Regola di S. Benedetto

Prologo

1. Ascolta, figlio mio, gli insegnamenti del maestro e apri docilmente il tuo cuore; accogli volentieri i consigli ispirati dal suo amore paterno e mettili in pratica con impegno, 2. in modo che tu possa tornare attraverso la solerzia dell'obbedienza a Colui dal quale ti sei allontanato per l'ignavia della disobbedienza. 3. Io mi rivolgo personalmente a te, chiunque tu sia, che, avendo deciso di rinunciare alla volontà propria, impugni le fortissime e valorose armi dell'obbedienza per militare sotto il vero re, Cristo Signore.


L'ascolto:

la chiave per la crescita spirituale

Estratto da "Fermati e ascolta il tuo cuore" di Joan Chittister, O.S.B - Effatà Editrice 1999 

La Regola

Ascolta, figlio mio, i precetti del maestro, piega l'orecchio del tuo cuore, accogli con docilità e metti concretamente in pratica gli ammonimenti che ti vengono da un padre pieno di comprensione.

E, dopo che i nostri occhi si sono aperti alla luce di Dio, lasciamoci cogliere da stupore di fronte alla Parola divina che ogni giorno grida a noi esortatrice: Oggi, se udite la sua voce, non indurite il vostro cuore. E ancora: Chi ha orecchi capaci di ascolto, intenda ciò che lo Spirito dice alle chiese. E che cosa dice? Venite, figli, ascoltatemi: vi insegnerò il timore del Signore. Correte finché avete la luce della vita, perché non vi colgano le tenebre della morte.

RB Prologo, 9-13

 

Le campane che suonano in ogni monastero benedettino sono un modo antiquato di attirare l'attenzione di una comunità verso l'ordine del giorno e, se questo fosse il loro unico scopo, ci sarebbero certamente modi migliori per farlo. Segnali acustici, suonerie, sveglie, annunci da altoparlanti e insegne lampeggianti sarebbero sicuramente più efficaci. Ma i campanili benedettini non richiamano soltanto al programma della giornata. Essi attirano l'attenzione del mondo sulla fragilità dell'asse intorno al quale esso ruota. I campanili benedettini ci chiedono di ascoltare anche quando non vorremmo.

Anni fa, quando ero una giovane monaca, ci veniva insegnato che quando le campane suonavano le ore, dovevamo interrompere qualsiasi cosa stessimo facendo e recitare le Ore. Era una vecchia regola, ormai da tempo decaduta, e più nessuno nella comunità la ricorda nella sua interezza. Ma noi tutte sappiamo cosa significasse. Voleva ricordare, a quelle fra noi che vivevano lontane dal monastero, dove le nostre campane non suonavano, la fragilità della vita e la presenza esigente di Dio in ogni momento dell'esistenza.

«Ascolta», dice la Regola.

«Ascolta», dice la campana.

«Ascolta», dice la spiritualità monastica.

La spiritualità benedettina consiste nell'ascoltare, in una cultura che guarda ma molto di rado ascolta.

La spiritualità benedettina tende all'ascolto di quattro realtà: i Vangeli, la Regola, gli uni gli altri e il mondo che ci circonda. La maggior parte di noi ascolta più facilmente una o due di queste realtà, ma solo con molta difficoltà le ascolta tutte e quattro. Leggiamo con fede le Scritture, ma non riusciamo a metterle in pratica. Ascoltiamo i bisogni dei poveri, ma dimentichiamo completamente la lettura del Vangelo. Ci rivolgiamo regolarmente a guide spirituali, ma ignoriamo o trascuriamo le intuizioni delle persone con le quali viviamo. Preferiamo ascoltare noi stessi anziché cuori più saggi, perché temiamo che ci possano portare oltre noi stessi. Per la spiritualità benedettina è invece necessario unire tutto questo.

Un Padre del Deserto insegnava la verità in questo modo:

«Un giovane in ricerca chiese al maestro: "Ho ricevuto il comandamento di fare un buon lavoro, ma c'è il pericolo della tentazione là dove dovrei andare a compierlo. Desidero fare un buon lavoro, in virtù del comandamento che mi è stato dato, ma sono spaventato dal pericolo".

