LE CONFERENZE SPIRITUALI

di GIOVANNI CASSIANO

CONFERENZA XV

SECONDA CONFERENZA DELL'ABATE NESTORE

I CARISMI *) DIVINI


Estratto da "CONFERENZE AI MONACI"

Traduzione e note a cura di Lorenzo Dattrino, 2000, Città Nuova Editrice


 

1. Il discorso dell'abate Nestore sulla triplice natura delle guarigioni

Dopo la sinassi della sera, ci sedemmo insieme sulle stuoie, come comporta il costume dei monaci, in attesa della promessa conferenza. Mentre eravamo ancora tutti in silenzio per il rispetto dovuto al vegliardo, egli intervenne e prevenne la nostra rispettosa taciturnità con il seguente discorso, «L’ordine degli argomenti trattati nella conferenza precedente era giunto a parlare della natura dei carismi spirituali, dei quali sappiamo fin dalla tradizione degli anziani che si distinguono in tre forme. La prima ragione del dono delle guarigioni sta nel fatto che essa accompagna con la grazia dei miracoli e per il merito della loro santità tutti gli uomini eletti e giusti; risulta infatti manifestamente che gli apostoli e molti santi operarono miracoli e prodigi per l’autorevole intervento del Signore che così si era espresso: “Guarite gli infermi, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate ì demoni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (Mt 10,8). La seconda si ha allorché, o per l’edificazione della Chiesa oppure per la fede di coloro che portano i malati o per la fede dei malati stessi, la virtù delle guarigioni deriva pure dai peccatori e dagli indegni. Di essi così parla il Salvatore nel Vangelo: “Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demoni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome? Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuto; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità” (Mt 7,22-23). Al contrario, se manca la fede nei portatori dei malati e nei malati stessi, Cristo non permette che risulti l'efficacia delle guarigioni nemmeno da parte di coloro ai quali è stato concesso il privilegio del risanamento.

L’evangelista Luca così riferisce intorno a questo argomento: “Gesù non poté operare tra di essi alcun prodigio per la loro incredulità” (Mc 6,5-6; non Luca come dice Cassiano), e così parla il Signore stesso: “C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo, ma nessuno di loro fu risanato, se non Naaman, il Siro” (Lc 4,27). Il terzo genere delle guarigioni deriva pure, per simulazione, anche dal gioco e dalla frode dei demoni: avviene così che quando un uomo, pur essendo irretito in peccati manifesti, viene ritenuto santo e servo di Dio per l'ammirazione destata dalle sue guarigioni, ne deriva perfino l’emulazione dei suoi vizi per opera dei demoni, sicché, apertosi poi il varco della denigrazione, resta infamata anche la santità della religione, o almeno ne deriva con certezza che colui, il quale credeva di possedere il dono delle guarigioni, elevatosi per la superbia del suo cuore, resti poi solennemente deriso.

Ne segue perciò che i demoni stessi invocano il nome di coloro che pur conoscono privi d’ogni merito di santità e senza alcun frutto spirituale e, in più, simulano perfino di essere colpiti dal fuoco dei loro meriti e costretti ad abbandonare i corpi da loro già posseduti. Di essi così è detto nel Deuteronomio “Qualora si alzi in mezzo a te un profeta o un sognatore che ti proponga un segno o un prodigio, e il segno e il prodigio annunciato succeda ed egli ti dica: Seguiamo dèi stranieri che tu non hai mai conosciuti, e rendiamo loro un culto, tu non dovrai ascoltare le parole di quel profeta o di quel sognatore, perché il Signore vostro vi mette alla prova per sapere se amate il Signore vostro Dio con tutto il cuore e con l'anima vostra” (Dt 13, 1-3). E nel Vangelo così troviamo scritto; “Sorgeranno falsi cristi e falsi profeti e faranno grandi portenti e miracoli; così da indurre in errore, se possibile, anche gli eletti” (Mt 24,24).

