Andrea Pacini

L'apporto della spiritualità benedettina

Si tratta di ecumenismo come vissuto cristiano consapevole
 e fortemente radicato nella centralità di Cristo.


Tratto da: Vita Pastorale del 01/10/2007

Nell’epoca  attuale l’ecumenismo è certamente diffuso, ma corre il duplice rischio per un verso di essere troppo spesso delegato agli “addetti ai lavori”, per l’altro verso di assumere talora contorni vaghi cedendo alla deriva dell’attivismo e di un larvato relativismo. Diviene allora di assoluta importanza ribadire come l’ecumenismo interpelli ogni credente e come esso sia nello stesso tempo principio ispiratore ed elemento di discernimento di una vita cristiana matura. Il decreto Unitatis redintegratio del concilio Vaticano II precisa con acutezza che l’impegno ecumenico riguarda sia le Chiese e le comunità ecclesiali, sia i singoli credenti, e sottolinea come l’ecumenismo non sia solo un insieme di attività e di relazioni – che rimangono certo importanti e necessarie – ma trovi il suo fondamento nell’impegno spirituale proprio di ogni credente di maturare in prima persona un vissuto cristiano significativo, che trovi espressione nella crescente comunione con Dio e con i fratelli.

 

Risulta allora chiaro come l’ecumenismo riguardi tutti. E risulta altrettanto chiaro come la vita di fede concretamente vissuta, cioè la spiritualità, sia direttamente coinvolta nell’impegno ecumenico. L’ecumenismo propone ed esige una spiritualità profonda, e per questo ricorre al tesoro della spiritualità cristiana nelle sue varie espressioni, di cui i santi sono icone eloquenti. È a questo livello fondamentale che troviamo un primo rapporto fecondo tra ecumenismo e spiritualità benedettina, che è importante sottolineare in un’epoca storica contrassegnata da molteplici processi di unificazione in Europa, cui le Chiese sono chiamate a portare il proprio specifico contributo: in prospettiva ecumenica diviene stimolante valorizzare nel vissuto ecclesiale la figura di san Benedetto, che fu proclamato da Paolo VI patrono d’Europa proprio per il carattere profondamente ecumenico e cattolico del suo insegnamento spirituale incarnato nella storia.

 

Emerge infatti una consonanza profonda tra gli elementi fondamentali della spiritualità ecumenica identificati da Unitatis redintegratio e le dimensioni fondamentali della spiritualità benedettina, di cui la Regola è autorevole espressione: la centralità di Cristo cui tutte le Chiese sono chiamate a convergere, la conversione del cuore, l’ascolto della Parola, la preghiera, il dialogo. È una consonanza non casuale: per il fatto di essere precedente alle divisioni tra le Chiese, il monachesimo benedettino è una forma di vita per sé stessa ecumenica, se vissuta con fedeltà alla prospettiva originaria. Certamente la Regola di san Benedetto (RB) proponendo una spiritualità, una forma vitae che si vuole in tutto “evangelica” (si vive «per ducatum evangelii») identifica alcuni aspetti fondamentali grazie ai quali il monaco, il singolo credente e la comunità costruiscono sé stessi in modo integralmente ecclesiale, dunque ecumenico. Di questi aspetti è bene prendere coscienza, perché essi rappresentano un insegnamento autorevole offerto a ogni cristiano per vivere con una più solida sensibilità ecumenica la propria quotidiana vita di fede.

 

Nello stesso tempo è urgente divenire consapevoli che tramite la pratica esistenziale di tali aspetti, ciascun credente è chiamato a offrire il proprio personale contributo all’unità della Chiesa; d’altra parte “scoprire” la spiritualità benedettina come spiritualità ecumenica è importante per evitare di pensare all’ecumenismo come a una “novità” sradicata dalla tradizione: si tratta invece di un’intuizione nuova, frutto dello Spirito Santo, che trova nella sana tradizione le sue radici e il suo insostituibile nutrimento. Il primo aspetto fondamentale della spiritualità ecumenica che si ritrova come dimensione portante della spiritualità benedettina è la centralità di Cristo: da Cristo le Chiese prendono vita, e solo in una rinnovata adesione a lui, che esige seria conversione, possono ritrovare l’unità perduta. Ma le Chiese attueranno tale adesione rinnovata a Cristo nella misura in cui ogni fedele vivrà la centralità della relazione con Cristo nella propria vita. La vita monastica è via e modello di tale relazione per ogni credente.