E l'anziano maestro rispose: "Se fosse un mio problema, adempirei il comandamento e in quel modo sarei sicuro di vincere la tentazione"».

In altre parole, la vita spirituale non si compie negando una parte della propria vita per il bene di un'altra, ma solo ascoltando tutta la vita e imparando a rispondere pienamente e con onestà ad ognuna delle sue dimensioni.

Le campane che chiamano i monaci alla preghiera suonano fuori della cappella così come all'interno del monastero. Esse ci convocano dai luoghi in cui ci troviamo verso ciò cui dobbiamo rivolgere il nostro pensiero, se il lavoro che continuiamo a fare dev'essere puro, proficuo e profetico. Ci conducono là dove possiamo portare la Parola di Dio ad influire su di noi.

La Regola di San Benedetto considera la Scrittura come voce di Cristo (cfr. RB Prologo, 19), medicamento divino (cfr. RB 28, 3), e arma contro il diavolo (cfr. RB Prologo, 28). In altre parole, ascoltiamo la Scrittura per difenderci da futili questioni. La Scrittura, pregata intensamente, ci richiama nelle nostre giornate monotone al fondamentale scopo della vita. Quando niente sembra avere uno scopo, la Scrittura ci mette direttamente in contatto con Cristo che, in realtà, ci appare lontanissimo dall'ufficio, dalla cucina e dall'angolo della strada. La Scrittura ci guarisce dalla nostra limitatezza e piccolezza, dalle lotte con la fede in un'epoca che addita quale scopo della vita superare gli amici, essere il numero uno, fare soldi, ottenere prestigio e riporre la propria fiducia negli strumenti del terrore definiti scudo nucleare. Attraverso tutto questo, le Scritture ci portano a guardare le grandi figure della Bibbia alle prese con le loro lotte con la fede in tempi che erano pericolosi per loro tanto quanto lo sono i nostri per noi. La spiritualità benedettina è incentrata sull'ascolto delle Scritture e sulla scoperta di un modo semplice e pratico di vivere la Buona Novella al di fuori della cappella, là dove ci trovavamo quando le campane ci hanno chiamato per la prima volta e dove torneremo quando ci ricorderemo perché stavamo facendo quello che stavamo facendo al primo suono della campana.

La preghiera, nella spiritualità benedettina, non è un'interruzione della nostra vita attiva e neppure un'azione superiore. La preghiera è il filtro attraverso il quale, se ascoltiamo abbastanza attentamente, noi impariamo a vedere il nostro mondo in un modo giusto e nuovo; altrimenti siamo destinati a vivere con un'anima che è sorda, muta e cieca.

Ma la preghiera può essere un facile sostituto della vera spiritualità. Questa, senza la preghiera, sarebbe impossibile, ma è certamente possibile pregare senza spiritualità. Ad esempio, ci sono uomini d'affari della nostra generazione che regolarmente pregano a colazione e poi alzano i tassi d'interesse dei debiti del Terzo Mondo, aumentano i tassi delle ipoteche sui prestiti per le case, rifiutano di aiutare gli agricoltori ma, senza alcuna difficoltà, anticipano denaro alle industrie di armi. E ci sono monaci che si recano in cappella dimenticando che lo scopo della lettura dei Vangeli è diventare un'incarnazione del Vangelo e non una pianta da serra ecclesiastica.

Il fatto è che Satana può raggiungere una persona santa anche attraverso la santità. Benedetto lo definisce «lo zelo cattivo, che porta alla separazione da Dio» (RB 72, 1). Persino la santità può diventare una barriera contro la crescita. Se non riusciamo ad ascoltare le necessità degli altri tanto quanto le parole delle preghiere che proferiamo, la preghiera stessa non è che una vuota ipnosi. Può farci sentire persone buone, ma difficilmente ci renderà persone migliori.

Quando ero una giovane suora pregavamo moltissimo. Pregavamo sette volte al giorno per un totale di più di tre ore. In un'altra lingua. Secondo un rigido programma. Ma nessuno entrava nel nostro refettorio. Nessun povero dormiva nelle nostre case. Nessun bambino piangeva nelle nostre cappelle. Nessun profugo bussava alla nostra porta. Nessuno mai pensava di rivolgersi a noi per dei vestiti o per un rifugio o per un sostegno o per essere persuaso di qualcosa. Vivevamo in un mondo, la gente in un altro. E noi pregavamo, tutte.

