Un ponte tra la Chiesa d'Oriente e d'Occidente:

il monachesimo

 di Théodore Nikolaou

Estratto da "Irenikon" - Tome LVII 1984 - MONASTÈRE DE CHEVETOGNE, BELGIQUE

(libera traduzione quasi letterale dal francese)

 

Il monachesimo è la realizzazione più nobile della vita cristiana. Esso è "la conseguenza di uno stile di vita ascetico" 1) ed in particolare del progetto di seguire Cristo (Matteo 16,24). Inoltre, poiché il monachesimo si basa sull’ascesi cristiana e sulla volontà di seguire Cristo e poiché è sorto in primo luogo da queste motivazioni puramente cristiane, non è privilegio della Chiesa di Oriente o di quella d’Occidente, ma bensì è la comune eredità cristiana, la forza vitale interiore delle Chiese sorelle d'Oriente e d'Occidente, che le rinnova ma anche che le collega l’una all’altra. Infatti, il monachesimo manifesta nella storia della Chiesa, soprattutto nel primo millennio, una funzione di ponte e potrebbe ancora oggi essere compreso, per la sua stessa essenza, come un ponte tra la Chiesa d'Oriente e d'Occidente.

In questo articolo desidero presentarvi alcuni dati storici, così come alcuni suggerimenti che supportano questo punto di vista. Tuttavia dal momento che nella Chiesa ortodossa il monachesimo è considerato essere la fortezza ed il custode della vera fede, e quindi appare piuttosto anti ecumenico, devo iniziare dicendo comunque che io cercherò nella seconda parte delle mie considerazioni, dopo aver valutato le differenze tra il monachesimo occidentale ed il monachesimo orientale, di presentare dei punti di contatto e delle prospettive.

I. IL MONACHESIMO, PILASTRO DELL’UNITÀ DELLA CHIESA ANTICA

 La questione di stabilire se il monachesimo in Occidente sia solo un germoglio del monachesimo orientale o se esso mostri anche una certa esistenza propria, è molto discussa. A me sembra essere secondaria. Questa questione ignora in gran parte il legame interno indissolubile del monachesimo con l’ascesi cristiana praticata nei primi secoli dai cristiani nella parte orientale dell'Impero romano, così come nella sua parte occidentale. Questa potenza in germe che ha preparato il monachesimo nella vita della Chiesa antica spiega la rapidissima espansione del monachesimo dall'Egitto attraverso la Palestina, la Siria, Cipro e l’Asia Minore fino all'Occidente. La "Vita Antonii", "il documento classico del monachesimo" 2), spiega in modo molto impressionante nel suo secondo capitolo l’interdipendenza dell’ascesi, come cammino alla sequela di Cristo, e del monachesimo 3). Tra i moventi di Antonio essa elenca da un lato l'esempio degli Apostoli che hanno lasciato tutto per seguire il Salvatore (cfr. Mt 4,20) e ,dall'altro, l'esempio della comunione dei beni tra i primi cristiani (cfr. At 4,35). Antonio ha ricevuto la spinta decisiva quando in chiesa ha sentito la lettura e soprattutto le parole che il Signore ha indirizzato al giovane ricco: "Se vuoi essere perfetto, va', vendi tutto quello che hai e dallo ai poveri, poi vieni e seguimi, ed avrai un tesoro nei cieli " (Mt 19,21).

Queste incitazioni hanno alimentato nella Chiesa antica, sia in Oriente che in Occidente, in generale, il campo dell’ascesi e del cammino sulle orme di Cristo, ed hanno così preparato la venuta del monachesimo. Il monachesimo in Occidente, così come in Asia Minore ed in Siria, è sorto da questo terreno fertile comune, ben inteso sotto l'influenza dei primi anacoreti e dei primi "coenobia" che apparvero in primo luogo in Egitto.

Il legame tra il monachesimo in Oriente ed in Occidente si esprime anche in un altro modo attraverso lo scritto di cui sopra, la "Vita Antonii". Questa “Vita” proviene dalla penna di uno dei teologi più significativi dell’Oriente, il vescovo Atanasio il Grande di Alessandria, e fu composta verso il 357. Essa si rivolge, infatti, "ai monaci stranieri" (πρός τούς έν ξένη μοναχούς). Si presume con buona ragione che si riferisca ai monaci che vivono in Occidente. Se consideriamo che all'inizio della comparsa del monachesimo in Occidente Atanasio gli ha dato, là dove stava, un impulso decisivo durante i suoi ripetuti esili, l'ipotesi sembra corretta e precisa (si vedano anche le allusioni, nel proœmium, al fatto che il monachesimo è nuovo là dove risiedono i destinatari e che tra Alessandria e questo luogo vi è un collegamento col battello 4)). Ciò significa che Atanasio non solo ha apportato con la sua attività un importante contributo alla nascita del monachesimo in Occidente, ma  con questo scritto ha anche stabilito una chiara connessione tra i primi celebri eremiti d'Egitto, patria del monachesimo, ed il monachesimo occidentale; in effetti l’opera descrive la vita di Antonio per dare ai destinatari, i monaci d'Occidente, “un grande modello di ascesi" 5).

