, il contesto storico preciso nel quale il nostro narratore
scrive e opera? Chiarire questo punto sarà importante per comprendere meglio un
libro che ci insegna il difficile mestiere del vivere.
3.
Il “dove”, il “quando”, il “chi”
Una delle prime cose che dobbiamo chiederci, di fronte a un testo biblico, è in
quale epoca dobbiamo collocarlo e, quindi, alla luce di quale ambiente culturale
e religioso dobbiamo leggerlo. Sul libro di Tobia non tutto è ancora chiaro; con
una certa probabilità - ma senza certezze assolute - possiamo collocare
l’origine di questo libro nel III secolo a.C., in una ipotetica data compresa
tra il 300 e il 200 a.C.
[1]. Ci troviamo in piena epoca
ellenistica, ovvero poco tempo dopo la conquista del Vicino Oriente da parte di
Alessandro Magno († 322 a.C.), che ha portato in quelle regioni la cultura e la
civiltà greca. Il libro non conosce ancora i tempi difficili della rivolta
anti-ellenistica scatenata dai Maccabei al tempo del re Antioco IV, intorno al
164 a.C.
L’autore del libro è certamente un giudeo fedele osservante della legge mosaica,
molto religioso e profondamente legato alle proprie tradizioni. Egli viveva non
a Gerusalemme o nella regione palestinese, ma in qualche luogo non meglio
precisato della diaspora orientale, forse in Siria o in Mesopotamia,
probabilmente in regioni governate da una delle monarchie ellenistiche nate alla
morte di Alessandro Magno. Benché Gerusalemme e il tempio siano nominati spesso,
il libro di Tobia presenta una religiosità centrata non sui sacrifici offerti
nel tempio, ma sulla preghiera e sulle opere di carità, una religiosità, cioè,
tipica delle comunità giudaiche della diaspora.
Il contesto nel quale il libro nasce non va così trascurato: il narratore vuole
mostrare, attraverso la storia di Tobi, anch’egli dipinto come un giudeo della
diaspora, come sia possibile, per i giudei del proprio tempo viventi in terra
straniera, continuare ad essere fedeli al Dio d’Israele fuori dalla propria
patria e all’interno di una cultura così estranea alla loro com’era ad esempio
quella ellenistica.
4. Il libro di Tobia come racconto
Dire che il libro di Tobia è un racconto di carattere sapienziale significa
prendere sul serio la storia narrata, non però nel senso che essa sia realmente
avvenuta, ma nel senso che si tratta di una storia che “dice il vero”, perché
parla al cuore di ogni lettore. Il libro di Tobia, prima che comunicare messaggi
o insegnare verità, racconta una storia, e con questa storia, immedesimandosi in
essa, il lettore di ogni tempo si deve confrontare.
I giudizi sul libro di Tobia non sono mai stati teneri, specialmente da parte
dei commentatori moderni, che lo hanno considerato un libro non molto brillante,
troppo incline al sovrannaturale, poco coinvolgente dal punto di vista
narrativo. In questi giudizi c’è una parte di verità, eppure il libro di Tobia è
anche qualcosa di diverso. È vero, infatti, che fin dall’inizio (cf. Tb
3,16-17)
il lettore sa già come andrà a finire la storia e quindi l’intreccio perde di
interesse; è vero anche, tuttavia, che il narratore è capace di usare con grande
abilità la tecnica dell’ironia per tenere desta l’attenzione del lettore. Il
narratore gioca sui contrasti, sui doppi sensi, sulla contraddizione che nasce
tra la fede dei personaggi e la realtà che essi si trovano a vivere: così Tobi
diviene povero proprio nel momento in cui è descritto come soccorritore dei
poveri. Tutto ciò conferma il carattere “sapienziale” del libro: mettere a
confronto l’esperienza della vita con la fede. Chi è poi il vero protagonista
del viaggio? Il giovane Tobia, che a tratti sembra del tutto passivo, oppure
l’amico Azaria, di cui il lettore - ma non Tobia! - già conosce la vera identità
angelica? Ironica e con tratti di comicità è anche la figura del demone Asmodeo,
il “distruttore”, che dopo aver inutilmente concupito Sara, farà una fine
ingloriosa.
