Le donne di san Benedetto

Fratel MichaelDavide (Semeraro) O.S.B.

edizioni La meridiana 2005

(Il testo riportato è estratto dall’inizio, dalle parti intermedie e dal finale del libro. Il testo dei Dialoghi non è quello del libro, bensì la traduzione a cura dei PP. Benedettini di Subiaco pubblicato nella collana "Spiritualità nei secoli" di Città Nuova Editrice)


 

Preludio

Le donne di san Benedetto

Avvicinandosi al secondo libro dei Dialoghi, verrebbe subito  da dire che in questo si parla di un uomo, Benedetto: “Vi fu  un uomo di vita santa” (D II, Pr 1). Ciò è fondamentalmente  esatto, in quanto caratteristica propria di questo libro è di  essere dedicato a un solo grande personaggio, come il  quarto si occupa di un solo grande argomento, l’escatologia.  Ma se si guarda con attenzione ci si rende conto che, analogamente agli altri tre libri, anche la vita di Benedetto è  accompagnata da varie figure femminili e nella medesima proporzione, una decina in tutto.

Anche qui si nota la compresenza di figure femminili positive e negative, di aiuto o di ostacolo al progresso nella virtù.  Ma bisogna aggiungere che in tutti i casi queste donne rappresentano un’occasione privilegiata per Benedetto di  approfondire il suo cammino di perfezione oppure di manifestare esteriormente la sua forza interiore.

Evidentemente tra tutte risplende la figura di Scolastica,  a cui sono dedicati due capitoli, e la cui visita e morte segnano il passaggio tra la serie dei miracoli e la visione   Ma la parte eminentemente dedicata ai miracoli di Benedetto  (poiché egli ne compie sin dall’inizio) la si fa cominciare al  capitolo terzo con le parole di Gregorio:

Gregorio: la tentazione dunque fu superata. Libero da quella, l'uomo di Dio, sempre con più abbondanza dava frutti vigorosi di virtù, proprio come avviene in un terreno mondato dalle spine e ben coltivato. Conduceva vita veramente santa, e per questo la sua fama si andava divulgando dovunque. (D II, 3, 1).

ll ciclo dei miracoli finisce, appunto, con l'incontro con  Scolastica, dopo che il santo abate IIa appena raggiunto il culmine taumaturgico con la risurrezione di un morto (D II, 32).  Così il libro si trova ad essere diviso in questo modo: i primi  due capitoli, che presentano il passaggio di Benedetto alla  capacità di avere discepoli, poiché “Subito molti incominciarono ad abbandonare il mondo e ad accorrere con gioia  sotto la sua guida” (D ll, 2, 3); trentuno capitoli in cui si dispiegano le virtù e i miracoli del santo abate e l’incontro notturno  con la sorella Scolastica; quattro capitoli sulla vita eterna e  l’irradiazione oltre la morte (D II, 34-37).

Come capitolo conclusivo si trova un racconto, quello della  donna pazza od ossessa che viene inconsapevolmente guarita nello speco (D II, 38), inizio dei post mortem di Benedetto e occasione per Gregorio di spiegare a Pietro, cioè al  lettore, il permanere dell’influsso positivo dei santi come già  faceva Costanza che passava le sue notti vegliando sul  sepolcro del grande Ilarione. La frase conclusiva, messa in  bocca al Signore Gesù da Gregorio, e poi di una certa rilevanza per l’interpretazione di tutto il racconto. Egli, prima  della conclusione-passaggio redazionale, scrive:

Se io non andrò, il Paraclito non verrà", quasi volesse apertamente insegnare: "Se io non allontano il corpo non potrò mostrare chi sia lo Spirito che è Amore; e se non cessate di guardarmi con l'occhio del corpo, non imparerete mai ad amarmi in modo spirituale (D II, 38, 4).

