S. Benedetto tra Montecassino e Fleury (VII-XII secolo)

Amalia Galdi - Università degli studi di Salerno

Estratto da “Mélanges de l’École française de Rome” - Moyen Âge [En ligne], 126-2 | 2014,

Dal sito: https://mefrm.revues.org/2047 

Riassunto

Nella Historia Langobardorum lo storico longobardo Paolo Diacono (VIII° secolo) narra che alcune persone provenienti dai territori delle attuali Le Mans e Orléans avevano prelevato a Montecassino le reliquie dei santi Benedetto e Scolastica, approfittando dell’abbandono del monastero dovuto alla distruzione longobarda (VI° secolo), per trasferirle in Gallia. A partire da questa testimonianza Floriacensi e Cassinesi hanno dato origine ad una contesa più che millenaria su quale delle due abbazie - Fleury e Montecassino – possedesse le reliquie autentiche del fondatore dei Benedettini, soprattutto, e della sorella: una contesa che ha determinato il ricorso a strategie molteplici a sostegno delle rispettive posizioni, segnate da evidenti parallelismi ma anche da difformità dovute alle diverse esigenze della contemporaneità e allo specifico background storico-culturale delle due comunità monastiche. Tali strategie furono affidate soprattutto alla scrittura e i loro effetti, pur originati dal mondo monastico mediante l’utilizzo dei codici espressivi tipici di questo ambiente, non furono pensati per esaurirsi al suo interno, ma per misurarsi anche con soggetti esterni ad esso e con il mondo laico in particolare. In questo articolo si analizzano le forme molteplici – particolarmente tra IX° e XII° secolo - attraverso le quali le due abbazie hanno difeso la loro pretesa di possedere le preziose reliquie, non indipendenti dal contesto storico più generale, dalle vicende specifiche delle due comunità e dalle relazioni con i diversi poteri politici ed ecclesiastici con cui entrarono in relazione. Si è poi cercato di dimostrare come le azioni intraprese non possedessero solo valenze devozionali, ma che invece perseguissero obiettivi ampi, funzionali ai rispettivi processi di costruzione memoriale e identitaria e utili ad alimentare il prestigio delle due comunità, con la conseguenza di promuovere le donazioni da parte del mondo laico e i flussi di pellegrinaggio verso i due monasteri.

 

Testo completo

Circa haec tempora, cum in castro Cassini, ubi beatissimi Benedicti sacrum corpus requiescit, ab aliquantis iam elapsis annis vasta solitudo existerent, venientes de Celamanicorum vel Aurelianensium regione Franci, dum aput venerabile corpus se pernoctare simulassent, eiusdem venerabilis patris pariteque eius germanae venerandae Scolasticae ossa auferentes, in suam patriam adporarunt ; ubi singillatim duo monasteria in utrorumque honorem, hoc est beati Benedicti et sanctae Scolasticae, constructa sunt.

Sed certum est, nobis os illud venerabile et omni nectare suavius et oculos semper caelestia contuentes, cetera quoque membra quamvis deflussa remansisse. Solum etenim singulariter dominicum corpus non vidit corruptionem ; cenerum omnium sanctorum corpora in aeternam postea gloriam reparanda corruption subiecta sunt, his exceptis, quae ob divina miracula sine labe servantur 1.

All’incirca in questo periodo, approfittando dell’abbandono in cui si trovava ormai da molti anni il monastero di Cassino dove riposa il sacro corpo del beatissimo Benedetto, alcuni Franchi provenienti dalla regione di Le Mans e di Orléans, fingendo di voler trascorrere la notte in preghiera davanti al corpo del santo, trafugarono le ossa di quel venerabile padre e della veneranda sua sorella Scolastica e le portarono nella loro patria dove eressero due distinti monasteri: uno in onore del beato Benedetto, l’altro in onore di santa Scolastica.

Ma è certo che quella bocca venerabile, più dolce di ogni nettare, e quegli occhi sempre rivolti alla contemplazione delle cose celestiali e le altre membra sono rimasti a noi, benché fatti cenere. Fu solo il corpo del Signore che, miracolosamente, non conobbe corruzione; i corpi di tutti i santi che risusciteranno alla gloria eterna, sono soggetti a corrompersi, eccettuati quelli che per decreto divino si conservano senza guasto. (Testo italiano estratto da "Paolo Diacono - Storia dei Longobardi" - Ed. TEA 1988. Testo aggiunto dal redattore del sito)

1 Il brano è tra i più controversi dell’Historia Langobardorum di Paolo Diacono, composta, come è noto, dopo il suo ritorno in Italia dal soggiorno alla corte di Carlo Magno (782-787 circa) 2. Pur nella genericità temporale che introduce il passo (circa haec tempora), il periodo in cui l’evento avrebbe avuto luogo si desume dalle parole iniziali del libro VI, quando si fa riferimento ai duchi beneventani Romualdo, Grimoaldo e Gisulfo, dunque alla seconda metà del VII secolo e ai primi anni dell’VIII 3 : un lasso di tempo che ben si adatta alla lunga fase durante la quale il monastero di Montecassino era rimasto abbandonato dai monaci che erano fuggiti a Roma 4, in seguito alla prima distruzione del cenobio dovuta ai Longobardi (a. 577 ca), per farvi ritorno solo agli inizi dell’VIII secolo. Un contesto di abbandono (vasta solitudo) che funge da credibile sfondo all’azione furtiva messa in atto da un gruppo di persone provenienti dai territori delle attuali Le Mans e Orléans, le quali, recatesi in castro Cassini, ubi beatissimi Benedicti sacrum corpus requiescit e fingendo di pernottare presso il sepolcro, si appropriarono delle reliquie di s. Benedetto e di s. Scolastica e le portarono nella loro terra, disponendole in due monasteri dedicati ciascuno ad uno dei santi.

2 La sottrazione delle reliquie dall’originario luogo di sepoltura, dunque, trova un testimone in Paolo Diacono, a prescindere se egli avesse appreso del fatto a Montecassino o durante il suo soggiorno in Gallia e, soprattutto, se avesse perseguito personali finalità nel raccontare l’episodio in questi termini 5. L’aggiunta di altre due frasi al suo racconto, però, è responsabile in buona parte della plurisecolare contesa che ha contrapposto le abbazie benedettine di Fleury e Montecassino in merito al possesso delle reliquie : sed certum est che la bocca e gli occhi di Benedetto siano rimasti con noi, dunque presso i Cassinesi, insieme a cetera membra quamvis deflussa, nel significato verosimile di dissolte, poiché solo il corpo del Signore non è esposto a corruzione, alla quale soggiacciono inevitabilmente anche i corpi dei santi.

3 Due frasi nelle quali i Cassinesi hanno visto la conferma della continuità della presenza dei corpi a Montecassino, benché inevitabilmente corrotti e nonostante i Franchi credessero di averli portati nella loro terra. Una convinzione confortata da diversi elementi ma particolarmente dal fatto che lo stesso Paolo, riferendosi all’arrivo di Petronace presso il Cassinum castrum, nel 717, faccia riferimento al sacrum corpus di Benedetto 6 e che Pietro Diacono, alcuni secoli più tardi, riferisca che l’abate Bonito, mentre abbandonava il cenobio dopo la sua distruzione, avrebbe lasciato la custodia delle reliquie ad alcuni monaci 7 ; una testimonianza, quest’ultima, che confermerebbe il racconto di Paolo, giacché la finzione dei Franchi di addormentarsi davanti al sepolcro avrebbe senso solo se il sito del monastero non fosse stato del tutto abbandonato 8.

4 Secondo l’interpretazione opposta, invece, le precisazioni di Paolo Diacono avvalerebbero ulteriormente la traslazione, poiché a Cassinum non sarebbero rimaste che membra defluxa, insomma ceneri o poco più. Ovviamente, nessuno dei commentatori del passo paolino ha mai considerato la possibilità di un’interpretazione, insieme, simbolica e metaforica del brano, suggerita dal richiamo agli occhi e alla bocca di Benedetto : se le reliquie, come tutto ciò che appartiene a questo mondo, sono soggette a corruzione, il santo è tuttavia ancora presente nel monastero da lui fondato, sul quale si sono riverberati, forgiandone l’identità, il suo insegnamento e la sua santità.

5 A prescindere, comunque, da quale sia la corretta interpretazione delle parole del Longobardo, la loro conseguenza storica più importante è il fatto che Floriacensi e Cassinesi, ognuno con le proprie ragioni, hanno costantemente creduto di avere l’esclusiva delle reliquie di s. Benedetto. Una credenza giustificata certamente da esigenze devozionali, tanto più prevedibili se, nel contesto di un immaginario che contemplava la fiducia piena nella presenza reale della virtus dei santi nei loro resti mortali, consideriamo che si trattava delle reliquie del santo fondatore dei Benedettini.

