APPUNTI SULLA

REGOLA DI S. BENEDETTO

di

D. Lorenzo Sena, OSB Silv.

Fabriano, Monastero S. Silvestro, Ottobre 1980


2.2) COMMENTO AL TESTO

ALIMENTAZIONE DEI MONACI (capitoli 35-41)

CAP. 35 - I settimanari di cucina

CAP. 36 - I fratelli infermi

CAP. 37 - I vecchi e i fanciulli

CAP. 38 - Il lettore di settimana

CAP. 39 - La misura del cibo

CAP. 40 - La misura del bere

CAP. 41 - In quali ore i fratelli debbono prendere cibo


ALIMENTAZIONE DEI MONACI

CAPITOLO 35

I settimanari di cucina

De septimanariis coquinae

Preliminari alla sezione RB.35-41: L'alimentazione dei monaci

Sette capitoli consecutivi, dal 35 al 41, hanno come denominatore comune la trattazione del tema dell'alimentazione dei monaci. I padri del monachesimo antico danno all'alimentazione grande importanza: sia nel senso che tale necessita` corporale serviva loro come palestra per esercitarsi nella mortificazione e nella penitenza; sia nel senso che compresero il ruolo che una giusta alimentazione ha per le attivita` spirituali del monaco. Cassiano, con la sua esperienza dei diversi ambienti monastici, riassume nelle sue Institutiones alcune norme; in un capitolo pone espressamente la questione: come debba essere il pasto del monaco. E risponde che si deve scegliere una alimentazione: a) che mortifichi gli ardori della concupiscenza; b) che possa prepararsi facilmente; c) che sia la piu` economica... (Inst.5,23).Riassumendo il suo insegnamento, possiamo dire che il regime alimentare dei monaci deve avere tre obiettivi: a) dominare direttamente la passione della gola e, indirettamente, quella della lussuria, cosi` collegata con la gola; 2) essere in coerenza con la poverta` che si e` professata; 3) favorire l'orazione e in generale tutta l'attivita` spirituale del monaco.

Schema della trattazione in RB

SB dipende da Cassiano e dalla RM, la quale in questa sezione e` molto particolareggiata e lunga (RM.cc.18-28 e 69-70). La RB contiene comunque abbastanza elementi per capire l'importanza che anche il S.Patriarca dava a una alimentazione adatta per i monaci e, in generale, alla cura del corpo. Lo schema: il c.35 parla dei settimanari di cucina, cui logicamente segue il c.38 sul lettore di mensa; SB ha inserito il c.36 sugli infermi e il c.37 sui vecchi e i fanciulli, cioe` coloro per cui bisogna fare eccezioni al regime alimentare comune. Dell'alimentazione propriamente detta si parla nel c.39: la misura del cibo, cui segue il c.40 sulla misura del bere, e conclude il c.41 sull'orario dei pasti conventuali.

Introduzione al c.35

Il sistema settimanale per il servizio della cucina e della mensa era comune tra i monaci d'oriente e d'occidente. A questo capitolo corrispondono in RM almeno sette capitoli, in cui con ogni minuziosita` e` descritto il modo di entrare a tavola, il cesto dei pani che scende dall'alto con una fune, la distribuzione del pane e delle bevande, quando sedersi, ecc., con tutti i significati simbolici e spirituali: la mensa comune e` vista proprio in spirito di fede, come una grande liturgia. SB dipende chiaramente da RM (e da Cassiano), ma e` molto piu` breve, con dei punti in comune e altri punti diversi.

1-6: Servizio di cucina

SB afferma il principio generale: e` importante che i fratelli si servano a vicenda (v.1) e si servano in spirito di carita` (v.6). Chiaramente non si poneva neppure l'ipotesi che il lavoro di cucina potesse essere affidato ad estranei. Per lungo tempo la tradizione benedettina e` stata costante su questa linea, anche se le contingenze dei luoghi e la scarsezza numerica hanno ammesso l'aiuto di domestici laici. In tempi piu` recenti, si e` affidata tale opera ai laici, uomini e anche donne: inoltre tale servizio, che richiede speciale competenza - anche nei monasteri dove si continua a svolgere dai monaci - in genere non e` piu` settimanale, pur rimanendo settimanale il servizio a tavola o il lavaggio dei piatti.