 “Amare spiritualmente” è l'ultima parola della vita di Benedetto posta come inclusione dell’inizio del suo itinerario  mistico, in cui lo troviamo accompagnato da colei che “gli era intensamente affezionata” (D II, 1, 1). Quello di Benedetto è un cammino dall’amore all’amore, da un contatto con  le realtà della vita in modo “corporale” ad un modo di sentire le stesse realtà in modo “spirituale”.

Ci si trova dunque davanti a quattro principali figure di donne - la nutrice, la tentatrice, la sorella, la pazza guarita - che scandiscono il progresso spirituale di Benedetto verso  la pienezza dell’amore. Infatti per Gregorio “come c’è una crescita, fisica, cosi c’è una crescita della coscienza” (Job XI, 62). Il femminile si manifesta in tutta la sua profondità e complessità secondo quanto la stessa mitologia contempla: “Al  mattino la dea è madre, a mezzo del giorno sposa-sorella, e la  sera di nuovo madre che accoglie il morto nel suo  grembo” (Jung, vol. 5, p. 240).

Certo il capitolo più importante sarà quello dedicato a Scolastica, per la cui comprensione però sarà necessaria l’analisi accurata delle prime due figure femminili - la nutrice e  la tentatrice -, che con le somiglianze e le differenze conferiscono alla figura della sorella tutto il suo spessore e la sua  plasticità. Si farà inoltre notare come queste figure, oltre a  rappresentare la ricchezza e la complessità del femminile,  hanno il ruolo di scandire le tappe del cammino spirituale  di Benedetto, come in altrettanti gradi che culminano nella  capacità di risanare gli altri - dopo aver sanato se stessi - nella  figura della donna pazza.

Si tratta di passare dalla terra, per il fuoco e l’acqua (Sal  65, 12), alla libertà dell’aria celeste. Per ciascuno si apre l’orizzonte della maturazione fino alla fecondità; l'una e l'altra  non possono che essere dono e frutto della preghiera più fervida:

Lascia che accada in noi l'ultimo segno,

 mostrati nella corona della tua forza

 e concedici, dopo tante doglie di donne,

la vera maternità degli uomini

 


PRIMA TAPPA:

DALLA TERRA

La nutrice: dalla necessità alla libertà

 

Prologo

San Benedetto - Miracolo del vaglio

In questa parte si tratterà del rapporto di Benedetto con  l’immagine parentale. Se ne metteranno in luce i valori positivi e i suoi inevitabili rischi di fissazione e di non cammino  verso quella maturità umana che è, senza dubbio, premessa  indispensabile per una pienezza spirituale. Perciò si parlerà  dei due sostituti della madre e del padre nella vita del santo  di Norcia ossia la nutrice e il monaco Romano.

Per comprendere queste figure si farà riferimento prima  di tutto al loro ruolo di occasioni di nascita e di rinascita con  la conseguente analisi di quei simboli - come il vaso e il lago - che stanno ad indicarne l’avvenimento o l’imminenza.  Inoltre, proprio partendo dai simboli, anche geografici, che  il testo presenta, si insisterà sulla necessità e la modalità della  crescita nel senso dell’iniziazione.

Le lacrime della nutrice e di Benedetto, il cammino verso  il deserto e l’aiuto del padre spirituale nel cammino ascetico  non sono altro che un modo, tra altri, per dire quanto sia  faticoso il viaggio dell’uomo verso se stesso in vista dell’adempimento della sua più segreta e irrinunciabile vocazione.

Benedetto appare infatti come un uomo “pre-destinato”  ma a cui non viene risparmiata tutta l’avventura umana della  conquista e dell’esercizio della libertà. È questa la prima tappa  di un cammino che, secondo la divisione del mio lavoro, si  attua in quattro momenti, per mezzo di quattro donne, che  lo scandiscono come le tappe di un cammino, di un’ascesi.

 Abbandonati dunque gli studi letterari, Benedetto decise di ritirarsi in luogo solitario. La nutrice però che gli era teneramente affezionata, non volle distaccarsi da lui e, sola sola, ottenne di poterlo seguire. E partirono.