Anche oggi la gente va fedelmente nella chiesa del suo quartiere, settimana dopo settimana e, nel frattempo, si dedica solo a fare soldi, ad essere nazionalista e a divertirsi. Intanto, Lazzaro affamato attende ancora che i cristiani del suo tempo notino i suo stato di privazione e si chinino ad ascoltarlo, come Lazzaro nella parabola evangelica aspettava invano che il ricco e pio Epulone lo aiutasse.

La Regola di San Benedetto mette chiaramente in luce il bisogno di ascoltare anche le persone con le quali viviamo. Benedetto, che iniziò la sua vita religiosa come eremita - cosa normali per quell'epoca - lasciò ben presto la grotta per vivere in una comunità e ascoltare le richieste e le intuizioni sia dei pastori che abitavano le colline circostanti, sia dei monaci che si erano raccolti attorno a lui. Nessuno era escluso dal ruolo di messaggero celeste:

«Ricevete l'ospite come se fosse Cristo in persona» (RB 53, 1), diceva. «Lasciate che l'abate chieda a tutti i monaci iniziando dai più giovani» (RB 3, 4).

Nella spiritualità monastica, la vita in comunità - nonostante il cinico suggerimento di Sartre: «L'inferno sono gli altri» - è un'occasione, non un ostacolo alla manifestazione della presenza di Dio.

Quindi, non ascoltare significa non crescere. Ma, più ancora non essere in grado di ascoltare significa anche non essere capaci di dare. È facile sapere qual è il bene per gli altri. È difficile ascoltare e lasciare che siano loro a trovare la propria identità. San Benedetto racchiude l'intera Regola in una frase quando, come sue ultime volontà e testamento spirituale, scrive alla fine della Regola:

«Prevenitevi l'un l'altro nell'onorarvi, sopportando con molta pazienza le reciproche infermità, sia del corpo sia del carattere; fate a gara nell'obbedirvi a vicenda, vivete castamente l'amore fraterno, temete Dio con amore; amatevi l'un l'altro» (RB 72, 4- 10).

Bisogna ascoltare molto per riuscire a sentire le necessità di chi ci è intorno ancora prima che questi le esprimano. Ma nessuna buona comunità può farne a meno. L'ascolto e l'amore sono una cosa sola.

L'ascolto benedettino non riguarda soltanto la frequentazione delle Scritture, la preghiera e la sensibilità verso i bisogni degli altri, ma concerne anche la ricerca di una saggia direzione. Una cosa è cercare di ascoltare chi è di fronte a noi; un'altra è essere disposti ad esporre le nostre idee ad un cuore più saggio dotato di voce critica.

Cercare una saggia direzione - come fa il monaco vivendo nella comunità e fidandosi dei fratelli più anziani, dei più saggi, dei più santi e dei più semplici - è fondamentale per la crescita personale. Le mogli si comportano così con i mariti; i mariti con le mogli; i genitori con i figli; gli avvocati con i clienti; i datori di lavoro con i dipendenti. Dobbiamo tutti imparare ad ascoltare le verità di chi ci circonda. Siamo povere ombre di cuori che ascoltano se pensiamo che l'ascolto abbia qualcosa a che fare con il semplice prendere ordini. No, l'ascolto ha a che fare con l'essere disposti a cambiare se stessi e il proprio mondo. L'ascolto è una disciplina religiosa di primaria importanza che poggia sul rispetto e porta alla conversione.

È un aspetto che molto spesso dimentichiamo. Rannicchiarsi nel grembo del rituale religioso non sostituisce l'autentica spiritualità. Essa non è un esercizio di cieca obbedienza, ma un impegno a riflettere su tutto nella luce divina. Le campane suonano attorno a un monastero per avvertire la gente che vive lì accanto che stiamo ascoltando la Parola di Dio, per informare il mondo che possiamo essere diversi adesso, per avvertire l'universo che stiamo cercando di ascoltare più chiaramente il sussurro di Dio nelle leggere brezze della vita.