6 Tuttavia tale motivazione non esaurisce tutte le ragioni di una polemica più che millenaria e che ha determinato strategie molteplici a sostegno delle rispettive posizioni, esemplificative anche della differenti vicende delle due abbazie, nelle quali pure si riconoscono diversi parallelismi, e del loro background storico-culturale. Strategie concretizzatesi in una serie di azioni affidate soprattutto alla scrittura e i cui effetti, pur originati dal mondo monastico e con l’utilizzo dei codici espressivi tipici di questo ambiente, non furono pensate per esaurirsi al suo interno ma per misurarsi anche con soggetti esterni ad esso.

7 Una vexata quaestio che, nella sua lunga durata, si è nutrita degli stimoli e delle suggestioni della contemporaneità, superando di molto il Medioevo in cui si era originata, come dimostra una pur rapida carrellata delle sue principali tappe in età moderna e contemporanea. Esse sono state ben sintetizzate nel 1923 da Henri Leclerq, a cui rinvio per una sintesi delle diverse posizioni 9, senza sottrarsi egli stesso alla polemica e alla minimizzazione del valore scientifico delle opere degli studiosi espressisi a favore delle tesi cassinesi 10.Mi limito a ricordare che è nel XVI secolo che la contrapposizione trova particolare alimento. Si tratta del periodo durante il quale appaiono due voci degli Acta Sanctorum in cui trova spazio anche la controversia sulle reliquie : la prima dedicata a s. Scolastica da Jean Bolland che, nell’affrontare brevemente la perdifficilis atque periculosa quæstio, rinviata per maggiori approfondimenti al 23 marzo, si esprimeva sostanzialmente a favore della traslazione a Fleury 11 ; la seconda dedicata a s. Benedetto, in cui i Bollandisti assumevano una posizione più cauta 12.  Molto accesa, negli stessi anni, fu anche la diatriba tra Angelo della Noce, XXXVI abate di Montecassino e autore di un’edizione della Cronica del monastero, e Jean Mabillon che, come vedremo più avanti, aveva pubblicato un testo attribuito alla fine dell’VIII secolo, in cui si narrava della traslazione a Fleury, che sembrava mettere definitivamente fine alla disputa. Ma non fu così, perché la contesa continuò nel secolo successivo, nonostante il tentativo di mediazione del Bollandista Stilting, nella voce dedicata a s. Aigulfo di Fleury negli Acta Sanctorum, che aveva accolto parzialmente la tesi cassinese sostenendo che, se una parte delle reliquie erano state traslate a Fleury, le altre erano rimaste a Montecassino, attirandosi così la critica e l’ironia del Leclercq 13. Né meno severo fu il giudizio di questi nei confronti dei sostenitori delle tesi cassinesi nel XIX secolo, soprattutto il Gattola e il Tosti, ma si attirò la sua censura anche il benedettino francese Germain Morin, reo di aver ipotizzato la restituzione delle ossa di s. Benedetto al suo primitivo sepolcro 14.

8 Infine, il dibattito sulle reliquie è stato ripreso, con toni più pacati e sulla base di una singolare e non casuale coincidenza, a metà del secolo scorso. Alla tradizionale disamina delle fonti scritte, si sono aggiunti una maggiore attenzione alle testimonianze materiali e, soprattutto, il ricorso alle indagini medico-scientifiche sui resti custoditi a Fleury e Montecassino. Nel corso del 1952, infatti, il priore di Fleury avviò un’indagine sia sui problemi storici relativi alla traslazione, sia sulle reliquie conservate nell’abbazia. L’inchiesta, partita non casualmente a distanza di un decennio dalla restaurazione della vita monastica nell’abbazia francese, affiliata a metà degli anni quaranta alla congregazione di Subiaco, ha richiesto diversi anni di lavoro 15 e solo nel 1972 si è deciso di pubblicarne gli esiti in un volume miscellaneo che, però, ha visto la luce nel 1979, in occasione del XV centenario della nascita di s. Benedetto 16.

99 I motivi di questa lunga gestazione, oltre che nella complessità dei problemi affrontati, sono da ricercare nelle esitazioni dell’ambiente floriacense per la pubblicazione di un’opera che riaffrontava una questione spinosa e controversa, infine superate, spiega il Davril, per un’esigenza di onestà intellettuale 17. L’inchiesta anatomica, condotta da un équipe medica, aveva confrontato diverse reliquie attribuite a Benedetto e Scolastica, specialmente quelle conservate a Fleury, riferite al primo, e a Juvigny, assegnate alla seconda 18; e, pur rinunciando all’utilizzo degli esami radioattivi e chimici, confermava la compatibilità dei resti con i dati della documentazione storica e della tradizione agiografica.

10 Negli stessi anni, nei primi di agosto del 1950, a Montecassino si ritrovava un’urna sotto l’altare maggiore della basilica, divisa in due sezioni, il cui contenuto veniva messo a confronto con quello di altri reliquiari esterni al sepolcro, con il risultato di individuare gli scheletri di due soggetti di sesso diverso 19. L’indagine anatomica è durata cinque anni ed anche essa ha fornito l’occasione, questa volta a studiosi di ambiente cassinese, ovviamente contestati dagli studiosi francesi 20, di utilizzarne i risultati a conforto della tesi italiana 21.

11 Ma su cosa si basano le ragioni di Floriacensi e Cassinesi? in che modo le due abbazie, nei secoli medievali, hanno difeso le loro prerogative? e, soprattutto, quale ruolo ha avuto la rivendicazione del possesso delle reliquie di s. Benedetto nella storia e nell’identità delle due comunità monastiche?

12 Diversi elementi sostengono le ragioni floriacensi sulla veridicità della traslazione, che la tradizione agiografica abbaziale riconduce agli anni di governo del suo secondo abate, Mummolo (settembre 632 - gennaio 663) 22. Il suo ruolo di promotore della spedizione in Italia per appropriarsi delle reliquie e quello di Aigulfo come esecutore materiale della missione emergono per la prima volta, infatti, dal racconto della traslazione (BHL 1117, 1117a-g) attribuito al monaco floriacense Adrevaldo, 23 vissuto nel IX secolo ed ancora vivo nell’865, quando i Normanni attaccarono il monastero 24. Il nome di Adrevaldo, a volte confuso con quello di Adalberto (+ 852-853), non compare, però, nei manoscritti più antichi del testo, benché egli sia indicato come autore della Translatio e del primo libro dei Miracula s. Benedicti da Aimonio, che nel 1005 intraprese la scrittura del II libro degli stessi Miracula 25.

13 Adrevaldo, dopo aver riferito della distruzione longobarda di Montecassino e della fondazione del monastero di Fleury, insieme alle chiese di S. Pietro e S. Maria, da parte di Leodebodo e al tempo di Clodoveo II (+ 639), narra della decisione assunta da Mummolo, seguita alla lettura della Vita di Benedetto di Gregorio Magno e della predizione fatta dal santo della distruzione di Montecassino, di inviare Aigulfo in Beneventana Provincia perché prelevasse le reliquie di Benedetto. Ad Aigulfo si aggregano alcuni uomini di Le Mans, spinti da una visione, e il gruppo si reca alla basilica romana di S. Pietro, da dove i soli Floriacensi proseguono fino a Casinum : qui, scoperto il sepolcro di Benedetto grazie all’aiuto di un senex e di una miracolosa rivelazione notturna, prelevano le reliquie e intraprendono il viaggio di ritorno, inseguiti dagli uomini del papa, avvertito da una visione, e dai Longobardi. Poi Adrevaldo racconta dell’arrivo delle reliquie prima a Bonnée e poi a Vieux-Fleury, nonché della richiesta degli emissari di Le Mans di ottenere i resti di Scolastica, concessi da Aigulfo, e, infine, della deposizione del corpo di Benedetto nella chiesa di S. Pietro, per mano di Mummolo e Aigulfo, prima che un prodigio convinca l’abate a trasferirli nella chiesa di S. Maria.

14 Tralascio qui le problematiche sulla fondazione del primo monastero di S. Maria a Fleury, forse da parte di Giovanni e intorno al 615, e poi di S. Pietro, dovuta invece a Leodebodo, nonché la questione se la chiesa in cui furono deposte le reliquie citata da Adrevaldo sia da identificare o meno con la prima fondazione di Giovanni o con quella, ricostruita, che aveva preso il suo posto 26. Il problema principale, riguardo gli aspetti che qui interessano, è invece il ruolo di Adrevaldo nella tradizione floriacense, giacché non sappiamo se egli si sia limitato a formalizzarla per iscritto o se, invece, l’avesse modificata e/o amplificata, fornendo un nome e un contesto cronologico credibile a una vicenda che trova il suo epicentro in un furto sacro.