Giunti alla località chiamata Enfide, quasi costretti dalla carità di molte generose persone, dovettero interrompere il viaggio; presero così dimora presso la chiesa di S. Pietro.

Qualche giorno dopo, la nutrice aveva bisogno di mondare un po' di grano e chiese alle vicine che volessero prestarle un vaglio di coccio. Avendolo però lasciato sbadatamente sul tavolo, per caso cadde e si ruppe i due pezzi. Ed ora? L'utensile non era suo, ma ricevuto in prestito: cominciò disperatamente a piangere.

Il giovanotto, religioso e pio com'era, alla vista di quelle lacrime, ebbe compassione di tanto dolore: presi i due pezzi del vaglio rotto, se ne andò a pregare e pianse. Quando si rialzò dalla preghiera, trovò al suo fianco lo staccio completamente risanato, senza un minimo segno d'incrinatura: "Non c'è più bisogno di lacrime - disse, consolando dolcemente la nutrice - Il vaglio rotto eccolo qui, è sano!".

La cosa però fu risaputa da tutto il paese e suscitò tanta ammirazione che gli abitanti vollero sospendere il vaglio all'ingresso della chiesa: doveva far conoscere ai presenti e ai posteri con quanto grado di grazia Benedetto, ancor giovane, aveva incominciato il cammino della perfezione.

Il vaglio restò lì per molti anni, a vista di tutti, e fino al tempo recente dei Longobardi, è rimasto appeso sopra la porta della chiesa. (D II, 1, 1-2).

 


SECONDA TAPPA:

PER IL FUOCO

La tentatrice: il rischio della trasgressione

PrologoSan Benedetto - La tentazione

Dopo il superamento della fase di indifferenziazione e  di fusione per mezzo dell’iniziazione, Benedetto deve ora  aprirsi alla tappa dell’alterità, dell’incontro con il diverso,  che è pure il desiderabile. Tutto ciò e rappresentato dalla  donna nella veste di seduttrice.

In questo capitolo vedremo entrare in azione l’insieme di  quei simboli quali il fuoco e gli uccelli che troveranno la  loro soluzione nell’incontro tra Benedetto e Scolastica. Nella  pace della solitudine monastica faranno irruzione gli altri con  tutti i problemi che vengono innescati dalla relazione. Problemi che non sono certo fuori ma, appunto, dentro chi li  vive.

L’ apparizione della tentazione diverrà per il santo di  Norcia l'occasione della verifica del suo desiderio e l'opportunità per dare prova della sua scelta preferenziale e assoluta dell’amore di Dio. ln tal senso si vedrà  l’insorgere del  problema della sessualità come cifra del desiderio e come  paura della morte a cui corrisponde la sfida dell’ascesi e della mistica.

Il fuoco sarà spento da Benedetto rotolandosi, nudo, sulla  nuda terra facendo così del suo stesso corpo l'altare di quell’olocausto spirituale che l’uomo rinato dallo Spirito desidera  offrire al suo creatore. Non nella linea di un eroismo gratuito,  ma nella logica di un grande amore che passa per l’accoglienza  di tutta la verità su se stessi e sul mondo.

Il volo dell’uccello che apre la scena della tentazione racchiude, come vedremo, tutto il suo simbolo di anticipazione del pericolo ma anche della vittoria che non sta nelle proprie forze, ma nella fiducia serena e certa della potenza della  croce di Cristo.

Un giorno mentre era solo, ecco presentarsi il tentatore. Era sotto forma di un uccello piccolo e nero, un merlo; svolazzava intorno al suo corpo e insistente e importuno gli sbatteva le ali sul viso, tanto che se l'avesse voluto l'avrebbe potuto afferrar colle mani. Fece un segno di croce e l'uccello si allontanò.

