P. Sahag Gemgemian

(Già abate generale della Congregazione Mechitarista)

SAN BENEDETTO E LA CHIESA ARMENA

Tratto da “S. Benedetto e l’Oriente cristiano” -

Atti del Simposio tenuto all’abbazia della Novalesa (19-23 maggio 1980)

NOVALESA 1981

 

Il santo Dottore della Chiesa Armena, S. Nersés di Lampron, che lasciò diverse opere e traduzioni dal greco e dal latino, nel memoriale di un codice, scritto da lui nell’anno 1179 all’età di 26 anni, quando era vescovo di Tarso in Cilicia, manifesta l’ardente desiderio di conoscere i segreti della vita monastica, ed aggiunge di aver fatto un lungo giro nei monasteri greci e latini della regione, compresa Antiochia, ove esisteva anche un monastero benedettino (1).

B. Gariador, nel suo libro « Les anciens Monastères Bénédictins » pubblicato nel 1913, parlando di questo monastero, dice con rammarico di averne trovato pochi cenni storici. Esso fu fondato intorno alla metà dell’XI secolo e dedicato a S. Paolo. Faceva parte di un ramo benedettino della Normandia e precisamente di Fécamp, (in armeno Pisgana). Al tempo dei Crociati i suoi possedimenti erano denominati « Vicus Sancti Pauli ». Secondo la tradizione, infatti, in questo luogo S. Paolo avrebbe scritto una parte delle sue lettere. Verso la metà del XII secolo il monastero fu soppresso, in seguito all’invasione dei barbari, che massacrarono 17.000 cristiani, e portarono via 10.000 schiavi (2).

Il nostro santo Nersés, visitò il monastero prima di questi avvenimenti storici, nel 1179; lo descrive in questi termini:

« Ho visto in Antiochia, sulle colline di Raschanzir, un monastero dei Franchi, dove i monaci conducono una vita di virtù e di penitenze, e son rimasto meravigliato. Con me c’era un religioso greco, dotto assai, al quale ho domandato: Fra Basilio, in che consiste il segreto di questi monaci, che riescono a vivere una vita così esemplare e regolare, superando voi greci e noi armeni? Basilio mi disse: Il segreto sta nel loro Fondatore, che si chiama Beato Benedetto, la cui vita viene narrata dal Santo Papa Gregorio. Quando ho chiesto se si poteva trovare tale biografia, mi rispose di si, e ha messo davanti a me la vita di S. Benedetto, scritta in greco. Siccome conoscevo bene tale lingua, ho dato una occhiata qua e là, ed il mio cuore si riempi di entusiasmo; ho voluto tradurla immediatamente in armeno, e portando con me il manoscritto, sono ritornato in Cilicia, per cominciare ivi la traduzione con l’approvazione del mio Katholikos ».

Qui finisce la prima parte del memoriale del santo. Ci fermiamo per chiarire alcuni punti.

Attualmente nel mondo si trovano circa 25.000 manoscritti armeni, conservati in gran parte a Erevan, capitale della Armenia, una delle 15 Repubbliche dell’Unione Sovietica. Quasi 4.000 si trovano nel nostro monastero di S. Lazzaro a Venezia; altri 4.000 in Gerusalemme, nel convento armeno di S. Giacomo, e altri in diversi centri, tra cui Vienna, Beirut, Londra, Stati Uniti, Vaticano, Parigi.

Dando un’occhiata ai cataloghi di questi manoscritti, troviamo la biografia di S. Benedetto in più di una redazione.

Vorrei menzionare anzitutto « I Dialoghi » di S. Gregorio Magno, in quattro libri, tradotti in greco dal Papa S. Zaccaria. S. Nersés tradusse tutto il volume, di cui oggi abbiamo un’esemplare in Erevan (3), in un codice del XIII secolo, ed un’altra copia a S. Lazzaro (4). Tale opera è tuttora inedita.

Oltre a questa ampia biografia di S. Benedetto, troviamo ancora nei manoscritti altre quattro redazioni, più brevi, tre delle quali furono tradotte dal greco, e la quarta dal latino. Fino ad oggi manca in proposito uno studio approfondito, tale da rendere possibili conclusioni più dettagliate.

La prima di queste quattro redazioni è stata pubblicata per due volte a Costantinopoli (5), nel 1706, 1708, e poi'nel 1880 dai Padri Mechitaristi (6), insieme al testo latino: « Vita et memoria Sancti Patris nostri Benedicti », che inizia con le parole: « Pater noster Sanctus Benedictus ex magna urbe Romanus, piis et timoratis parentibus natus » ecc.