15 A prescindere dalla trama narrativa in cui inscrive l’episodio della traslazione, per la quale sarebbe stato influenzato dalla Translatio di s. Martino di Tours 27 e dalla Translatio ss. Marcellini et Petri di Eginardo 28, le coordinate cronologiche da lui indicate sono verosimili, considerata la loro sostanziale corrispondenza con quelle fornite da Paolo Diacono, il cui racconto gli era evidentemente noto. Non altrettanto, invece, si può affermare per ciò che riguarda i protagonisti della traslazione e le loro motivazioni, dal momento che un’opera anonima più antica, attribuita all’VIII secolo (BHL 1116), fornisce una relazione dell’evento in cui gli attori non sono precisati. Essa, tramandata da manoscritti redatti a partire dal IX secolo 29, uno dei quali è il già ricordato testo edito dal Mabillon nel 1685, proveniente da Saint-Emmeran (Ratisbona) e forse perduto 30, fu probabilmente composta da un monaco bavarese e contiene un racconto molto più sintetico di quello di Adrevaldo. I suoi protagonisti non sono Mummolo e Aigulfo ma un dotto presbitero francese che, cum sociis, decide di andare in Italia per scoprire dove fosse sepolto Benedetto. Pervenuti in desertum, grazie ad una visione occorsa ad un cuoco che era con loro, rinvengono una lapide marmorea contenente le ossa di Benedetto e sotto di esse, separate da una lastra di marmo, quelle di Scolastica. Il viaggio di ritorno è ricco di eventi prodigiosi: il lenzuolo di lino in cui erano avvolte le reliquie è trovato intriso di sangue (una vera e propria prova di autenticità) e il cavallo sul quale erano state appoggiate non avverte il loro peso. In Francia esse sono deposte ad monasterium cui Floriacus nomen est, senza far riferimento alla sepoltura di Scolastica a Le Mans. L’Anonimo cioé, pur confermando la credenza nella traslazione alla fine dell’VIII secolo, la cui fama a quest’epoca aveva quindi già superato i confini di Fleury 31, è estraneo alla tradizione testimoniata (o creata) da Adrevaldo e non coinvolge direttamente i « vertici » dell’istituzione floriacense.

16 La collocazione cronologica della traslazione nella seconda metà del VII secolo sembra confermata anche dall’analisi del contesto politico e religioso contemporaneo e di altre testimonianze liturgiche e narrative. Secondo il Laporte l’evento ben si inquadrerebbe in un periodo in cui la regina Batilde 32, moglie di Clodoveo II (+ 639), volle introdurre nei monasteri franchi la regola mista di s. Benedetto e s. Colombano e dunque è verosimile che l’abate di un monastero recentemente fondato sotto questa regola volesse procurarsi le reliquie di s. Benedetto, che avrebbero fortemente contribuito al prestigio della sua istituzione. Il coinvolgimento di Le Mans, invece, si spiegherebbe grazie al ruolo di Berario vescovo di questa città, prelato dell’entourage di Batilde e inserito in un complesso sistema di relazioni con Leodebodo, il fondatore di S. Pietro di Fleury divenuto vescovo di Nevers, e Mummolo 33. Se così fosse, non avrebbe torto Grégoire ad affermare – benché lo studioso non si pronunci sull’epoca della traslazione - che la tradizione agiografica floriacense sia un messaggio monastico, prima di essere una dichiarazione di autenticità delle reliquie presenti a Fleury, talché l’intero discorso su s. Benedetto in Francia diventerebbe soprattutto un problema di supremazia della Regola su altre forme di monachesimo 34, mentre la medesima traslazione avrebbe avuto soprattutto lo scopo di accentuare l’aspetto «benedettino» del cenobitismo gallico 35.

17 Se, dunque, il contesto storico nel quale si innesta l’acquisizione dei corpi appare credibile, quanto meno nelle coordinate cronologiche fornite dalle testimonianze fin qui analizzate, anche la precoce apparizione del culto per s. Benedetto in Francia sembra andare nella stessa direzione. In base alle fonti liturgiche, esso è testimoniato già nella prima metà dell’VIII secolo, con celebrazioni che avvenivano il 23 marzo (dies natalis di Benedetto e anniversario di probabile origine cassinese) e il 4 dicembre (Adventus delle reliquie a Fleury) ; quest’ultima festa sarebbe stata gradualmente sostituita, a partire dal IX secolo ma sempre più generalmente nell’XI, dall’11 luglio, che attrarrà il titolo di Adventus, lasciando al 4 dicembre solo la memoria del trasferimento delle ossa da S. Pietro a S. Maria 36 : uno scivolamento, attestato a Fleury a partire da Adrevaldo 37, favorito forse dalla difficoltà, per il clima del nord della Loira, di svolgere grandi celebrazioni in un mese invernale 38.

18 Riguardo invece le altre testimonianze narrative, oltre alle due citate versioni della Translatio, vanno ricordati almeno i testi provenienti da Le Mans, la Relatio qualiter corpus sanctae Scholasticae virginis [etc.] Cenomannis advenerit [etc.] 39, probabilmente composta agli inizi del IX secolo 40, e una narrazione, compresa negli Actus dei vescovi di Le Mans (Actus Pontificum Cenomannis in urbe degentium), sul trasferimento delle ossa di Benedetto e Scolastica a Fleury e di queste ultime a Le Mans, al tempo del vescovo Berario (metà VII secolo 41), redatta entro l’863 42. Il rapporto di dipendenza reciproca tra questi testi e il racconto di Adrevaldo è ancora oggetto di discussione 43 ma certamente l’Historia translationis del Floriacense, anche se forse derivata direttamente o indirettamente dalla Relatio, era destinata a riscuotere la maggiore popolarità e a fissare definitivamente la tradizione del monastero in merito alla traslazione e ai suoi attori principali, Mummolo e Aigulfo; il quale ultimo diventerà egli stesso protagonista di memorie agiografiche che lo rendono abate dell’abbazia di Lérins e morto martire nell’isola di Capraia 44.

19 Il possesso delle reliquie di s. Benedetto, dunque, per i Floriacensi era ormai un’acquisizione più che consolidata nel IX secolo, tanto che nell’818, in due successive conferme di Ludovico il Pio dell’immunità, delle esenzioni e dei diritti che sarebbero già stati accordati a Fleury da Pipino il Breve e Carlo Magno, si precisa che nel monastero sancti Benedicti corpus requiescit 45: un’espressione destinata a ripetersi nella documentazione e a diventare più frequente dal X secolo.

20 Grazie soprattutto alle reliquie, Fleury diventerà uno dei principali luoghi di pellegrinaggio della diocesi di Orléans, insieme all’abbazia di Micy 46, ed è specialmente Adrevaldo a informarci sui pellegrini che si recavano al monastero, in particolare in occasione della festa del 4 dicembre, ex veteri consuetudine 47, e sulla loro provenienza geografica e sociale 48. Il corpo di s. Benedetto rappresentava la maggiore attrazione per i fedeli che si recavano a Fleury che, tuttavia, non rinunziò ad acquisire altre reliquie, come quando entrò in possesso dei resti attribuiti ai santi Sebastiano, Dionigi, Rustico ed Eleuterio. Essi furono donati dall’abate di S. Dionigi Hilduino a Boso, abate floriacense, che si era fermato nel monastero di ritorno da un viaggio presso Ludovico il Pio 49, una donazione convincentemente interpretata come un gesto di pace di Hilduino nei confronti di Fleury, dopo che le due abbazie erano state coinvolte in una disputa su alcuni diritti territoriali che, forse, costituivano le motivazioni del soggiorno di Boso presso la corte imperiale 50. Non può escludersi, comunque, che l’acquisizione di Boso mirasse anche a « renforcer » l’importance de son sanctuaire bénédictin à l’aide des martyrs parisiens et romains, et d’ainsi majoriser un potentiel d’attraction qui était encore hésitant et local 51, dimostrando, così, il particolare impegno dei Floriacensi nel potenziare le occasioni di attrazione dei pellegrini, per non limitarle a quelle connesse con le origini del mondo benedettino.

21 Al pellegrinaggio a Fleury, oltre che, ovviamente, alla tradizionale accoglienza per gli ospiti prevista dalla Regola benedettina, era legata anche l’attenzione per le strutture di accoglienza : un hospitale nobilium e un hospitale pauperum sarebbero stati istituiti da Ludovico il Pio secondo una bolla emessa da papa Giovanni VIII il 5 settembre 878, nella quale peraltro si richiama la traslazione del corpo di s. Benedetto a Beneventana provincia 52.

22 E’ indubbio, dunque, che il possesso del corpo di Benedetto, vero o presunto che fosse, costituisse per Fleury un formidabile volano di affermazione e di rappresentazione del proprio prestigio, di cui il pellegrinaggio rappresentava una conseguenza non secondaria; e, nel contempo, contribuisse non poco ad articolare il ruolo svolto dall’abbazia a livello ecclesiastico, politico e, non ultimo, patrimoniale 53. Un ruolo che l’aveva portata ad acquisire l’immunità dal controllo vescovile e una serie di diritti che le verranno riconosciuti e rinnovati sistematicamente, soprattutto dai Carolingi ad Ugo Capeto - senza escludere il ruolo dei Robertingi - i quali provvederanno anche a proteggerla dai poteri locali, secolari ed ecclesiastici, e in particolare dal vescovo di Orléans, la diocesi entro la quale l’abbazia era situata 54. Sono state ben messe in luce da Thomas Head le interrelazioni tra le diverse strategie messe in campo dai Floriacensi, in particolare tra IX e XI secolo, per difendere le proprie prerogative nei confronti delle spinte delle forze locali, facendo ricorso non solo al potere regio, al papa e alla legge, ma anche al santo patrocinio di s. Benedetto : piani solo apparentemente antitetici, poichè royal privileges, papal bulls, and saintly patronage functioned together in concert to form their defenses against inimical local lords 55.