I sei personaggi principali che animano la storia (Tobi e Anna, Tobia e Sara,
Edna e Raguel) non sono mai uguali a se stessi, non sono delineati una volta per
tutte, e sono animati da reazioni diverse e molto umane che andranno scoperte
nel corso della narrazione. Essi sono personaggi ordinari, non profeti o
patriarchi posti in diretto rapporto con Dio; anzi, nel libro di Tobia la
presenza di Dio, pur se è nota al lettore fin dal principio, resta per lo più
nascosta ai protagonisti, che vivono una vita come tante altre. L’abilità del
narratore è quella di suscitare il nostro interesse verso i casi normali della
vita familiare e vedere come sia possibile vivere in pace e in serenità,
nonostante le avversità e le difficoltà che ognuno di noi può incontrare, così
come le incontrano i protagonisti di questa storia, all’interno della quale, lo
ripeto ancora, ogni lettore-ascoltatore è invitato a entrare, per lasciarsi
coinvolgere e poterla così rivivere nella propria esperienza.
5. Le fonti del libro di Tobia: la Bibbia
Il libro di Tobia nasce in un’epoca nella quale una buona parte dell’attuale
Bibbia ebraica era già stata messa per iscritto. Il narratore che ha composto la
storia ha tenuto presente, prima di tutto, la vicenda di Isacco, specialmente
quella relativa al suo matrimonio (Gen 24): in entrambi i casi abbiamo infatti
la storia di due padri (Abramo, nella Genesi, e Tobi nel nostro testo)
preoccupati per il matrimonio del figlio; anche nei particolari (la presenza
dell’angelo - cf. Gen 24,7 -, il rifiuto di mangiare finché il padre non abbia
concesso la figlia in moglie...) le due storie sono simili. Ciò significa che,
tenendo d’occhio una storia già nota agli israeliti, il narratore ne compone
un’altra, ben più ampia e alla fine molto diversa. La riflessione sulla Parola
di Dio produce così altra Scrittura.
Il libro di Tobia fa spesso riferimento alla legge mosaica quale ci è nota in
modo particolare dal libro del Deuteronomio; anche i riferimenti di carattere
storico sono presi dal testo dei due libri dei Re che appartiene alla stessa
tradizione del libro del Deuteronomio. Dal Deuteronomio, poi, Tobia prende in
particolare l’idea che il Signore premia i giusti e punisce i malvagi, idea che
percorre tutto il libro, oltre all’attenzione costante verso i poveri e i
precetti di carattere sociale, che costituiscono l’anima della legge
deuteronomica (cf. il codice di leggi contenuto in Dt 12-26). È più raro il
riferimento a testi del Pentateuco di carattere sacerdotale, visto che il libro
non insiste molto sul valore del culto sacrificale; è una prova che il narratore
scrive lontano da Gerusalemme e quindi dal culto del tempio. Il narratore
conosce bene anche i Salmi, che utilizza nella composizione delle preghiere
poste in bocca ai personaggi del libro, e conosce gli scritti dei profeti
(specialmente Amos, Naum e la parte finale del libro di Isaia, i capitoli
40-66), profeti dei quali cerca di mostrare l’attualità; il narratore si
riferisce anche alla storia di Giobbe, con la quale uno dei protagonisti, Tobi,
presenta molte affinità.
Molti di questi riferimenti ai testi biblici ci saranno più chiari nel corso del
commento; per adesso ci è sufficiente notare come il libro di Tobia si sviluppi
su un terreno già esistente: quello delle tradizioni d’Israele trasmesse in quei
testi scritti che già allora erano considerati ispirati da Dio. Di tali testi il
narratore si serve con molta libertà, ma mai arbitrariamente, cercando di
mostrarne l’attualità per gli ascoltatori del suo tempo, ai quali li ripropone
talora esplicitamente, più spesso in forma allusiva. La lettura del libro di
Tobia richiede perciò una buona memoria biblica!
6.