A tal fine servì anche la prima versione latina della "Vita Antonii" (verso il 371), opera del presbitero e poi vescovo di Antiochia Evagrio. Sant'Agostino, che, come sappiamo, ha portato il monachesimo in Africa del Nord, ci fa conoscere nelle sue “Confessioni" 6) che la "Vita" era letta alla corte imperiale di Treviri in una traduzione latina probabilmente più antica che non ci è pervenuta. Nello stesso contesto egli parla anche con grande ammirazione di Antonio, "l'eremita egiziano il cui nome godeva di altissima fama presso i servitori" di Dio. L'influenza della "Vita" in Occidente certamente, ma anche in Oriente, è dimostrata oggi senza equivoci, soprattutto da H. Dôrries 7).

Come Atanasio ha inciso la figura letteraria del monaco anacoreta con la "Vita Antonii" ed ha offerto in tal modo al mondo cristiano d'Oriente e d’Occidente un modello monastico 8) il cui effetto è stato in seguito notevole, un altro ed importante Padre della Chiesa d'Oriente, Basilio il Grande, con i suoi scritti ascetici (in particolare con le sue Regole, le cinquantacinque Grandi e le trecento tredici Piccole) domina l'area del monachesimo cenobitico introdotto da Pacomio. Basilio non dà "Regole" nel senso più tardivo del termine e non è il fondatore di un "Ordine basiliano”, contrariamente a quanto si legge, in modo non corretto, in molti libri ed opere di riferimento di teologia considerate affidabili. Quelle che chiamiamo le Regole di Basilio presentano essenzialmente un catechismo dei doveri, una sorta di dottrina cristiana delle virtù ed in generale delle istruzioni sotto forma di domande e risposte. La realizzazione di una condotta di vita virtuosa, perfetta ed evangelica dell'uomo, che Aristotele caratterizza come "animale politico" 9), per Basilio è garantita solo nella comunità ecclesiale, la "Polis" di Dio sulla terra. Ciò è anche vero, come ha sottolineato con forza nella Grande Regola 7, dei monaci che hanno scelto il "coenobium" organizzato (κοινοβιακή κοινωία) per importanti motivi di salute, piuttosto che la vita solitaria dell'anacoreta: precetto dell’amore del prossimo, complementarietà dei carismi nell’unico corpo di Cristo, condotta di vita esemplare gli uni per agli altri, ecc.: "Una comunità di fratelli è anche il campo di combattimento, la via garantita del progresso, un addestramento continuo, la pratica assidua dei comandamenti del Signore. Tende alla gloria di Dio secondo il precetto del nostro Signore Gesù Cristo, che ha detto: “Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli” (Mt 5,16). Infine conserva questa caratteristica propria dei santi la cui storia è riportata negli Atti e di cui è detto: Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune” (At 2,44) 10).

Per il monachesimo orientale le prescrizioni ascetiche di Basilio sono rimaste fino ad oggi fondamentali e di guida, sia nella loro disposizione continuatrice di Teodoro Studita ( † 829) e di Atanasio d'Athos († verso il 1002), sia tramite la loro traduzione in armeno, georgiano, arabo e slavo. Ma esse hanno esercitato nello stesso tempo un’influenza altrettanto stimolante sul monachesimo occidentale. San Gerolamo 11) conosce l’"Asceticum" di Basilio e Rufino († 410) che ha riassunto le due Regole in una (formata da duecento tre regole) e le ha tradotte in latino ("Instituta monachorum"). Gerolamo e Rufino sono ambedue luminosi esempi di uno scambio monastico attivo tra l’Oriente e l’Occidente. Entrambi provengono dall’Occidente, ma hanno trascorso diversi decenni in Oriente (Gerolamo dal 373/74 al 382 e dal 385 al 419 o 420, Rufino dal 371 al 397); uno e l'altro visitano l’Egitto, diventano discepoli di Didimo il Cieco, vivono qualche tempo come eremiti (Gerolamo nel deserto della Calcide nei dintorni di Antiochia, Rufino visita i deserti di Nitria e di Scete) e come monaci; essi fondano anche dei coenobia, Gerolamo vicino a Betlemme e Rufino vicino a Gerusalemme. Il loro contributo più importante e più duraturo riguardante il nostro argomento fu la loro attività di traduttori dal greco in latino. Oltre alla traduzione di cui sopra delle Regole di Basilio da parte di Rufino, dobbiamo qui indicare soprattutto la versione delle Regole di Pacomio da parte di Gerolamo e quella della "Historia monachorum in Ægypto" da parte di Rufino.