23 Un concorso di strategie che emerge particolarmente sul finire del X secolo con l’abbaziato di Abbone (988-1004) e la sua intensa attività intellettuale, fuori 56 e dentro Fleury 57, in un momento, cioè, in cui l’abbazia era giunta all’acme del suo ruolo di centro intellettuale per gli studi monastici, attraendo perciò monaci da ogni parte d’Europa 58, conseguenza in buona parte dell’azione svolta nella diffusione del movimento della « riforma » monastica 59, dopo essere stata governata da Oddone di Cluny, abate nel 937. Fu soprattutto sul piano intellettuale, facendo cioè ricorso alla seconda most valuable resources [di Fleury] after its relics, its library 60, che Abbone diede sostanza e basi ideologiche, legali e culturali al ricorso dei Floriacensi al potere reale e papale per difendere i propri interessi 61 ma senza che per questo venisse meno il compito da essi affidato alle reliquie di s. Benedetto e alla scrittura agiografica.

24 Espressione del ruolo culturale di Fleury, ma anche funzionale ideologicamente all’articolazione del prestigio e del potere dell’abbazia, è la cospicua letteratura agiografica prodotta soprattutto durante e dopo l’abbaziato di Abbone, con la conseguente proposizione di modelli di vita e di santità 62. All’interno di essa, ben sviscerata storiograficamente nella sua molteplicità di significati, occupa un posto notevole la continuazione dei Miracula s. Benedicti di Adrevaldo che, per mano di diversi autori, copre un arco temporale dalla metà del IX agli inizi del XII secolo, comprendendo in tutto undici libri in base all’edizione del de Certain 63. Un lungo periodo che esemplifica l’interesse costante dei Floriacensi per il culto di s. Benedetto e, soprattutto, per il suo sepolcro, sicché la continuità della presenza dei resti a Fleury è ribadita ininterrottamente dai redattori, insieme alla cura assidua per le reliquie da parte della comunità monastica; anche nei suoi periodi più difficili, come in occasione di eventi traumatici quali le incursioni normanne (tre volte nella seconda metà del IX secolo e nei primi decenni del X) o gli incendi, quando gli abati furono costretti a traslarle o a cambiarne i contenitori 64.

25 I Miracula s. Benedicti documentano il continuo ricorso floriacense alla tuitio di Benedetto, particolarmente viva nel monastero grazie alla virtus emanata dalle sue reliquie, per difendersi dai suoi nemici e in particolare da chi attenta ai suoi beni : le monastère de Fleury est la propriété de saint Benoît et tous les biens qui en dépendent sont le biens de saint Benoît 65. Il suo padre spirituale, scrive Adrevaldo, garantisce sempre aiuto nei momenti di crisi della comunità, la sua familia 66, della quale partecipano tutti gli uomini, e i servi in particolare 67, che vivevano sulle terre di s. Benedetto. Ed è lo stesso Adrevaldo il primo a riferire circostanze di questo genere 68, rivelatrici di a pact between the monks of Fleury and their patron St. Benedict, giurato sulle reliquie e da esse sacralizzato 69,  che non verrà mai meno se non, stando alla Vita Oddonis di Giovanni da Salerno, quando la condotta irregolare dei monaci causerà la disapprovazione del loro patrono, ovviamente prima della riforma operata da Oddone 70.

26 Ma è anche con Aimoino ( post 1008) che la scrittura agiografica si pone al servizio dell’esaltazione dei tormenti ma anche dei trionfi di St.-Benoît-sur-Loire. Uno dei dotti discepoli di Abbone, fu autore delle Historiae Francorum, di una perduta Histoire des abbés de Fleury, della Vita et martyrium S. Abbonis abbatis e soprattutto, per ciò che qui interessa, di opere dedicate a s. Benedetto, vale a dire una Translatio Patris Benedicti in esametri, un Sermo in festivitatibus S. P. Benedicti e il II e III libro dei Miracula s. Benedicti, nei quali in più occasioni narra del ricorso dei monaci a Benedetto, che ovviamente esercita sempre la sua miracolosa tutela, per difendersi dai nemici 71. Il legame tra Benedetto e Fleury, pur declinato con differenti sfumature a seconda delle spinte della contemporaneità e delle diverse sensibilità degli autori, si sviluppa anche con gli altri continuatori dei Miracula, Andrea (autore dei libri IV-VII), Radulfo Tortario (del libro VIII) 72 e Ugo di S. Maria (dei libri IX-XI) 73. Andrea 74, che compone i suoi Miracula tra il 1041 e il 1043 75 ed è anche autore della Vita di Gauzlino 76,abate di Fleury dal 1004 al 1030, come i suoi predecessori fa spesso ricorso a miracoli punitivi nei confronti di coloro che attentano ai beni del monastero o contravvengono ai voleri dei Floriacensi, oppure dubitano del potere di s. Benedetto o non osservano l’astensione dal lavoro nel giorno della sua festa 77. Il suo testo, ai fini dell’argomento qui in esame, risulta particolarmente interessante, dal momento che è il primo degli agiografi floricacensi a far riferimento alla contesa delle reliquie con Montecassino, con un racconto che, ricorrendo a un intervento dello stesso Benedetto, ribadisce la loro presenza a Fleury. L’agiografo aveva appreso il fatto da Gervinus, Centulensis abbas, che lo aveva riferito davanti a molti altri testimoni e che a sua volta lo aveva ascoltato da papa Leone IX, alla presenza dell’abate cassinese Richerio (1038-1055). Durante l’abbaziato di questi, una grande concertatio di monaci cassinesi aveva discusso sulla realtà della presenza dei resti di s. Benedetto nell’abbazia, digiunando e pregando affinché Dio fornisse loro una dimostrazione. Nel terzo giorno di digiuno, a Richerio apparve lo stesso Benedetto, il quale, pur affermando di essere provisor et tutor di quel luogo, gli disse di non far violare il suo sepolcro dal momento che, per sua volontà, le sue ossa riposavano in partibus Galliarum, loco Floriacensi. Nonostante ciò, egli per i monaci di quel cenobio era sempre presente, dal momento che si era assunta la custodia di entrambi i monasteri : ambosus enim una manet gloria, una provisio, una custodia, una defensio 78.

27 Pur ribadendo, dunque, la tesi floriacense, Andrea tenta una sorta di mediazione tra le due posizioni, ricorrendo alle parole dello stesso Benedetto per affermare come la presenza e la tuitio del santo si estendessero a entrambe le abbazie. Il fatto, però, che egli sia il primo a riferire della contesa può non essere casuale ma piuttosto conseguente a una ripresa delle rivendicazioni cassinesi e, forse, non indipendente dalla risonanza della guarigione miracolosa dell’imperatore Enrico II attribuita a s. Benedetto che, come si vedrà più avanti, avallava con particolare efficacia la posizione di Montecassino. Sarà nei decenni immediatamente successivi, però. che la polemica subirà un’accelerazione e cioè durante e dopo l’abbaziato di Desiderio, nel corso del quale avverrà la miracolosa scoperta, nel 1068 circa, delle reliquie di Benedetto e Scolastica a Montecassino.

28 Anche i Cassinesi, come i Floriacensi, ricorsero più volte alla scrittura per affermare il loro legame speciale con s. Benedetto. Se ciò avviene soprattutto nei secoli XI-XII, anche in precedenza non erano stati trascurati il culto per il santo abate 79 e la cura per la sua tomba. A partire dall’abbaziato di Petronace che, venuto da Brescia a restaurare la vita monastica a Montecassino intorno al 717 e su esortazione di papa Gregorio II 80, dopo la lunga fase di abbandono dovuta alla prima distruzione longobarda, fa restarurare l’oratorio di S. Giovanni Battista eretto da Benedetto aggiungendo al primitivo altare absidiale uno dedicato al santo abate 81. Un periodo nel quale si reca a Montecassino il monaco anglosassone Willibaldo (+ 786-787), che vi sarebbe rimasto dieci anni (729/730-739) 82, il primo di una serie di pellegrini illustri 83 e spesso di provenienza d’oltralpe, il cui flusso ha costituito un’argomentazione a favore della tesi sulla presenza delle reliquie di Benedetto 84.