Notiamo subito, come in tanti altri passi della Regola, la sollecitudine verso i piu` deboli. Ci sono coloro che possono essere dispensati: i malati (v.1) - oltre al cellerario (v.5) - e ai piu` deboli si diano comunque aiuti perche` non siano oppressi

dalla tristezza o siano tentati di mormorazione. Evitare la tristezza, l'eccessiva fatica, la mormorazione: SB mette sempre un motivo valido e ragionevole e soprannaturale a fondamento delle varie mitigazioni che introduce nell'osservanza monastica. (Si noti che il v.2 si puo` interpretare o riferito al principio generale del servizio di tutti i fratelli o anche alla eccezione che si ammette).

7-11: Norme per chi termina il turno

Chi termina il turno settimanale, il sabato fa le pulizie generali e la lavanda dei piedi (insieme a chi entra). Il singolare che c'e` nel testo fa supporre come condizione ordinaria quella di un solo settimanario titolare; gli altri sono considerati aiutanti. Nella RM il turno settimanale e` organizzato per decanie: tutta la decania e` coinvolta, anche se due soli vi si dedicano abitualmente e in caso di necessita` il decano mandava qualche aiuto sempre della stessa decania.

12-14: Provvedimenti di indulgenza a favore dei settimanari

Questi versetti sul supplemento ai settimanari sono qui fuori luogo e andrebbero meglio o prima dei vv.7-11 o dopo i vv.15-18; sono stati aggiunti dopo (come fa spia anche il plurale, mentre nei vv.7-11 si parla del settimanario al singolare). La motivazione del supplemento si ispira a S.Agostino (Reg.13,160-162). Il lavoro di cucina e` gia` pesante di per se`; inoltre i settimanari devono lavorare in cucina e servire a tavola mentre i fratelli mangiano; il pasto era al piu` presto a mezzogiorno, spesso assai piu` tardi, o anche verso sera (la colazione mattutina non si conosceva): cio` spiega perche` SB conceda uno spuntino: un po` piu` di pane e un bicchiere di vino, oltre la misura fissata per tutti. Cosi` anche in Cesario (Reg.Virg.14). RM non accorda il supplemento, perche` i settimanari mangiano assieme ai fratelli.

14: "missas", diverse interpretazioni ...

Il v.14 e` di interpretazione discussa. Il problema e` la parola "missas", che spesso anche nella RB significa: la fine, le orazioni finali, l'azione di grazie; e qui

sarebbero le preghiere di ringraziamento dopo il pranzo. In tal caso il v.14 si traduce: "nei giorni festivi, invece, aspettino fino alla fine del pranzo" (cosi` DeVogue`, Colombas e altri). Ma non si vede allora che senso abbia la concessione; altri traducono: "fino alla Messa", "fino alla comunione della Messa", interpretando "missas" come le orazioni che precedono la comunione (cosi` Penco, Steidle, Lentini, e altri). Da questo passo, in tal caso, ma anche da altri indizi, si rileverebbe che al tempo di SB non c'era nel monastero la Messa conventuale quotidiana (ne` tanto meno si parlava allora di Messe private); nei giorni festivi ce n'era una sola, solenne, per tutti, in cui ci si accostava alla Comunione (la RM descrive in maniera particolareggiata come fare per la comunione dei servitori).

15-18: Rito liturgico per i settimanari

Il servizio di cucina e di mensa, pur cosi` modesto, deve essere visto con spirito di fede, e quindi riceve l'impronta di sacro e viene benedetto da Dio. Al rito SB (come Cassiano, RM e tutta la tradizione monastica) da` un carattere ufficiale e liturgico. Nella RB tale rito si svolge dopo le lodi domenicali. RM lo divide: sabato sera, l'uscita; domenica, dopo Prima, l'entrata. Anche i versetti scritturistici usati sono diversi.

Concludendo: il trattato sui servitori di RB e` molto povero di dettagli rispetto a RM. Per SB "non si tratta di regolare l'uso del tempo dei settimanari, come fa il Maestro, ma di stabilire il principio di mutuo servizio nella carita`. Questa visione principalmente spirituale obbliga a tener conto delle intime disposizioni dei servitori, dunque delle condizioni concrete del loro lavoro. Da cio` la concessione di dispense, l'aiuto e i supplementi, al fine di evitare la tristezza e la mormorazione. Il trattato benedettino prende cosi` un volto piu` spirituale e piu` umano del minuzioso e pittoresco regolamento del Maestro" (DeVogue`).