In aggiunta a quelli che abbiamo riportato finora (Agostino, Gerolamo e Rufino), ci sono stati altri scrittori cristiani ed altri monaci attivi sul piano dello scambio monastico. Per esempio Giovanni Cassiano († 430/35), che ha vissuto anche lui per un certo tempo in Oriente ed ha introdotto il monachesimo nel Sud della Gallia. Nelle sue due opere principali – il "De institutis coenobiorum et octo principalium vitiorum remediis" e le "Collationes Patrum" - ha trasmesso gli ideali spirituali ed il pensiero della vita ascetico-monastica dell’Oriente. Tutti questi sono però senza dubbio superati da San Benedetto († verso il 547). Dopo l’ampia distruzione della vita monastica in Occidente dovuta all’invasione dei popoli germanici, egli l’ha riorganizzata e rianimata. A Benedetto, "patriarca del monachesimo occidentale", 12) risale la fondazione del famoso monastero benedettino di Montecassino in Campania (nel Lazio. Ndt), nel 522. Ma innanzitutto viene da lui la "Regula Monasteriorum" che nel medioevo, fino al XII secolo, ha prevalso sola in Occidente e le cui fonti principali includono Antonio, Pacomio, Gerolamo, Rufino, Agostino e, in modo particolare, Basilio il Grande e Cassiano. Secondo Altaner la "Regula" è "il frutto dello spirito d’ordine dei Romani che con il senso pratico ed il talento organizzativo ha dato al germoglio orientale una forma ed una struttura adattata alle conformità occidentali" 13).

L'influenza indiretta di Basilio il Grande su Benedetto, ma anche la sua influenza diretta, sono facili da dimostrare confrontando quello che i due Padri della Chiesa dicono sull'obbedienza, per esempio, o sul silenzio 14). Ma questo argomento ci porterebbe lontano qualora lo volessimo approfondire. Vorrei comunque citare un altro esempio. Tutti sanno che si considera come benedettino il principio "ora et labora". Al contrario si sa meno, per prima cosa, che questo principio non si trova letteralmente nella Regola di San Benedetto 15), ed in secondo luogo, che questo principio è chiaramente presente in Basilio il Grande 16) e fondamentalmente risale al Nuovo Testamento. In terzo luogo, è ancora meno noto che questo principio sembra essere stato di grande importanza tra gli anacoreti. Questa affermazione si basa sul fatto impressionante che la collezione detta alfabetica degli "Apophtegmata Patrum", così importante per farci conoscere il mondo degli anacoreti 17), si apre con la seguente storia di Antonio:

"Un giorno il santo padre Antonio, mentre sedeva nel deserto, fu preso da sconforto e da fitta tenebra di pensieri. E diceva a Dio: «O Signore! Io voglio salvarmi, ma i pensieri me lo impediscono. Che posso fare nella mia afflizione?». Ora, sporgendosi un po’, Antonio vede un altro come lui, che sta seduto e lavora, poi interrompe il lavoro, si alza in piedi e prega, poi di nuovo si mette seduto a intrecciare corde, e poi ancora si alza e prega. Era un angelo del Signore, mandato per correggere Antonio e dargli forza. E udì l’angelo che diceva: «Fa’ così e sarai salvo». All’udire quelle parole, fu preso da grande gioia e coraggio: così fece e si salvò" 18).

I Benedettini ci forniscono anche notevoli esempi di scambio monastico nella direzione opposta, cioè dall’Occidente all’Oriente. Durante il primo millennio già c'erano diverse fondazioni monastiche in Oriente tenute dai Benedettini. La più interessante è sicuramente il monastero benedettino sul santo monte di Athos. Si tratta del monastero conosciuto con il nome Amalfion o degli Amalfitani 19). I monaci benedettini di Amalfi, in Italia, sono già menzionati nella "Vita" di S. Atanasio, il fondatore del monachesimo Athonita, e certi documenti delle origini contengono le firme di monaci in latino. Il monastero degli Amalfitani è stata fondato negli anni Ottanta del secolo X, vale a dire una ventina di anni dopo la costruzione della Lavra (963), da parte di Leone di Benevento che era venuto al monte Athos nell’anno 980 con sei dei suoi discepoli. La fondazione del monastero degli Amalfitani è stata effettuata seguendo i consigli e con il sostegno materiale degli Iberi (Georgiani. Ndt) Giovanni ed Eutimio, che erano allora decisivi sul monte Athos. In un primo momento vi operava ancora Giovanni di Benevento che si era stabilito sul monte Athos, arrivando direttamente da Montecassino. Il monastero ha acquisito nel corso dei due secoli successivi un'importanza particolarmente significativa ed è stato tra i più grandi della repubblica monastica. A questo proposito la prescrizione del Typicon dell'imperatore bizantino Costantino IX Monomaco, dell'anno 1045, è significativa: secondo questa prescrizione il monastero degli Amalfitani, come anche il monastero di Vatopedi, doveva insolitamente disporre di una navata più grande 20). Gli Amalfitani ebbero una attività di notevoli traduttori ed hanno molto contribuito alla storia della spiritualità, in particolare nel campo dell’agiografia. A partire dall'esistenza del monastero degli Amalfitani, così come dall’insediamento amalfitano di Costantinopoli, attestato da vari documenti fino alla fine del XII secolo o all'inizio del XIII, si può concludere che gli eventi dell’anno 1054 (Il Grande Scisma o Scisma d’Oriente. Ndt) non hanno avuto che un carattere episodico nella vita dell'unica Chiesa in Oriente ed in Occidente, mentre furono solo le crociate, in particolare la presa di Costantinopoli da parte dei Crociati della quarta crociata nel 1204 e ciò che ne seguì, che hanno portato alla divisione propriamente detta. Del monastero degli Amalfitani sull’Athos, formalmente abolito nel 1287 e aggregato alla Grande Lavra, e del suo fulgido esempio, oggi ne conserviamo la memoria grazie alle rovine del suo mastio che si erge tra i monasteri della Grande Lavra e di Karakalou.

