Regole monastiche

a cura di Angelo di Bernardino

estratto da: "PATROLOGIA. Vol. 4" - Ed. Marietti 1996

Capitolo VIII. LETTERATURA CONONISTICA, PENITENZIALE E LITURGICA

 

8. Regole monastiche

 

Verso l’anno 800 Benedetto d’Aniane compila una raccolta di 25 testi monastici latini (Codex regularum) e dà a tutti, eccetto a tre, il nome di regula, termine che aveva assunto con il tempo un significato tecnico. Questa letteratura in qualche modo normativa, anche se talvolta soltanto formativa, della vita ascetica si era sviluppata lentamente.

Il fenomeno monastico nasce spontaneamente e progressivamente si configura, soprattutto per opera di alcuni grandi personaggi che cercano di «discernere» forme evangeliche di vita da altre. Atanasio, con la sua Vita Antonii, offre non una legislazione o delle norme da osservare, ma un ideale, un modello concreto di vita, «che basta ai monaci per definire la loro ascesi» (c. 1). L’esperienza vissuta e controllata porta ad offrire ad altri le tradizioni acquisite come indicazioni di vita; così nascono e si diffondono i «Detti dei Padri» del deserto, le Conferenze e le Istituzioni di Cassiano.

Per il bisogno di disciplinare la vita ascetica vissuta insieme ad altri, la vita comune, per una convivenza pacifica e proficua, vengono redatte delle norme pratiche alla luce della Scrittura, anzitutto in Oriente. Spiccano le figure di Pacomio e Basilio, le cui opere vengono tradotte in latino rispettivamente da Girolamo e da Rufino di Aquileia. Girolamo chiama regulae, al plurale, tale legislazione monastica; ben presto però si passa al singolare per designare il programma di vita vissuto nel monastero, anche se i testi designati con il termine regula possono essere diversi per forma e contenuto.

Le regulae, di origine occidentale e latina, che hanno un qualche carattere legislativo per la vita monastica sono circa una trentina. Poiché il genere letterario è molto fluido, non è sempre facile dire se un testo è una regola oppure no. Le opere di Pacomio e Basilio, tradotte in latino, hanno influito grandemente sul monachesimo occidentale. Le regole sono molto varie tra di loro per lunghezza, per forma e per struttura, e le successive dipendono dalle precedenti in un complesso intreccio, anzi qualcuna è solo un florilegio o centone di testi precedenti senza originalità propria. Alcune erano destinate ad un determinato monastero, anche se poi si diffusero altrove, altre invece all’origine avevano un carattere generale Tuttavia un monastero poteva passare da una regola ad un’altra od anche utilizzare più regole, a seconda delle necessità. In quel periodo non si pensava minimamente al carisma proprio dell’ordine o del monastero; tale idea comporta la fedeltà alle prescrizioni fondanti, ad una singola regola.

Fino al sec. VII si ebbe una moltiplicazione di regole all’interno del monachesimo latino; esse segnano lo sviluppo della stessa istituzione, a partire dalle prime regole orientali tradotte in latino di Pacomio, Basilio, e da quella latina di Agostino. Al di sopra della regola vi era l’autorità della Parola di Dio e poteva esserci quella del vescovo locale. Ognuno, specialmente vescovi ed anche abati, potevano redigere un testo, che non era strettamente normativo ed esclusivo, come sarà successivamente. Ogni regola ha avuto una sua storia: alcune hanno avuto un uso più locale, altre una ben maggiore diffusione (Regula Basilii, il Corpus Pachomianum, la Regula Augustini); tuttavia sorse l’uso di raccogliere più regole insieme, soprattutto quelle più brevi (i corpora regularum), più spesso in ordine cronologico, talvolta per ordine di importanza, e leggerle insieme e usarle in un uno stesso monastero (questa prassi è detta regula mixta) (per la lettura: Gregorio di Tours, Hist. Frane. 10, 20; Regula Pauli et Stephani, ed. Vilanova 124; 195-197; 203-204; Regula Fructuosi. PL 87, 1109). In tal modo anche le piccole regole, incluse nei corpora, hanno varcato gli stretti confini locali per cui erano state scritte. Il corpus regularum di un monastero poteva con il tempo ampliarsi, con l’aggiunta di altre regole. Tra le tante regole emerse si impose, in epoca carolingia e per meriti intrinseci, la Regula Benedicti (cfr. Mundò).