Le fonti del libro di Tobia:
la letteratura extrabiblica
Il lettore moderno è certamente colpito dalla presenza, specialmente nel primo e
nell’ultimo capitolo del libro, di un misterioso personaggio, un tale di nome
Achikar, del quale subito ci si chiede chi sia e che cosa ci faccia in questa
storia. Si tratta, in realtà, di un personaggio piuttosto famoso nel Vicino
Oriente antico, protagonista di un’antica leggenda mesopotamica, giunta a noi in
versioni più recenti. Tale leggenda narra appunto la storia di un tale Achikar,
scriba della corte assira, il quale sceglie il nipote Nadab come suo successore
e lo istruisce sulle vie della sapienza. Nadab, una volta installatosi a corte,
complotta contro lo zio e convince il re assiro a ucciderlo. Ma l’ufficiale
incaricato della sentenza di morte, vecchio amico di Achikar, lo risparmia e lo
aiuta a fuggire, uccidendo uno schiavo al suo posto. La storia, che qui si
interrompe, finiva probabilmente con il ritorno di Achikar a corte e con la
punizione di Nadab. Non solo l’autore di Tobia conosce bene questa leggenda, ma,
come vedremo, specialmente nel primo e nell’ultimo capitolo egli mette in
relazione Tobi e Achikar, senza farsi problemi nell’utilizzare una storia
pagana. Anche questo è un procedimento tipico della sapienza d’Israele la quale,
proprio in quanto esperienza critica della realtà, non rinuncia mai agli apporti
della sapienza degli altri popoli, con la quale, anzi, essa instaura
frequentemente un dialogo molto fecondo. La sapienza biblica, compresa quella di
Tobia, pur credendo nell’unico Dio di Israele, non rifiuta gli apporti di ciò
che è veramente umano.
7. Lo scopo del libro di Tobia
Come tutte le opere di narrativa, lo scopo primario del libro di Tobia è dunque
quello di offrire una “bella storia”, un testo gradevole nel quale gli
ascoltatori possono immedesimarsi, appropriandosi della narrazione e rivivendola
all’interno
della loro esperienza. Più precisamente, l’autore di Tobia intende offrire una
storia centrata su due famiglie della diaspora, storia nella quale i suoi
ascoltatori, anch’essi giudei della diaspora, possono rispecchiarsi e imparare a
vivere la propria fede, in un contesto non dissimile da quello in cui si trovano
a vivere le due famiglie protagoniste del libro.
Attraverso un racconto avventuroso e vivace, il libro di Tobia ci presenta
perciò le vicende, in fondo per nulla straordinarie, di due famiglie di giudei
osservanti; il libro intende in questo modo incoraggiare i giudei del proprio
tempo alla fedeltà alla legge mosaica, secondo la prospettiva del libro del
Deuteronomio. In particolare, il narratore pone al centro della sua narrazione i
valori della famiglia e della coppia, come cercheremo di sottolineare con più
attenzione nel corso del commento. Buona parte della nostra attenzione sarà
proprio sulle vicende di Tobia e Sara.
Anche in una situazione difficile, quale quella in cui, per motivi diversi, si
trovano i protagonisti del libro, il Dio d’Israele non manca di soccorrere chi
confida in lui; contrariamente al libro di Giobbe, lo scopo più immediato del
libro di Tobia non è perciò la problematica della sofferenza: anche di fronte
alla disgrazia di uomini e donne senza peccato, come Tobi e Sara, il narratore
non perde mai, infatti, la fiducia nella retribuzione divina. Il grande inno
conclusivo pronunciato da Tobi (c. 13) mette in luce come tale fiducia si
estenda alla salvezza di Gerusalemme e dell’intero popolo d’Israele, pur nel
buio dell’esilio e della diaspora: una storia di famiglie acquista una
prospettiva universale.
La presenza dell’angelo “travestito” da uomo, che accompagna Tobia nel suo
viaggio, è segno di una costante presenza di Dio accanto agli israeliti,
presenza discreta, tuttavia, che non sostituisce la libera azione dei
protagonisti umani della storia. In Tobia non c’è posto per il fato, né per un
anonimo e impersonale destino; ma neppure c’è spazio per un Dio che agisce
indipendentemente dalla risposta che gli uomini danno alle sue iniziative di
salvezza. Proprio il tema del “viaggio” è uno dei punti sui quali più dovremo
riflettere: i protagonisti di questa storia si muovono, si spostano da un luogo
all’altro per motivi diversi, per necessità, per scelta e, alla fine, per
vocazione.
Il libro di Tobia diviene in questo modo un simbolo potente ed efficace della
vita degli uomini, che è sempre come un viaggio verso l’ignoto. Qualche volta,
come accade al vecchio Tobi in esilio, ci troviamo sballottati da un luogo
all’altro; ma il cammino prosegue, e la meta finale non è mai, per il credente,
un completo salto nel buio. Il libro termina con il ricordo di un luogo ideale,
Gerusalemme (cf. il capitolo 13), su cui splende la luce di Dio. Come il popolo
di Israele, anche gli uomini di oggi si trovano in esilio, lontani da Dio e da
se stessi, angosciati e dispersi in un mondo spesso difficile da capire. Il
libro di Tobia ci ricorda che esiste una meta, un centro di unità, anche se
talora esso sembra lontano.