Sarebbe facile dimostrare la funzione unitiva del monachesimo nella Chiesa indivisa con altri esempi di grande peso. Si potrebbe trattare in modo concreto del contributo culturale dei monaci in Oriente e Occidente che, ad esempio, grazie alla trascrizione assidua della letteratura classica (Ma anche di trattati scientifici, di scritti giuridici, di storia, di medicina, di agricoltura, di arte, di musica ed altro ancora. Ndt) ne hanno realizzato il salvataggio nel corso dei secoli, oppure hanno continuato l'educazione del popolo cristiano in tanti luoghi e modi diversi. Si potrebbero anche portare i nomi di alcuni eminenti teologi, di santi padri, di grandi superiori e dottori ecumenici, di martiri teofori e di taumaturghi famosi, di santi asceti e di missionari disinteressati, che hanno almeno trascorso qualche tempo della loro vita in un monastero e che noi, cristiani d'Oriente e d'Occidente, abbiamo in comune. Si potrebbe citare, in particolare, l'impegno fino al sacrificio di sé stessi di innumerevoli monaci a favore della vera fede, e le loro lotte inflessibili contro l'errore (ad esempio quello di Massimo il Confessore). Ma io penso che ciò che è stato presentato finora ha fornito una prova sufficiente che il monachesimo ha segnato e sostenuto in modo decisivo l'unità effettiva tra l’Oriente e l’Occidente nella vita della Chiesa indivisa.

 II. MONACHESIMO, FATTORE DELLE ASPIRAZIONI ALL’UNITA' TRA LE CHIESE OGGI

 Se partiamo dalle asserzioni fatte a titolo di premessa, secondo le quali il monachesimo è l'espressione più significativa della vita cristiana, è difficile immaginare quanto poco le due grandi Chiese sorelle includano oggi il monachesimo nei loro molteplici sforzi per l'unità a cui aspirano. Tale inclusione è ancora molto necessaria, io credo, sia per il semplice motivo del significato proprio del monachesimo a livello teologico ed ecclesiologico, sia anche a causa delle implicazioni della divisione nella storia della Chiesa. Non dobbiamo dimenticare che molte delle trattative di unione durante il Medioevo, che hanno avuto successo a partire da ragionamenti di pura politica o di politica ecclesiastica, rimasero infruttuose a causa della violenta opposizione, in primo luogo, dei monaci.

La divisione ecclesiale ha portato a parlare abitualmente delle differenze tra il monachesimo d'Oriente e quello d'Occidente piuttosto che di ciò che esse hanno in comune 21). Ci sono realmente tali differenze, e qual è il loro peso?

1. Una reale differenza di antica origine consiste nel fatto che in Occidente, a differenza dell'Oriente, l’anacoresi, la vita eremitica, ha trovato scarso accesso. E' vero che anche in Oriente il primato è dato alla vita cenobitica e che questa è considerata come la forma classica (a partire da Pacomio e da Basilio il Grande), ma ci sono sempre stati, a fianco dei coenobia, dei solitari isolati. Va ricordata, infatti, in questo contesto, la tendenza in Oriente a scoraggiare i solitari a causa della loro indipendenza. Già l'imperatore Giustiniano (527-565), il grande organizzatore del monachesimo bizantino, prescrive che il numero degli anacoreti rimanga limitato e che la loro cella dovrà trovarsi all'interno della recinzione del monastero. Anche al Monte Athos si stava portando avanti un tale obiettivo. Il Typikon di Atanasio, per esempio, limitava a cinque il numero di kelliotes (solitari) relativi alla Lavra 22). Questi cinque, ai quali era permessa l'ascesi in solitudine, dovevano avere delle ragioni spirituali ed essere in grado di sostenere sé stessi. Il Typikon dell'imperatore Giovanni Zimisce (o Tzimiskès), prima costituzione ufficiale del monachesimo athonita (972), constata infatti l'esistenza di solitari ma, allo stesso tempo, determina che la loro ammissione all’ascesi nella solitudine spetti agli abati 23). Il Typikon del 1045 (dell'imperatore bizantino Costantino IX Monomaco. Ndt) passa sotto silenzio i solitari, ciò che indica un’ulteriore limitazione della loro indipendenza. L'ascesi nella solitudine è dunque normalmente consentita anche in Oriente, senza tuttavia essere puramente e semplicemente la forma ideale di vita monastica. Considerata nel suo insieme essa costituisce una ricchezza tradizionale del monachesimo orientale, ad imitazione della quale anche l’Occidente rimane aperto. Ma essa non è una differenza ecumenica di peso.