Le regole monastiche antiche non sono testi omogenei, ma molto diversi tra di loro, a cominciare dall’ampiezza. Talvolta le regole citate sono molto brevi, offrono solo alcune indicazioni normative; talaltra molto ampie, come la Regula Magistri, che espone, senza rivali, dettagli della vita religiosa in tutta la sua organizzazione; anche per il contenuto, alcune si limitano a poche prescrizioni pratiche, altre danno maggiore importanza all’esortazione ascetica. Nel contesto della vita cenobitica avevano importanza l’abate e il priore, le vere guide della comunità. Pur nella diversità delle regole il monachesimo occidentale mostra, dal secolo VI in poi, una notevole omogeneità nella concezione ascetica, nella organizzazione della convivenza e nelle pratiche comunitarie o private delle comunità religiose.

Anche il vocabolario è vario, si sviluppa e si precisa, pur tuttavia lo stesso termine (es. praepositus) va visto nell’ambito dello stesso documento.

Qui verranno passate in rassegna solo quelle regole non segnalate sotto i rispettivi autori (Benedetto, Isidoro, Colombano, Eugippio, Cesareo di Arles ecc.), cioè quelle di cui l’attribuzione si discute oppure sono anonime. Tuttavia ci sono molti altri testi che sono affini alle regole e sono delle esortazioni ascetiche.

1) Regulae Quattuor Patrum (CPL Clavis Patrum Latinorum 1859; CPPM Clavis Patristica Pseudoepigraphorum Medii Aevi 2, B 3688; PL Patrologia Latina 103, 435- 442; PG Patrologia Graeca 34, 971-997; SCh Sources Chrétiennes  297, 180-204; II recensione SCh 298, 580-602): è la più antica regola anonima, da cui dipendono le quattro seguenti; difficile da localizzare nel tempo e nello spazio, ma potrebbe risalire a Lérins. Prende il nome dai quattro interlocutori di una riunione (Serapione, Macario, Pafnuzio e l’altro Macario), famose figure del monachesimo egiziano, i quali espongono le loro indicazioni per organizzare la convivenza nei monasteri: «Eravamo riuniti a congresso e trovammo che il partito migliore era di chiedere al Signore nostro Iddio di elargirci lo Spirito Santo, che ci insegnasse in quali termini stabilire una regola per i fratelli, in questa loro vita» (prologo). Anche se non c’è alcuna discussione, in quanto ognuno dei quattro Padri «dice» un aspetto della vita cenobitica, essa si presenta come insieme di disposizioni, su cui tutti sono d'accordo (cfr. cap. 11: ordiniamo,... vogliamo). Il genere lattario, una finzione letteraria, segue il modello già ben sperimentato dei testi apocrifi, che attribuivano le loro opere agli apostoli.

Questa Regula ha avuto una certa diffusione, non solo nella Gallia, ma anche altrove, come in Italia; fu conosciuta dall’autore della Regula Magistri e da s. Benedetto. Probabilmente la redazione primitiva fu ampliata con l’aggiunta di norme di correzione e di preferenze di persone. Inoltre da essa dipendono le quattro regole seguenti, delle quali, in base alla ricostruzione di A. de Vogüé, lo schema di derivazione è il seguente:

Derivazione delle Regole

 

2) Regula Patrum secunda (CPL 1859a; PL 103, 441-444; PG 34, 977-980; SCh 297, 274-283): di dimensioni ridotte, eserciterà un grande influsso. Il nome proviene dal fatto che nei mss. è riportata dopo la precedente, da cui dipende e di cui intende essere un complemento. Per de Vogüé essa è un aggiornamento delle Regulae Quattuor Patrum; deriva da Lérins e fu redatta nel 427.

3) Regula Macarii [CPL 1842; CPPM 2, B 3686; PL 103, 447-452; WS Wiener Studien 76 (1963) 124-158; SCh 297, 372-389]: attribuita ad un nome prestigioso del monachesimo egiziano, in realtà è di origine latina e presente in Gallia nel sec, VI. L’autore attinge da Girolamo (Ep. 125), dalla Regula Patrum secunda e dall’Ordo monasterii; l’ultima parte sembra più recente. L’attribuzione ad un certo Macario può essere solo uno pseudonimo; è antica in quanto essa sarebbe stata usata, secondo Giona di Bobbio, da Giovanni di Réomé agli inizi del VI secolo. De Vogüé (SCh 297) suggerisce che si possa attribuire a Porcario, quinto abate di Lérins, ricordato soprattutto per aver ricevuto nella sua comunità Cesario, il futuro vescovo di Arles. In tal caso sarebbe stata composta prima dei Monita e presenta delle somiglianze con essi.