29 Paul Meyvaert, in un lungo saggio del 1955, ha distinto due fasi nella tradizione cassinese relativa al possesso del corpo di s. Benedetto: una prima corrispondente con l’VIII secolo e gli inizi del IX, in cui la credenza nella traslazione in Gallia si alterna con la convinzione che le reliquie fossero a Montecassino, e una seconda che inizia con l’abbaziato di Bertario (+ 883), durante la quale si nega decisamente la traslazione a Fleury 85. Nel primo periodo, oltre alla testimonianza di Paolo Diacono che il Meyvaert interpreta secondo la tesi floriacense, si colloca un discusso episodio riferito sia da Adrevaldo, nel I libro dei Miracula s. Benedicti, che da Ugo di Fleury (+ 1118), in base ai quali un’ambasceria cassinese sarebbe giunta in Francia recando una lettera di papa Zaccaria all’episcopato franco per chiedere la restituzione delle reliquie a Montecassino, scritta su preghiera dell’abate Optato e di Carlomanno, fratello di Pipino il Breve e monaco di Montecassino dal 750 86. Secondo i due cronisti la missione non andò a buon fine poiché i membri della delegazione inviati da Pipino a Fleury per recuperare i resti furono colpiti da cecità dopo essere entrati nella basilica di S. Maria, segno evidente della volontà di Benedetto di non spostarsi da quel luogo 87.  La questione è stata molto dibattuta ma, come si può immaginare, la lettera è stata tacciata di falsità dai Cassinesi 88 e ritenuta autentica da altri, tra cui l’Hourlier che ha proposto di datarla intorno al marzo del 751, dal momento che Pipino è ancora definito maestro di palazzo 89 : in tutti i casi, si tratta di un documento la cui vaenza politica supera di molto la mera questione delle reliquie 90.

30 Al periodo dell’abate Bertario, quando a Montecassino si inizierebbe a negare la traslazione a Fleury, le principali testimonianze della tesi italiana provengono sia dai versi scritti dallo stesso Bertario per Benedetto e Scolastica - dove si fa anche riferimento alle loro sepolture 91 e alla continuità dei miracoli avvenuti presso di esse 92 -, sia dalla circostanza che dodici monaci cassinesi, guidati da Ermoaldo, erano stati chiamati dal re longobardo Desiderio per informare allo spirito benedettino la sua fondazione bresciana di Leno: secondo la Cronaca di Leno (secoli IX-X), essi avrebbero portato con sè una parte del corpo di s. Benedetto prelevata dalla tomba di Montecassino, insieme ad alcune reliquie romane 93.

31 Il legame profondo tra i Cassinesi e il sepolcro del loro santo fondatore, però, è sostenuto soprattutto dalla scrittura agiografica e particolarmente nella seconda metà dell’XI secolo, in connessione non casuale con un momento cruciale per la storia dell’abbazia ed in cui i sacra pignora potevano rivelarsi molto funzionali alla ‘rappresentazione’ del crescente ruolo che essa stava ricoprendo nello scenario politico-ecclesiastico contemporaneo. Gli stessi anni nei quali, altrettanto non casualmente, i Cassinesi si impegnarono assiduamente a confutare le tesi floriacensi.

32 Uno snodo fondamentale per la contesa sul possesso delle reliquie - ma innanzitutto per la storia di Montecassino - è infatti il periodo dell’abbaziato di Desiderio (1058-1087), che coincise con quella che è stata definita l’epoca d’oro del monastero, le cui fondamenta risalivano almeno agli abbaziati di Aligerno (948-985), Teobaldo (1022-1035) e Richerio (1038-1055) 94.  Espressione di articolati interventi sul piano amministrativo-economico e culturale ma anche di una straordinaria convergenza tra l’azione politica cassinese e interessi politico-ecclesiastici più generali, l’aureum saeculum desideriano sarebbe sopravvissuto fino almeno all’abbaziato di Oderisio I (1087-1105), colui che commissionerà a Leone d’Ostia o Marsicano la Chronica Casinensis 95, che enfaticamente tramanderà la memoria della complessa attività di Desiderio, fundator ac constructor del monastero 96. Prima della inevitabile crisi che dì a poco sarebbe sopravvenuta 97, quando sarà Pietro Diacono 98 ad assumersi il compito di interpretare la svolta autocelebrativa e autodifensiva della letteratura cassinese, tesa a salvare l’eredità letteraria e umana del passato della sua abbazia 99.

33 La prima testimonianza scritta di età desideriana che rinvia alle pretese cassinesi in merito al possesso delle reliquie è il già citato racconto della guarigione dell’imperatore di Germania Enrico II, attribuita al 1022. Esso viene messo per iscritto per la prima volta, a quanto mi risulta, nella Historia Normannorum di Amato di Montecassino, opera dedicata allo stesso Desiderio : ad Enrico, che era stato colpito da un intenso dolore al fianco mentre si trovava a Montecassino, era apparso lo stesso Benedetto che, nell’affermare la sua volontà di rimanere in quel luogo in risposta al desiderio dell’imperatore di avere con sé il corpo del santo, gli appoggiò sulla parte malata la croce che aveva in mano, provocandone il risanamento 100. Un passo di non facile interpretazione e che potrebbe essere il frutto di un aggiunta posteriore, per alcuni, o interpolato, per altri 101 ; tuttavia il miracolo è ripreso, in forma più ampia, nella Chronica Casinensis, con alcune, significative, varianti. Più chiaramente, rispetto all’Historia, ad Enrico è attribuito il dubbio sulla presenza corporaliter di Benedetto a Montecassino, ma soprattutto si aggiunge che, dopo la guarigione, l’imperatore avrebbe affermato che non avrebbe più messo in discussione che Benedetto e Scolastica riposassero lì 102, prima di fare egli stesso riferimento ad una falsa traslazione delle reliquie, omettendo però il nome di Fleury, e di smentire finanche Paolo Diacono per aver seguito opinionem vulgi ; Enrico, infine, avrebbe ordinato di dare alle fiamme gli scritti contenenti l’infondata scripturam translationis 103. Il cronista, dunque, amplia il racconto di Amato e probabilmente amplifica la stessa tradizione abbaziale, fornendo un resoconto dell’evento più funzionale all’affermazione del possesso delle reliquie contro le pretese floriacensi e, specialmente, l’uso che veniva fatto delle parole di Paolo Diacono a sostegno delle medesime pretese.

34 L’episodio di Enrico e, soprattutto, il resoconto fornitone dalla Chronica non sono funzionali solo allo scopo di attestare la proprietà dei resti di Benedetto e Scolastica, poiché da essi consegue un’ulteriore circostanza ugualmente efficace per esaltare il prestigio del monastero: il cronista, infatti, attribuisce al riconoscente miracolato alcuni doni ai Cassinesi, tra cui oggetti preziosi che, come è stato osservato, probabilmente egli in quel momento non possedeva 104. Nella medesima guarigione, nel contempo, è possibile individuare un punto di svolta nella storia del culto per s. Benedetto, poiché a partire da essa (e in particolare da quando fu messa per iscritto), Montecassino cominciò a rivendicare di nuovo e con successo il possesso delle vere reliquie di s. Benedetto 105, come mi sembra confermato anche dal succitato racconto di Andrea di Fleury riguardo la visione dell’abate Richerio.

35 Anche in altri luoghi il cronista ricorre al racconto di miracoli operati da Benedetto per convincere i dubbiosi : Adamo, custode della chiesa di S. Benedetto 106, in viaggio per Roma si era fermato nel monastero di S. Paolo, retto dall’abate Leone, il quale gli espresse dubbi sulla presenza delle reliquie a Montecassino, ritenendo che esse, pur sottratte furtivamente, si trovassero ultra montes; sostenendo, altresì, che Benedetto non avesse dato segni della sua presenza taumaturgica nell’abbazia. Dopo una visione del santo, Adamo smentì la convinzione di Leone e gli raccontò diversi miracoli 107.

36 L’insistenza sul possesso dei sacri resti a Montecassino segue non casualmente un evento fondamentale nella storia dell’abbazia, quando cioè, forse nel 1068, durante i lavori di erezione della nuova basilica, Desiderio aveva rinvenuto la tomba di Benedetto, che non spostò dal luogo del ritrovamento, limitandosi a ricoprirla di pietre pregiate 108. La circostanza fu arricchita di particolari e miracoli dall’immaginifica penna di Pietro Diacono, nella Historica relatio de corpore S. Benedicti Casini (BHL 1142), il quale, però, riferisce del ritrovamento di due sepolture, contenenti rispettivamente le spoglie di Benedetto e Scolastica 109. Il fatto che nella Chronica Casinensis non si specifichi se la tomba fosse stata aperta, come fosse stata identificata e, soprattutto, non si menzionino le reliquie di Scolastica ma solo quelle di Benedetto, ha fatto rilevare, nella circostanza del ritrovamento desideriano, una rottura nella tradizione cassinese, che voleva i due corpi sepolti nello stesso sepolcro, derivata, evidentemente, dalla narrazione di Gregorio Magno 110. Ci avrebbe però pensato Pietro Diacono a rendere coerenti le circostanze della scoperta di Desiderio con la tradizione abbaziale, mediante altre scritture che il Meyaert 111 gli attribuisce e che si completerebbero a vicenda : l’Epitome Chronicorum Casinensium (BHL 1121), sulla scorta del Caspar 112, nella quale si racconta la restituzione di alcune reliquie di Benedetto e Scolastica nel 754 e la loro definitiva reposizione a Montecassino alla presenza di papa Stefano II 113; una bolla apocrifa di Alessandro II scritta tra il 1130 e il 1133, che riguarda il rinvenimento dei corpi da parte di Desiderio; un Sermo in octava sancti Benedicti 114.