2. Durante il Medioevo si è introdotto nel monachesimo orientale, in collegamento tra l'altro con le forze centrifughe dell’ascesi solitaria, un rilassamento della vita monastica che culminò nell’idioritmia (L'idioritmia è la tendenza a vivere secondo il proprio ritmo, non soggetti a una regola. Ndt), secondo la quale la vita del monaco è adattata ad un ritmo che, in misura considerevole, gli è proprio. L’idioritmia, che significa, di fatto, l'abolizione della rinuncia monastica (della povertà) e l'eliminazione dell’obbedienza, questa virtù cardinale monastica, apparve nei primi anni del XV secolo sull’Athos e formò, in realtà, durante i secoli una certa opposizione alla natura comunitaria della vita monastica sempre attiva in Occidente. Tuttavia, il fatto che molto presto l’idioritmia sia stata additata come una forma decadente della vita monastica (si veda, ad esempio, lo scritto "Contro l’idioritmia" del monaco Pacomio intorno al 1530, o il Typikon del 1574 (Del Patriarca Geremia II. Ndt) 24) e che, sulla base di una comprensione e di una auto-affermazione di sé in conformità con questo giudizio, la vita cenobitica ha quasi completamente ritrovato il suo posto oggi, non ci permette di parlare di una differenza tra il monachesimo d’Occidente e quello d’Oriente. L'idioritmia è soprattutto una manifestazione deviante della vita cenobitica classica nel monachesimo orientale; essa appartiene più o meno al passato e per questo motivo non ne teniamo conto.

3. Mentre in Oriente non ci sono ordini monastici con strutture proprie, noi oggi ci troviamo di fronte, nel monachesimo in Occidente, ad un notevole numero di ordini. Per capire questa situazione bisogna prima di tutto sottolineare che la Chiesa primitiva non conosce gli ordini monastici. La ragione si trova nella concezione che fonda l’autocefalia (l'autonomia) di ogni Chiesa locale. Sulla base di questa concezione, a partire dal IV Concilio Ecumenico (a Calcedonia nel 451, canone 4), gli insediamenti monastici organizzati erano sottomessi al vescovo del luogo "pro tempore". Questa norma della Chiesa antica, stabilita dalla più alta autorità ecclesiastica, è rimasta in vigore senza alcuna modifica fino ad oggi nella Chiesa d'Oriente. I cosiddetti "monasteri stavropigiali" (σταυροπηγιακαί μονά) sono un'eccezione (Nel cristianesimo ortodosso è detta "stavropigiale" un'istituzione od un monastero che risponde alla diretta giurisdizione dell'arcivescovo (detto anche primate) piuttosto che a quella del vescovo diocesano. Ndt).

Questa norma era anche generalmente obbligatoria in Occidente fino al XII secolo. Il monastero degli Amalfitani sull’Athos, per esempio, di cui abbiamo parlato in precedenza, seguiva pure la Regola di San Benedetto, ma come gli altri monasteri dell’Athos seguiva anche le Typika in vigore lì ed era sottomesso al Vescovo di Hiérissos e, quindi, al Patriarcato ecumenico. Ma in Occidente, a partire dal Medioevo, fa autorità un diritto degli ordini strutturato in modo centralizzato sul piano ecclesiologico e condizionato dallo sviluppo del papato. Questo diritto è in contraddizione con la suddetta disposizione del IV Concilio Ecumenico sopra menzionato e, secondo la visione ortodossa, questo rappresenta uno sviluppo ecclesiologico discutibile nel monachesimo occidentale. In relazione con la vita degli ordini monastici si trovano anche in Occidente le numerose riforme monastiche, a cominciare da Cluny, con i loro numerosi lati positivi.

4. Al diritto degli ordini monastici, concepito in modo centralizzato, corrisponde in Occidente il loro evidente carattere internazionale, mentre in Oriente il monachesimo ha piuttosto un carattere locale o nazionale. Ciò, tuttavia, non rappresenta alcuna differenza significativa ed è appena un’apparenza. Perché la vita in comune dei monaci provenienti da diverse nazioni sul Monte Athos, sia al tempo dell'Impero Bizantino, sia ancora oggi, testimonia il contrario.