La seconda redazione, pubblicata in armeno a Costantinopoli (7) nel 1834, è stata tradotta in francese, nel 1927, dal P. Giorgio Bayan, Mechitarista, e pubblicata nella « Patrologia orientalis » (8); inizia con queste parole: « Il Santo Padre Benedetto era della Campania, molto esperto nella Sacra Scrittura ». Un esemplare antico, del 1439, si conserva nella biblioteca dei Mechitaristi, a Vienna (9).

La terza e la quarta redazione sono ancora inedite e si conservano nei manoscritti di Erevan. Una di queste (10) inizia così: « Il santo era romano e viveva in eremo » ecc. L’ultima (11), tradotta dal latino, ha questo inizio: « C’era uno, dalla vita lodevole, di nome Benedictus, che viene tradotto in armeno Orhnial (Benedetto); questi fin da bambino ebbe la saggezza degli anziani » ecc.

Tutto ciò dimostra che nei secoli trascorsi era abbastanza diffusa in Armenia la conoscenza della vita del Santo, diventata così alimento spirituale del popolo e del clero armeno. Di solito le vite dei Santi venivano trascritte nei Martirologi e Sinassari (Haysmawurk), letti nelle chiese dopo i vespri. Esse erano copiate pure nelle Miscellanee dette Oskeporik, una specie di vademecum di pietà.

Sono da menzionare ancora i seguenti particolari: in un codice, copiato a Costantinopoli nel 1652, incontriamo una miniatura di San Benedetto; attualmente esso si trova a Londra, nel British Museum (12).

Nel 1810 l’erudito Mechitarista P. Battista (Mkrtic) Aucher, pubblicò in dodici volumi l’Agiografia completa dei Santi venerati nella Chiesa armena. Tra questi figurano S. Benedetto e S. Scolastica, le cui biografie vengono lette, di tanto in tanto, nel refettorio del monastero di S. Lazzaro.

 

La Regola di S. Benedetto

Torniamo al Memoriale di S. Nersés e ne proseguiamo la lettura. Il Santo scrive:

« Nello stesso monastero di S. Paolo, ho tradotto dal latino in armeno la Regola di S. Benedetto con l’aiuto di un religioso, di nome Ghilam, che aveva la mia stessa età ».

Uno dei migliori esemplari di questa traduzione, si conserva ad Erevan, nel codice suaccennato del XIII secolo, di cui abbiamo una copia a S. Lazzaro.

Nel passato, due preziosi manoscritti armeni si conservavano a Venezia, nel cenobio benedettino di S. Giorgio. Nel 1754 i Padri Mechitaristi li copiarono e vi annotarono questo appunto:

« 3 Sett. 1801. Siamo stati a S. Giorgio per vedere gli originali dei manoscritti e per farci un’idea della loro antichità e della data, ma tra i pochi manoscritti rimasti, non abbiamo trovato quello che cercavamo, poiché i francesi negli anni scorsi avevano portato via i codici più antichi e preziosi » (13).

Una prima edizione della Regola fu pubblicata a Vienna nel 1842, non nella traduzione di S. Nersés, ma in quella di un Padre Mechitarista. In quei tempi non esistevano ancora nè i cataloghi dei manoscritti, nè i microfilm.

Qui dovrei ricordare un fatto di singolare importanza. Un Padre Mechitarista di Venezia, Nersés Sarkisian, più di cento anni fà, percorse per dieci anni (1840-1850), quasi tutte le zone dell’Armenia storica in cerca di codici. Tra enormi difficoltà, a volte rischiando perfino la vita, potè comprare o copiare centinaia di codici vecchi o più recenti. Fu nel monastero dell’isola di Lim, nel lago di Van (oggi in Turchia), che copiò i « Dialoghi » di S. Gregorio e la Regola di San Benedetto, dal manoscritto surriferito del XIII secolo. Benché a San Lazzaro già esistesse la Regola di S. Benedetto per l’uso pratico dei monaci, mancava però la traduzione fatta da S. Nersés, che sarà pubblicata solo nel 1928. Tuttavia due capitoli della Regola, cioè il secondo, intitolato « Come deve essere l’abate », ed il settimo sui gradi dell’umiltà, erano stati copiati spesso in diversi manoscritti, specialmente nelle Vitae Vatrum. Il capitolo sulla umiltà, diviso in due parti, fu stampato a Costantinopoli nel 1720, in una edizione delle Vitae Patrum (14).

In un Eucologio o Rituale (Mastoc) di S. Lazzaro (15), copiato nel 1345, troviamo il rito della benedizione dell’abate, durante il quale il libro della Regola di S. Benedetto veniva consegnato al neo-eletto. Sicuramente il testo sarebbe stato tradotto dal latino, e non ci è noto se fu mai in uso nei monasteri Armeni.