37 La questione è troppo complessa per essere qui affrontata anche perché implica le spinose questioni inerenti il ruolo di Pietro Diacono sulla tradizione cassinese 115, ovviamente molto più ampie rispetto alla querelle sulle reliquie. Ricordo solo che la tesi del Meyart - secondo cui la presenza di due sepolcri distinti per Benedetto e Scolastica quale emerge dai testi attribuiti a Pietro corrispondeva a quella effettivamente esistente a Montecassino, in contrasto, dunque, con la Chronica e il suo racconto sul ritrovamento desideriano - trova ulteriore conferma, per lo stesso studioso, nella inventio dei resti dei due santi nel 1484 116, in seguito alle ricerche effettuate sotto l’altare maggiore della basilica su ordine del cardinale Giovanni d’Aragona ; resti poi definitivamente sistemati, nel 1486, da Giovanni Antonio Carafa 117.

38 A prescindere, però, dal fatto che si trattasse o meno delle reliquie dei due santi e dalla questione se Pietro fosse intervenuto per rendere coerente la tradizione cassinese con l’inventio desideriana, è certo che a partire dal ritrovamento di Desiderio si moltiplicarono i racconti dei miracoli di Benedetto, dentro e fuori Montecassino 118 Lo stesso Desiderio comporrà i suoi Dialogi di lì a qualche anno, anche se aveva iniziato a raccoglierne i materiali negli anni precedenti, senza che si interrompesse, nel contempo, la disputa sulla custodia delle reliquie.

39 Nel periodo dell’abbaziato di Oderisio I, in base alla continuazione della Chronica Casinensis dell’Ostiense, sarebbe stato papa Urbano II (per la sua origine francese ?) a dubitare della presenza del corpo di Benedetto, prima che gli apparisse lo stesso santo e lo sanasse da un violento dolore al fianco (a. 1091) 119. Tuttavia, lo stesso Oderisio I, o forse il suo successore Oderisio II, avrebbe indirizzato una lettera all’abbazia di Fleury in cui dichiarava che pari gaudio entrambi i monasteri affermavano di avere le reliquie di s. Benedetto, motivo per rafforzare la fratellanza tra di loro 120; ovviamente essa, proprio perché avvalorerebbe la tesi floriacense, è stata ritenuta sospetta dal Leccisotti e autentica dal Meyvaert 121.

40 Sotto il breve abbaziato di Ottone (1105-1107), toccò invece al pontefice Pasquale II, recatosi in Gallia (luglio 1107), smentire la traslazione a Fleury, utilizzando un evento prodigioso e ordinando di rompere l’altare della chiesa per dimostrarne la falsità. L’operazione fu evitata in seguito alle suppliche dei monaci francesi benché il papa stabilisse che non si prestasse mai più fede a quella falsissima translatione 122.

41 Dunque, anche Montecassino, come Fleury, usò ampiamente la scrittura per sostenere la proprietà delle reliquie di s. Benedetto e soprattutto dal periodo desideriano, quando cioè il processo di costruzione memoriale e identitaria del monastero – sul quale, probabilmente, avrebbe poi inciso non poco Pietro Diacono – si nutrì particolarmente di istanze funzionali al peculiare momento storico e alla elaborazione del nuovo e rinnovato ruolo della comunità cassinese nel contesto politico contemporaneo. Un processo consapevolmente condotto utilizzando l’efficacia del mezzo agiografico, che insistentemente, forse più che a Fleury, difese il possesso delle ossa di Benedetto a Montecassino. Lo stesso strumento agiografico che consente di misurare l’apogeo del culto di s. Benedetto nell’età di Desiderio, all’interno di un periodo particolarmente felice per la cultura cassinese o legata a Montecassino 123, grazie soprattutto all’impegno profuso dall’abate: se la sua espressione più significativa è la composizione dei citati Dialogi de miraculis sancti Benedicti 124, una lode di Montecassino, dove la taumaturgia ottenuta con l’intercessione di s. Benedetto è un messaggio rivolto alla cristianità medievale 125, va ricordata almeno la sua committenza di un codice con la Vita dei santi Benedetto, Mauro e Scolastica 126, ma forse anche del Sermo in Vigiliis Sancti Benedicti di Pier Damiani 127 e della Vita di s. Scolastica di Alberico cassinese 128.

42 La rivendicazione delle reliquie, tuttavia, era funzionale anche ad altri scopi, condivisi evidentemente da entrambe le abbazie, come si è visto già per Fleury. I preziosi resti di Benedetto non solo ne promuovevano il prestigio ma costituivano un potente strumento di attrazione del pellegrinaggio e del complesso indotto che ne derivava, ivi compreso il consistente flusso di donazioni che esso determinava. Ed è proprio la polisemia funzionale di tale rivendicazione a rendere le scritture monastiche che la riguardavano mirate non solo ad un pubblico interno alle stesse abbazie ma anche, se non soprattutto, ad interlocutori esterni ed al mondo laico in particolare. Non casualmente, secondo la reinterpretazione dell’episodio di Enrico II del cronista di Montecassino, la vicenda si sarebbe conclusa con la cospicua donazione al monastero dell’imperatore tedesco…

43 Un particolare interesse cassinese per il pellegrinaggio è attestato – sempre non casualmente - proprio a partire dal periodo desideriano, nutrendosi di un doppio livello di attrazione. Il primo derivava dalla collocazione strategica del monastero dal punto di vista viario, lungo il cammino in direzione di Benevento, il Gargano e i porti pugliesi, e che lo rendeva tappa dei pellegrini che si recavano al santuario garganico di S. Michele 129. Il secondo livello derivava proprio dalla presenza delle reliquie, un potente mezzo di richiamo per i pellegrini, anche se non facilmente distinguibile da quello esercitato dalla suggestione e dalla sacralità esercitate dalla prestigiosa abbazia 130, lì dove erano le origini della spiritualità benedettina e dei suoi ideali di vita.

44 L’attenzione costante dei Cassinesi per i pellegrini e la loro ospitalità sono ben attestati dalla Chronica Casinensis: Desiderio, vicino al pendio da cui si saliva nella grande porta realizzata nel muro occidentale della basilica desideriana, realizzò uno Xenodochium maximum per ospitare i pellegrini, mentre un edificio eretto come ospizio a nord della chiesa in un sito non idoneo fu ricostruito ed adattato a ricevere gli ospiti ; Oderisio I fece ampliare la domus infirmorum costruita dal suo predecessore (a. 1088) 131.

45 Nonostante il pellegrinaggio a Montecassino sia ritenuto fondamentalmente elitario, legato ai nomi dei grandi del mondo o di coloro che hanno fatto (o intendono fare) professione monastica 132, in qualche caso le fonti, che ovviamente tendono a registrare la presenza sul monte di visitatori illustri per nascita o per autorità 133, fanno riferimento a pellegrini comuni. E’ sempre la Chronica Casinensis, con un racconto destinato a valorizzare ancora una volta il possesso del corpo di Benedetto (a. 1087), a raccontare che ad alcuni anonimi pellegrini, che stavano andando a pregare ad beatum Benedictum, si accompagnò un uomo che disse di essere l’apostolo Pietro e di volersi recare ad fratrem Benedictum per celebrare con lui il suo dies natalis, considerato che la sua Chiesa romana era tormentata variis procellis 134. Un’ulteriore conferma dell’attrazione esercitata su devoti di diversa estrazione sociale proviene dalle numerose tombe sistemate nell’atrio della basilica e in più punti del monastero, in particolare in prossimità del sepolcro di Benedetto e Scolastica e dei primi abati cassinesi 135. Il pellegrinaggio, insomma, era intimamente legato all’abbazia di Montecassino ed era destinato ad accompagnarne, riflettendole, le più generali vicende e i momenti di crescita e di decadenza, specularmente, come si è visto, a quanto accadeva a Fleury.

46 Per concludere, le pretese di Fleury e di Montecassino di possedere i resti autentici di s. Benedetto custodivano valenze complesse, molto più che solo devozionali, ed anche intorno al patronato del santo e alla sua presenza corporea (vera o presunta che fosse) si era misurata, nei secoli, l’identità che le due abbazie di volta in volta si erano costruite e/o volevano rappresentare : troppo complesse perché la contesa potesse trovare, se non una soluzione, almeno una mediazione. Su di essa, sono le conseguenze inevitabili della storia e dei mutamenti di mentalità, sembra essere calato il silenzio. Forse, chissà, si è realizzato in parte ciò che auspicava Cesare Baronio nell’VIII libro dei suoi Annales Ecclesiastici, quando affrontò prudentemente la vexata quaestio nel lontano scorcio del XVI secolo : Sed refugit animus tam densum controversiae huius spinetum adire, quod horret vel a longe spectare 136.