5. Infine, l'esistenza di vari ordini monastici in Occidente ha fatto in modo che la divisione del lavoro e della produzione appaia con più trasparenza all’esterno (ad esempio, la pratica del lavoro dei campi dei Cistercensi o l’applicazione dei Domenicani alla scienza ed alla cultura). Il principio della divisione del lavoro è nato pertanto dalla vita cenobitica e lo si trova normalmente anche in Oriente in ogni monastero che funziona bene. Incolpare il monachesimo d'Oriente di avere praticato e di praticare ancora una "economia che non è razionale" significa ignorare la linea e l'obiettivo propri del monachesimo. Per designare questo disconoscimento è la parola di Basilio il Grande che lo spiega meglio, e cioè che gli uomini si prendono cura delle cose del mondo e delle arti, ma non delle verità teologiche (τεχνολογοΰσιν ού θεολογοΰσιν οί άνθρωποι) 25). Così, quando il monachesimo in Occidente compie qualche prestazione economica e sociale degna di ammirazione la si deve apprezzare, in tutti i casi, come qualcosa di accessorio che non entra in gioco, vale a dire che non è particolarmente degna di lode in sé.

Il monachesimo in ciò che esso realizza ed in ciò che persegue non deve essere giudicato con le misure di questo mondo. Un monaco del Monte Athos, contemporaneo e noto, ha scritto a questo proposito: "Ci chiediamo se sarebbe utile che i monaci della Chiesa ortodossa intraprendano attività sociali o filantropiche. Io risponderei: quando il nostro Signore Gesù Cristo ha lasciato alla libera scelta dell'uomo la vita nella continenza come una sorta di vita più elevata, ha detto queste parole ben note: “Chi può capire, capisca” (Mt 19,12). Permettetemi di indirizzare le stesse parole a chi mi pone la questione. Chi, tra i monaci, è in grado di entrare in contatto con il mondo senza sporcare la sua purezza e senza perdere la sua relazione mistica con Dio, ecco che ci troviamo davanti ad un campo di battaglia con un duplice irraggiamento e con la vita sdoppiata, verso l'interno e verso l'esterno. La questione dell’attività dei monaci nel mondo può essere affrontata solo da questo punto di vista .... " 26). Il monachesimo vive di preghiera e non è che un solo ed unico servizio di salvezza dato alla Chiesa. Questo è il motivo per cui le due differenze che abbiamo rapidamente accennato in precedenza, purché non siano ecclesiologicamente condizionate - cioè ignorando concretamente la questione degli ordini monastici in Occidente -, sono differenze e spostamenti d’accento senza portata ecumenica. I punti in comune tra monachesimo d'Oriente e d'Occidente sono, contrariamente delle differenze, di fondamentale importanza. Utilizzando alcuni esempi ora illustrerà ciò.

Storicamente, ma anche per il suo contenuto, il monachesimo nella Chiesa antica ha assunto il compito del martire in un certo senso. Così come i martiri ed i confessori andavano alla morte in qualità di soldati di Cristo (“milites Christi”), cioè imitavano Cristo nella sua obbedienza (Fil 2,8), e con ciò deponevano una martyria (una testimonianza) della loro solida ed incrollabile fede in Cristo, allo stesso modo fin dalle origini ed ancor oggi i monaci in Oriente ed in Occidente sono dei testimoni, fino al sacrificio, della loro fede in Cristo solida e splendente. Essi sono i soldati anonimi di Cristo nella loro battaglia permanente, salutare e sempre attuale “contro i Principati e le Potenze, contro i dominatori di questo mondo tenebroso, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti”; essi hanno “l’armatura di Dio, perché possono resistere nel giorno cattivo e restare saldi dopo aver superato tutte le prove” (Ef 6,12-13). “Il monaco”, scrive Aolis Mertes, “è uno scandalo, poiché la fede in Cristo rimane uno scandalo per i Giudei, cioè per coloro che non si liberano delle catene dell’autogiustificazione, la più profonda delle tentazioni dell’uomo, che si presenta sotto sembianze religiose, morali o sociali. Essere monaco, significa essere insensato perché la fede in Cristo rimane “follia per i Greci”, cioè per coloro che sono ciechi di fronte al carattere insondabile delle questioni ultime, quelle che sono le più umane ... Nel mondo europeo-americano in via di rapida secolarizzazione – apparentemente per avversione -, il riconoscimento del primato della fede aumenterà ben presto di nuovo, ma con questo anche la fame di calma interiore ed esteriore, presupposto del raccoglimento che per il cristiano sbocca sempre nella preghiera… Effettuare questa preghiera è e rimane il grande, insostituibile dono dei monaci agli uomini, anche quando i loro occhi rimangono chiusi. Colui che non comprende che i Mattutini sono importanti tanto quanto un’elezione al Bundestag o di una battaglia o di un trattato di pace, non seguirà certamente queste riflessioni. Non ci riesce proprio” 27).

Cito intenzionalmente un uomo politico conosciuto per non dare l’impressione che è ex officio (d’ufficio) che il teologo parla del primato della fede e dell’insostituibile dono che è per gli uomini la preghiera dei monaci. Il primato della fede ed il significato della preghiera ricevono in maniera costante la testimonianza dei monaci in Oriente ed in Occidente, e sono vissuti da loro in modo esemplare. Tali valori appartengono all’essenza del monachesimo e contano incomparabilmente più delle realizzazioni economiche o dei contributi culturali di gruppi di monaci qua e là. E’ in questo senso che occorre comprendere il principio “ora et labora” il cui ordine dei termini esprime, senza possibile errore, la priorità della preghiera. Questi elementi formano il grande patrimonio comune dei monaci, permanente ed unificatore.