Ma appena scomparso il merlo lo invase una tentazione impura così forte, come il santo uomo non aveva provato mai. Un tempo egli aveva veduta una donna ed ora lo spirito maligno turbava con triste ricordo la sua fantasia. E fiamma sì calda il diavolo suscitò nell'animo del servo di Dio con quella appariscente bellezza, che egli non riusciva più a contenere il fuoco dell'amore impuro e già quasi vinto stava per decidersi ad abbandonare lo speco. Fu un istante: illuminato dalla grazia del cielo, ritornò improvvisamente in se stesso. Visti lì presso rigogliosi e densi cespugli di rovi e di ortiche, si spogliò delle vesti e si gettò, nudo, tra le spine dei rovi e le foglie brucianti delle ortiche.

Si rotolò a lungo là in mezzo e quando ne uscì era lacerato per tutto il corpo; ma con gli strappi della pelle aveva scacciato dal cuore la ferita dell'anima, al piacere aveva sostituito il dolore; quel bruciore esterno imposto volutamente per pena, aveva estinto la fiamma che ardeva all'interno, e così, mutando l'incendio, aveva vinto l'insidia del peccato. (D II, 2, 1-2).

 


TERZA TAPPA:

E L’ACQUA

Sorella Sposa: la forza nella debolezza

PrologoSan Benedetto vede volare l'anima di Scolastica sotto forma di una colomba

Dopo la nutrice e la tentatrice ecco dunque la sorella Scolastica, la soror mystica. Dopo una remota preparazione finalmente la figura di questa donna di Dio si staglia davanti a  Benedetto in tutta la sua statura. Di lei non ci interessa tanto  la realtà storica, in senso biografico, quanto piuttosto il ruolo  simbolico nel cammino mistico del suo santo fratello.

Nel corso del presente capitolo si cercherà di approfondire il ruolo di guida e di maestra che la monaca viene ad  assumere nei confronti di suo fratello. Ella rappresenta l’occasione di giungere a un più alto grado di perfezione in quanto  esige l'accoglienza della debolezza, della carne, della relazione  umana come anticipo e preparazione alla vita eterna.

I simboli che già sono apparsi precedentemente raggiungeranno ora la pienezza del loro significato. La paura dell’altro e la paura della morte saranno superate in una sintesi  pasquale di coincidentia oppositorum di gioioso passaggio  verso la vita. Perché questo avvenga bisogna passare radicalmente alla logica dell’amore la cui potenza è, appunto, onnipotente.

Il desiderio di Dio viene condiviso e la gioia del cielo viene  con-desiderata in modo cosi forte da attendere l’uno accanto  all’altra il giorno della risurrezione della carne. La preghiera  non fa che rendere presente nel tempo del pellegrinaggio ciò  che sarà alla fine trasformato in pienezza di luce e in comunione perfetta di un’unità ritrovata.

Di quest’unificazione in divenire sono segno i vari elementi  naturali che si incontrano e si intersecano tra loro per offrire una sintesi piena di forza. L’invito e il monito di Scolastica  è di sperimentare tutte le forme e le fasi deII'amore fino a  quella sponsalità che sarà piena nelle nozze del Regno di Dio.  Fatto ciò, questa donna scomparirà con la stessa discrezione con cui è apparsa.

Egli aveva una sorella di nome Scolastica, che fin dall'infanzia si era anche lei consacrata al Signore. Essa aveva l'abitudine di venirgli a fare visita, una volta all'anno, e l'uomo di Dio le scendeva incontro, non molto fuori della porta, in un possedimento del Monastero.

Un giorno, dunque, venne e il suo venerando fratello le scese incontro con alcuni discepoli. Trascorsero la giornata intera nelle lodi di Dio ed in santi colloqui, e quando cominciava a calare la sera, presero insieme un po' di cibo. Si trattennero ancora a tavola e col prolungarsi dei santi colloqui, l'ora si era protratta più del consueto.