La Parola di Dio non è mai stata fine a se stessa. La Parola di Dio è sempre stata un incitamento. Essa ha spinto Abramo e Mosè e Maria e Maria Maddalena verso livelli di impegno e di coscienza completamente nuovi. E la Parola di Dio ha richiesto gradi di impegno e di coscienza non meno forti quando ha raggiunto Ester attraverso Mardocheo, Elia attraverso Samuele, Zaccaria attraverso Elisabetta. Quando iniziamo ad ascoltare la Parola di Dio, o le persone che ci circondano, o chi ha un cuore saggio e un'anima provata, la vita cambia: da arida e indipendente diventa compassionevole e piena di significato. Quando iniziamo ad ascoltare la Parola di Dio, le persone acquistano il diritto di aspettarsi qualcosa di nuovo da noi.

Ma la spiritualità benedettina dell'ascolto ci pone su un terreno pericoloso. Se ascoltassimo veramente i Vangeli, dovremmo mettere in discussione uno stile di vita che senza posa consuma, ammassa ed è cieco verso chi non ha casa e indifferente verso chi non è all'altezza della situazione. Come è possibile ascoltare la Scrittura che ci parla del giovane ricco, o del povero lebbroso, o della vedova afflitta, e non sapere che in questo secolo tutti i miracoli per i poveri, gli esiliati e gli storpi dipendono da noi? Se ascoltassimo veramente la gente con cui viviamo, potremmo sopportare la vista dei bambini trascurati e abbandonati, o dei collaboratori non rispettati o dei vicini respinti? Se esaminassimo veramente i pensieri del nostro cuore e le speranze della nostra vita alla luce di quanti sono più saggi e più santi, come potremmo tollerare situazioni che sarebbero dovute cessare prima che iniziassero a divorare la parte migliore di noi?

La Regola ci insegna ad ascoltare le circostanze della nostra vita. Dobbiamo iniziare ad affrontare ciò che il nostro modo di vivere ci potrebbe dire. Quando abbiamo paura, quale messaggio si nasconde sotto la paura: orrore per il fallimento, rifiuto della debolezza, panico al pensiero dell'imbarazzo in pubblico, senso di una mancanza di valore che nasce dalla perdita dell'approvazione altrui? Quando ci troviamo continuamente a combattere le stesse battaglie, che cosa significa questo modo di vivere? Che inizio sempre qualcosa con grande entusiasmo per poi abbandonarla prima che sia finita? Che sono sempre riluttante a cambiare, senza considerare quanto questi cambiamenti potrebbero essere buoni per me? Che io continuo a imporre ad ogni nuova persona che incontro rapporti insoddisfacenti perché influenzato dal mio passato? Che nel profondo non mi sono mai dedicato ad alcunché eccetto che a me stesso: non ai miei amici, non al mio lavoro, non alla mia vocazione?

Finché non imparo ad ascoltare - le Scritture, chi vive attorno a me, i messaggi profondi della mia vita, la saggezza di chi ha già abilmente gestito con successo i pericoli di una vita non motivata e senza significato - io stesso non avrò niente da dire a proposito della vita. Vivere senza ascoltare significa non vivere affatto; significa semplicemente andare alla deriva nella mia acqua stagnante.

Oltre ad essere un valore fondamentale della spiritualità, l'ascolto benedettino significa vivere la vita «in stereo». Tutti vivono ascoltando qualcosa, ma pochissimi vivono una vita intonata ad ogni livello. La spiritualità benedettina non ammette una percezione selettiva; insiste sull'ampiezza, su un ascolto ad ampio raggio, su un'attenzione totale. Dobbiamo imparare ad ascoltare contemporaneamente tutti gli aspetti della vita per diventare veramente persone complete. Il problema è che la maggior parte di noi è sorda almeno da un orecchio.

Dobbiamo imparare ad ascoltare la Scrittura. E dobbiamo imparare ad ascoltare la vita attorno a noi.