 

2. In che cosa si devono ammirare i santi

Pertanto noi non dobbiamo mai ammirare, per i loro prodigi, coloro che simulano un tale comportamento, quanto piuttosto osservare se essi sono incensurabili per il rigetto di tutti i vizi e l'emendazione dei costumi, poiché questi favori sono concessi dalla benevolenza della grazia divina in vista dei propri impegni e non riguardo alla fede degli altri o per motivi che non riguardano gli interessati. È questa la scienza pratica, la quale, con altro termine, è definita dall'Apostolo come carità, e che, in base alla sua autorità, è preferibile a tutte le lingue degli uomini e degli angeli, alla pienezza della fede in grado di trasferire perfino le montagne, ad ogni scienza e ad ogni profezia, alla rinuncia di tutti i propri beni e, infine, perfino allo stesso glorioso martirio. Infatti, dopo aver enumerato tutti i generi dei vari carismi, e avere aggiunto: “A uno viene concesso dallo Spirito il linguaggio della sapienza; a un altro il linguaggio della scienza; a uno la fede; a un altro il dono delle guarigioni, a uno il potere dei miracoli” e altre cose, allorché viene a parlare della carità, preferendola a tutti i carismi, osservate come egli vi accenni con ben poche parole: “Io vi mostrerò una via migliore di tutte” (1 Cor 12,31). E con questo, ovviamente, si dimostra che il meglio della perfezione e della beatitudine non consiste nell'operare quelle meraviglie, ma nella purezza della carità. Infatti quelle concessioni sono destinate a finire e a scomparire, mentre la carità rimane per sempre (1 Cor 13, 8). È questo il motivo per cui vediamo che i nostri padri non hanno mai fatto ostentazione di operare questi prodigi; al contrario, qualora avessero posseduto quel potere per concessione dello Spirito Santo, mai avrebbero voluto esercitarlo, a meno che, per puro caso, un’estrema e inevitabile necessità non li avesse costretti.

 

3. Un morto risuscitato dall’abate Macario

È così che noi ricordiamo come venne risuscitato un morto da parte dell'abate Macario, il quale per primo trovò la sua abitazione nel deserto di Scete. Infatti, poiché un certo eretico, seguace della perfida eresia di Eunomio, cercava di pervertire con la sua arte diabolica la sincerità della fede cattolica e già aveva ingannato un gran numero dì uomini, il beato Macario, pregato da fedeli cattolici, profondamente preoccupato per la rovina recata da una sovversione così grave, intervenne allo scopo di liberare la semplicità della fede, professata in tutto l'Egitto, dal naufragio di quella infedeltà. Allorché dunque l'eretico cercò di affrontarlo con la sua arte dialettica, procurando di condurre lui, ignorante, nel groviglio del bosco aristotelico, il beato Macario, tanto per concludere quella loquacità con la brevità tutta propria dell’Apostolo, così disse: “Il regno di Dio non consiste in parole, ma in potenza (1 Cor 4,20); rechiamoci perciò presso i sepolcri e invochiamo il nome del Signore sopra il morto che noi incontreremo per primo, e cosi, come sta scritto, dimostriamo la nostra fede in rapporto alle opere (Cfr. Gc 2, 14) in modo che siano in evidenza, con quella testimonianza, le prove manifestissime della vera fede, e così noi siamo in grado di dimostrare la perspicacia della verità, non con le vane dispute delle parole, ma con la potenza dei miracoli e con quel giudizio che non può essere ingannato”. All’udire questo discorso l'eretico, costretto dall'imbarazzo di fronte a quella folla, promettendo con simulazione di rendersi presente per partecipare alla condizione così proposta e assicurando di intervenire per il giorno appresso, in realtà, proprio il giorno dopo, quando ormai tutta la gente s’era affollata per la curiosità di quello spettacolo presso il luogo stabilito, egli, atterrito per la coscienza della sua infedeltà, se ne fuggì e ben presto si allontanò da tutto l’Egitto.