Oltre a questo patrimonio comune, fondamentale ed essenziale, c’è la vita cenobitica con le sue virtù monastiche di base: obbedienza, castità e povertà, che sono riconosciute, sia in Oriente che in Occidente, come il segno e l’espressione del monachesimo. Su queste virtù cardinali del monachesimo, che lo sono anche per la vita cristiana in generale, non ho sicuramente bisogno di insistere per dimostrare a quale punto ancora oggi il monachesimo orientale ed occidentale costituiscono un ponte importante, malgrado la divisione delle Chiese.

Se c’è qualcosa di particolarmente utile al giorno d’oggi dal punto di vista ecumenico, è il fatto di riscoprire e di valorizzare in modo conveniente questo patrimonio comune. Si tratta di punti di contatto e di prospettive ecumeniche di particolare importanza. Per sviluppare, come è necessario, questi punti di contatto, sarebbero utili una serie di iniziative, che le due Chiese sorelle devono intraprendere il più presto possibile se non vogliono che il dialogo teologico ufficiale che è iniziato rischi di restare impantanato in considerazioni teoriche. Tali iniziative potrebbero essere, tra le altre, le seguenti. Io non faccio che enumerarle a titolo indicativo:

- visite frequenti e reciproche di monaci di una Chiesa in monasteri dell’altra;

- soggiorni i più lunghi possibile per imparare a conoscere ed a sperimentare in modo profondo ed immediato la pratica della preghiera e la spiritualità dei monaci della Chiesa sorella;

- gemellaggi di monasteri col fine di uno scambio fervido e multiforme;

- fondazione di una unione europea degli amici della santa montagna dell’Athos;

- organizzazione di colloqui e di symposia sulla natura del monachesimo, sulla sua storia, i suoi tratti distintivi, il suo contributo all’ecumenismo, etc.,.

- intensificare ed imitare l’esempio dei Benedettini di Chevetogne e di Nierderaltaich per spargere la conoscenza della Chiesa d’Oriente con pubblicazioni ed altre attività e creare il reciproco;

- fondare monasteri ortodossi in Occidente e reciprocamente.

Alcuni di questi progetti possono ancora oggi passare per utopistici, anche da un punto di vista ortodosso. Io ne sono ben cosciente. Forse è l’occasione di riflettere in Oriente come in Occidente sull’estrema importanza che c’è di inglobare il monachesimo negli sforzi che vengono oggi fatti in vista dell’unità e sul contributo ecumenico che il monachesimo 28) può apportare sulla base del patrimonio comune che esso costituisce de facto.

 

NOTE

1). R. Lorenz, Die Anfänge des abendländischen Mönchtums im 4. Jh., in: ZKG 77 (1966), p. 2. Vedere anche K. Suso Frank, Askese und Mönchtum in der alten Kirche (Wege der Forschung, Bd 409), Darmstadt 1975, e dello stesso autore: Grundzüge der Geschichte des christlichen Mönchtums (Grundzüge, Bd 25), Darmstadt 1979, pp. 1 ss.

2). H.G. Beck, Kirche und theologische Literatur im Byzantinischen Reich, Munich 1959, p. 200.

3). Atanasio, Vita di sant’Antonio, 2; PG 26, 841B-844A.

4). Id., 1 ; ibid., 837B-840A.

5). Id., 1 ; ibid., 837B: ίκανός χαρακτήρ πρός άσκησιν.

6). Agostino, Confessioni, lib. VIII, 6; CSEL 33, p. 182.

7). H. Dôrries, Die Vita Antonii als Geschichtsquelle, in : Wort und Stunde, 1. Bd. Gesammelte Studien zur Kirchengeschichte des 4. Jhdts., Göttingen 1966, pp. 200-209.

8). L’opinione secondo la quale Atanasio il Grande ha presentato nella Vita Antonii «un modello monastico» non deve essere compresa come una perorazione in favore della nota tesi secondo la quale la Vita Antonii non è sicura come fonte storica. Questa tesi è stata delineata, per esempio, da W. Bousset (Apophthegmata. Studien zur Geschichte des ältesten Mönchtums, Tubingue 1923, p. 91) e da B. Lohse (Askese und Mönchtum in der Antike und in der alten Kirche, Munich-Vienne 1969, p. 190). H. DÖRRIES (Die Vita Antonii, supra cit. p. 198 in particolare) arriva a delle conclusioni sfumate: «A lato degli Apoftegmi e dopo di essi la Vita Antonii di Atanasio è una fonte storica di alto valore».

9). Th. NIKOLAOU, Der Mensch als politisches Lebewesen bei Basilios dem Grossen, in: Vigiliae Christianae 35 (1981), pp. 24-31.