 

Note

1 Paulus Diaconus, VI, 2, p. 165.

2 Paolo Diacono 1997, p. 83-93.

3 Ibid., p. 164.

4 Paulus Diaconus, IV, 17, p. 122. Sull’esilio romano dei monaci vedi Dell’Omo 1987 e, sui rapporti tra il Papato e i Cassinesi, Dell’Omo 1986.

5 Un Paolo opportunista, che appoggia la politica “benedettizzante” di Carlo Magno, per Grégoire 2007, p. 123.

6 Paulus Diaconus 1878, VI, 40, p. 178 : Gregorio II aveva esortato Petronace a dirigersi ad sacrum corpus beati Benedicti patris.

7 Petrus Diaconus, XIV, p. 1071.

8 Come già osservato in AASS, Sept. I, p. 733.

9 Utile anche, per il XIX e il XX secolo, la bibliografia segnalata da Goffart 1967, p. 108, nota 1.

10 Leclerq 1923, soprattutto col. 1713-1722.

11 AASS Febr. II , p. 397-399.

12 AASS Mar. III, p. 299-301.

13 AASS, Sept. I, p. 733-736; Leclerq 1923, col. 1722.

14 Leclercq 1923, col. 1743.

15 Riguardo i primi risultati della ricognizione delle reliquie vedi Mundó 1959 e Davril 1960.

16 Beau et al. 1980. Sulla lunga vicenda premessa alla pubblicazione del volume vedi Davril 19801.

17 Davril 1980, p. 423.

18 Cf. Davril 19802 e, soprattutto per i risultati dell’indagine anatomica, Beau 1980.

19 Vedi Leccisotti 1951.

20 Davril 19803, p. 391 s. 

21 In particolare Leccisotti 19511 e Lentini 1962, col. 1151-1154. 

22 Per gli anni dell’abbaziato di Mummolo e per la lista completa dei primi 14 abati, ricostruita sulla base della tradizione manoscritta, vedi Laporte 1980, p. 124.

23 Utilizzerò qui il testo (Historia translationis S. Benedicti) edito in Miracula s. Benedicti, p. 1-14. 

24 Episodio raccontato dallo stesso Adrevaldo nel XXXIV capitolo del I libro deiMiracula (p. 75-76), vedi Hourlier 19802 , p. 224.

25 Miracula s. Benedicti, II, p. 92; sulla confusione tra Adrevaldo/Adalberto vedi l’introduzione di de Certain ai Miracula s. Benedicti, p. XIII-IV. Adalberto è indicato come autore della Translatio, perché così compariva in uno dei manoscritti utilizzati, nel testo edito in AASS Mar. III, p. 302-305.

26 Discusse da Laporte 1980, p. 124 s.

27 Grégoire 2007, p. 121. 

28 Geary 2000, p. 125-131.

29 Sulla tradizione manoscritta e le edizioni del testo vedi Hourlier 19802 ,, p. 220. 

30 Mabillon 1723, con il titolo Brevis narratio de translatione corporis S. P. Benedicti in Galliam

31 Nonostante i rapporti, diretti o indiretti, con la Gallia tra la seconda metà del VII secolo e la prima dell’ VIII, invece, l’ambiente monastico vicino a Beda non era a conoscenza della traslazione, vedi Visentin 1957.

32 Sulla figura di Batilde vedi Grégoire 2007, p. 116-116.

33 Laporte 1980, p. 131 s. 

34 Grégoire 2007, p. 124.

35 Grégoire 2007, p. 122.

36 Vedi Des Husses – Hourlier 1980, p. 143-204.

37 Miracula s. Benedicti, I, XXII, p. 51.

38 Davril 1980, p. 426.

39 BHL 7525, edita da Goffart 1967, p. 134-141. 

40 Hourlier 19802 , p. 230-231.

41 Sul periodo dell’episcopato di Berario vedi Grégoire 2007, p. 121.

42 BHL 1118. Sulla datazione vedi Goffart 1967, p. 110 e nota 3, e Hourlier 19802, p. 231.

43 Per Goffart 1967, p. 111-131, Adrevaldo avrebbe rielaborato la Relatio, con la quale, a sua volta, si sarebbe inventata la delegazione di Le Mans e la traslazione delle reliquie di s. Scolastica in questo luogo. La questione è discussa, discostandosi in parte dal Goffart e sostenendo la veridicità del trasferimento a Le Mans, da Hourlier 19802 , p. 231-233. 

44 BHL 193-196, AASS Sept. I; vedi almeno Planavergne 1999. Sul conflitto tra Fleury e Lérins, espresso a livello agiografico dall’assassinio di Aigulfo, vedi Grégoire 2007, p. 116-117.

45 Prou – Vidier 1900-1907, n. XIV-XV, p. 31-36, qui 32 e 34. I privilegi più antichi non sono pervenuti, ammesso che non si trattasse di falsificazioni (Rosenwein-Head-Farmer 1991, p. 779).

46 Vedi Bat-Sheva 1999, p. 203-205. 

47 Miracula s. Benedicti, I, XXII, p. 51.

48 Head 1990, p. 139.

49 Miracula s. Benedicti, I, XXVIII, p. 63-65.

50 Head 1990, p. 46; sulla traslazione di s. Sebastiano a S. Dionigi e sulla donazione di Hilduino vedi anche Geary 1979, p. 15-16.

51 Bat-Sheva 1999, p. 205.

52 Prou – Vidier 1900-1907, XXIX, p. 80-83, qui 81. La fondazione dell’hospitale nobilium si dovrebbe all’abate Teodulfo (803-818), vedi Rocher 1865, p. 61, e Bat-Sheva 1999, p. 386.

53 Un pò eccessiva l’affermazione di Th. Head secondo il quale il prestigio di Fleury nei secoli era a direct result of its acquisition of the relics of Benededict,Rosenwein-Head-Farmer 1991, p. 778.

54 La storiografia su tali questioni è abbastanza ampia. Rinvio, anche per ulteriori approfondimenti documentari e bibliografici, a Head 1990, p. 235 s., e Rosenwein-Head-Farmer 1991, p. 779-783. Per il periodo dell’abbaziato di Abbone vedi soprattutto Lemarignier 1977.

55 Rosenwein-Head-Farmer 1991, p. 786.

56 Abbone trascorse un periodo di insegnamento nell’abbazia inglese di Ramsey (985-987), sul quale vedi almeno Mostert 1986.

57 La bibliografia sul Floriacense è ampia ; molto aggiornata è quella indicata da Gantier 2004, che offre anche un sintetico ma utile prospetto cronologico della vita e delle opere di Abbone (p. 7-8).

58 L’influenza di Fleury sul mondo delle lettere, in particolare durante l’abbaziato di Teodulfo (798-818), si era ridimensionata nella seconda metà del IX secolo, Mostart 1986, p. 199.

59 Soprattutto in Inghilterra, Mostart 1986, p. 199, e Nightingale 1996.

60 Rosenwein-Head-Farmer 1991, p. 782.

61 Rosenwein-Head-Farmer 1991, p. 782-783.

62 Un’interessante lettura della produzione agiografica floriacense tra il 987 e il 1044, come espressione delle modifiche negli atteggiamenti verso l’autorità e il potere in questo periodo di rapide trasformazioni sociali, politiche e religiose, è proposta in Paxton 2003.

63 I Miracula sono stati parzialmente pubblicati anche in AASS Mar. III, p. 305-353 (BHL 1123-1125, 1129). Ampi riferimenti bibliografici sono disponibili in Hourlier 19802, p. 220 s. 

64 Berland 1980, p. 271-274. 

65 Davril 2001, p. 46.

66 Miracula s. Benedicti, I, 20, p. 49. 

67 Davril 2001, p. 47.

68 Vedi l’analisi di questi racconti in Head 1990, p. 144-146, che osserva anche (p. 140) come Adrevaldo, al contrario, riservi uno spazio più ridotto a piùtradizionali interventi miracolosi di Benedetto per guarire malanni o possessioni avvenuti per contatto diretto delle reliquie.

69 Head 1990, p. 146. 

70 Sulla testimonianza di Giovanni vedi Davril 2001, p. 45.

71 Per esempio, II, 7, p. 107-109 e III, 10, p. 154, vedi Rosenwein-Head-Farmer 1991, p. 785-786. Rispetto al II miracolo, Paxton 2003, p. 205, sottolinea il diverso atteggiamento di Abbone nei confronti di Walterius, un ennesimo attentatore ai beni di Fleury, rispetto ai suoi predecessori abati. 

72 Il suo libro è scritto intorno al 1100, vedi Bar 1975, p. 1-2; un più ampio arco cronologico di redazione, dalla II metà dell’XI agli inizi del XII secolo (Radulfo muore nel 1122), è considerato da Davril 2001, p. 43. Sulla figura di questo agiografo vedi anche Vidier 1965, p. 209-213.

73 Redatti probabilmente intorno al 1120, Vidier 1965, p. 214. Nell’opera di Ugo si nota un’attenzione al grande crocifisso d’argento donato a Fleury nel 975 non presente nei precedenti redattori, una sorte de rééquilibrage final qui surprend, ha scritto Sansterre 2010, p. 78. 