Il beato Macario, dopo aver atteso assieme alla folla fino all’ora nona, avendo compreso che egli si era allontanato perché indotto dalla sua mala coscienza, dopo aver invitato a seguirlo quella gente che dall'eretico era stata ingannata, si recò alla volta della sepoltura da lui suggerita. Le inondazioni del fiume Nilo hanno indotto gli Egiziani a quest’usanza: poiché tutta l'estensione di quelle regioni viene ricoperta come un mare lungo e disteso per tutta una non breve stagione dell'anno a causa del solito straripare dell'acqua, tanto che non è permesso a nessuno di compiere un viaggio, se non ricorrendo alle barche, i corpi di morti, trattati con balsami assai profumati, vengono deposti in piccole celle alquanto sollevate da terra. Il suolo infatti, pregno come per il flusso continuo dell'acqua, non consente la sepoltura dei cadaveri. Di fatto, se la terra, una volta scavata, accoglie i corpi dei morti, è poi costretta a rigettarli fuori, in superficie, a causa dell’eccesso di quelle inondazioni. Non appena dunque il beato Macario si avvicinò alla tomba di uno che era morto da moltissimo tempo, così prese a parlare: “O uomo, se fosse venuto qui, assieme a me, quell’eretico, figlio di perdizione, e in sua presenza, invocando il nome di Cristo, io ti avessi chiamato per nome, dichiara, davanti a tutti costoro, che per poco non furono sommersi dalle sue frodi, se tu saresti risorto”. Egli allora, risorgendo, rispose affermativamente con un “sì". E poiché l’abate Macario lo interrogò per sapere che cosa egli fosse stato durante la vita, in quale età fosse vissuto e se avesse conosciuto il nome di Cristo in quel suo tempo, egli rispose d’essere vissuto in epoca molto antica, nell’età dei re, e dichiarò di non avere mai udito in quei tempi il nome di Cristo.

Fu allora che l’abate Macario gli disse: “Dormi in pace, in attesa d’essere risuscitato da Cristo nella tua condizione, alla fine dei tempi, con tutti gli altri". Pertanto, questa sua virtù e questa sua grazia, per quanto dipendeva da lui, sarebbero rimaste forse per sempre sconosciute, se la necessità di tutta quella provincia immersa nel pericolo e la piena devozione di lui per Cristo, col suo amore per lui così sincero, non l'avessero indotto a compiere quel miracolo. E non fu sicuramente l’ostentazione della gloria a persuaderlo a compiere quanto egli fece, ma lo costrinse l'amore di Cristo e il vantaggio di tutta quella popolazione. Tutto questo anche il Libro dei Re lo dichiara compiuto dal beato Elia: fu lui a chiedere che dal cielo discendesse il fuoco sopra le vittime deposte sulla catasta di legna allo scopo di salvare la fede, posta in pericolo dal prestigio dei falsi profeti, di tutto quel popolo (Cfr. 1 Re 18, 36-38).

4. Il miracolo compiuto dall'abate Abramo sul seno di una donna

E perché non dovrei ricordare le gesta dell'abate Abramo, denominato aploûs, cioè il semplice, per la semplicità del suo comportamento e per la sua innocenza? Essendosi egli recato fino in Egitto per attendere alla mietitura nei giorni della Quinquagesima, (che decorrono dalla Pasqua alla Pentecoste), fu avvicinato da una donna che recava in braccio il figlioletto sofferente per la mancanza del latte e ridotto in fin di vita: egli allora, pregato e quasi costretto da quella donna tutta in lacrime, le porse da bere in un bicchiere d’acqua, sul quale aveva impresso un segno di croce. Bevuta quell’acqua, immediatamente e in modo meraviglioso, il seno di quella donna, fino a quel momento del tutto inaridito, s’effuse in un abbondante flusso di latte.