LO STATUTO MONASTICO DEL MONASTERO DI S. PAOLO DI ANTIOCHIA

Non solo i Dialoghi e la Regola di S. Benedetto furono tradotti in armeno da S. Nersés, ma anche lo Statuto del monastero di S. Paolo in Antiochia. Difatti nel precitato memoriale afferma di aver incontrato ancora due altri libri: un commento all’Apocalisse e lo Statuto dello stesso monastero, tutti e due scritti non in latino nè in greco, ma nel dialetto detto « Lombard », quello cioè che si usava dai Franchi. Lì sul posto, il nostro Santo cercò invano qualcuno che sapesse tradurre quei libri in armeno, in greco o in latino. Con profondo dolore partì dal monastero. Arrivato a Petias, ad un tratto trovò, in un monastero greco, la versione greca di quei due libri tanto desiderati: « il dolore che mi affliggeva il cuore si mutò in gioia » scrive il Santo. Con il permesso del superiore del monastero, portò seco i manoscritti in Cilicia dove li tradusse in armeno.

Grazie a questo interesse del nostro Santo ci fu conservato lo Statuto del monastero di S. Paolo di Antiochia, perso nel suo originale latino e nella versione greca. Esattamente cento anni fa, nel 1880, i Padri Mechitaristi di Venezia ne pubblicavano il testo armeno accompagnato da una traduzione latina (16), e lo dedicavano al benedettino cardinale Pitra, amico della Congregazione. Inizialmente si riteneva il testo armeno tradotto dal latino, oggi invece è stato dimostrato che è una versione dal greco.

Queste sono praticamente le conoscenze che abbiamo nei codici armeni della biografia e della Regola di S. Benedetto e dello Statuto del monastero antiocheno di S. Paolo, tramite una tradizione otto volte centenaria che alimentò la vita spirituale di tanti monaci armeni. Tutto ciò dobbiamo a quella figura eccezionale di Santo e di dotto che fu S. Nersés di Lampron, soprannominato dai contemporanei il secondo Paolo di Tarso e le cui aperture « ecumeniche » nel senso più genuino e vero di questo termine un pò martoriato, possiamo appena valutare pienamente alla luce delle prospettive teologiche più attuali.

Cenno sul monachesimo Armeno (17)

A questo punto sarà naturale porre la questione se nei secoli passati siano esistiti almeno alcuni monasteri armeni sotto la Regola di San Benedetto, dato che fin dal secolo XII questi testi erano stati tradotti in armeno. Per dare una risposta mi permetto di aprire una parentesi per fornire alcune informazioni di carattere generale sul monachesimo armeno.

Agli inizi del secolo IV, per merito del Santo confessore Gregorio l’Illuminatore e del re Tiridate, l’Armenia fu la prima nazione ad aderire interamente al cristianesimo. Con la proclamazione ufficiale della nuova religione, si aprivano le porte pure al monachesimo. Secondo le fonti armene, S. Gregorio l’Illuminatore, il primo Katholicos, ossia il capo ecclesiastico dell’Armenia, dopo aver ricevuto la consacrazione episcopale a Cesarea di Cappadocia intorno all’anno 314, durante il suo viaggio di ritorno in patria, prelevò da varie città, sacerdoti e monaci per la sua missione in Armenia, con l’intenzione di destinarli al servizio della Chiesa neofita.

I primi due monaci di cui abbiamo notizia, i Santi Antonio e Cronide, erano anacoreti vegetariani. Nella seconda metà del IV secolo, il Katholicos S. Nersés il Grande si presenta come promotore di fondazioni monastiche. Un poco più tardi appare S. Mesrop, un militare, che abbandona il servizio profano per consacrarsi a quello di Cristo; entra in un cenobio « di parecchi fratelli », come asserisce lo storico Lazar Parpeci, e dopo qualche tempo di vita comunitaria si dedica all’asce- si anacoretica nel deserto con rigorose macerazioni. L’esempio di S. Mesrop viene imitato. Il suo biografo Koriun asserisce che il santo istituiva in ciascun villaggio gruppi di santi monaci.

Dopo l’invenzione dell’alfabeto armeno realizzata dallo stesso San Mesrop, vengono istituite le prime scuole presso i monasteri, e pian piano si forma una classe di monaci che sono promossi agli Ordini Sacri e all’apostolato della predicazione.

Lo stile di vita dei monaci era semplice: vita comunitaria, dossologia divina, iniziative apostoliche, studio dei sacri libri per la predicazione della parola divina. Così i monasteri, già dalla prima metà del quinto secolo, erano avviati a divenire seminari e università ecclesiastiche, per formare ieromonaci, detti Vardapet.