CAPITOLO 36

I fratelli infermi

De infirmis fratribus

Preliminari

I capitoli RB.36 e 37 sarebbero dovuti venire dopo il 41, perche` prevedono deroghe alla legge dei digiuni; e inoltre separano due capitoli (il 35 e il 38) che dovrebbero essere uniti. RB ha anticipato perche` in essi ci sono temi affini a quelli del c.35: il servizio, la ricompensa, la fuga della tristezza; c'e` la solita preoccupazione per la cura soggettiva e per il servizio vicendevole tra i fratelli.

1-6: Principi generali per la cura degli infermi

Il capitolo si apre con due solenni principi fondati su due frasi del Signore: bisogna aver cura dei malati prima di tutto e soprattutto - espressione assoluta ed energica - e servire a loro come a Cristo in persona (v.1); seguono le due citazioni di Mt.25,36 e 40. I monaci opereranno di conseguenza, ma SB aggiunge una frase, grave, ma pacata, anche per gli infermi a non essere petulanti e troppo pretenziosi o addirittura capricciosi. Comunque, anche ammesso che i fratelli malati diventino cosi` strani - come puo` succedere a causa del male - gli altri devono sopportarli in ogni caso. La prima parte del capitolo si chiude con una ammonizione categorica all'abate affinche` si prenda "somma cura" degli infermi (v.6).

7-10: Disposizioni pratiche per i malati

SB scende ad alcuni particolari concreti e stabilisce: primo, che nel monastero ci sia una infermeria affidata a un infermiere "timorato di Dio, diligente e premuroso" (v.7); secondo, l'uso dei bagni ai malati ogni volta che e` necessario (v.8); terzo, che si permetta di mangiare carne, anche se soltanto a quelli molto deboli (v.9). Tanto l'uso dei bagni che il mangiare carne sono una concessione: costituivano infatti un'eccezione allo stato di monaci. Una parola su tutte e due le cose.

L'uso dei bagni

Fin dalle origini del monachesimo, notiamo una esplicita avversione per l'uso dei bagni. Non dobbiamo dimenticare che per gli antichi, i bagni, piu` che una pratica igienica, erano un passatempo, un lusso e un piacere (sappiamo che cosa erano le terme dei romani). Per mortificarsi e per non cadere nella sensualita`, i monaci esclusero per principio i bagni dal loro genere di vita, riservandoli solo ai malati. La tradizione cenobitica e` unanime (Vita di Antonio, Pacomio, Agostino, Reg.Masch., Cesario, Fulgenzio, Leandro, Isidoro); un'unica eccezione, la Regola femminile di Agostino (Epist.211,13) che concede alle monache il bagno una volta al mese. SB si trova su questa linea e autorizza il bagno a tutti, anche se "piu` di rado, soprattutto ai giovani" (v.8). Non possiamo stabilire la frequenza di questi bagni per i sani, ma certo, considerando il tempo e l'ambiente, SB e` eccezionalmente liberale, quasi rivoluzionario.

L'uso delle carni

Per lo stesso motivo che dai bagni, i monaci si astenevano dalle carni (perche` i bagni e le carni riscaldano il corpo e solleticano la sensualita`: "il bagno scalda la carne, il digiuno la raffredda", scrive S.Girolamo). Anche su questo punto SB si mostra molto liberale verso gli infermi. Il brano, considerando soprattutto il parallelo con RB.39,11, si deve interpretare nel senso della proibizione assoluta solo per le "carni dei quadrupedi", cioe` non riguarda il pollame e i pesci. La distinzione tra carne di quadrupedi e carne di uccelli era gia` antica nella dietetica monastica: la seconda si considerava piu` leggera, e quindi meno pericolosa per la virtu`; si equiparava praticamente ai pesci, ricordando la Scrittura secondo cui pesci e uccelli furono creati insieme (Gen.1,20-21). Il capitolo termina inculcando di nuovo all'abate la "massima cura" che si deve avere per gli infermi, vigilando anche perche` gli incaricati adempiano bene il loro dovere, secondo il principio generale che sul maestro ricade la responsabilita` ultima di tutto (v.10).