5. Guarigione di uno storpio operata dal medesimo abate Abramo

E ancora. Mentre un giorno il medesimo abate si recava verso un villaggio, venne circondato da una folla di gente, tutta protesa a insultarlo: in quello stesso momento, in cui lo schernivano, gli posero davanti un povero uomo con un ginocchio rattrappito, che da molti anni gli impediva di camminare, sicché, per quell’antica infermità, egli procedeva, strascinandosi per terra. Essi dunque, per tentarlo, gli gridavano: Abate Abramo, dimostraci se sei il servo di Dio, e restituisci costui alla sua prima sanità, affinché noi crediamo che il nome di Cristo, che tu adori, non è un nome vano! Egli allora, immediatamente, dopo aver invocato il nome di Cristo, chinatosi, trasse a sé la gamba rattrappita di quel poveretto. A quel contatto, il ginocchio rattrappito e incurvato prontamente si raddrizzò, sicché, ripreso l'uso del camminare, che la lunga infermità gli aveva ormai fatto dimenticare, se ne andò via del tutto rinfrancato.

 

6. Non si devono giudicare i meriti di qualcuno in base ai miracoli da lui operati

Questi uomini nulla attribuivano a se stessi per il compimento di quei prodigi; al contrario, dichiaravano che venivano operati, non per loro merito, ma dalla misericordia del Signore, e di fronte all’ammirazione destata da quei miracoli, essi rifiutavano ogni gloria umana, richiamandosi alle parole degli Apostoli: “Fratelli, perché vi meravigliate di questo e continuate a fissarci come se per nostro potere e nostra pietà avessimo fatto camminare quest’uomo?" (At 3,12). Essi ritenevano che nessuno, nei doni e nei prodigi compiuti da Dio, doveva essere posto in vista; al contrario, si doveva piuttosto fare riferimento ai frutti delle virtù praticate, i quali vengono prodotti dall’impegno della mente e dall'efficacia delle opere- Per lo più infatti, come in precedenza è già stato rilevato, uomini di mente corrotta e reprobi in fatto di fede, espellono i demoni e compiono massimi prodigi in nome del Signore. E poiché di tali individui gli Apostoli adducevano un motivo per dire al Signore: “Maestro, abbiamo visto un tale che scacciava i demoni nel tuo nome e glielo abbiamo impedito, perché non è con noi tra i tuoi seguaci” (Lc 9,49), sul momento Cristo rispose loro: “Non glielo impedite, perché chi non è contro di voi, è per voi" (Lc 9,50). Tuttavia, alla fine dei tempi, allorché essi diranno: “Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demoni nel tuo nome e compiuto molti prodigi nel tuo nome?", Egli attesta che così ad essi risponderà; “Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità" (Mt 7, 22-23). Perciò, anche a coloro ai quali Egli stesso ha concesso la gloria e il potere dei miracoli in vista dei meriti guadagnati dalla loro santità, rivolge il seguente ammonimento, affinché non si esaltino per un tale motivo: “Non rallegratevi perché i demoni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto che i vostri nomi sono scritti nei cieli" (Lc 10,20).

 

7. Il potere dei carismi non consiste nell'operare cose meravigliose, ma nell'umiltà

Infine, lo stesso autore di tutti i prodigi e di tutti i poteri, allorché invitò i discepoli all'apprendimento della sua dottrina, dimostrò che cosa i veri e sceltissimi suoi seguaci debbono ovviamente e particolarmente imparare da Lui: “Venite e imparare da me” (Mt 11, 28), non certo a cacciare via i demoni con un potere che viene dal cielo; non a guarire i lebbrosi; non a dare la vista ai ciechi; non a suscitare i morti; di fatto, anche se io opero simili prodigi per mezzo dei miei servi, non può la condizione umana pretendere le lodi dovute unicamente a Dio, né può il ministro e il servitore arrogarsi in questo campo alcuna parte, poiché la gloria è tutta e unicamente della divinità.