Durante i secoli successivi il numero dei monaci crebbe e a volte diminuì secondo le varie circostanze dei tempi. L’ottavo secolo, particolarmente, segnò una fase di grave crisi in seguito alle invasioni e al dominio arabo; invece il periodo tra il X e XIV secolo, fu ricco di sviluppi positivi.

Vi era la distinzione fra i monaci professanti la vita cenobitica e quelli di vita anacoretica. Ogni monastero che fosse nella pienezza della sua vitalità, possedeva pure nelle vicinanze l’eremo o il deserto, per offrire ai desiderosi la possibilità di vita anacoretica. L’apostolato di questi ultimi consisteva nel dare esempio di virtù, nella preghiera e nella contemplazione. Chi si dedicava alla vita anacoretica, d’ordinario era escluso della promozione all’episcopato, avendo fatto la cosiddetta Professione Maggiore o « grande schima ».

Accanto a questo genere di vita fioriva la categoria dei monaci cenobitici, i quali erano promossi al ministero apostolico attivo. Dopo l’ordinazione sacerdotale potevano essere investiti pure delle facoltà proprie del grado dei Vardapet, titolo accademico-canonico che conferiva compiti pastorali e diritti gerarchici. Mentre ai sacerdoti coniugati spettava la direzione delle singole parrocchie e l’amministrazione dei sacramenti, invece ai monaci Vardapet era riservata l’evangelizzazione propriamente detta, la predicazione della parola di Dio, l’assoluzione dei casi riservati e l’assistenza al Vescovo.

Questo è il quadro, nelle sue linee generali, del monachesimo armeno, al quale vogliamo aggiungere subito la seguente considerazione. Tra le migliaia di manoscritti armeni, che ci sono pervenuti attraverso i secoli, in nessuno troviamo delle regole o Costituzioni monastiche eccetto quelle di S. Basilio. Le centinaia di monasteri, che esistevano in Armenia, formavano insieme un unico « Ordo monachorum », e come regola di vita non avevano che il Vangelo, la tradizione monastica e le « Vite dei Padri ». I monaci predicatori non avevano il voto di stabilità; e le porte di ogni monastero erano aperte a tutti i predicatori Vardapet. Questi potevano avere dei discepoli, che seguivano ovunque il loro maestro. Solo alcuni monasteri avrebbero adottato la Regola di S. Basilio.

In questo contesto è facile capire perchè non fosse adottata dai monaci armeni la Regola di S. Benedetto, la quale, però, insieme alla S. Scrittura e alle opere di santi Padri formava una biblioteca per la formazione spirituale e ascetica dei singoli monaci.

Le monache armene Benedettine (18)

Insieme al monachesimo maschile nasceva anche quello femminile. In seguito, a causa delle note vicende politiche, non solo i monaci ma anche le monache furono spesso costrette ad abbandonare il suolo patrio per rifugiarsi in altri paesi cristiani. Così, ad esempio, troviamo le traccie di una congregazione di monache armene a Leopoli, in Polonia, verso l’anno 1590. Secondo documenti scritti, la vita di quelle monache era poco esemplare, specialmente perchè non avevano nè Regola nè direttori; nell’anno 1667 avevano l’abito e il modo di vivere poco diverso da quello delle donne secolari. Osservavano soltanto la verginità volontaria. D’altronde queste monache armene, vedendo l’ordine e l’osservanza esemplare di molti monasteri latini, desideravano servire Dio con regole e voti espliciti, senza però rinunciare al rito armeno e alla lingua materna, celebrando la sacra liturgia e le ore in armeno.

Nell’anno 1688 si doveva convocare a Leopoli il sinodo per la riforma ecclesiastica degli Armeni in Polonia. L’arcivescovo Honanian non poteva non interessarsi anche delle monache armene. Frattanto queste, esortate dal loro Presule ad accettare la Regola di S. Benedetto, si rivolsero alla S. Sede, porgendo al tempo stesso domanda per poter conservare il calendario, le feste e i digiuni secondo il rito armeno.

La Sacra Congregazione di Propaganda Fide, nelle Congregazioni generali tenute nell’anno 1688, decise di affidare la Regola di S. Benedetto ad un sacerdote armeno, Don Basilio, perchè la accomodasse al rito armeno. Don Basilio dopo aver letto e aver considerato le difficoltà inerenti, disse che le monache avrebbero potuto osservarla senza alcuna difficoltà per quanto concerneva i costumi, gli esercizi spirituali, le devozioni, il governo monastico e l’obbedienza; non così invece circa il calendario, giacché gli armeni di Polonia seguivano ancora il calendario armeno. Se le monache avessero adottato quello latino, sarebbero state facilmente oggetto del vituperio da parte dei propri connazionali di Polonia e di altri paesi.