Ad un certo punto la pia sorella gli rivolse questa preghiera: "Ti chiedo proprio per favore: non lasciarmi per questa notte, ma fermiamoci fino al mattino, a pregustare, con le nostre conversazioni, le gioie del cielo... ". Ma egli le rispose: "Ma cosa dici mai, sorella? Non posso assolutamente pernottare fuori del monastero".

La serenità del cielo era totale: non si vedeva all'orizzonte neanche una nube.

Alla risposta negativa del fratello, la religiosa poggiò sul tavolo le mano a dita conserte, vi poggiò sopra il capo, e si immerse in profonda orazione. Quando sollevò il capo dalla tavola si scatenò una tempesta di lampi e tuoni insieme con un diluvio d'acqua, in tale quantità che né il venerabile Benedetto, né i monaci ch'eran con lui, poterono metter piedi fuori dell'abitazione.

La santa donna, reclinando il capo tra le mani, aveva sparso sul tavolo un fiume di lagrime, per le quali l'azzurro del cielo si era trasformato in pioggia. Neppure ad intervallo di un istante il temporale seguì alla preghiera: ma fu tanta la simultaneità tra la preghiera e la pioggia, che ella sollevò il capo dalla mensa insieme ai primi tuoni: fu un solo e identico momento sollevare il capo e precipitare la pioggia.

L'uomo di Dio capì subito che in mezzo a quei lampi, tuoni, e spaventoso nubifragio era impossibile far ritorno al monastero e allora, un po' rattristato, cominciò a lamentarsi con la sorella: "Che Dio onnipotente ti perdoni, sorella benedetta; ma che hai fatto?". Rispose lei: "Vedi, ho pregato te e non mi hai voluto dare retta; ho pregato il mio Signore e lui mi ha ascoltato. Adesso esci pure, se gliela fai: e me lasciami qui e torna al tuo monastero".

Ormai era impossibile proprio uscire all'aperto e lui che di sua iniziativa non l'avrebbe voluto, fu costretto a rimaner lì contro la sua volontà. E così trascorsero tutti la notte vegliando e si riempirono l'anima di sacri discorsi, scambiandosi a vicenda esperienze di vita spirituale.

Il giorno seguente tutti e due, fratello e sorella, fecero ritorno al proprio monastero.

Tre giorni dopo Benedetto era in camera a pregare. Alzando gli occhi al cielo, vide l'anima di sua sorella che, uscita dal corpo, si dirigeva in figura di colomba, verso le misteriose profondità dei cieli.

Ripieno di gioia, per averla vista così gloriosa, rese grazie a Dio onnipotente con inni e canti di lode, poi andò a partecipare ai fratelli la sua dipartita. Ne mandò poi subito alcuni, perché trasportassero il suo corpo nel monastero e lo seppellissero nel sepolcro che egli aveva già preparato per sé.

Avvenne così che neppure la tomba poté separare quelle due anime, la cui mente era stata un'anima sola in Dio. (D II, 33-34).

 


QUARTA TAPPA;

ALLA LIBERTA’ DELL’ARIA CELESTE

La pazza guarita: sani e santi

PrologoLa grotta dove visse san Benedetto durante la vita eremitica

Dopo il capitolo dedicato a Scolastica rimane ora un ultimo  passo da compiere, quello dell’attualizzazione. Partendo da  ciò che, secondo il racconto di Gregorio, succede dopo l’ascensione al cielo dell’anima di Scolastica, si vuole proprio  attirare l’attenzione sul significato morale dell’exemplum di  Benedetto e del suo cammino.

L’idea è quella di vedere nella pazza che si aggira attorno  allo Speco di Benedetto l’immagine del lettore che ha  bisogno di guarigione interiore e di integrazione profonda.  A tal proposito, forzando un poco il testo, si è assunto, prendendolo dalla tradizione, il simbolo del cervo nel suo andare  alla fonte per guarire. Ma prima di entrare nei dettagli di  questo simbolo si rende necessario addentrarsi un poco in  ciò che rappresenta l’acme dell’esperienza mistica del santo  di Norcia, ossia la visione.