La Regola insiste nel dire che la Scrittura dev'essere letta quotidianamente. Come possiamo sentire la voce di Dio se non ci è familiare? Come possiamo riconoscere i modi in cui Dio opera se non li abbiamo mai visti? Come possiamo scoprire la volontà di Dio sulla nostra vita se non ne abbiamo mai rintracciato il cammino chiaro, ma tortuoso, nella vita dei deboli che sono stati scelti da Dio prima di noi? La Scrittura è fondamentale nella vita benedettina, ma è altrettanto importante ascoltare la voce di Dio nel mondo attorno a noi. E in questo, forse, consiste la vera prova di un cuore che ascolta. Non ci vuole molto ad ascoltare nella nostra lingua. La vera santità presume la capacità di ascoltare nella lingua dell'altro.

Ø  Le persone che occupano posizioni di autorità sanno che non verranno mai ascoltate se gli uomini che cercano di controllare trasformano qualsiasi conversazione in una lotta da adolescenti contro i fantasmi dei propri genitori.

Ø  I poveri sanno che i ricchi non li possono ascoltare perché il successo li ha resi sordi. I ricchi non sentono le voci di chi non riesce a trovare lavoro nelle pulizie, o come scavatore, o come lavapiatti, mansioni che le generazioni passate davano per scontate nella propria scalata al successo.

Ø  Le donne sanno che gli uomini non ascoltano o non prendono sul serio le loro preoccupazioni per i figli o per l'educazione o per l'indipendenza o per l'uguaglianza dei salari e per scelte pienamente umane.

Ø  I vecchi soli sanno che il potere usa la parola e che ciò non appartiene più a loro.

Ø  Le famiglie ben presto scoprono quale voce abbia peso, quale volontà sia sacra in casa, chi non ascolta e chi non vuol rispondere.

Ø  Chi è solo sa che nessuno ascolta il suo bisogno di amore e di allegria.

Ø  La Chiesa sa che il culto è diventato per alcuni un dovere più che un dialogo, per altri una terapia più che una profezia.

Tutta la nostra generazione è diventata sorda. La Scrittura, la saggezza, i rapporti relazionali e l'esperienza personale vengono ignorate. In più, siamo una generazione che ha visto quattro guerre e il più alto accumulo di armi nella storia del mondo, in un cosiddetto periodo di pace. Siamo una generazione di grande povertà in mezzo a una grande ricchezza, di grande solitudine nel cuore di grandi comunità, di gravi fallimenti personali di fronte a uno sviluppo sociale senza eguali, di un forte tedio spirituale mentre pretendiamo a gran voce di essere un Paese timorato di Dio.

Nel bel mezzo di questa indistinguibile cacofonia della vita, dal campanile di ogni monastero benedettino risuona: «Ascoltate». Ascoltate con il cuore di Cristo. Ascoltate con il cuore di chi ama. Ascoltate nel vostro cuore il suono della verità, quel genere di suono prodotto da un prezioso cristallo colpito da una bacchetta di metallo.

Il problema consiste, forse, nel fatto che la maggior parte di noi non sa neppure che cosa comporti l'ascolto. Ma la Regola ce lo dice con chiarezza.

In primo luogo, San Benedetto chiede che qualunque cosa sia compiuta con il consiglio di tutti. Nella spiritualità benedettina non c'è spazio per l'arroganza innalzata a livello d'ispirazione. Per coltivare una mentalità monastica, dobbiamo chiedere consiglio, ricercare il parere, ascoltare le opinioni degli altri su argomenti che ci stanno a cuore. La riflessione diventa una parte integrante del processo di crescita e un fondamento del nostro modo di agire. L'impulsività diventa sospetta perfino quando la decisione impulsiva si trasforma in qualcosa di giusto. Perché? Perché la verità è un mosaico del volto di Dio. Perché la voce di Dio proviene spesso da dove meno ce lo aspettiamo, come da un roveto ardente o da uno straniero o da un messaggero che viene da lontano o da un profeta di corte. E noi lo dobbiamo stare ad ascoltare.

In secondo luogo, Benedetto insegna che la vita è un processo di apprendimento. Anche se la cultura occidentale e la sua enfasi sulle lauree universitarie hanno alquanto soffocato questa verità. Abbiamo reso quasi sinonimi «diploma» ed «educazione». Misuriamo la realizzazione personale in «promozione agli esami». Teniamo in poca considerazione l'esperienza, la profondità e il fallimento. Crediamo nell'azione, nel risultato, nei prodotti, nel profitto e nella gioventù, cosicché finiamo col considerare i più anziani essenzialmente inutili.