I cardinali di Propaganda Fide, (nella sessione del 26 aprile 1689), considerate le difficoltà intraviste da Don Basilio, decisero di scrivere al Nunzio di Polonia e all’arcivescovo armeno Honanian, per chiedere informazioni sulla possibilità di praticare la Regola di S. Benedetto restando nel rito armeno, e sul modo di superare le difficoltà.

Il Nunzio Cantelmi, consultatosi in proposito con l’arcivescovo Honanian, rispose (il 24 Luglio 1689) che le differenze nel computo del tempo esistenti tra il calendario vecchio e quello nuovo non impedivano punto l’esatta osservanza della Regola di S. Benedetto. Quanto poi alla difficoltà della questione dei Santi latini e di quelli compresi nel calendario armeno, il Nunzio osservava che la Regola di S. Benedetto, secondo le Costituzioni approvate dal Papa Clemente VIII per il regno di Polonia, obbligava a solennizzare soltanto le feste dei seguenti Santi: S. Benedetto, S. Scolastica, S. Mauro Abate, S. Placido e tutti i Santi dell’Ordine Benedettino (2a domenica di novembre); si potevano dunque festeggiare queste cinque ricorrenze dalle monache armene trasferendole nel calendario armeno. Infine, riferendosi alle astinenze e ai digiuni già osservati dalle monache armene, sarebbero dovuti aggiungersi soltanto altri due, cioè quelli delle vigilie di S. Benedetto e di S. Scolastica: una modifica quasi insensibile nell’arco dell’anno.

Frattanto, (il 20 Ottobre 1689), si teneva a Leopoli il sinodo armeno, presieduto dallo stesso Nunzio Cantelmi. Venne trattata anche la questione delle monache armene; infatti, nel capo XIX degli Atti, i congregati supplicavano la S. Congregazione di Prop. Fide, affinchè la Regola di S. Benedetto, secondo la riforma Culmense, introdotta nel regno di Polonia e adattata al rito armeno, fosse approvata, giacché fino allora mancava una vera e propria regola per i monasteri femminili.

Sappiamo che nell’anno 1690 la Cong. di Prop. Fide approvò con un decreto la richiesta, e nell’accordare la Regola di S. Benedetto alle predette monache, decise che Elionora Kasanowska, badessa del convento latino di « Tutti i Santi » di Leopoli, si trasferisse nel monastero armeno, e come superiora lo governasse per lo spazio di dieci anni, insegnando ad osservare la Regola.

Così dunque le monache armene, nell’anno 1690, cominciarono a chiamarsi Benedettine Armene, crescendo sempre più in numero e in buon esempio. Nel 1932 le professe erano 15; nel 1938 solo 11, disperse durante l’ultimo conflitto mondiale; ricomposero la loro comunità in Lubin, però, per mancanza di vocazioni armene il monastero è diventato una comunità polacca, conservando gelosamente solo il nome di « Benedettine Armene » (19).

Nei codici armeni troviamo delle tracce riguardanti le monache armene Benedettine. In un rituale del 1724, troviamo il rito del noviziato e della professione delle monache Benedettine (20). Abbiamo un altro codice (21) del 1757, scritto per una monaca Benedettina di nome Antonia; il manoscritto contiene, tra gli inni dedicati ai santi armeni, due canoni adattati alla liturgia armena, il primo in onore di San Benedetto, il secondo di S. Scolastica; ogni canone è composto di sette canti, come è in uso nella liturgia armena. Nello stesso manoscritto incontriamo anche una litania di S. Benedetto.

S. Benedetto e i Padri Mechitaristi (22)

All’inizio del XVIII secolo, il fondatore dei Padri Armeni Mechitaristi, il servo di Dio Abate Mechitar, si è costituito riformatore del monachesimo armeno. Fino a 25 anni, dal 1676 al 1700, aveva visitato vari cenobi armeni, con lo scopo di stabilirvisi e dedicarsi allo studio e all’apostolato. Purtroppo la vita monastica era in decadenza. Nel secolo XVII ci furono tentativi di riforma che rimasero però episodi isolati, legati allo sforzo delle singole persone e destinati a finire con la loro morte.

E’ da rilevare che in quel periodo, tanto la comunità dei fedeli quanto la gerarchia ecclesiastica dell’Armenia erano spesso turbate da discussioni e liti dogmatiche; era viva la questione della comunione con la Chiesa di Roma.