 

San Benedetto nella sua Regola continuamente afferma la centralità cristologia: fin dall’inizio chiarisce che chi entra in monastero lo fa per «Domino Cristo vero Regi militaturus» (per militare sotto Cristo vero Re: RB, Prologo 3), e alla fine della stessa Regola auspica, con totale dilatazione ecumenica del cuore, che il Cristo accolga tutti i suoi figli nella vita eterna (RB 72,12). La centralità di Cristo nella Regola è sempre collegata all’amore: niente deve essere preposto all’amore per lui. È l’amore per Cristo che lo fa riconoscere presente nell’abate, nei fratelli, specie nei più difficili, nei forestieri; è l’amore per Cristo che rende disponibili, cioè, in definitiva, capaci di amore verso gli altri, superando le difficoltà oggettive che possono esistere, ma superando soprattutto la propria autoreferenzialità. La centralità della relazione con Cristo concretamente vissuta implica la progressiva maturazione di ciascun credente, fino a giungere alla piena maturità di Cristo (cf Ef 4,13). Vivere la centralità della relazione con Cristo significa vivere e agire “nello Spirito” (cf Rm 8,4-18), dunque vivere come figli dell’unico Padre in cui ci scopriamo fratelli: e questa è anche la continua scoperta che i cristiani divisi sono chiamati a compiere, rendendola significativa nelle proprie scelte personali ed ecclesiali, imparando ad amarsi nella verità: non è un caso che Paolo VI e il patriarca Atenagora chiamassero l’ecumenismo “dialogo di carità”.

 

Infine possiamo solo accennare agli strumenti attraverso cui attuare continuamente la centralità cristologia nella vita personale e comunitaria: il magistero sull’ecumenismo del concilio Vaticano II e la Regola di san Benedetto convergono nell’identificarli nella conversione del cuore, nell’ascolto della Parola, nella preghiera, nel dialogo. Una spiritualità ecumenica salda non può sussistere senza conversione del cuore, senza umiltà, senza il coraggio di sottoporsi continuamente al giudizio della Parola ricercando l’obbedienza a essa, trovando nella preghiera sia il contesto permanente in cui accogliere il dono di grazia della personale conformazione a Cristo, sia la sorgente da cui scaturisce l’accoglienza dell’altro e il dialogo della carità. La Regola di san Benedetto, che tanto spesso si riferisce ai Padri orientali, è frutto di un percorso di vita e di santità che ha respirato “a due polmoni” – senza teorizzare tale duplicità ma vivendola – e dunque ha una dimensione ecumenica al suo interno.

 

Per questo rappresenta una via maestra di spiritualità per vivere oggi l’ecumenismo, nei suoi valori spirituali e teologici più profondi, che sanno però tradursi in prassi concrete sul piano comunitario e personale. Soprattutto, la Regola benedettina e la spiritualità che ne scaturisce aiutano a vivere l’ecumenismo in modo serio e non “vago”, radicandolo nella centralità di Cristo e nell’impegno diretto alla personale e comunitaria conversione a lui guidati dallo Spirito, riconoscendo nell’azione congiunta del Cristo e dello Spirito Santo il dinamismo propulsore dell’unità della Chiesa e di ciascun credente nella Chiesa. La Regola di san Benedetto offre in questo senso prospettive concrete perché ciascuno si senta responsabilizzato nella personale edificazione di sé stesso in Cristo, passaggio ineludibile perché la Chiesa storicamente cresca in santità e unità, manifestando al mondo la luce di Cristo. La Regola invita infine a scoprire e vivere il senso di una fraternità vera, senza la quale l’ecumenismo non può svilupparsi. In questo senso la Regola e il monachesimo sono «dominici schola sevitii» - scuola del servizio del Signore – ma in quanto tali sono anche “scuola di fraternità”, perché non si può servire Dio senza amare e servire gli uomini riconoscendoli come fratelli, e questo vale massimamente, dice san Benedetto, per i domesticis fidei, i fratelli nella fede in Cristo.



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21 giugno 2014                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net