Una visione che, come si vedrà, sembra ormai esigere la  comunione pur nel rispetto della differenza delle possibilità  mistiche di ciascuno. Ma la diversa possibilità non esclude  la medesima chiamata alla santità e alla pienezza. Nella “stanza  più interna” della vita di Benedetto- lo Speco - si aggira  una donna in cerca di riposo. Nel luogo iniziatico dell'itinerario dell’uomo di Dio viene a passare la notte un’anima  disintegrata, bisognosa di unità.

Attraverso Benedetto, il suo esempio di uomo e la sua intercessione di santo, Gregorio Magno sembra voler richiamare  il lettore al suo cammino di conversione che va dall’ascolto  alla contemplazione e si spinge fino all’imitazione. Tutto ciò può portare alla guarigione interiore in tutti i suoi aspetti come  pure apre a una visione della spiritualità non frammentaria  ma olistica. Se la donna malata è una fotografia dell’umanità  e di ogni persona, la donna guarita è l’augurio per tutta l’umanità e per ogni persona.

E fino ai nostri giorni, se la fede degli oranti lo esige, egli risplende per miracoli anche in quello Speco di Subiaco, dove egli abitò nei primi tempi della sua vita religiosa. 

Il fatto che ora racconto è successo proprio in questi giorni.

Una donna che per malattia mentale aveva perduto completamente la ragione, si aggirava per i monti e le valli lungo i boschi e attraverso i campi, sia di giorno che di notte, e si fermava soltanto quando la stanchezza la costringeva.

Un giorno in questo suo pazzo errare vagabondo, capitò nello Speco del beatissimo Padre Benedetto ed entrata così, all'insaputa, si fermò lì, dentro e vi trascorse tutta la notte.

Al sorgere del giorno ne uscì fuori, ma con la ragione in così perfetto equilibrio, come se non avesse mai sofferto di malattia mentale. In seguito, finché visse, non perdette mai più la riacquistata sanità. (D II, 38).

 


Conclusione

Alla fine di questo lavoro di riflessione e di ricerca spero  di aver evidenziato e dimostrato quanto e come le donne che  intervengono nella vita di Benedetto siano importanti. Esse  sono come anelli indispensabili alla sua crescita di uomo e  al suo cammino di santità che lo ha reso, per generazioni di  monaci e di semplici cristiani, come una madre, icona della  Chiesa “nutrice di santi”.

L’uso del riferimento junghiano ha avuto due compiti principali. Prima di tutto è stato un aiuto a cogliere e decifrare  alcuni simboli sedimentati nell’inconscio collettivo e quindi  operanti in ogni storia umana, non ultimo nell'esistenza di  Benedetto o, più precisamente, in quella del suo biografo Gregorio Magno. Inoltre ha voluto essere un modesto saggio,  del resto già attuato da altri studiosi di problemi teologici in  senso lato, di come un approccio psicologico autenticamente  aperto alla totalità dell’uomo non possa che trovare il suo  coronamento nella spiritualità.

Il dialogo tra testi junghiani e testi patristici è una prova  della verità antropologica e spirituale degli uni e degli altri,  ma ancor più profondamente del fatto che in certo modo fisica  e mistica sono strettamente connesse. Illuminandosi e arricchendosi, a vicenda, mi è sembrato che i testi patristici riescano ad assumere una più esplicita capacità di dialogare con  l'uomo odierno, mentre i riferimenti di psicologia maggiori  di quelli esplicitamente citati vengono a trovare un contesto maggiormente ampio e profondo che li rende più pienamente umani.