Mechitar, attraverso lo studio personale, condotto direttamente sui manoscritti dei monasteri, ed anche entrando in contatto con diversi missionari occidentali, ottenne i lumi che cercava per organizzare la sua opera di riforma. Era diventato padrone della situazione già a vent’anni, allorché cominciò a radunare i primi discepoli a Costantinopoli, quando però appena trascorsi due anni, il Patriarca armeno della stessa città, Awetik, intraprese una dura persecuzione contro i cosiddetti « franchi », coloro cioè che entravano in comunione con Roma, ed in particolare contro quattro sacerdoti, tra i quali anche Mechitar. Costui finì per decidersi di abbandonare il suolo dell’Impero Ottomano, con i suoi 16 discepoli per dirigersi verso Modone, nella penisola di Morea in Grecia, che era sotto il dominio di Venezia.

Appena si furono stabiliti nel 1705, Mechitar inviò due dei suoi sacerdoti a Roma, consegnando loro la sua prima lettera, diretta al Papa Clemente XI. Mechitar chiedeva di dipendere direttamente dal vescovo di Roma, invece che dal Patriarca Armeno, dato che questi non era in comunione con Roma; in secondo luogo pregava di poter continuare il monachesimo tradizionale armeno, esistente fin dai tempi antichi, e conservare le caratteristiche del suo rito, al quale non voleva rinunciare in nessun modo; infine chiedeva di poter adottare alcuni punti del monachesimo occidentale per la stabilità del suo nuovo Istituto, come la professione esplicita dei tre voti, la stabilità del monaco nel suo Istituto, e per di più un governo centralizzato, che mancava nella tradizione armena.

La Congregazione di Prop. Fide non poteva prendere decisioni basandosi soltanto sulla lettera di Mechitar. Si rivolse all’Arcivescovo di Corinto Mons. Carlini, il quale espose minuziosamente molti punti riguardanti la nuova Congregazione, aggiungendo: « l’Istituto qual fosse anticamente, nemmeno loro sanno, perchè sovvertita dall’eresia e dallo scisma, si è perduta con la fede anche la memoria dell’antichità. Al presente loro non hanno nè Regola nè Costituzione… ma la semplice sostanza della religione » (23).

Mechitar non aveva l’intenzione di fondare una nuova Congregazione religiosa, ma soltanto di riformare il monachesimo armeno, di cui era membro. Il monachesimo armeno in quell’epoca si divideva in due rami: il primo si riportava alla Regola di S. Basilio, mentre il secondo a quella di S. Antonio Abate. Omettiamo di considerare il terzo ramo, già in decadenza, cioè dei « Fratres unitores », che seguivano la regola di S. Agostino, perchè non facevano parte della Chiesa Armena.

La regola di S. Basilio era seguita dai monaci di Sevan, come anche da quelli emigrati dalla Cilicia in Italia, conosciuti sotto il nome di Basiliani armeni, che furono soppressi nel 1650. Mentre all’altro ramo, che seguiva la regola di S. Antonio, e che si chiamava Ordine di S. Antonio, appartenevano molti monasteri dell’Armenia Maggiore e Minore. Mechitar prese l’abito monastico nel monastero di S. Nsan, in Sebaste, conscio di appartenere all’Ordine di S. Antonio. Egli aveva quindi il fermo proposito di conservare il suo stato di monaco di Sant’ Antonio; ciò è chiaro pure dal suo proposito espresso quando si rivolse a Roma, chiedendo l’approvazione della nuova Congregazione riformata. Il suo intento era di avere la conferma dell’Ordine armeno di S. Antonio. La S. Sede chiese la Regola e le Costituzioni. Mechitar, non avendo una Regola scritta di S. Antonio Abate, compose egli un riassunto delle pratiche in uso nei monasteri che esprimevano ciò che per tradizione si osservava.

Questa Regola, intitolata « De regula et vita Monachorum S.ti Antonii Abbatis » è composta di dieci capitoli, o meglio paragrafi. La Santa Sede, dopo accurato esame, redigeva, ispirandosi ad essa, una Costituzione; ma siccome non esisteva una Regola di S. Antonio, propose ai monaci di Mechitar di scegliere una delle tre Regole già approvate dalla Sede Apostolica, fra quella di S. Basilio, di S. Benedetto o di S. Agostino.

Mechitar si decise a favore di quella di S. Benedetto. Non voleva scegliere quella di S. Basilio, pur essendo un orientale e per di più adottata anticamente in Armenia. Perchè, una simile scelta avrebbe comportato, ipso facto, la rinuncia all’Ordine di S. Antonio, al quale egli apparteneva. Non si deve neppure dimenticare che l’Ordine dei Basiliani Armeni in Italia era stato soppresso non molto tempo prima, avendo lasciato una reputazione triste, estinto in un processo di latinizzazione. Mechitar non voleva confondersi con questi. Nè scelse la Regola di S. Agostino, per l’ovvia ragione di non essere confuso con l’Ordine dei « Fratres unitores », anche essi in stato di estinzione.