“Voi imparate da me, che sono mite e umile di cuore” (Mt 11, 28-29). È questo infatti quello che in genere è possibile per tutti imparare a praticare; l’attuazione dei prodigi e dei miracoli non è sempre necessaria, non conviene a tutti e neppure è concessa a tutti. L’umiltà è dunque la maestra di tutte le virtù, è il saldissimo fondamento dell’edificio celeste, è il dono tutto proprio del Salvatore. E in realtà opererà tutti i miracoli che Cristo ha operato e senza pericolo d’autoesaltazione colui che si fa seguace del Signore così mite non con la sublimità dei prodigi, ma con la virtù della pazienza e dell'umiltà. Al contrario, colui che pretende di comandare agli spiriti immondi e di offrire il dono della sanità ai malati, oppure s’adoperava per esibire alla gente qualche prova mirabile anche se nella sua ostentazione invoca il nome di Cristo, egli risulta alieno da Cristo, appunto perché non segue il maestro dell’umiltà. Di fatto, anche quando stava per ritornare al Padre e intese estendere, per così dire, il suo testamento, questo lasciò detto ai discepoli: “Vi dò un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, cosi amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13, 34) e subito soggiunse: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13, 35), ma è certo che un tale amore non potranno coltivarlo se non i miti e gli umili.

Per questo motivo mai i nostri padri hanno stimato come monaci virtuosi e privi del morbo della vanità coloro che si vantano davanti alla gente come esorcisti e vanno divulgando con vanitosa ostentazione tra la folla degli ammiratori questa grazia che essi hanno meritato o presumono d’aver meritato. Tutto inutile. Infatti “chi s’appoggia sulle menzogne, insegue gli uccelli mentre volano” (Pr 10,4). Senza dubbio avverrà a lui quanto è detto nei Proverbi: “Come sono evidenti i venti, le nuvole e le piogge, così pure lo sono coloro che si gloriano per doni falsi” (Pr 25,14). E allora, se uno davanti a noi compie qualcuno di tali prodigi, dovrà esser oggetto di lodi da parte nostra, non però per l'ammirazione destata da quei miracoli, ma per il comportamento della sua condotta, e noi dovremo indagare non se i demoni si rendono a lui soggetti, quanto piuttosto se egli possiede quegli elementi che fanno parte della carità, di cui parla l’Apostolo (1 Cor 13, 4, ss.).

 

8. Vale di più espellere i vizi da se stessi che scacciare i demoni dal corpo degli altri

In realtà estirpare il fomite della lussuria dalla propria carne è un miracolo più grande che espellere gli spiriti immondi dal corpo degli altri; è un segno più distinto mortificare i moti truculenti della propria irascibilità con la virtù della pazienza che imporre dei comandi alle potenze dell’aria, e vale di più ricacciare i morsi divoranti della tristezza dal proprio cuore che sanare le malattie procurate dalla febbre nel corpo degli altri: infine, sotto molti rispetti, è virtù più nobile e profitto più elevato curare i mali della propria anima che curare quelli del corpo degli altri. Quanto più l’anima è superiore alla carne, tanto più vale la sua salute, e perciò, quanto più preziosa e più eccellente è la sua sostanza, di tanto risulta più grave e più deleteria si rivelerà la sua rovina.

 

9. Quanto l’integrità della vita sia superiore all’attuazione dei miracoli

Della cura di quelle malattie corporali così fu detto ai beatissimi Apostoli: “Non rallegratevi perché i demoni si sottomettono a voi” (Lc 10,20). Infatti ad operare quei risultati non era il loro potere, ma l’efficacia del nome invocato; perciò essi venivano ammoniti, affinché, sotto questo riguardo, si guardassero bene dall’attribuire a se stessi qualche parte di beatitudine e di gloria, che appartiene unicamente alla potenza e alla virtù di Dio; semmai, si gloriassero della purezza della loro vita e del loro cuore, in merito alla quale meritavano che i loro nomi fossero scritti nei cieli.