Conclusione

Il c.36 sui malati e` uno dei meglio riusciti della RB, sotto l'aspetto letterario e contenutistico. Molti esempi ci sono nella legislazione monastica della sollecitudine per i malati, pero` nessuna Regola riunisce in cosi` mirabile sintesi il trattato sugli infermi come RB, che elimina anche ogni nota negativa rispetto ai fratelli malati (RM prevede soprattutto il caso delle... finzioni e non parla ne` di infermeria, ne` di infermieri). "Questo trattato mostra in modo chiaro che RB nella sua brevita` possiede delle istituzioni piu` evolute di quelle di RM. E siamo portati a pensare che questo sviluppo istituzionale e spirituale sia il riflesso di una conoscenza piu` ampia della letteratura cenobitica anteriore e contemporanea" (DeVogue`).


CAPITOLO 37

I vecchi e i fanciulli

De senibus vel infantibus

1-3: Condiscendenza per i vecchi e i fanciulli

E` evidente la connessione col capitolo precedente: i vecchi e i fanciulli, per la debolezza insita nella loro stessa eta`, sono da avvicinarsi molto ai malati. SB ricorda un principio generale, cioe` la naturale tendenza dell'uomo a compatire i vecchi e i fanciulli. Pero` vuole che intervenga anche l'autorita` della Regola perche` - l'esperienza glielo avra` insegnato - in una comunita` monastica ci puo` essere sempre chi vede di malanimo le eccezioni e certi temperamenti rigidi vogliono che la Regola si applichi fedelmente e scrupolosamente in tutto e a tutti. SB con la sua grande discrezione e la considerazione della soggettivita`, vuole che si tenga conto sempre dei piu` deboli e si usi un'affettuosa condiscendenza (v.3).

SB fa` poi una sola applicazione pratica riguardo al vitto: anticipino le ore stabilite per il pasto comune. Per i vecchi e i fanciulli sarebbe stato troppo grave sostenere il digiuno fino al tardo pomeriggio o rifocillarsi con un forte pasto verso sera o anche solo aspettare fino a mezzogiorno (ricordiamo che non esisteva la colazione). SB si ispira a S.Girolamo (Epist.22,35) ed e` molto largo nell'eccezione concessa, senza scendere in particolari (RM.28.19-26 fissa l'eta` e limita le eccezioni); rimane volutamente poco esplicito, confidando nella discrezione di coloro che guidano la comunita` monastica, in cui ci sono sempre anime "forti" e anime "deboli", come infermi, vecchi e fanciulli.


CAPITOLO 38

Il lettore di settimana

De hebdomadario lectore

1-9: Ufficio del lettore e silenzio a tavola

Un altro ufficio connesso con la refezione dei fratelli e` quello del lettore di mensa. Anche questo ufficio e` settimanale, come quello dei servitori. La lettura a tavola era sconosciuta in Egitto (Pacomio). Secondo Cassiano, l'uso di leggere a tavola lo avrebbero introdotto i monaci di Cappadocia per evitare le discussioni frivole e le dispute (Inst.4,17). S.Basilio (Reg.Brev.180) si appella al motivo spirituale, seguito poi da tutta la tradizione monastica: cioe` di rifocillare anche lo spirito insieme al corpo (vedi la scritta nel nostro refettorio del monastero di S.Silvestro: "Dum corpus reficitur, mens ieiuna non maneat" <mentre si rifocilla il corpo, lo spirito non rimanga digiuno>; cosi` S.Agostino, S.Cesario, ecc.

SB inizia il capitolo con una norma generale presa da RM.24, la quale aggiunge il famoso principio della doppia mensa (come detto sopra), citando Mt.4,4 (Lc.4,4): "Non di solo pane...". Il lettore di mensa prende servizio la domenica con un rito liturgico sobrio che si svolge in chiesa dopo la Messa (in RM si svolge in refettoio), in cui si chiede di vincere lo spirito di superbia e di vanagloria. Perche`, essere scelto per la lettura pubblica era - soprattutto a quei tempi - di pochi, in quanto non potevano farlo tutti, ma solo chi era in grado di farlo in maniera degna: SB lo dira` espressamente alla fine del capitolo (v.12) e lo dice anche altrove (RB.47,3).