Quindi la scelta della Regola di S. Benedetto era l’unica che poteva conciliarsi con la denominazione di S. Antonio abate, che desiderava conservare.

D’altronde, date le circostanze, Mechitar era costretto a vivere in territorio dell’Occidente, come era allora la Morea. Un gran servo di Dio, il benedettino cardinale Schuster scriveva (24) bene che con la scelta della Regola di S. Benedetto, fatta da Mechitar, la nuova Congregazione Armena veniva innestata nel grande tronco della vita monastica Occidentale, ed i Mechitaristi di Venezia non si sentirono più isolati nella Dominante e a Roma.

Il venerato Fondatore dopo aver ricevuto da Roma la nuova Costituzione, rinnovò i suoi voti sulla Costituzione e sulla Regola di San Benedetto, nelle mani dell’Arcivescovo di Corinto. Da quel giorno in poi, per 250 anni, tutti i suoi figli hanno emesso i voti « A Dio onnipotente, alla presenza della Vergine santissima, di S. Antonio Abate e S. Benedetto… secondo la Regola di S. Benedetto e la Costituzione della Congregazione ».

Attualmente nell’archivio del Fondatore si trovano due manoscritti della Regola. Il primo si apre con una miniatura del Santo, con questa preghiera in armeno: « O santo Padre Benedetto, d’ora in poi benedici noi, perchè possiamo custodire la Regola, che da te fu dettata ».

Il manuale comincia direttamente col primo capitolo.

Il secondo manoscritto fu copiato il 25 Luglio 1740 da un « originale », che non ci è pervenuto. Prima del prologo « Ascolta, o figlio », si trovano raccolte diverse testimonianze dei Santi del Calendario Romano in elogio della Regola. Così per esempio il primo brano è « Dal codice della biblioteca di S. Vittore di Parigi »; il secondo dal concilio convocato nel 670 da S. Leodegario vescovo e martire; il terzo dalla vita di S. Oddone abate cluniacense; il quarto da Goffredo Abate Vindocinensis; ed infine un brano dalla vita del duca di Toscana, Cosimo de Medici, il quale portava sempre tra le mani la Regola di S. Benedetto, per governare il suo popolo con prudenza e saggezza.

Esiste ancora un terzo manoscritto contenente la traduzione armena di una Costituzione di Monte Cassino, di cui non abbiamo potuto individuare l’originale; ciò potrebbe costituire un tema speciale di studio e di pubblicazione.

Nel 1738, Mechitar costruì al primo piano del monastero di San Lazzaro una cappella speciale in onore di S. Benedetto, con un solo altare, con la pala rappresentante il santo Patriarca rapito in visione celeste, opera del pittore armeno Giovanni Emirian. Il grandioso quadro fu dipinto su raccomandazione del Fondatore, a Roma nel 1741 e mandato a Venezia. Dopo il tragico incendio della sagrestia, avvenuto nell’anno 1975, il quadro del Santo è stato trasferito all’altare della sacrestia ricostruita, dove si venera attualmente.

Nella prima Costituzione, inviata da Roma a Modone, nel 1712, non troviamo il nome di S. Benedetto; sul frontespizio dell’originale latino si è lasciato vuoto il posto con un N.N.; però nella traduzione armena è messo il nome di S. Benedetto, perchè la scelta era stata già fatta.

Nella Costituzione dell’anno 1929, nel primo canone si dichiara tra l’altro S. Antonio Abate patrono della Congregazione, al quale « coniunctus est pater monachorum Occidentis, S. P. Benedictus, cuius Regulam ipsemet Fundator elegit ».

Dopo il Concilio Vaticano II, durante la revisione della Costituzione, fu esaminata anche la presente questione. I Padri capitolari, seguendo lo spirito e l’esortazione dei decreti sull’Ecumenismo e sulle Chiese Orientali, di conservare intatta la propria tradizione liturgica, disciplinare e monastica, hanno stimato opportuno di dare alle Costituzioni una forma più genuinamente Orientale e Armena, perchè possa essere di esempio anche ai fratelli non uniti; e quindi il nome di S. Benedetto, patrono del monachesimo Occidentale, fu sostituito con quello di S. Mesrop, promotore di vita monastica e apostolica in Armenia. Però, data la tradizione quasi trisecolare della Congregazione, di educare i propri membri nello spirito della Regola di S. Benedetto, nella Costituzione si inculca esplicitamente il seguente principio:

« La Regola di S. Benedetto, accettata dal nostro Fondatore, sia ritenuta come fonte ispiratrice della spiritualità monastica ».