In sintesi si potrebbe dire che si è fatto ricorso all’approccio  sapienziale o alla “teologia monastica”, per interpretare la  figura di Benedetto in cui si rispecchiano i tratti salienti dell’antropologia sia di Gregorio Magno che di Jung. Per quest'ultimo, intatti, lo stesso stato mistico non è che il più proprio per una persona che abbia raggiunto la sua maturità e  il suo equilibrio. Si può sottolineare a questo proposito che  i Padri sono gli esponenti di una teologia comunicativa, differente da ciò che si intende invece per “accademica”, e di  una teologia simbolica tesa a dare alla gente la possibilità di  pensare per simboli. A queste due facce della teologia patristica, bisogna subito aggiungete il fatto che la materia di tale  moneta è l’oro dell’umiltà. Continuamente e sempre vi è un  riferimento pieno di riverenza e gratitudine verso quanti sono  venuti prima e hanno lavorato sin dalle prime ore del  giorno. Atteggiamento a cui ho cercato di conformarmi  profondamente, anche se criticamente. Lo stesso p. Bernard spiega:

Anche se l’interpretazione simbolica si rivela meno rigorosa dell’espressione concettuale, cionondimeno essa trasmette la Parola di Dio nella sua autenticità. Ben lo avevano capito i Padri della Chiesa, i quali fondavano sul senso spirituale (cioè sul senso simbolico) della Sacra Scrittura la loro ricerca dottrinale, morale e mistica.

Questo modo di vedete le cose non può che deporre a  favore di una sempre maggiore integrazione tra teologia e  scienze umane. E perché questa relazione interdisciplinare  maturi, un ruolo del tutto particolare è riservato alla teologia  spirituale. Da ciò consegue che sarà sempre più necessario,  da parte del teologo, in particolare dello specialista in spiritualità, conoscere e amare il linguaggio simbolico. In tal senso e a tal fine egli non potrà esimersi dal compito, talora arduo,  di mantenersi aperto al linguaggio totale dell’uomo e alle forme  che esso ha assunto nei vari tempi e nei vari luoghi in cui  Dio stesso si è espresso attraverso la sua immagine, l’uomo.  ln tal modo scienza e sapienza, conoscenza e amore, teologia concettuale e teologia simbolica, in altre parole teologia  catafatica e apofatica, non potranno che “andare a nozze”,  realizzando in piccolo quella unio mystica verso cui l’uomo  è perennemente in cammino. Una sfida grande, un compito  esigente ma oltremodo affascinante. Si tratta infatti di imbandire la mensa con piatti ricchi e vari (Job, lettera a Leandro, 3) per non lasciare che la nostra generazione muoia di fame  abitando, senza saperlo (nesciens), sopra un granaio ben fornito come è la tradizione cristiana.

Un’ultima parola vuole essere un “grazie” a Gregorio Magno e Jung, a Benedetto e Scolastica, a tutti coloro che  in certo modo ne incarnano i valori e le preoccupazioni ancora  ai nostri giorni. Come concludere se non dando spazio al desiderio che ha animato, per tanti secoli, i figli di Benedetto e  Scolastica? L’auspicio è quello di “ottenere di praticare ciò  che egli ha insegnato”: essere amante di Dio per divenire amico  degli uomini. Un cammino di verità, di amore e di libertà  espressi non più in termini medievali da un inno tratto dalla Liturgia Monastica:

Vivere in Dio e restare al suo cospetto,

lasciare tutto per cercare la pace;

scegliere il silenzio per gustare la Parola,

come il discepolo che attende un cenno,

un ordine...

 Saper guardare l’universo in trasparenza,

tutto il mondo come un punto lucente,

come grano di sabbia che l’amor trasfigura;

saper che ogni cosa è, in Dio,

preziosa e limpida.

 

Star nel deserto per portare l’uomo a Dio,

assentire a rinascere sempre,

tradurre in pazienza ogni buon desiderio;

poter essere anche traditi

ma all'uomo ancor credere.

 

Abbandonarsi totalmente in Dio solo,

nulla avere di più caro che Cristo,

servire il maestro il cui giogo è leggero;

così, nella dolcezza del cuore,

Benedetto è libero...!       

  


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3 febbraio 2014                Alberto "da Cormano"               alberto@ora-et-labora.net