RM.24 dice espressamente che si doveva leggere sempre la Regola molto lentamente, in modo che i fratelli su ogni brano potevano domandare spiegazioni all'abate; l'abate inoltre poteva interrogare sulla lettura. Quando invece vi erano ospiti che non avrebbero potuto capire i "secreta Dei" e quindi deridere forse il monastero, si leggeva altro. SB sopprime tutte queste prescrizioni, non dice cosa si deve leggere (della lettura della Regola parlera` in RB.66,8) e introduce la prescrizione del silenzio assoluto, rifacendosi a Pacomio e a Cassiano; solo l'abate puo` - se vuole - intervenire con qualche esortazione (sulla lettura anzitutto, s'intende, o su altro), ma molto brevemente (v.9). Bisogna dire che tutta la tradizione monastica e` concorde nel prescrivere il silenzio al refettorio comune; e la tradizione benedettina e` stata fedele alla disposizione del S.Patriarca. Solo negli ultimi tempi in alcuni monasteri si usa dispensare dal silenzio (da noi Silvestrini piu` frequentemente); pero` anche in questi casi non manca la lettura all'inizio e alla fine.

10-11: Benevola concessione al lettore

Abbiamo qui ancora un tratto di umanita` di SB, che concede al lettore - come gia` ai servitori - un piccolo favore: un bicchiere di "mixtum" <acqua e vino> "sia per la santa comunione sia per poter sopportare il digiuno" (v.10). RM.24,14 dice espressamente "propter sputum sacramenti" <per lo sputo del sacramento>, per paura, cioe`, che durante la lettura a voce alta, fra le stille di saliva che potevano emettere, uscissero anche particelle della sacra specie rimaste eventualmente in bocca. SB corregge l'espressione brutale di RM e porta una motivazione piu` completa aggiungendo il motivo del digiuno e della fatica.

12: Criterio per la scelta del lettore

Il v.12 e` una postilla sul criterio per la scelta del lettore di mensa (e, per estensione, di tutti i lettori e i cantori in chiesa e in refettorio), parallelo a RM.47,3: legga e canti come solista solo chi puo` farlo con utilita` ed edificazione degli uditori.


CAPITOLO 39

La misura del cibo

De mensura cibi

1-5: Razione quotidiana del cibo

SB prova disagio e ritegno nel determinare la misura del vitto (lo dira` espressamente all'inizio del capitolo seguente, RB.40,1-2). Percio` inizia con un modesto sufficere credimus <pensiamo che bastino>. Identico inizio in RM.26,1, con la differenza che RB e` un po` piu` restrittiva mettendo come occasionale il terzo piatto che in RM e` sempre previsto. Caso strano: poi: RB e` piu` lunga di RM. Al v.1 la frase omnibus mensis e`, per l'interpretazione, tra le piu` tormentate della Regola. Puo` significare (piu` letteralmente prendendo "mensis" come ablativo regolare da "mensa, mensae"): a tutte le mense, cioe` a quella della comunita`, a quella dei servitori e del lettore che mangiavano dopo (RB.38,11), e a quella dell'abate e degli ospiti (RB.56,1); come anche, e piu` probabilmente, a tutte le tavole, dove erano seduti i fratelli per gruppi (soprattutto considerando il parallelo con la RM secondo la quale i monaci stavano a tavola in tavoli diversi secondo le decanie). Cosi` DeVogue`, Colombas e altri. Altri invece (come Penco, Lentini, ecc...) intendono "mensis" come ablativo volgare al posto del regolare "mensibus" (da "mensis, mensis") e interpretano: in tutti i mesi, cioe` sia d'estate che d'inverno. (Per l'orario dei pasti che poteva essere a sesta, a nona e anche dopo, cf. RB.41).

SB vuole due pietanze cotte, per assicurare il necessario ai fratelli malati (v.2), ma chi aveva stomaco forte poteva senza dubbio fare onore ad ambedue. L'eventuale terzo piatto era di legumi teneri che in Italia del Sud il popolo soleva mangiare anche crudi: fave, ceci, lupini, ed anche carote, cipolle, ravanelli, ecc. Per il pane si parla di una "libbra", peso tradizionale presso tutti i monaci (cf.Cassiano, Coll.2,19; RM.26,2). La libbra romana equivaleva a un terzo di chilogrammo, ma variava secondo i tempi e i luoghi. Pare che la misura di SB sia molto piu` grande: il pane costituiva il cibo principale per i monaci di allora, dediti quasi tutti a lavori manuali. A Montecassino si conserva ancora un peso di bronzo, di cui un'antica e seria tradizione attestata gia` da Paolo Diacono (sec.VIII) dice adoperato fin dai tempi di SB, portato a Roma nella prima distruzione dell'abbazia (577) e restituito da Papa Zaccaria. Tale peso corrisponde a kg.1,055: esso valeva per il pane crudo; per il cotto, l'equivalente si puo` calcolare intorno agli 800 grammi. SB ricorda al cellerario di conservare la terza parte della razione di pane a testa per i giorni in cui c'era anche la cena (ma non si dice in che cosa questa consistesse).