Il libro di Tobia è stato scritto in un periodo nel quale il popolo d’Israele,
disperso fuori dalla sua terra, era alla ricerca della propria identità e
rischiava seriamente di chiudersi in se stesso, solitario, a esclusiva difesa
della propria fede e delle proprie tradizioni. Il libro di Tobia cerca di dare
alcune risposte a questo problema così urgente: come vivere da credenti in un
mondo spesso ostile? Come camminare verso una meta - Gerusalemme - che sembra
irraggiungibile?
Del problema sollevato dalla presenza del mondo angelico e demoniaco
(Raffaele/Azaria e Asmodeo) parleremo nel corso del commento. In conclusione,
occorre ricordare l’insistenza, quasi ossessiva, sul tema della morte: i
personaggi (Tobi e Sara soprattutto) non sono preoccupati tanto di dover morire,
quanto di dover vivere una vita senza senso; da questo punto di vista il vecchio
e cieco Tobi si considera già come morto. Il libro di Tobia si muove ancora in
un’ottica nella quale non vi è spazio per la vita eterna; la presenza della
morte è così costante, nonostante il tono positivo della storia. Ma anche su
questo punto dovremo ritornare.
8.
La canonicità del libro di Tobia e la sua fortuna
Nel giudaismo il libro di Tobia non è mai stato considerato canonico, benché
frammenti del Tobia aramaico siano stati scoperti a Qumran (vedi il paragrafo
che segue); sulle ragioni dell’esclusione di Tobia dal canone ebraico dei libri
sacri, ancora si discute, senza che sia stata trovata una risposta
soddisfacente. Il Nuovo Testamento, nonostante qualche possibile allusione, non
utilizza
mai
esplicitamente il libro di Tobia.
Seguendo
la scelta dei rabbini, anche i primi padri
della chiesa, Origene in oriente e Girolamo in occidente,
non ne riconobbero la canonicità; così farà poi anche Lutero,
seguito dagli altri riformatori, decidendo per il canone ebraico ed escludendone
così Tobia; le chiese ortodosse, da parte loro, non hanno mai preso una
decisione definitiva sulla canonicità di Tobia. Essa fu difesa in occidente da
sant’Agostino e, sulla sua scia, il libro fu progressivamente accolto nel canone
delle Scritture ispirate, fino alla decisione definitiva, presa dalla chiesa
cattolica nel concilio di Trento. Come già si è accennato, la liturgia cattolica
utilizza con molta parsimonia questo testo; mai presente nel Lezionario festivo,
Tobia ritorna come possibile prima lettura nel rito del matrimonio.
9. Il problema del testo
In questo paragrafo è necessario aggiungere una nota relativa all’intricato
problema del testo di Tobia, sulla base degli studi offerti dai più importanti
commentari (cf. la bibliografia nelle pagine che seguono) e che qui mi limito a
presentare soltanto per sommi capi, perché ogni lettore sia in grado di
affrontare la lettura del testo di Tobia con un minimo di chiarezza.
Già san Girolamo, che tradusse il libro di Tobia in latino nel quarto secolo,
conosceva una versione aramaica del libro stesso, e i ritrovamenti fatti a
Qumran a partire dal 1948 testimoniano che egli aveva ragione; soltanto dal 1995
abbiamo a disposizione l’edizione completa dei frammenti aramaici del probabile
testo originale del libro di Tobia: si tratta di cinque manoscritti provenienti
dalle grotte di Qumran che coprono - pur con moltissime lacune - quasi tutti i
capitoli del libro; quattro dei manoscritti sono scritti in aramaico e uno in
ebraico. Tutto ciò prova che la lingua originale di Tobia era quasi certamente
l’aramaico, ma che il libro fu anche tradotto in ebraico. Nelle note al testo,
il riferimento a questi manoscritti verrà indicato con la sigla Q, preceduta dal
numero del manoscritto stesso (esempio: 4Q).