A Porcario risale una breve esortazione che contiene dei consigli rivolti ai monaci sul loro comportamento esterno ed interno e sulle virtù da coltivare [Monita: CPL 1841; A. Wilmart: RBen 26 (1909) 477-480].

4) Regula orientalis (CPL 1840; CPPM II B 3606d; PL 50, 373-380; 103,477-484; PG 34, 383-390; SCh 298, 462-494). Siccome Gennadio parla di una regola scritta da Vigilio diacono (De viris 51: PL 58, 1088), talvolta si è pensato che potesse essere questa, mentre egli doveva riferirsi alla Regula Patrum secunda. In realtà la Regula orientalis è una compilazione dalla Regula Patrum secunda e da Pacomio, adattata alle esigenze di monasteri autonomi che non fanno parte di una organizzazione più vasta; sembra che essa sia stata composta in Gallia verso il 515 per uso dei monaci di Agauno.

5) Regula Patrum tertia (CPL 1859b; PL 103, 443-446; PG 34, 979-982; SCh 298, 532-542): testo breve, cronologicamente viene dopo la Regula secunda e attinge da essa per la mediazione della Regula Macarii. Siccome fa riferimento a testi conciliari di Agde, Orléans I e II (533), essa è posteriore a questa data e redatta in Gallia. Significativo il fatto che l’abate colpevole viene deposto dal vescovo, indice del controllo episcopale sui monasteri.

6) Regula Pachomii brevis (PL 50, 271-302; R.B. Albers, Bonn 1923; A. Boon, Louvain 1932, 3-74): fu compilata in Italia nella prima metà del V secolo. Praticamente è una riduzione e un adattamento alle situazioni occidentali della legislazione pacomiana, tradotta da Girolamo in latino nel 404, del quale riporta la prefazione premessa alla traduzione.

7) Regula Magistri (CPL 1558; CPPM II B 3690-3690Ì; PL 88, 943-1051; SCh 105-106): fu così chiamata da Benedetto di Aniane, perché si articola in domande dei discepoli e in risposte del Maestro. Il fatto che molti compilatori ed autori dipendono da essa, a cominciare da s. Benedetto, è indice della sua ricchezza, ampiezza, originalità, importanza ed antichità. L’ignoto autore è un vero maestro spirituale, che vuole una comunità ben ordinata, gerarchica e ricca spiritualmente nel contesto della vita ecclesiale; affronta tutti gli aspetti della vita cenobitica, talvolta precisa anche i dettagli per una convivenza ordinata.

La regola benedettina attinge abbondantemente da essa soprattutto per la parte spirituale (dal prologo e dai primi dieci capitoli). Per il Maestro la vita monastica, che è una «scuola», si articola su tre pilastri: la regola, il monastero, l’abate, e su di essi si svolge la trattazione; le tre virtù essenziali sono l’obbedienza all’abate e ai preposti, il silenzio e l’umiltà. La Regula si compone di un prologo e 95 capitoli; la parte iniziale è di carattere generale ed affronta le tematiche della vita spirituale, quindi seguono norme che riguardano la struttura della comunità monastica (economia, orario, pasti, ospitalità, infermi, norme di condotta durante i viaggi...); poi dell’ammissione dei nuovi membri e la successione abaziale; si chiude con il capitolo 95, che tratta del portinaio.

L’autore attinge da testi monastici anteriori, non da Agostino però, come pure da altri testi non monastici, per esempio dalle passioni dei martiri. Siccome la regola benedettina dipende da essa, anzi talvolta sembra volerla correggere, si deve ammettere che sia stata composta almeno qualche decennio prima, e quindi agli inizi del VI secolo, a sud di Roma.