74 Negli anni di Andrea un altro agiografo, Elgaldo di Fleury, compone una Vita di re Roberto II il Pio (+ 1031), figlio di Ugo Capeto, poco dopo la sua morte, vedi, per fonti e bibliografia, Paxton 2003, p. 205-206.

75 Miracula s. Benedicti, p. 173-276. I capitoli 2-4 del libro V (p. 192-198) sono stati particolarmente studiati in merito alla “pace di Dio” nella diocesi di Bourges fino al 1038, vedi da ultimo, anche per la precedente storiografia, Barthélemy 2000, che sottolinea anche i limiti dell’edizione del de Certain del testo di Andrea (p. 71).

76 Vita Gauzlini, cf. Paxton 2003, p. 206-209. A Gauzlino si devono lavori di ricostruzione e abbellimento della chiesa di S. Maria, sui quali vedi Vegnolle 1999.

77 Per esempio l. IV, 2, 4, 5, l. V, 7, 8, 10, 12, 17, l. VI, 3, 9, 12.

78 Miracula s. Benedicti, libro VII, 15, p. 272-274.

79 Sul culto liturgico per Benedetto e Scolastica a Montecassino vedi Grégoire 2007, p. 127-132.

80 Paulus Diaconus, VI, 40, p. 180-179; ChronicaCasinensis, I, 4, p. 22-25. Per la rinascita del cenobio cassinese dopo la venuta di Petronace vedi Dell’Omo 2008, p. 31.

81 Gli altari di s. Giovanni Battista e di s. Benedetto erano posti l’uno davanti all’altro, una sistemazione che perdurerà fino al XVI secolo, vedi Davril 19803, p. 382.

82 Sulla vicenda di Willibaldo, che dopo il soggiorno di Montecassino fu chiamato a Roma da Gregorio II, vedi Dell’Omo 2008, p. 11-13, 29s, 47s.

83 Cf. Leccisotti 19511, p. 123-124, Picasso 1998, p. 74 s., e Dell’Omo 2008, p. 49.

84 Vedi Leccisotti 19511, p. 124 s.

85 Meyvaert 1955, p. 4-5.

86 Epistolae I, p. 467-468. 

87 Miracula s. Benedicti, I, 16-17, p.37-40; Hugo Floriacensis, p. 359.

88 Leccisotti 19511, p. 206-207.

89 Hourlier 198001.

90 Sulle finalità politiche della lettera dello pseudo-Zaccaria nel difficile contesto dei rapporti tra Pipino e Carlomanno, vedi Grégoire 2007, p. 118-120.

91 Meyaert 1955, p. 12-13. Su Bertario e il suo abbaziato vedi Fonseca 2008, p. 171-176, e Leonardi 1987. 

92 Grégoire 2007, p. 146.

93 Leccisotti 19511, p. 136-139. Riguardo la storia dell’abbazia di Leno, un’utile sintesi delle vicende, delle fonti e dello status storiografico, è in Baronio 2002; in particolare, vedi il saggio di C. Azzara sulle sue origini e sulla sua collocazione nel contesto delle fondazioni monastiche dei re longobardi (p. 21-32).

94 Vedi soprattutto Cowdrey 1991, p. 42-43, ma anche Dell’Omo 2010, p. 32-35. Sull’età desideriana anche Avagliano 1992 e Fonseca 2008, p. 177-186, nonché, soprattutto per l’ambito culturale e scrittorio, Dell’Omo 2010, p. 36 s. 

95 Cowdrey 1991, p.  41 e 260-269. 

96 Chronica Casinensis, III, p. 362.

97 Cowdrey 1991, p. 260-269.

98 Sulla vita e l’opera di Pietro Diacono vedi Bloch 1998, p. 15-28.

99 Dell’Omo 2010, p. 73-78.

100 Amato di Montecassino, I, 30, p. 39-41.

101 Smidt 1948, p. 210, Leccisotti 19511, p. 162-163.

102 Chronica Casinensis, II, 43, p. 247-248.

103 Chronica Casinensis, II, 44, p. 252.

104 Bloch 1986, p. 17-19.

105 Engelbert 1998, p. 44.

106 Protagonista anche di un altro episodio miracoloso raccontato nei Dialogi di Desiderio (Desiderius Casinensis, III, 25, p. 1140), e poi ripreso nella Chronica Casinensis, II, 49, p. 259-260.

107 Chronica Casinensis, II, 48, p. 256-259.

108 Chronica Casinensis, III, 26, p. 395. 

109 Petrus Diaconus1, p. 288. Pietro fa seguire al racconto dell’ inventio quello di 40 miracoli : riguardo la loro datazione e il rapporto di alcuni di essi con i Dialogidesideriani vedi McCready 1998, p. 138-141. 

110 Gregorio Magno, Dialogorum, II, 34, p. 205.

111 Meyvaert 1955, p. 23-24.

112 Caspar 1909, p. 111. 

113 L’attribuzione al Diacono è stata contestata da più parti, per esempio da Leccisotti 1951, p. 208-209, che osserva come il testo sia in contraddizione con la tradizione cassinese, tanto che nessun suo esemplare ms. è conservato a Montecassino, e da Hourlier 19802, p. 237-239, che retrodata l’ Epitome al IX secolo. 

114 Meyvaert 1955, p. 25-31.

115 Caspar 1909 (p. 122-127) attribuisce a Pietro anche un’anonima Translatio s. Benedicti (BHL 1121) che, secondo altre ipotesi, fu composta tra l’830-833 o nel X-XI secolo: nella Translatio si afferma che la maggior parte delle reliquie erano rimaste a Montecassino.  Sul problema della datazione e dell’attribuzione del testo vedi da ultimo McCready 1998, p. 118-119. 

116 Meyvaert 1959. Da un’altra prospettiva, nella direzione di confermare la tradizione cassinese, ha accuratamente analizzato le stesse testimonianze Leccisotti 1955.

117 La fonte principale dell’avvenimento è un publicum documentum (novembre 1476) del notaio Cristoforo Perone di San Germano. Alcune reliquie sarebbero poi state estratte dalla sepoltura e portate a Subiaco : vedi Witte 1956, che ritiene, peraltro, che il cardinale non fosse presente all’inventio, sottolineando, nel contempo, il ruolo del vescovo dell’Aquila nella circostanza.

118 Chronica Casinensis, III, 37-39, p. 413-419.

119 Chronica Casinensis, IV, 5, p. 470. 

120 Pubblicata in Prou -Vidier 1900-1907, p. 243-245 e nota 1 per l’attribuzione a Oderisio I o II.

121 Leccisotti 19511, p. 158, Meyaert 1955, p. 22-23.

122 Chronica Casinensis, IV, 29, p. 494-495. 

123 Vedi la recente rassegna offerta da Dell’Omo 2010, p. 40 s.

124 Composti tra il 1076 e il 1079, ci sono pervenuti incompleti rispetto al piano dell’opera previsto dall’abate. Secondo l’ipotesi di McCready 1998, tale incompiutezza è da attribuire allo stesso Desiderio e non al copista del Vat. Lat. 1203 (XI secolo), il ms. più antico contenente l’opera;

125 Grégoire 2007, p. 149.

126 Chronica Casinensis, III,18, p. 384.

127 Sul Sermo vedi da ultimo, con riferimenti a fonti e bibliografia, Dell’Omo 2007, p. 233-252 ma p. 239 per la probabile committenza di Desiderio. Sui testi liturgici per s. Benedetto vedi D’Acunto 1998, p. 83-84.

128 Lentini 1949, p. 217-238. 

129 Dalena 2008, p. 48, Avagliano 2005, p. 613-614, e Galdi 2013, p. 192. 

130 Vitolo 2007, p. 141, e Galdi 2013, p. 193. Una suggestione che, soprattutto nell’altomedioevo, fu alimentata anche dal legame tra Montecassino e Roma, Dell’Omo 2008, p. 29.

131 Chronica Casinensis, IV, 3, p. 468-469, vedi Galdi 2013, p.197-198.  Sulle altre strutture di accoglienza realizzate nei dintorni dell’abbazia vedi Leccisotti 1975, p. 65; sull’impegno assistenziale cassinese nei secoli successivi, Avagliano 2005, p. 614-615.

132 Barone 2008, p. 443.

133 Grégoire 2007, p. 29.

134 Chronica Casinensis, III,69, p. 451-452. Per lo stesso episodio vedi Petrus Diaconus1 , p. 289.

135 Grégoire 2007, p.34.

136 VIII, Romae, 1599, p. 491.

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Per citare questo articolo

Riferimento elettronico

Amalia Galdi, « S. Benedetto tra Montecassino e Fleury (VII-XII secolo) », Mélanges de l’École française de Rome - Moyen Âge [En ligne], 126-2 | 2014, mis en ligne le 04 septembre 2014.

URL : https://mefrm.revues.org/2047

Amalia Galdi

Università degli studi di Salerno, Dipartimento di Scienze del Patrimonio culturale - amgaldi@unisa.it

 


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6 dicembre 2015                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net