6-10: Eventuale aggiunta e quantita` per i fanciulli

Questo era il regime normale. Ma ci potevano essere dei supplementi per qualche motivo: SB cita solo il caso di un lavoro eccessivo, RM.26,11-13 anche un motivo gioioso (domenica, giorni di festa, ospiti particolari; e parla anche del "dolce" (!) ricordando un episodio di "Vitae Patrum"); purche`, osserva SB, non si esageri fino all'eccesso o all'indigestione (vv.7-9).

I fanciulli seguono un regime particolare (v.10): si sa che essi hanno bisogno piu` di cibo frequente, che di cibo abbondante. SB ha gia` provveduto in loro favore (RB.37).

11: Astinenza dalle carni

Come gia` detto in RB.36,9, l'astinenza dalle carni era normale per i monaci; si intende "carni di quadrupedi" (v.11). Il divieto delle carni si e` andato nel corso dei secoli piu` o meno attenuando, a causa della crescente debolezza generale dell'organismo, e oggi di fatto e` quasi annullato nella legge ecclesiastica. Le Costituzioni delle singole Congregazioni fissano le norme per l'astinenza nei monasteri.


CAPITOLO 40

La misura del bere

De mensura potus

1-7: Il vino per i monaci

Il capitolo e` legato al precedente. Inizia con la citazione di 1Cor.7,7 a dimostrare la titubanza di SB a legiferare su questi argomenti. S.Paolo, nel brano, si riferisce direttamente alla sessualita`. SB l'applica al vitto: come la verginita`, cosi` anche l'astinenza dal vino e` un dono che proviene dall'alto; percio` non si puo` imporre come obbligo, ma solo proporre come sacrificio meritorio davanti a Dio (v.4). Per la comunita`, considerando le varie esigenze, SB fissa (ma si noti l'espressione di ritegno come al c.39 "sufficere credimus" <pensiamo che basti>) una emina di vino al giorno, misura incerta c he i commentatori calcolano intorno ai 3/4 di litro. Secondo l'uso, vi si mesceva l'acqua, generalmente calda.

Nei vv.5-7 SB prevede un supplemento in caso di lavoro e di calore eccessivi, ma sempre con l'invito a fuggire l'eccesso e l'ubriachezza. Qualcosa di simile in RM.27,43-46, dove tuttavia il supplemento e` dato per motivi gioiosi e l'ebbrezza e` posta in relazione con l'impossibilita` di stare attenti alla preghiera e con la libidine. (Notiamo qui che RM e` molto particolareggiata nell'uso del vino: stabilisce quanti bicchieri si danno a ciascuno e il modo di darli, quanti pezzi di pane vi si possono intingere prima dell'arrivo delle vivande, il numero delle bevute dopo nona per il lavoro, e tanti altre particolarita`). Al v.6 SB fa un'osservazione riguardo all'uso del vino per i monaci, manifestando i suoi scrupoli e facendo il confronto tra monachesimo antico e monachesimo del suo tempo (cosi` anche in RB.18,24-25 a proposito della perfezione).

Il vino nella tradizione monastica

Sull'uso del vino nella tradizione monastica, si va dalla totale proibizione (Vita di Antonio, Pacomio, Basilio - solo per i malati -, Giovanni Crisostomo...), alla progressiva (Agostino, Ilario di Arles...) e pacifica ammissione (Cesario, Aurichiano, Isidoro, Fruttuoso...). Nelle "Vitae Patrum" (V, IV,31) si legge la sentenza dell'abate Pastore che "vinum monachorum omnino non est" <il vino non conviene affatto ai monaci>, e SB la ricorda con un certo disagio; tuttavia accetta le cose come sono e vi si adatta, pur ricordando e lodando l'austerita` antica. E aggiunge la norma di Basilio (Reg.9) di non bere almeno fino alla sazieta`, citando la frase del Siracide 19,2 che, presa integralmente, suona cosi`: "vino e donne fanno traviare anche i saggi". A SB, in questo punto, il secondo termine (le donne) non e` pertinente!