8) Regula Tarnantensis [CPL 1851; PL 66, 977-986; Villegas: RBen 84 (1974) 7-65]: prende il nome dal luogo del monastero a cui era destinata, ancora non localizzabile (per questo varia la grafia del nome). Fu composta nel sud-est della Gallia; poiché attinge molto da materiale precedente (Pacomio, in particolare Cesario, e più ancora Agostino ecc.) si deve collocare nel VI secolo, forse nella seconda metà. La regola è destinata ad una comunità maschile dove il lavoro agricolo è molto importante (si parla dei ferramenti per la campagna e delle attività agricole); la situazione del monastero comporta anche rapporti dei monaci con la popolazione sia a livello esterno che nella vita liturgica; i monaci devono dormire in celle separate.

9) Regula Pauli et Stephani (CPL 1850; CPPM 2, B 3700; PL 66, 949-958; Vilanova, Montserrat 1959). Di essa si conservano 27 mss., dei quali quattro del IX secolo, quindi ebbe una certa diffusione in Italia, Gallia e Germania; ed una di queste regioni dovrebbe essere il luogo di origine, con probabilità il centro Italia, una regione cioè dove è forte l’influsso romano, per ragione della Bibbia usata, degli elementi liturgici che vi si trovano e delle connessioni con altra letteratura monastica. Come epoca si può collocare nella seconda metà del VI secolo.

L’autore non è conosciuto, potrebbero essere anche Paolo e Stefano, ai quali si attribuisce, i quali intendono riformare la loro comunità, che già aveva altra regola («regole dei Padri»). I 42 capitoli, in cui la Regula si suddivide, non costituiscono in senso stretto una legislazione monastica, ma piuttosto una esortazione ascetica. Le fonti dell’autore sono Basilio, Cassiano e Agostino, non fonti galliche o iberiche; anzi la tradizione manoscritta è strettamente connessa con la Regula e il De opere monachorum di Agostino.

10) Regula Ferioli (CPL 1849; PL 66, 959-976): si attribuisce a Feriolus, vescovo di Uzès (Provenza), morto nel 553; in ogni caso l’autore è un vescovo della Gallia meridionale e del VI secolo, e quindi l’attribuzione è ben fondata. Il fatto che l’autore sia un vescovo non è di scarsa importanza per il suo contenuto. La regola dipende dalle regole di Cesario di Arles e di Aureliano di Arles (f551) ed è destinata ad una comunità maschile. Lo stesso autore l’ha suddivisa in 39 capitoli (tituli). Insiste sulla povertà; parla anche del rapporto con le donne e dell’ammissione di nuovi membri; tra l’altro l’abate non può affrancare un servus senza il consenso di tutti i monaci. Si prescrive che essa venga letta ogni mese.

11) Regula cuiusdam Patris ad virgines (Regula Waldeberti) (CPL 1863; PL 88, 1053-1070). Questa regola, della seconda metà del VII secolo, si attribuisce a Valdeberto, terzo abate di Luxeuil, tra gli anni 629-670; essa attinge da Colombano e Benedetto ed è stata scritta per un monastero femminile. Contiene norme sul personale (la badessa, la priora, la portinaia, la cellaria) sulla vita del monastero e sulle pene.

12) Regola Psallendo pro sancta devotione (incipit) [CPL 1861; Masai: Scriptorium 2 (1948) 215-220]: frammento riguardante l’alimentazione di una regola destinata ad una comunità femminile. L’autore usa Cesario di Arles, Benedetto e Girolamo: dal frammento si può dire che egli compie un’operazione letteraria come quella fatta per la Regula Donati.

13) Regula cuiusdam Patris ad monachos [CPL 1862; PL 66, 987-994; F. Villegas, Rev. Hist. Spir. 49 (1978) 3-35, 135-144]. Completamente diversa dalla precedente, essa dipende invece dalla regola di Colombano, pertanto potrebbe essere di origine irlandese. Si può suddividerla in tre parti: a) 1- 18: gli obblighi di tutti i monaci (il direttore spirituale, l’obbedienza, le pene, il regime alimentare, le rinunce); b) 19-29: gli obblighi degli abati (qualità intellettuali e morali, comportamento nel governo); c) 30-32: alcune norme liturgiche.

14) Consensoria monachorum (CPL 1872; CPPM 2, B 3591 e 3650; PL 32, 1447-1450; L. Verheijen, La Règle de Saint Augustin, II, Paris 1967, 7-9). Questa regola, detta come la prima di s. Agostino, in realtà sembra risalire al VII secolo nella Galizia, ed ha l’andamento dei testi monastici del genere del pactum, anche se non in senso stretto.