Perciò durante l’anno del noviziato, si legge e si spiega la Regola del Santo.

Fin dalle origini della Congregazione, verso la metà del mese di Gennaio, secondo il calendario armeno, si festeggia a San Lazzaro con grande solennità la festa di S. Antonio Abate.

Quel medesimo giorno, nel silenzio monastico, la meditazione in comune ha come soggetto la vita e le virtù del nostro secondo santo Patrono, S. Benedetto. Il testo della meditazione fu composta nel 1836, dal P. Gabriel Avedikian Mechitarista.

Vorrei chiudere questo studio riportando un brano di questa meditazione:

« Dio ha elevato S. Benedetto, nel deserto e sulle montagne, come città solida, e l’ha acceso a guisa di lampada inestinguibile di santità e di dottrina.

Ed ecco colui che era monaco e solitario, si vide di repente attorniato da migliaia di discepoli. Il suo nome è divenuto celebre da Cassino sino all’estremo Occidente con la moltitudine di religiosi.

Come Abramo, padre di gente religiosa, moltiplicò figli benedetti, ministri della Chiesa, operai delle lettere, guida dei popoli, eredi di Pontificato.

Come è ricca grande e ammirevole la benedizione di Dio, che il più piccolo come il grano di senape ha reso così grande ed esteso, da attrarre gli uccelli del cielo a posarsi sui propri rami ed illuminare la Chiesa, con molteplici carismi, facendoli tutti eredi del Padre dello stesso nome di benedizione » (25).


Note

1. Cfr. Anassian H., Haikakan matenaghidudiun, Erevan, 1976, Voi. II, 1460-1466, 1482-1487. Akinian N., Nerses Lambronatzi, Vienna, 1956, 281-289.

2. Gariador d.b., Les anciens Monastères Bénédictins en Orient, Paris, 1912, 87-88.

3. Bibl. Nazionale di Erevan, Ms. n. 4947.

4. Bibl. dei PP. Mechitaristi, Venezia, Ms. n. 305.

5. Haysmawurk, Costantinopoli, 1706, 588-591; Haysmawurk, Costantinopoli, 1706-8, 645-647.

6. Statutum monasticum Benedictinum, Venetiis, 1880, 113-118

7. Haysmawurk, Costantinopoli, 1834, 128.

8. Patrologia Orientalis, t. XXI, Paris, 1927, 188-190.

9. Bibl. dei PP. Mechitaristi, Vienna, Ms. n. 7, ff. 427-428.

10. Bibl. Nazionale di Erevan, Ms. n. 3658, f. 160v.

11. Bibl. Nazionale di Erevan, Ms. n. 2180, ff. 47r-48v.

12. British Museum, Londra, Ms. Arni; n. 1, f. 338v.

13. Bibl. dei PP. Mechitaristi, Venezia, Ms. n. 2077, f. 21r.

14. Vark Harantz, Costantinopoli, 1720, 355-358.

15. Bibl. dei PP. Mechitaristi, Venezia, Ms. n. 1173, ff. 336r - 336v.

16. Statutum monasticum Benedictinum, Venetiis, 1880, 1-123.

17. Cfr. Amadouni Mons. G., Armeno-Monachesimo; in Dizionario degli Istituti di perfezione, I, Roma, 1974, 879-899.

18. Ringrazio vivamente il Rev.mo P. Gregorio Petrovicz (Roma), che gentilmente ha messo a mia disposizione la sua opera inedita La Chiesa Armena in Polonia, Voi. Ili, dalla quale ho riassunto questa parte.

19. Cfr. Petrovicz G., Benedettine Armene, in Dizionario degli Istituti di perfezione, voi. I, 1258-1259.

20. Akinian N., Catalogo dei Manoscritti Armeni dell’Università di Lvov, Vienna, 1961, 38-40, Ms. n. 20 (42).

21. «Sion», Gerusalemme, 52, (1979, n. 9-10, 216-220.

22. Cfr. Amadouni Mons. G., Mechitar-Mechitaristi; in Dizionario degli istituti di perfezione, V, 1108-1123.

23. Archivio di Prop., Orig. Rif., voi. 562, f. 513v.

24. (24) Cfr. Pazmavep, Venezia, 1949, n. 7-21, 46

25. 25) Avedikian P. G., Khorhertatzutiunk Hokevork, Venezia, 1836, 215-216.


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21 giugno 2014                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net