8-9: Casi di scarsezza o di mancanza di vino

SB aggiunge un piccolo paragrafo per il caso di scarsezza di vino a causa della situazione del luogo o anche della poverta` del monastero. Qui interviene la fede: benedicano Dio che presta loro l'occasione di un po` di penitenza (v.8); doversi affliggere per cosi` poco! Tanto meno mormorare! (v.9).


CAPITOLO 41

In quali ore i fratelli debbano prendere cibo

Quibus horis oportet reficere fratres

Preliminari

La sezione dell'alimentazione si chiude con un capitolo sull'orario dei pasti e sui tempi del digiuno. E` parallelo a RM.28, ma con notevoli varianti: SB mitiga molto la legge dei digiuni. Per l'orario dei pasti, RB segue un ordine cronologico, distinguendo quattro periodi:

1: Primo periodo: da Pasqua a Pentecoste

Il tempo pasquale, per il carattere di particolare letizia, esclude il digiuno; percio` SB prescrive il pasto principale a sesta e la cena alla sera. Per i romani il pasto principale era la sera; ma i monaci subito dopo la refezione serale, avevano la lettura e compieta, e quindi il riposo; percio` l'inversione dei due pasti era anche una buona norma igienica. Riguardo ai monaci primitivi (Egitto), S.Girolamo dice che "da Pasqua a Pentecoste le cene si cambino in pranzi", cioe` l'ora veniva anticipata da nona a sesta (Epist.22); cosi` anche Cassiano (Coll.21,23). Anche RM prevede il pranzo a sesta nel tempo pasquale e concede la cena, ma solo giovedi` e domenica (RM.28,37-40). SB e` piu` largo: pranzo e cena per tutto il tempo pasquale.

2-5: Secondo Periodo: da Pentecoste al 13 (o 14) settembre (estate)

Il periodo estivo ha il pranzo a sesta ed ha, in via ordinaria, il digiuno che anche i semplici fedeli osservavano ogni settimana, cioe` il mercoledi` e il venerdi`, digiuno che consisteva nel fare il pasto a nona e non avere la cena. Mentre i giudei digiunavano il lunedi` e il giovedi`, i cristiani, fin dai primi tempi, digiunavano il mercoledi` e il venerdi`, e questa usanza fu tenuta in grande onore presso i monaci;

per la chiesa romana e alcune altre anche il sabato (cosi` anche RM). Ma anche questo digiuno mitigato ha per SB delle deroghe: mercoledi` e venerdi` si digiuni (nel senso detto sopra), purche` i lavori campestri e la calura estiva non richiedano una dispensa; l'abate consideri la cosa. Si noti il v.5 che intende dire: se e` vero che i monaci non devono mai mormorare (RB.34,6; 40,8-9), e` anche bene che l'abate disponga le cose in modo da evitare ogni motivo fondato di mormorazione.

6: Terso Periodo: dal 13 (o 14) settembre a quaresima (inverno)

In inverno RB prevede il digiuno continuo (cioe` pranzo a nona e senza la cena), esclusa la domenica (in RM anche il giovedi`). Questo periodo si suole chiamare "quaresima monastica". Nel testo, le "idi di settembre" possono intendersi il "13 settembre", come e` piu` ovvio, ma anche considerare le "idi chiuse", cioe` terminate, e quindi supporre l'inizio di tale periodo di digiuno il "14 settembre", pratica comunissima nei monasteri, anche perche` legata alla festa della S.Croce.

7-9: Quarto periodo: Quaresima

In quaresima l'unico pasto si prendeva dopo vespro. Era l'ora comune per tutti i cristiani: si tratta della "quaresima ecclesiastica", in cui si celebrava il sacrificio eucaristico nel tardo pomeriggio, e quindi si faceva a vespro l'unica refezione del giorno. SB aggiunge che la cena si faccia con la luce del sole e che il vespro, percio`, venga anticipato (v.8); anzi mette come norma generale che tutto si faccia con la luce del giorno <luce fiant omnia>. E` una disposizione che eccita la nostra curiosita`. Perche`? Anche se non si escludono ragioni di ordine economico (risparmiare olio) o anche il motivo di abbreviare un po` il tempo del digiuno che doveva essere pesante per gente che faceva lavori manuali, pare che il motivo principale sia di tipo morale: la convinzione che la notte non e` un tempo adatto per mangiare, come per parlare (RB.42,8-11); SB ha in mente probabilmente molte frasi di S.Paolo (cf. Rom.13,12-13; Ef.5,8-14; 1Tess.5,5-8) sulla notte come simbolo di tutti i peccati: in particolare di quelli della bocca.