Ma, in fondo, quel genere di realizzazione non è altro che deserto spirituale se, lungo il cammino, non siamo stati attratti dalla scoperta della verità, la cura del bello e il discernimento di quelli che sono i veri insegnamenti della vita.

La spiritualità benedettina è, quindi, la spiritualità dell'apertura del cuore. Una disponibilità ad essere toccati. Il senso dell'alterità. Qui non c'è spazio per una grandezza isolata o per l'autarchia. Qui tutta la vita diventa la nostra maestra e noi i suoi allievi. Qui il solo diploma scolastico non vale come requisito. Chi ascolta può sempre imparare, cambiare e ricominciare da capo. Ciò che è aperto può sempre essere riempito. Il vero discepolo può sempre venire sorpreso da Dio. La Regola insegna: «Ascolta con l'orecchio del cuore» (RB Prologo, 1).

Ma una volta che io divento il mio messaggio, non c'è altro da ascoltare. Nessuna possibilità di crescere, nessuna occasione per cambiare. Nient'altro che l'eco della mia voce.

In un certo momento della mia vita monastica, ero certa che la conoscenza della Regola e la messa in pratica delle sue norme fossero il segreto per condurre una vita santa. Adesso so che la conoscenza di questo documento non sarà mai sufficiente per poter ascoltare la voce di Dio, ovunque questa si possa trovare. Non spero più di riuscire un giorno ad accumulare abbastanza ascolto da non avere altre domande sulle pratiche di devozione che si possono imparare facilmente. Adesso mi impegno con ardore soltanto per quelle qualità della vita spirituale che devono essere imparate perché io cresca.

«C'era una volta», narra un antico racconto, «un uomo in ricerca che aveva sentito parlare del frutto del cielo e lo desiderava ardentemente.

Egli chiese al maestro: "Come posso trovare quest'albero, così da raggiungere la conoscenza immediata?"

"Sarebbe molto giudizioso da parte tua metterti a studiare con me", disse il maestro. "Se non lo farai, dovrai viaggiare per il mondo con risolutezza e a volte senza riposo".

"Di sicuro", pensò l'uomo, "c'è un modo più efficace di questo". E così egli lasciò quel maestro e ne trovò un altro e un altro e un altro e altri ancora.

Impiegò trent'anni nella sua ricerca. Finalmente arrivò in un giardino. Là, nel centro, c'era l'Albero del Cielo e, dai suoi rami, pendeva lo splendente Frutto del Cielo.

E lì, in piedi accanto all'Albero, c'era il primo maestro.

"Perché non mi hai detto che proprio tu eri il Guardiano dell'Albero del Cielo la prima volta che ci siamo incontrati?", chiese l'uomo.

"Perché", disse il maestro, "allora non mi avresti creduto. E, inoltre, quest'Albero fa frutto solo una volta ogni trent'anni e trenta giorni"».

Non esiste un modo veloce e facile per rendere vita di Dio la nostra vita. Ci vogliono anni di letture sacre, anni passati ad imparare ad ascoltare attraverso il filtro di ciò che abbiamo letto. Una generazione di merendine e cioccolata istantanea, pasti precotti, calcoli fatti al computer e fotocopie in serie, non ci prepara al compito lento e tedioso di ascoltare e di apprendere, più e più volte, giorno dopo giorno, fino a quando riusciremo finalmente a sentire le persone che amiamo, ad amare le persone che abbiamo imparato a detestare, fino a che la nostra crescita ci farà capire che la santità per noi è «qui» e «adesso». Ma un giorno, forse fra trent'anni e trenta giorni, potremo avere ascoltato abbastanza da essere pronti, prima o poi, a raccogliere finalmente il frutto di anni passati a imparare Cristo o, almeno, secondo le parole della Regola di San Benedetto, avremo compiuto «un buon inizio».

Fino ad allora, le campane del monastero suoneranno pazientemente, per ricordarci pazientemente di ascoltare. Soltanto ascoltare. Continuare ad ascoltare.


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21 luglio 2017                       a cura di Alberto "da Cormano" Grazie dei suggerimenti alberto@ora-et-labora.net