15) Regula Cassiani [CPL 1874; testo integro: H. Ledoyen: RBen Revue Bénédictine 94 (1984) 170-194]: è un florilegio dalle opere di Cassiano, quindi non una vera regola per organizzare la convivenza comunitaria; talvolta il compilatore trasforma alcune pratiche menzionate da Cassiano e ne introduce delle nuove. La compilazione si è ottenuta anche con la trasformazione dello stile. Essa può risalire alla Spagna del VII secolo dell’ambiente di Fruttuoso di Braga.

16) Regula Donati [CPL 1860; PL 87, 273-298; A. de Vogùé: Benedectina 25 (1978) 219-2131. Donato, formato a Luxeuil, vescovo di Besançon, vissuto nel VII secolo, morto prima del 670, scrive la regola per un monastero femminile della città fondato da sua madre Flavia, quando questa era già morta. Egli stesso afferma di aver attinto da Cesario, Benedetto e in misura molto minore da Colombano (per le penitenze e la confessione), ricopiando o abbreviando. Pur dipendente strettamente da questi autori, presenta le tematiche in modo diverso secondo un criterio logico.

17) Regula Columbani ad virgines [cfr. CPL 1109; ed. O. Seebass: ZKG Zeitschrift für Kirchengeschichte 16 (1986) 465-469; PLS Patrologiae latinae Supplementum 4, 1603-1606] (incipit attuale: decem dies): destinata alle donne, manca dell’inizio e di parte del testo; la prima parte proviene dalla Regula coenobilis di Colombano e dalla Regula Donati, e tratta di alcune osservanze monastiche. La seconda parte, come si presenta, tratta della preghiera ed è rivolta agli uomini.

18) Regula «Largiente Domino» (CPL 1875): sembra della fine dell’VlII secolo ed attinge a numerosi autori anteriori; è rivolta ad un sacerdote che conduce vita solitaria, e tratta come egli deve organizzare la sua giornata estiva e invernale.

19) La CPL elenca, tra le regole, altri due scritti. Il primo, Epistula ad virgines (CPL 1848, PL 72, 839-860) di Giovanni vescovo di Arles (659-668), è una brevissima lettera indirizzata alle monache del monastero di Santa Maria, sito all’interno delle mura: è una breve esortazione sull’osservanza monastica, e soprattutto sui tempi di digiuno e sui rapporti con i laici. Il secondo, Instituta eccl. bernensia [CPL 1864; A. Wilmart: RBen 51 (1939) 37-52], è una specie di regola dell’VIII secolo per uomini, forse sacerdoti, ma che non sono monaci, in quanto conservano il diritto di proprietà. Pochi aspetti sono presi in considerazione: l’elezione del superiore, la preghiera, il pasto, i malati e i funerali.

 

Edizioni

J. Campos, I. Roca, Reglas monásticas de la Espana visigoda, BAC 321, Madrid 1971;

K. Suso Frank, Frühes Mönchtum im Abendland, 2 voll., Zürich 1975;

V. Desprez, Règles monastiques d'Occident (IV-VI siècles). D'Augustin à Ferréol, Bellefontaine 1980;

C.V Franklin, I. Havener c J.A. Francis, Early Monastic Rules. The Rules of the Fathers and the Regula Orientalis, Collegeville 1982;

A. de Vogüé, Les Règles des saints Pères, SCh 297-298; Paris 1982;

G. Turbessi, Regole monastiche antiche, Roma 1990;

M. Puzicha, Die Regeln der Väter; Münsterschrarzach 1990.

Studi

A.M. Mundò, I «Corpora» e i «Codices Regularum» nella tradizione codicologica delle regole monastiche, in: Atti del VII Congresso internazionale di studi sull’Alto Medioevo. II, Spoleto 1982, 476-520; DIP 7, 1410-1617;

A. de Vogüé, Les règles monastiques anciennes (400-700), Turnhout 1985;

I. Gorby, Les moines en Occident, I, De saint Augustin à saint Basil. Les origines orientales, Paris 1985; II, De saint Martin à saint Benoît, Paris 1985; III. De saint Colomban à saint Boniface, Paris 1987;

Hyeong-U Simon Ri, La correzione e la penalità dei colpevoli nelle regole latine prebenedettine e nella Regola di s. Benedetto, St. Ottilien 1984.

 


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20 agosto 2015                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net