Riassumendo: i monaci avevano:

- 1) giorni senza digiuno con pranzo e cena: in tutte le domeniche e le feste; nel periodo pasquale; in tutta l'estate (cioe` da Pentecoste al 13 o 14 settembre, eccetto il mercoledi` e il venerdi`.

- 2) giorni di digiuno moderato con un'unica refezione a nona: nei mercoledi` e venerdi` da Pentecoste al 13 o 14 settembre (purche` non ci fosse lavoro eccezionale nei campi o molta calura); in tutti i giorni feriali dal 13 o 14 settembre fino a quaresima.

- 3) giorni di digiuno stretto con unica refezione a vespro, in tutte le ferie di quaresima.

Conclusione sulla sezione dell'alimentazione dei monaci

Nell'insieme dobbiamo dire che il sistema dei digiuni in RB e` molto attenuato rispetto a RM, mentre e` piu` severo per cibi e bevande. Nei tre capitoli sui pasti, troviamo tre volte l'accenno a dispense: RB.39,6-9 (aggiunta di cibo); 40,5-7 (aggiunta di vino); 41,4-5 (dispensa dal digiuno in estate). Il motivo della dispensa e` il lavoro, perche` RB prevede il lavoro di agricoltura (mentre RM limita il lavoro dei monaci all'artigianato o al giardinaggio). RB.41,4-5 raccomanda all'abate molta discrezione (cf. anche RB.64,17-19), perche` i monaci evitino la mormorazione e perche` i deboli non si scoraggino.

Certo, cio` che SB concede al cibo e alla bevanda avrebbe scandalizzato i Padri del deserto. L'ideale del S.Patriarca, pero`, non e` una santita` riservata a pochi, ma accessibile anche agli infermi di corpo e ai deboli di animo. Nel suo programma di perfezione ascetica non entrano di proposito rigorose macerazioni del corpo ed eroici digiuni. I suoi monaci devono poter attendere alla preghiera corale, alla lettura e al lavoro senza eccessivo peso. Certo, il prolungamento del digiuno fino a nona per parecchi mesi dell'anno e la qualita` stessa dei cibi differenziavano abbastanza i monaci dai laici; ma per la quantita` del vitto come del sonno, SB in definitiva non richiede molto di piu` di quanto si esigeva allora dai buoni cristiani.

E noi monaci di oggi?

Il regime di SB potra` forse apparire severo oggi; ma si pensi che l'astensione perpetua dalle carni, come l'unico pasto a nona (e i quaresima a vespro) non erano allora ritenuti cosi` duri come adesso. La tendenza di SB a concedere attenuazioni ed eccezioni indica il sapiente adattamento alle condizioni fisiche e morali dell'occidente. La discrezione consigliata gia` da Basilio (Reg.19) e dall'abate Mose` in Cassiano (Coll.2,16) fa` in SB un ulteriore passo in avanti. Nello stesso spirito. noi monaci di oggi dobbiamo anche per il vitto tener conto del regime alimentare medio del luogo in cui si vive, delle mutate condizioni di tempra fisica, delle necessita` dei fratelli piu` deboli, ecc., in modo da non avere una visione angelicata o manicheista della vita monastica. Ma forse non e` nemmeno inopportuno richiamarci a una certa austerita`, evitando di indulgere a una continua e ordinaria sovrabbondanza, o peggio ad uno spreco di evidente matrice consumistica moderna, per serbare sempre fede alla temperanza e alla frugalita` dello stato monastico, pensando anche a quanti nel mondo soffrono oggi la fame. La riflessione su questi capitoli della Regola puo` essere una sfida per il nostro quotidiano.

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N.B.: il c.42 e` stato trattato dopo il c.22; i cc.43-46 sono stati trattati dopo i cc.23-30 nel codice penitenziale; il c.46 e` stato trattato dopo il c.20, nella sezione dell'Opus Dei.


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21 giugno 2014                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net