 

10. Rivelazione sulla prova della castità perfetta

E affinché, quanto ora io ho detto, resti approvato dalle testimonianze degli anziani e dagli oracoli divini, io riferirò con le stesse sue parole che cosa abbia pensato il beato Pafnuzio dell’ammirazione destata dai prodigi e dalla grazia della purezza, o meglio, riferirò quello che egli conobbe dalla rivelazione di un angelo. Egli dunque, essendo vissuto per molti anni in un’austerità così singolare da credersi ormai del tutto immune dai lacci della concupiscenza carnale, dato che ormai egli si riteneva superiore a tutti gli assalti dei demoni, coi quali era venuto in aperto conflitto per tanto tempo, mentre dunque, per l’arrivo di certi santi uomini attendeva a preparare per loro un piatto di lenticchie, da loro denominato athéra 1), la sua mano, come di solito avviene, rimase scottata a causa d’una fiamma sprigionatasi dal forno. Il fatto prese a renderlo assai triste al punto che egli cominciò a riflettere così fra se stesso: “Perché mai il fuoco non ha pace con me, dato che ormai sono cessate per me le lotte ben più dure con i demoni? Nel temibile giorno del giudizio, allorché il fuoco inestinguibile e inquisitore dei meriti di tutti gli uomini mi sorprenderà, come non dovrà trattenermi con sé, se ora non mi ha risparmiato, pur essendo soltanto esterno, temporale e così ridotto?”.

Ancora agitato da questi tristi pensieri e sorpreso da un improvviso assopimento, gli apparve un angelo del Signore che così prese a parlargli: “Pafnuzio, perché sei triste, solo perché il fuoco terreno non si è ancora acquietato nei tuoi confronti, mentre intanto nelle tue membra continua, non ancora del tutto sedata, la reazione dei tuoi movimenti carnali? Finché le radici di questo fuoco perdureranno nelle tue viscere, non permetteranno affatto che questo fuoco materiale ti lasci in pace. Tu non potrai avvertire di esserti liberato dal fuoco materiale in altro modo, se non quando sperimenterai, con il seguente indizio, che si sono spenti in te tutti i tuoi moti interni. Perciò ora va', prenditi una donzella ancora vergine, nuda e bellissima, e allora, in presenza sua, se avvertirai che in te è rimasta imperturbata la tranquillità del tuo cuore e insensibili gli ardori della tua carne, anche il contatto di questa fiamma visibile ti toccherà in forma mite e inoffensiva al modo stesso che si verificò per i tre giovinetti in Babilonia" (Dn 3).

Il vecchio pertanto, impressionato da questa rivelazione, non tentò la prova che pur gli era stata divinamente proposta, ma, interrogando la propria coscienza, esaminando la purezza del suo cuore e ritenendo che il potere della sua castità non era ancora in grado di sostenere il peso di quella prova, così concluse: “Non devo meravigliarmi se, pur avendo superato le lotte combattute contro gli spiriti immondi, ho sperimentato che le scottature del fuoco, che io credevo fossero inferiori ai ferocissimi assalti dei demoni, mi hanno ancora colpito. È ben più grande quindi e più sublime grazia quella di estinguere l'interna libidine della carne che non quella di assoggettare col segno della croce e il potere della divina virtù la malvagità dei demoni che ti assaltano dall’esterno, o anche ricacciarli dal corpo degli ossessi con l'invocazione del nome di Dio”».

L’abate Nestore, ponendo fine all’esposizione sul modo di porre in pratica veracemente i carismi, ci accompagnò con certa fretta, pur continuando i suoi insegnamenti, fino alla cella del vecchio Giuseppe, distante all'incirca un miglio dalla sua.

 

Note:

*) Con il termine “carismi” s’intende di solito i doni concessi dallo Spirito di Dio per operare miracoli e guarigioni.

Origene era persuaso che, pur essendo diminuiti i segni soprannaturali in confronto a quanto era avvenuto nella Chiesa primitiva, il monachesimo costituiva la sede privilegiata della loro manifestazione. Il Crisostomo, da parte sua, riteneva che i carismi non fossero un privilegio esclusivo della gerarchia ecclesiastica e del monachesimo.

 Cassiano si limita a considerare il fenomeno nell’ambiente monastico, ne adduce diversi esempi, concludendo però che, al di sopra della concessione elargita a pochi privilegiati, quello che vale è la perfezione della vita vissuta.

1) Athéra è un termine d'origine egiziana che designa un bollito di lenticchie.


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3 marzo 2018                a cura di Alberto "da Cormano"        Grazie dei suggerimenti       alberto@ora-et-labora.net