Regole della Gallia "seconda generazione"

Andrea Pighin

Estratto da: “La regola templare. Un'analisi nel segno della tradizione monastica

Ed. Temperino Rosso, 2019


 

Veniamo quindi alle regole galliche della cosiddetta “seconda generazione”.

 

Ricordiamo innanzitutto la Regula ad monachos scritta nel 500 da Cesario di Arles, il quale scrisse anche un’altra regola per le vergini (la prima esclusivamente per donne). Ci furono molte novità: si prescriveva il voto di stabilità (stabilitas loci); il voto di povertà “effettiva” (con il divieto per i nobili di portarsi in monastero mobili, biancheria, oggetti vari); l’istituzione di un dormitorio comune al posto delle celle. L’autorità dell’abate ne uscì rafforzata: senza il suo permesso era vietato comunicare con l’esterno e la gestione dei beni era totalmente nelle sue mani; il divieto di interagire con le donne divenne assoluto. A tutto questo si aggiungeva una serie di norme sparse nelle varie regole e qui riunite, come l’obbligo del silenzio nei luoghi comuni, la carne consentita solo ai malati, etc. A sua volta, tale regola ne influenzò altre: quella di Aureliano, di Ferreolo, dell’abate Tarnat. Si discute, infine, se Cesario si ispirò a Benedetto da Norcia, suo contemporaneo di cui parleremo a parte, oppure viceversa.

Abbiamo già introdotto Cesario di Arles, il quale tra le altre cose scrisse Gli Statuti delle sante vergini (o Regola per le vergini)e una Regola dei monaci. Il testo di quest’ultimo titolo è molto breve, fa riferimento alla condivisione dei beni e all’abitazione in comune; parla della lotta spirituale e dei nemici dell’anima da combattere, in un linguaggio sintetico e profondo. Essenziale anche il principio della stabilitas loci.

 

Aureliano di Arles nacque da una famiglia aristocratica borgognona, fu imparentato con eminenti uomini di Chiesa in relazione con i re franchi e fu nominato a sua volta vescovo di Arles (546). Spinto da re Chidelberto I, fondò ad Arles prima un monastero maschile, poi uno femminile, che fornì di regole differenti. In questo periodo le regole si fanno a poco a poco più lunghe e dettagliate, rivelando il desiderio di non lasciare niente al caso. Così nella Regola di Aureliano ai monaci si indicano le concessioni da fare ai malati, il divieto assoluto di far accedere le donne, la possibilità di entrare in monastero solo dai dieci/dodici anni, poiché i bambini dovevano essere in grado di riconoscere le proprie colpe. Gli abiti dovevano avere un colore grezzo, color latte oppure nero, a patto che fosse naturale; anche i panni del letto non dovevano essere tinti e le tovaglie degli altari non potevano essere preziose. La povertà si concretizzava nel cedere il superfluo ai bisognosi, fossero essi poveri, pellegrini, prigionieri. I banchetti erano vietati, persino se vi erano vescovi e nobili in visita. L’interesse nel dettaglio, per quanto riguarda la salmodia, è evidente, così come per le regole alimentari: tre vivande in un solo pasto, altrimenti due vivande a pranzo e due a cena; da bere, vino puro e tre coppe di bevanda calda; da mangiare, predilette le verdure con olio e formaggio.

 

La Regola Tarnantense è di origine incerta e oscura, sia per l’autore sia per la collocazione spazio-temporale: abbastanza sicura è però l’influenza di Cesario e delle regole orientali. I divieti sono quelli consueti, così per il valore del silenzio a tavola e sul lavoro. La parola di Dio deve essere una presenza onnipresente, sulla quale bisogna meditare. Molta importanza è data all’armonia tra ricchi e poveri, senza arroganza e fastidi; a questo aspetto si lega il discorso sulla proprietà: i regali sono distribuiti ai pellegrini e agli sconosciuti, altrimenti devono essere persino inceneriti, e gli oggetti personali sono messi in comune ed assegnati a chi ne ha più bisogno.

 

La Regola di Ferréol fu invece scritta dal vescovo Ferreolo di Uzès, intorno al 570. Di nobili origini, la sua attività pastorale mirò in buona parte a convertire gli ebrei, tanto da essere accusato di tramare con i nemici della Chiesa. La regola, scritta per il monastero di Ferreolac è molto vicina allo spirito di Cesario. La carità è subito posta al di sopra di tutte le virtù, l’umiltà è ricercata con forza, anche per evitare le calunnie tra fratelli, che l’autore considera frequenti. Un ruolo importante è giocato dalla lettura, soprattutto delle passioni dei martiri, che deve vincere la pigrizia e spingere all’insegnamento e alla correzione nella direzione della giustizia. Nel vestiario, si ritiene che la semplicità contribuisca alla santità.

 


Ritorno alla pagina iniziale "Regole monastiche e conventuali"

Ritorno alla pagina iniziale "Storia del Monachesimo"


| Ora, lege et labora | San Benedetto | Santa Regola | Attualità di San Benedetto |

| Storia del Monachesimo | A Diogneto | Imitazione di Cristo | Sacra Bibbia |


9 ottobre 2023             a cura di Alberto "da Cormano"       Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net