10). S. Basilio, Regulae fusius tractatae, 7, 3; PG 31, 933BC.

11). S. Gérôlamo, De Viris illustribus, 116; PL 23, 708C.

12). B. Altaner, Patrologie, Fribourg-Bâle-Vienne I9606, p. 445.

13). B. Altaner, ibid. Riguardo le fonti della Regola di san Benedetto, vedere anche B. Altaner-A. Stuiber, Patrologie, Fribourg-Bâle-Vienne 1978, p. 48.

14). Sull’obbedienza: Basilio, Regulae fusius tractatae, 41; PG 31, 1021 A, da confrontare con BENEDETTO, Regula, 5; CSEL 75, 35ss. Sulla preghiera: Basilio, id., 13). ibid. 949BC, da confrontare con Benedetto, id., 6; ibid. 38 s.

15). Vedere Weisung der Väter, introd. e trad. A cura di B. Miller, Fribourg-en-Br. 1965, p. 458.

16). Vedere D. Savramis, Le principe «ora et labora» d’après Basile le Grand (estratto da Theologia), Athènes 1967 (in greco).

17). Vedere W. Bousset, Apophthegmata, citato prima, specialmente pp. 90-93. F. von Lilienfeld, Spiritualität des frühen Wüstenmönchtums, Erlangen 1983.

18). Apophthegmata patrum, Antonio, 1 ; PG 65, 76AB. Vedere anche a tale riguardo Judith Frei, Die Stellung des alten Mönchtums zur Arbeit, in : Erbe und Auftrag 53 (1977), pp. 332-336.

(Testo italiano estratto da “Vita e detti dei Padri del deserto” a cura di Luciana Mortari - 1971, Città Nuova Editrice. Ndt)

19). Vedere P. Lemerle, Les archives du monastère des Amalfitains au Mont Athos, in: ‘Επετηρίς' τής Εταιρείας βυζαντινϖν σπουδϖν 23 (1953), pp. 548-566. J. Mamalakis, La sainte Montagne (Athos) à travers les siècles, Thessalonique 1971, pp. 68 s. (in greco).

20). Ph. Meyer, Die Haupturkunden für die Geschichie der Athosklöster, Leipzig 1894, pp. 157, 22 ss.

(Nel 1045 l'imperatore Costantino Monomaco emanò un editto che introduceva alcune modifiche al regime fiscale dei monasteri: tutti i monasteri furono tenuti a pagare una tassa, ma furono esentati dal sostenere i nobili e gli eserciti ospitati nelle loro terre. A seguito di questo editto, le famiglie nobili o molto ricche preferirono costruirsi un monastero per garantirsi una base economica molto sicura, anche perché le terre dei monasteri non potevano essere né comprate né vendute. Ndt)

21). Vedere per esempio D. Savramis, Zur Soziologie des byzantinischen Mönchstums, Leyde-Cologne 1962, pp. 87-89.

22). Ph. Meyer, op. cit., p. 115, 7ss. (Nei cenobi bizantini non è assolutamente indispensabile l’esistenza di una ‘regola’. Possono esistere, ma possono anche mancare del tutto, documenti che, indicati dapprima con vari titoli e di varia natura, assumono abbastanza presto il nome di Typikon. Esistevano allora monasteri patriarcali, metropolitani o provinciali, di cui la fondazione e la regola (typikon) dipendevano rispettivamente dal patriarca, dal metropolita o dal vescovo locale. Ma esistevano anche monasteri imperiali, cioè direttamente fondati e dipendenti dall’imperatore, che con i loro privilegi economici, politici e ecclesiali, scavalcavano la gerarchia ecclesiastica. Ndt)

23). Ibid., pp. 146 ss. et 147, 24ss.

24). Vedere ibid. p. 213, 16 ss. e 215, 29 ss. (Il Typikon del Patriarca di Costantinopoli Geremia II Tranos restaura il sistema comunitario sottomettendo i monasteri al cenobitismo e tollerando l’idioritmia esclusivamente per le laure athonite. Ndt)

25). Basilio, Ep. 90, 2; PG 32, 473B.

26). Theoklitos Dionysiatis, Entre ciel et terre, Athènes 1973, p. 268 (in greco).

27). Alois Mertes, Mönchtum Ärgernis oder Bothschaft, Gesammelte Aufsätze, hrsg. v. P. Theodor Bogler, Liturgie und Mönchtum, Laacher Hefte 43 (1968), pp. 158-159 et 161.

28). L’opinione generale che il monachesimo, soprattutto in Grecia e sul Monte Athos in particolare, sia antiecumenico è contraddetta, per esempio, dall’intervista rilasciata dal superiore del monastero di Stavronikita Basilios, anche a nome dei superiori della Grande Lavra e di Grigoriou. Vedere Episkepsis, n ° 264 del 15 dicembre 1981, pp. 12-15. Ne risulta chiaramente che i monaci sono a favore del dialogo ecumenico quando questo è al servizio della ricerca della verità cristiana inalterata e della vera fede.

  


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15 marzo 2016                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net