Per complicare le cose, tuttavia, il testo di Tobia è giunto a noi in una
traduzione greca, nella quale ancora oggi continuiamo a leggerlo e tradurlo,
vista comunque la frammentarietà dei manoscritti aramaici ed ebraici. Il
problema è complicato dal fatto che esistono
due
diverse versioni greche di Tobia: la prima (che chiameremo d’ora in poi Greco I)
è quella più seguita dalle traduzioni moderne ed è attestata in due importanti
manoscritti del IV secolo d.C., ovvero il codice Vaticano (indicato con la sigla
B) e il codice Alessandrino (indicato con la sigla A). Esiste però una seconda
versione greca (che chiameremo Greco II), attestata in un importante
manoscritto, anch’esso del IV secolo, ma scoperto solo alla fine dell’Ottocento:
il codice Sinaitico (indicato con la sigla S), un testo notevolmente più lungo,
con frequenti ampliamenti e inserzioni che, tuttavia, si rivela essere più
vicino ai ritrovati frammenti aramaici e quindi al probabile testo originale di
Tobia. Da questo secondo testo greco è nata la primitiva versione latina, detta
la
Vetus Latina
(VL), che già circolava in Africa nel II e III secolo d.C. Un caso diverso è
rappresentato dalla sopra ricordata versione latina
offerta dalla
Vulgata
(Vulg.) di Girolamo, una versione
certamente affrettata - Girolamo afferma di aver tradotto Tobia in
un solo giorno! - e non di rado caratterizzata
da molte aggiunte assenti dal testo greco, forse
di mano dello stesso Girolamo; le principali aggiunte saranno
riportate in nota: il testo della Vulgata, infatti, è stato il testo biblico in
uso nella chiesa cattolica fino alla riforma liturgica conciliare.
Nella traduzione che qui presento mi sono servito primariamente del cosiddetto
Greco II, segnalando in nota, seppur con molta parsimonia, i più importanti casi
di divergenze o di aggiunte rispetto agli altri testi esistenti; non si tratta
quindi di una traduzione scientifica, pur cercando di essere il più possibile
una traduzione corretta. Per questo motivo è importante notare come questa
traduzione si scosti, talora anche nella numerazione dei versetti, da quella,
più nota, della Bibbia
Cei
(ed. 1974; cf. la
Bibbia di Gerusalemme),
che segue invece il testo detto Greco I.
10. Piccola bibliografia ragionata sul libro di Tobia
1. Sul libro di Tobia esistono molte introduzioni e commenti di carattere
divulgativo. Per un primo approccio e per un pubblico digiuno di studi biblici,
consiglio la lettura del semplice libretto di
Bonora,
A.,
Tobia. Dio è provvidenza,
Gregoriana, Padova 1993: una suggestiva parafrasi del testo davvero alla portata
di tutti.
Per un approfondimento di carattere spirituale sono molto valide le suggestioni
fornite, con presupposti diversi, dai due seguenti autori:
Barsotti,
D.,
Meditazione sul libro di Tobia,
Queriniana, Brescia 1969.
Stancari,
P.,
Il libro di Tobia. Lettura spirituale,
Due Emme, Castiglione Scalo 1994.
Sottolineo che tutti e tre questi testi sono difficili da trovarsi; in questo
commento li ho spesso tenuti presenti.
Altre introduzioni molto semplici sono, in ordine alfabetico:
Babini,
G.,
I
libri di Tobia, Giuditta, Ester,
Città Nuova, Roma 2001 (Guide spirituali all’Antico Testamento).
Chieregatti,
A.,
Tobia,
Edb,
Bologna
1993.
Craghan,
J.,
Ester, Giuditta, Tobia, Giona,
Queriniana, Brescia 1995.
Gradara,
R.,
Il libro di Tobia. Per una riflessione sulla famiglia,
Edb, Bologna 1993 (con una traccia di lettura fatta nella
prospettiva di una catechesi familiare).
Nowell,
I. R.,
Giona, Tobia, Giuditta,
Queriniana, Brescia 1997.
(Ndr: Il testo prosegue con una serie di libri di commento al libro di Tobia)
[1]
È
inutile discutere qui i dettagli di questo
problema, per il quale rinvio ai commentari. Alcuni autori hanno
ipotizzato una stesura del libro in più tappe (così P. Deselaers,
Das Buch Tobit, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen
1982), ma è comunque possibile continuare a leggere Tobia come un’opera
unitaria.
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